4 Febbraio, 2015

SOMMARIO: 1. Premessa e breve esame generale dei due istituti – 2. La illegittimità della falcidia del credito per l’IVA: violazione della Direttiva del Consiglio 2006/112/CE del 28 novembre 2006, in materia di IVA e dell’art. 182-ter della legge fallimentare – 3. Illegittimità della falcidia delle somme dovute a titolo di ritenute operate e non versate: violazione dell’art. 182-ter della legge fallimentare – 4. Conclusioni.

 

 

1. Premessa e breve esame generale dei due istituti

In un mio precedente intervento su questa Rivista (1) avevo avuto modo di (provare ad) individuare le peculiarità dei due istituti sopra richiamati, anche al fine di verificarne le caratteristiche essenziali e salienti. Ora che tanta acqua è passata sotto i ponti e che si sono meglio definite le note distintive degli stessi (per la verità già in nuce allora “svelate”), mi pare utile (almeno questo è l’auspicio) per l’interprete e per l’operatore della materia tentare di ricostruire lo status quo, con particolare riferimento – per quanto sempre riferito nel titolo del presente lavoro – agli effetti delle due procedure (rectius: della procedura di concordato preventivo e della sub procedura della transazione fiscale), quanto alla (im)possibilità di falcidiare crediti erariali (o pseudo tali) quali l’IVA e le ritenute certificate, operate dal datore di lavoro e non versate.

Il tutto non prima di procedere ad una breve individuazione dei confini e dei caratteri dei suddetti istituti.

L’imprenditore che si trova in stato d’insolvenza, fino a che il suo fallimento non è dichiarato, può proporre ai creditori il ricorso al “concordato preventivo”, di cui all’art. 160 della legge fallimentare, se è iscritto nel registro delle imprese da almeno un biennio (o almeno dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata), e ha tenuto una regolare contabilità per la stessa durata (2).

Una volta verificata (3) la sussistenza di tali prerequisiti, la proposta di concordato deve rispondere ad una delle seguenti condizioni:

a) che il debitore offra serie garanzie reali o personali di pagare almeno il quaranta per cento dell’ammontare dei crediti chirografari entro sei mesi dalla data di omologazione del concordato; ovvero, se è proposta una dilazione maggiore, che egli offra le stesse garanzie per il pagamento degli interessi legali sulle somme da corrispondere oltre i sei mesi;

b) che il debitore offra al creditore per il pagamento dei suoi debiti la cessione di tutti i beni esistenti nel suo patrimonio alla data della proposta di concordato, sempre che la valutazione di tali beni faccia fondatamente ritenere che i creditori possano essere soddisfatti almeno nella misura indicata al precedente punto a) (4).

Di converso si rileva quanto segue, in relazione all’istituto della transazione fiscale (5) che rappresenta una particolare procedura “transattiva” tra fisco e contribuente, collocata nell’ambito del concordato preventivo e degli “accordi di ristrutturazione” di cui all’art. 182-bis della legge fallimentare, avente ad oggetto la possibilità di pagamento in misura ridotta e/o dilazionata del credito tributario privilegiato, oltre che di quello chirografario (6).

L’istituto de quo attribuisce all’impresa che versa in uno stato di crisi di concordare con l’Amministrazione finanziaria, nel rispetto dei limiti posti dalla legge, un piano finanziario consistente in una sorta di “ristrutturazione” dei debiti fiscali, tanto privilegiati che chirografari, per il tramite della loro maggiore dilazione temporale (c.d. transazione dilatatoria), ovvero attraverso la decurtazione del loro ammontare (transazione remissoria) (7).

Per effetto di tale peculiare istituto, tra i soggetti creditori ai quali l’imprenditore commerciale in crisi, allo scopo di evitare il dissesto dell’azienda, può proporre – in seno ad un concordato preventivo o ad un accordo di ristrutturazione dei debiti – il pagamento parziale e/o frazionato dei propri debiti, rientra anche l’Amministrazione finanziaria.

Diversamente da quanto assunto in un primo momento, la falcidia o la dilazione del credito tributario è ammissibile anche al di fuori di una transazione fiscale di cui all’art. 182-ter (ad esempio, unitamente al piano richiesto dall’art. 160 della legge fallimentare ai fini del concordato preventivo, ovvero, nell’ambito delle trattative che precedono la stipula dell’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis della legge fallimentare), i cui effetti tipici – per come meglio si accennerà a breve – attengono alla cristallizzazione del debito tributario, sia per quanto attiene ai ruoli che alle controversie tributarie pendenti dinanzi le competenti Commissioni tributarie.

Per quanto poi afferisce ai tributi ammessi alla transazione fiscale, in forza di quanto dispone il primo comma del citato art. 182-ter, rientrano, nell’ambito oggettivo di applicazione della transazione fiscale, sia i crediti chirografari sia quelli privilegiati, a prescindere dalla circostanza che vi sia stata l’iscrizione a ruolo dei medesimi da parte del competente agente della riscossione.

[-protetto-]

In particolare, ai fini della redazione di una proposta transattiva che possa trovare poi accoglimento, il trattamento destinato al credito tributario privilegiato non deve essere inferiore rispetto a quello riservato ai creditori di rango inferiore o aventi posizione giuridica e interessi economici similari a quelli delle Agenzie fiscali; inoltre, al credito tributario avente natura chirografaria deve essere riservato un trattamento pari a quello degli altri creditori chirografari (8).

Non tutti i tributi poi possono legittimamente essere oggetto di transazione fiscale: tale possibilità è rimessa esclusivamente ai tributi amministrati dalle Agenzie fiscali (quali, ad esempio, l’IRPEF, l’IRES, e, pur essendo il gettito destinato agli enti locali, l’IRAP); mentre sono, pertanto, esclusi dall’istituto della transazione i tributi locali (ad esempio, ICI/IMU, TARSU, TASI, TARI, TOSAP, l’imposta sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni).

Sono inoltre esclusi i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, fra i quali sono certamente compresi i dazi doganali di pertinenza comunitaria e l’IVA (della quale è, come noto, stata ammessa la sola “dilazionabilità”, in virtù dell’art. 32, quinto comma, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2) (9), e i tributi doganali, quali accise e imposte di consumo.

Per completezza si evidenzia che con l’appena sopra richiamata norma l’istituto della transazione fiscale è stato esteso ai crediti di natura contributiva (INPS e INAIL) e che tale possibilità è divenuta concretamente utilizzabile per effetto del D.M. 4 agosto 2009, con il quale sono state definite le modalità di applicazione, nonché i criteri e le condizioni di accettazione da parte degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie delle proposte presentate dalle imprese debitrici (10).

È poi del pari preclusa (11) la falcidia delle ritenute fiscali di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, operate e non versate, che devono essere interamente versate, in quanto escluse dalla “transazione fiscale” (12).

Devono, infine, essere considerati ammessi alla transazione fiscale anche gli oneri accessori ai tributi suscettibili di transazione, quali interessi, indennità di mora e le sanzioni amministrative per violazioni tributarie.

Tralasciando gli aspetti procedurali dei due istituti (in relazione ai quali rimando al mio precedente lavoro citato), preme a questo punto soffermarsi su quello che rappresenta uno dei punti davvero dolenti della presente questione, relativa cioè alla natura e ai conseguenti rapporti tra concordato preventivo (o accordi di ristrutturazione) e transazione fiscale.

A questa domanda potremo rispondere solo prendendo le mosse dalle recenti prese di posizione della giurisprudenza (di merito e di legittimità) sugli effetti delle modifiche di legge afferenti alla intangibilità dei crediti per IVA e per ritenute certificate, operate e non versate.

Mi sia consentito procedere con il primo dei due profili.

2. La illegittimità della falcidia del credito per l’IVA: violazione della Direttiva del Consiglio 2006/112/CE del 28 novembre 2006, in materia di IVA e dell’art. 182-ter della legge fallimentare

In ordine alla questione relativa all’ammissibilità o meno della falcidia dei crediti IVA (tributo di natura comunitaria, non disponibile dagli Stati membri e tanto meno dai contribuenti dei suddetti), si osserva quanto segue.

Secondo la previsione di cui all’art. 182-ter della legge fallimentare: «Con il piano di cui all’articolo 160 il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea; con riguardo all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento. Se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie; se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole».

La normativa nazionale vigente (in piena conformità di quella comunitaria) prevede, pertanto, l’inammissibilità di una falcidia dei crediti IVA (e, come si vedrà innanzi, delle ritenute) che opera a prescindere dall’avvenuta proposizione, in seno al concordato preventivo o ad un accordo volto alla ristrutturazione dei debiti, di una contestuale istanza di transazione fiscale ex art. 182-ter della legge fallimentare.

Tale disposto normativo ha trovato pieno conforto alla luce di quanto evidenziato dalla Suprema Corte, secondo la quale: «con l’art. 32 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, è stato modificato il comma 1 dell’art. 182-ter della L. Fall., e tra l’altro è stata introdotta la precisazione secondo la quale “con riguardo all’imposta sul valore aggiunto, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento”, disposizione in seguito estesa anche alle ritenute previdenziali effettuate e non versate».

Ancora, i giudici di legittimità hanno statuito che: «la disposizione ha troncato la discussione in corso circa la ricomprensione o no dell’IVA tra “i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea” esclusi dalla possibilità di falcidia fin dall’originaria formulazione della norma e ritiene il Collegio che la stessa, in realtà, si ponga su di un piano di continuità con il primitivo dettato legislativo (per l’analogo rapporto tra riforma e decreto correttivo: Cass. civ. sent. n. 22150/10) chiarendone e confermandone l’interpretazione e che quindi pure questo si riferisse anche all’IVA, dovendosi intendere il richiamo al tributo come risorsa riferito non già al gettito effettivo (venendo in realtà il contributo per IVA calcolato prescindendo da questo) bensì alla specie di tributo individuata quale parametro per il trasferimento di risorse all’Unione e la cui gestione, sia normativa che esecutiva, è di interesse comunitario e come tale sottoposta a vincoli. Da ciò consegue la non predicabilità della esclusione della falcidia dell’IVA anche per i concordati cui non sia applicabile ratione temporis la recente modifica legislativa sul punto» (13).

Tale assunto ha finito con il porre in rilievo un ulteriore quesito: cosa accade nel caso in cui la proposta di concordato non ha seguito la via della transazione fiscale (in relazione alla quale la disposizione più volte citata espressamente si applica).

Dunque, per provare a porre meglio la domanda: la questione che si pone è se l’intangibilità dell’IVA sussista solo se viene attivato detto procedimento oppure se sia indipendente dall’opzione del debitore e, quindi, si imponga anche nel caso in cui la transazione “speciale” non venga perseguita, ma la proposta tratti il fisco come ogni altro creditore.

È evidente che la soluzione non può che essere la seconda.

Detta soluzione trova, in primo luogo, piena conferma nella natura di tributo comunitario dell’IVA, in relazione alla quale qualunque disposizione normativa di uno Stato membro che fosse contraria a detto principio non potrebbe che venire disapplicata dal giudice nazionale, per contrasto con i principi di detto superiore ordinamento.

Ancor più, pertanto, si appalesa la illegittimità della “falcidia” di somme che – in quanto dovute a titolo di detta imposta indiretta – non possono che essere ineludibilmente destinate alla Comunità europea, per le finalità da questa perseguite (14).

A riprova di ciò, si richiama pure l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale: «Va premesso che la legislazione vigente impone che nel concordato preventivo il debito IVA debba essere sempre pagato per intero, a prescindere dalla presenza o meno di una transazione fiscale, poiché la norma che lo stabilisce va considerata inderogabile e di ordine pubblico economico internazionale (cfr. Direttiva del Consiglio 2006/112/CE del 28 novembre 2006; Corte di Giustizia 29 marzo 2012, nella causa C-500/10, Belvedere Costruzioni srl, secondo la quale “ogni Stato membro ha l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e amministrative al fine di garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel suo territorio”). Infatti costituisce diritto vivente il principio (espresso da ultimo da Cass. civ. 16 maggio 2012 n. 7667; ma nello stesso senso anche da Cass. civ. 4 novembre 2011 n. 22931) secondo cui In tema di omologazione del concordato preventivo con transazione fiscale, secondo l’istituto di cui all’art. 182-ter della L. Fall., anche per le procedure cui non sia applicabile ‘ratione temporis’ l’art. 32 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito nella L. 28 gennaio 2009, n. 2), che ha modificato il comma 1 dell’art. 182-ter della L. Fall., prevedendo espressamente che la proposta, quanto all’IVA, può configurare solo la dilazione del pagamento, sussiste l’intangibilità del predetto debito d’imposta, in quanto le entrate derivanti dall’applicazione di un’aliquota uniforme, valida per tutti gli Stati membri, agli imponibili relativi a detto tributo, costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio dell’Unione Europea, e quindi, il relativo credito, attenendo comunque a tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, non può essere oggetto di accordo per un pagamento parziale neppure ai sensi dell’art. 182-ter nella versione introdotta dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5” … (omissis) … In ogni caso, con riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento … (omissis) … Del resto l’accesso alla procedura di concordato preventivo è atto di autonomia privata, d’iniziativa del debitore, che mira a sfociare nel c.d. patto concordatario con i creditori. Una scelta di questo genere, tutta interna alla volontà del debitore, non può portate, come sua conseguenza, ad elidere gli obblighi giuridici, specie quelli aventi rilievo pubblicistico, come la previsione del versamento dell’IVA alla scadenza di legge, la cui omissione è sanzionata penalmente» (15).

In secondo luogo può osservarsi, in linea generale, che non avrebbe alcuna giustificazione logica e che quindi non sia credibile che il legislatore abbia inteso lasciare alla scelta discrezionale del debitore assoggettarsi all’onere dell’integrale pagamento dell’IVA, imposta armonizzata a livello comunitario sulla cui gestione, si ribadisce, gli Stati non sono esenti da vincoli (16), optando per la transazione fiscale, oppure avvalersi della possibilità di proporne un pagamento parziale decidendo per il concordato senza transazione e, quindi, rimanendo vincolato solo all’obbligo di pagare integralmente il debito nei limiti del valore dei beni sui quali grava la garanzia, peraltro spesso insussistenti, come nel caso di imposta gravante sul valore della prestazione di servizi.

A parte tale considerazione, ciò che convince dell’inderogabilità della disposizione – qualunque sia l’opzione del creditore – è la natura della stessa, in quanto non si tratta di norma processuale, come tale connessa allo specifico procedimento di transazione fiscale, ma di norma sostanziale, in quanto attiene al trattamento dei crediti nell’ambito dell’esecuzione concorsuale dettata da motivazioni che attengono alla peculiarità del credito e prescindono dalle particolari modalità con cui si svolge la procedura di crisi.

La Suprema Corte nelle sentenze sopra citate riconosce, pertanto, la natura sostanziale della disposizione in esame, con conseguente operatività della stessa anche a prescindere dall’attivazione del procedimento di transazione fiscale (17).

Si tratta, pertanto, di una soluzione che i giudici di legittimità ritengono adeguata in ragione della peculiarità del credito.

Inoltre, in ordine ai rapporti tra la disposizione di cui all’art. 182-ter e la disposizione contenuta nell’art. 160, secondo comma, della legge fallimentare, si osserva quanto segue.

Secondo la stessa Corte di Cassazione: «deve escludersi che la necessità dell’integrale pagamento dell’IVA comporti quella dell’integrale pagamento di tutti i crediti privilegiati con grado anteriore», in ossequio alla previsione normativa di cui all’art. 160, secondo comma, della legge fallimentare, in base alla quale: «il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l’effetto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione».

Nell’ambito di tale questione ciò che rileva ai nostri fini è di evitare ogni (eventuale) erroneo richiamo alla disciplina della graduazione dei crediti.

«La disposizione che sostanzialmente esclude il credito IVA da quelli che possono formare oggetto di transazione, quanto meno in ordine all’ammontare del pagamento, è una disposizione eccezionale che, come si è osservato, attribuisce al credito in questione un trattamento peculiare e inderogabile». Di contro «la norma … (di cui all’art. 160, secondo comma) attiene … al trattamento aggiuntivo rispetto a quello imposto ex lege (ancorato al valore dei beni oggetto della garanzia) che viene deciso discrezionalmente dal debitore, ma che trova, appunto, un limite nel rispetto del grado di rilevanza attribuito dal legislatore ai diversi crediti in ragione del valore sociale della loro causa» (18).

Detto vincolo, chiaramente, non può in alcun modo compromettere le scelte del legislatore che ben può, come nella fattispecie e per cause discrezionalmente individuate, attribuire un trattamento particolare a determinati crediti come avviene, ad esempio, per la prededuzione, senza che ciò incida automaticamente sul trattamento degli altri (19).

In altri termini, per la sua particolare natura, il credito per IVA è stato sottratto alla regola del concorso, con la conseguenza che, ferma restando la soggezione al concorso di tutti gli altri crediti anteriori alla presentazione della domanda di concordato, privilegiati e non, esso va pagato integralmente, senza che si possa parlare di trattamento in contrasto con il secondo comma dell’art. 160 della legge fallimentare (20).

Nello stesso senso della intangibilità dell’IVA si è espressa la successiva giurisprudenza di legittimità che, seppur avente ad oggetto un caso di concordato con transazione, stabilisce comunque il principio generale di intangibilità dell’IVA, in ragione della natura comunitaria del tributo.

Secondo la Suprema Corte: «in tema di omologazione del concordato preventivo con transazione fiscale, secondo l’istituto di cui all’art. 182-ter legge fall., anche per le procedure cui non sia applicabile ratione temporis l’art. 32 del d.l. 29 novembre 2008 n. 185 (convertito nella l. 28 gennaio 2009 n. 2), che ha modificato il comma 1 dell’art. 182-ter della legge fall., prevedendo espressamente che la proposta, quanto all’Iva, può configurare solo la dilazione del pagamento, sussiste l’intangibilità del predetto debito d’imposta, in quanto le entrate derivanti dall’applicazione di un’aliquota uniforme, valida per tutti gli Stati membri, agli imponibili relativi a detto tributo secondo la direttiva n. 2006/112/Ce del Consiglio del 28 novembre 2006, la decisione n. 2007/436/Ce adottata dal Consiglio in data giugno 2007, e la sentenza della Corte di Giustizia 29 marzo 2012, in causa C-500/10, Belvedere Costruzioni s.r.l. costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio dell’Unione europea e quindi il relativo credito, attenendo comunque a tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, non può essere oggetto di accordo per un pagamento parziale neppure ai sensi dell’art. 182-ter nella versione introdotta dal d.lg. 9 gennaio 2006 n. 5» (21). La recente giurisprudenza di merito recepisce, dunque, l’autorevole insegnamento della Suprema Corte dichiarando inammissibili proposte di concordato che determinino una falcidia dell’IVA o (per come si dirà subito appresso) delle ritenute, in violazione della disposizione di cui all’art. 182-ter della legge fallimentare.

3. Illegittimità della falcidia delle somme dovute a titolo di ritenute operate e non versate: violazione dell’art. 182-ter della legge fallimentare

In ordine alla falcidia del credito per le ritenute certificate, operate e non versate, valgono le argomentazioni già in precedenza esposte nel superiore punto 2) atteso il chiaro disposto legale, di cui all’art. 182-ter della legge fallimentare che fa esplicito riferimento anche alle ritenute d’acconto.

Tale assunto risulta essere pacificamente acquisito all’orientamento giurisprudenziale, secondo il quale: «il Collegio non ignora ovviamente il dibattito suscitato dalla posizione assunta dalla S.C., che ha spinto una parte della giurisprudenza di merito a disattenderne esplicitamente l’approdo interpretativo con argomenti degni di attenzione e, tuttavia, deve sottolineare che si tratta di una posizione non solo in via di consolidamento (alla pronuncia sopra richiamata è seguita Cass. n. 7667/12), ma addirittura giustificata in una prospettiva sistematica dal sopravvenuto art. 18 del d.l. n. 179/12, che – nel novellare la disciplina (ora indiscutibilmente concorsuale) della crisi, da c.d. “sovraindebitamento” e, segnatamente, art. 7 della L n. 3/12 – ha sì attribuito al debitore la possibilità di declassare i crediti privilegiati secondo un criterio analogo a quello di cui al secondo comma dell’art. 160 della l. fall. facendo, tuttavia, salva l’obbligatorietà dell’integrale pagamento dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, dell’imposta sul valore aggiunto e delle ritenute operate e non versate, in ordine alle quali il piano può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento il rilievo è dirimente: è definitivamente esplicitata la volontà del legislatore di stabilire – con riguardo alle procedure concorsuali diverse dal fallimento – un regime preferenziale per i crediti sopra menzionati rispetto a tutti gli altri crediti privilegiati anche di grado poziore, non potendosi ammettere nell’attuale quadro normativo – una disomogeneità tra il trattamento dei creditori del debitore che possa accedere al concordato in quanto fallibile ex art. 1 della l. fall. e quello dei creditori del debitore non fallibile che possono accedere elusivamente alla procedura da “sovraindebitamento» (22).

Nello stesso senso si è espresso il Tribunale di Milano (23) per il quale: «La proposta di concordato preventivo deve necessariamente prevedere il pagamento integrale dei crediti relativi ad iva e ritenute e ciò anche quando nel patrimonio del debitore mancano i beni sui quali insiste il privilegio che li assiste. Da ciò consegue che qualora il patrimonio del debitore non permetta il pagamento di tali crediti, il concordato sarà possibile solo mediante l’apporto di beni di terzi»; e il Tribunale di Rossano (24) che ha stabilito che: «premesso che la Suprema Corte si è già espressa sancendo l’obbligo dell’integrale (anche se dilazionato) pagamento dell’IVA pur al di fuori della transazione ex art. 182-ter della l. fall. (cfr. Cass. n. 22932/2011 cit.), è da ritenersi che tale principio valga mutatis mutandis anche per le ritenute previdenziali»; inoltre, «laddove la proposta concordataria abbia previsto il pagamento solo parziale del debito per ritenute previdenziali operate e non versate … impone di dichiarare inammissibile la domanda di concordato».

4. Conclusioni

Come già emerso in nuce nel mio precedente intervento, tra concordato preventivo e transazione fiscale sussiste un rapporto tra genere e specie, laddove la possibilità di dare attuazione alla transazione fiscale costituisce una sorta di diritto (potestativo) in favore dell’imprenditore (25), che nella sua veste di contribuente può manifestare la volontà di dare corso (anche) a detto istituto, per beneficiare degli effetti da esso conseguenti (26).

Per cui, in definitiva, devesi condividere l’orientamento secondo cui la transazione fiscale rappresenta una sorta di “sub procedimento”, utile per l’impresa in crisi per giungere (anche) ad una definizione agevolata dei crediti di natura tributaria, con conseguente obbligo per il proponente di coinvolgere l’Agenzia delle entrate nella proposta di transazione fiscale e con conseguente obbligo per quest’ultima di “subire” gli effetti della procedura, caratterizzata dalla presenza di un giudice legittimato ex lege anche ad imporre gli effetti del concordato/transazione alla parte pubblica, con la omologazione forzosa della proposta di concordato, eventualmente non approvata dall’erario (c.d. cram down power) (27).

Va dunque definitivamente sgombrato il campo da ogni possibile dubbio o confusione sul punto: l’obbligazione tributaria – in assoluto – non costituisce più un monolite intangibile, essendo venuto meno il dogma della sua irrinunciabilità e indisponibilità da parte dell’erario (28), in specie quanto essa possa essere sacrificata per giustificati motivi di ordine sociale (vedi salvaguardia dei posti di lavoro, tutela della continuità aziendale, tutela della libertà di iniziativa economica e simili): da qui la possibilità che essa possa essere suscettibile di una transazione o di un accordo, accettato dall’erario, con il suo voto favorevole, ovvero addirittura ad esso imposto, per effetto dell’approvazione forzosa statuita dal giudice della procedura.

A comprova di tale assunto si pongono le ulteriori disposizioni normative introdotte, volte a tutelare la ragioni dell’erario, in caso di comportamenti illeciti che possono assurgere addirittura a fattispecie penalmente rilevanti, in forza delle quali si è, dunque, proprio mirato a conseguire dette finalità, ricercando un bilanciamento tra gli interessi contrapposti in gioco (interesse dell’impresa a rischio decozione a continuare l’attività con i benefici della dilazione/riduzione anche del debito tributario e interesse dell’Agenzia delle entrate a vedere, comunque, corrisposta/riscossa una quota significativa del debito erariale).

Trattasi, in particolare, della valutazione circa la effettiva e concreta possibilità di ripresa dell’azienda a rischio fallimento, fino alla verifica dell’opportunità – in chiave di tutela sociale – della salvaguardia dei posti di lavoro assicurati dalla medesima e, non ultima, la ricerca – nel progetto di concordato/transazione – della (eventuale) infedele rappresentazione delle condizioni patrimoniali del debitore nei documenti prodotti, operata al fine di indurre l’Amministrazione finanziaria ad accettare una riduzione/dilazione del debito tributario, attraverso l’artificioso aumento del deficit aziendale o l’altrettanto artificiosa riduzione delle attività aziendali esistenti (29).

Dunque, oramai nulla quaestio in ordine alla possibilità che la falcidia (di parte) del credito fiscale possa intervenire in seno ad un concordato preventivo o di un accordo sulla ristrutturazione dei debiti e, addirittura, anche in caso di voto contrario dell’Amministrazione finanziaria: ma tale falcidia, per come detto, non potrà mai riguardare né l’IVA, di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, né le somme trattenute a titolo di ritenute certificate operate e non versate, ai sensi del D.P.R. n. 600/1973, in ordine alle quali sarà ammissibile la loro sola dilazione.

A ciò si giunge anche in considerazione del fatto che il concordato preventivo non esclude la configurabilità di uno dei reati tributari, di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e, in particolare, dell’art. 10-ter, con riferimento al debito IVA scaduto e da versare, ovvero quello dell’art. 10-bis, con riferimento alle ritenute certificate, operate e non versate.

Orbene, il debitore – pur versando in una condizione finanziaria e patrimoniale propria, quantomeno, della situazione di crisi – ha di fronte a sé una pluralità di soluzioni, a partire dal concordato preventivo, agli accordi di ristrutturazione e sino al piano che, nell’ambito della transazione fiscale, con l’indicazione della prioritaria soddisfazione del debito IVA e delle ritenute operate e non versate (peraltro avente rango privilegiato), rispetto a tutti gli altri (e beninteso con le risorse idonee al pagamento anche di tutti gli altri crediti aventi grado poziore rispetto al credito IVA – come i professionisti nominati dal Tribunale, ecc.), ove presentato tempestivamente in vista delle scadenze (e, quindi, previa ammissione del relativo concordato), raggiunga anche l’approvazione dei creditori e la conseguente omologazione del Tribunale, potrà beneficiare dei relativi effetti giuridici, ferma comunque restando la necessaria esecuzione dei pagamenti – senza falcidie, ma con la sola eventuale loro dilazione – delle somme dovute a titolo di IVA e di ritenute certificate.

In difetto, pur se il soggetto fosse stato ammesso alla procedura di concordato preventivo, e anche a seguito di una espressa richiesta di accesso alla procedura di transazione fiscale avanzata con l’istanza di concordato preventivo, e pure se a tale procedura la società/imprenditore sia stata/o ammessa/o in data precedente a quella di scadenza prevista per legge, non versando le suddette imposte nei modi e nei termini dovuti, oltre a decadere dagli effetti della omologazione del concordato o degli accordi di ristrutturazione formalizzati (con conseguente rischio di declaratoria di fallimento), incorrerebbe – al superamento delle prescritte soglie di punibilità – anche nella violazione delle sopra richiamate norme penali, con tutte le conseguenze da ciò derivanti, sotto il profilo della responsabilità a tale titolo (30).

Tanto, giacché la sua condotta ha integrato, quanto all’IVA, anche la violazione della disciplina comunitaria del tributo stesso e di quanto la giurisprudenza di legittimità ha ormai da tempo enucleato in ordine alle relazioni intercorrenti tra la procedura del concordato preventivo e gli adempimenti fiscali.

Ovviamente, analogo ragionamento potrebbe essere pacificamente sviluppato per le ritenute certificate che, pur non essendo tributo comunitario, sono, analogamente al tributo indiretto di cui sopra, assistite dalla norma di tutela che ne prevede la non falcidiabilità, ma la sola dilazionabilità: per cui anche per tale caso, non versando le suddette imposte nei modi e nei termini dovuti, si determinerebbe in capo al proponente sia la cessazione degli effetti (premiali) degli istituti in esame che, in caso di superamento delle relative soglie di punibilità, la commissione del reato speciale per tale caso previsto.

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È dunque davvero auspicabile che tale orientamento, volto a tutelare gli interessi dell’erario in ordine alle due fattispecie impositive sopra esposte, oramai ben saldo in seno al giudice di legittimità, possa trovare una pacifica e serena applicazione anche nei giudici di merito di primo e secondo grado.

 

Avv. Sergio La Rocca


 

(1) Cfr. S. La Rocca, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, in Boll. Trib., 2011, 187.

(2) Occorre altresì che lo stesso, nei cinque anni precedenti, non sia stato dichiarato fallito o non sia stato ammesso ad una precedente procedura di concordato preventivo. Infine, l’imprenditore non deve essere stato condannato per bancarotta o per delitto contro il patrimonio, la fede pubblica, l’economia pubblica, l’industria o il commercio.

(3) L’inserimento della transazione fiscale nell’ambito delle procedure di concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione fa sì che la stessa risulti assistita da garanzie di controllo da parte di organi giudiziali, all’interno di una procedura che vede la partecipazione dei creditori e di un commissario giudiziale.

(4) Così sostanzialmente dispone l’art. 160 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante “Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa”, contenuto nel Titolo III rubricato “Del concordato preventivo”, Capo I recante “Dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo”.

(5) La norma di riferimento è contenuta nell’art. 182-ter della legge fallimentare.

(6) Al riguardo va osservato che l’istituto della transazione, seppur tipico nel diritto civile (art. 1965 c.c.), appare del tutto innovativo nell’ordinamento tributario, dove è tradizionalmente vigente il principio di indisponibilità del credito tributario. Ne consegue che la relativa disciplina normativa, in quanto derogatoria di regole generali, è stata sempre considerata di stretta interpretazione, oltre a non essere suscettibile di interpretazione analogica o estensiva (ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, c.d. “preleggi” al codice civile).

(7) Si rammenta che, con l’art. 16, comma 5, del D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, è stata prevista la possibilità di proporre la transazione fiscale, oltre che nell’ambito della presentazione di un piano di concordato preventivo, anche nel corso delle trattative che precedono la stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti, ai sensi dell’art. 182-bis della legge fallimentare.

(8) La falcidia dei crediti privilegiati di natura tributaria, nell’ambito del concordato preventivo, sottostà anche al limite previsto dall’art. 160, comma 2, della legge fallimentare, ai sensi del quale la proposta di concordato non può prevedere una percentuale di soddisfazione del credito privilegiato inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, mediante la liquidazione dei beni o diritti sui quali insiste la causa di prelazione.

(9) Per una migliore disamina delle novità normative, si veda, in tal senso, circ. 10 aprile 2009, n. 14/E, punto 3.1, in Boll. Trib., 2009, 621.

(10) Si evidenzia che le relative istruzioni operative sono state poi rese dall’Inps con la circ. 15 marzo 2010, n. 38, e dall’Inail con la circ. 26 febbraio 2010, n. 8.

(11) Per effetto delle modifiche all’art. 182-ter della legge fallimentare introdotte dall’art. 29, comma 2, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, recante la c.d. “manovra correttiva 2010”).

(12) Si è trattato di un intervento complesso e articolato che – a partire dallo scorso 31 maggio 2010 – ha anche apportato novità sugli aspetti procedurali della transazione fiscale conclusa nell’ambito degli accordi di ristrutturazione, rendendo più gravoso l’onere documentale a carico dell’impresa in crisi, con la previsione della revoca della transazione, nel caso in cui il debitore non esegua, entro novanta giorni dalle scadenze stabilite nell’accordo, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali e agli enti di previdenza e di assistenza obbligatorie. La richiamata manovra ha poi introdotto una nuova fattispecie di reato penale tributario (falso in transazione fiscale), costituita dall’infedele rappresentazione delle condizioni patrimoniali del debitore nella documentazione presentata ai fini dell’accoglimento della proposta transattiva.

(13) Cfr. Cass., sez. I, 4 novembre 2011, n. 22931, in Boll. Trib., 2012, 619.

(14) Tali somme, infatti, costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio dell’Unione europea, e quindi, il relativo credito, attenendo comunque a tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, non può essere oggetto di accordo per un pagamento parziale, neppure ai sensi dell’art. 182-ter della legge fallimentare nella versione introdotta dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (così, espressamente, Cass.,sez. trib., 16 maggio 2012, n. 7667, in Boll. Trib. On-line).

(15) Così Cass., sez. III pen., 31 ottobre 2013, n. 44283, in Boll. Trib. On-line.

(16) Si veda, a tal proposito, Corte Giust. CE, sez. V, 11 dicembre 2008, causa C-174/07, in Boll. Trib. On-line.

(17) Di estremo interesse è la disamina compiuta dalla Corte regolatrice genovese che, per motivare il proprio revirement da precedenti decisioni con cui aveva ritenuto “falcidiabile” il credito per IVA, si profonde in un articolato e compiuto ragionamento, a valle del quale conclude, appunto, per la natura sostanziale, sebbene speciale, della norma in esame, da cui consegue la necessarietà del pagamento integrale dell’IVA, a prescindere dall’opzione per la transazione fiscale che del concordato costituisce un’evenienza non necessaria. Si veda in tal senso Corte App. Genova 19 dicembre 2013, n. 251, in Boll. Trib. On-line.

(18) Cfr. Cass. n. 22931/2011, cit.

(19) Continua la Corte nella decisione sopra citata: «Diversamente opinando, tra l’altro, si dovrebbe attribuire al legislatore se non l’intento quantomeno l’accettazione del rischio di rendere in molti casi sostanzialmente inattuabile il percorso concordatario in quanto, tenuto conto del basso grado di privilegio dell’IVA, la necessità di proporne l’integrale pagamento comporterebbe l’analoga necessità per tutti i crediti privilegiati, anche non tributari, rendendo oltretutto priva di contenuto la stessa transazione fiscale».

(20) Così testualmente Corte App. Genova n. 251/2013, cit.

(21) Cfr. Cass. n. 7667/2012, cit. In senso conforme Trib. Vicenza, sez. I, 27 dicembre 2012, in Boll. Trib. On-line, per il quale: «il debito per IVA va sempre pagato per intero nel concordato preventivo, a prescindere dalla presenza o meno di una transazione fiscale, atteso che la norma che lo prevede va considerata inderogabile e di ordine pubblico economico internazionale, come confermato dalla recentissima disciplina della procedura di composizione della crisi da sovra indebitamento».

(22) Così Trib. Brescia 11 giugno 2013, in Boll. Trib. On-line.

(23) Cfr. Trib. Milano 29 maggio 2013, in Boll. Trib. On-line.

(24) Cfr. Trib. Rossano 31 gennaio 2012, in Boll. Trib. On-line.

(25) Il debitore concordatario, infatti, offrendo le dovute garanzie e nella sussistenza dei presupposti di legge, può rendere possibile l’attivazione della procedura de qua, anche in assenza del placet dell’organo dell’Amministrazione finanziaria preposto, ma a seguito della valutazione dei presupposti di legge da parte del giudice fallimentare, all’uopo adito in sede di udienza di omologazione.

(26) In particolare, gli effetti della transazione fiscale, conseguenti alla omologazione del concordato preventivo (ai sensi del comma 5 dell’art. 182-ter della legge fallimentare) sono i seguenti: – il consolidamento della situazione debitoria fiscale del proponente, attestata nelle certificazioni rilasciate dagli organi pubblici preposti (Ufficio dell’Agenzia delle entrate e agente della riscossione); – la cessazione della materia del contendere nei procedimenti tributari aventi ad oggetto i tributi oggetto di transazione.

(27) Si veda, sul punto, Corte App. Milano, sez. IV, 14 maggio 2008, in Boll. Trib. On-line.

(28) Per amor del vero, il principio di intangibilità del prelievo fiscale non ha rilievo costituzionale ed è sancito dalla legge ordinaria (art. 48 del Regio decreto 23 maggio 1924, n. 827) solo per la fase impositiva, ma non per quella di riscossione del credito.

(29) In tal senso si veda il nuovo secondo comma dell’art. 11 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, dedicato al reato tributario di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, introdotto dalla manovra economica 2010, che così recita: «È punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila. Se l’ammontare di cui al periodo precedente è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni».

(30) Come è noto, il reato di omesso versamento dell’IVA (art. 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000) «si consuma con il mancato pagamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore ad euro cinquantamila, entro la scadenza del termine per il pagamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo» (cfr. Cass., sez. un. pen., 12 settembre 2013, n. 37424, in Boll. Trib. On-line). Mentre il reato di cui all’art. 10-bis di detto decreto punisce con la reclusione da 6 mesi a 2 anni chiunque non versa – entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione dei sostituti d’imposta – ritenute certificate ai sostituiti, per un ammontare superiore ad 50.000 nel periodo d’imposta.

 

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