21 Luglio, 2017

1. Premessa

La sentenza in rassegna si occupa dei presupposti che devono sussistere affinché le Commissioni tributarie concedano all’ente impositore, ai sensi dell’art. 22 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, l’iscrizione di ipoteca sui beni del contribuente nei confronti del quale sia stato emesso un atto di contestazione, un provvedimento di irrogazione di sanzioni, un processo verbale di constatazione o un qualunque «provvedimento con il quale si accertano maggiori tributi».
A mente della richiamata disposizione normativa, com’è noto, dopo la notifica di uno dei suddetti atti «l’ufficio o l’ente, quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere, con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria provinciale l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido, e l’autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l’azienda».
Se e quando ricorrono i presupposti per concedere le misure cautelari de quibus è questione sulla quale, come spesso accade, l’orientamento della giurisprudenza tributaria di merito è stato ed è tutt’altro che univoco.
L’esame della pronuncia della Commissione leccese offre, dunque, l’occasione per fare una breve ricognizione dei principali contributi dottrinali e giurisprudenziali in subiecta materia e per svolgere, poi, qualche riflessione (anche critica) su alcune delle affermazioni ivi contenute.

2. Le misure cautelari

Le misure cautelari in ambito tributario hanno lo scopo precipuo di garantire il credito dell’erario e, in particolare, di evitare che i beni del contribuente possano essere distratti o depauperati nel lasso di tempo occorrente all’accertamento definitivo del credito e alla relativa riscossione.
In linea generale ricordiamo che l’ipoteca è un diritto reale di garanzia che, a norma dell’art. 2808 c.c., attribuisce al creditore il diritto/potere di espropriare, anche in confronto del terzo acquirente, il bene sul quale essa è costituita e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione.
Possono formare oggetto di ipoteca gli immobili con le loro pertinenze e i diritti reali di godimento su beni immobili.
Il sequestro conservativo è un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale e può essere chiesto al giudice, a mente dell’art. 671 c.p.c., in via preventiva e cautelare, quando il creditore ha motivo di temere che, prima di ottenere una sentenza che accerti il suo diritto, il debitore disperda il proprio patrimonio, alienando, consumando o depauperando i propri beni.
Esula dalla presente trattazione l’indagine approfondita sull’evoluzione e sulle modifiche che nel tempo hanno riguardato l’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997, molte delle quali, peraltro, resesi necessarie proprio a causa della non univoca interpretazione che ne avevano dato le Commissioni tributarie.
Dobbiamo segnalare, tuttavia, che tra il 2008 e il 2009 sono state introdotte una serie di disposizioni normative che, da un lato, hanno chiarito alcuni degli aspetti più controversi che fino ad allora erano emersi soprattutto, ripetiamo, in seno alla giurisprudenza tributaria di merito e, dall’altro, hanno ampliato notevolmente la portata e l’ambito applicativo dell’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997.
Tra le “integrazioni normative” di maggiore rilievo vanno certamente segnalate quelle introdotte con l’art. 27 del D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2).
In particolare, con il quinto comma della richiamata disposizione si è stabilito (e definitivamente chiarito) che l’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997 si applica – oltre che al credito erariale relativo alle sanzioni – «anche alle somme dovute per il pagamento di tributi e dei relativi interessi agli uffici e agli enti di cui al comma 1 del medesimo articolo, in base ai processi verbali di constatazione».
Il successivo sesto comma poi prevede che «in caso di pericolo per la riscossione, dopo la notifica, da parte dell’ufficio o ente, del provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, si applicano, per tutti gli importi dovuti, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 6, dell’articolo 22, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472».
Inoltre l’art. 15, comma 8-quater, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102), successivamente modificato dall’art. 29, quinto comma, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2010, n. 122), ha sostituito l’originario settimo comma del citato art. 27 del D.L. n. 185/2008 il quale, nella sua formulazione attualmente vigente, stabilisce che «Le misure cautelari che, in base al processo verbale di constatazione, al provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, al provvedimento di irrogazione della sanzione oppure all’atto di contestazione, sono adottate ai sensi dell’articolo 22 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni, conservano, senza bisogno di alcuna formalità o annotazione, la loro validità e il loro grado a favore dell’agente della riscossione che ha in carico il ruolo. Quest’ultimo può procedere all’esecuzione sui beni sequestrati o ipotecati secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, fermo restando quanto previsto, in particolare, dall’articolo 76 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, e successive modificazioni».
La tutela accordata alle ragioni creditorie dell’erario, peraltro, risulta ulteriormente rafforzata dalle disposizioni contenute nell’art. 15, commi 8-bis e 8-ter, del sopra richiamato D.L. n. 78/2009, per effetto delle quali l’Agenzia delle entrate può avvalersi dell’ausilio delle indagini finanziarie anche per la richiesta di iscrizione di ipoteca e di adozione del sequestro conservativo.
In tale senso, infatti, è stato aggiunto un periodo al primo comma dell’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997, dove è espressamente prevista la possibilità per il fisco di avvalersi delle suddette indagini per l’individuazione delle disponibilità utilizzabili per garantire il concreto soddisfacimento del credito erariale.

3. Il caso di specie

La dottrina più autorevole (1) e la giurisprudenza di legittimità sono concordi nell’affermare, in linea di principio, che «I provvedimenti di cui all’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997 debbono essere collocati nel sistema delle misure cautelari che vengono assunte in presenza di un “fumus boni juris” ed un “periculum in mora”» (2).
Spetta dunque alla Commissione tributaria verificare se, nel caso concreto, sussistano o meno le condizioni per concedere una delle prefate misure cautelari e, in particolare, «valutare se sussista o meno quel “fondato timore, per la Amministrazione, di perdere la garanzia del proprio credito”, che costituisce presupposto necessario per l’emanazione dei provvedimenti cautelari di cui all’art. 22 del D.Lgs. n. 472 del 1997», prendendo a tal fine in considerazione «tutti gli elementi indicati dalla Amministrazione stessa» (3).
Nella fattispecie all’esame della Commissione tributaria provinciale di Lecce, sulla base di un processo verbale di constatazione redatto nei confronti di una società a responsabilità limitata, veniva prima emesso avviso di accertamento nei confronti della stessa, con il quale si rettificava in aumento il reddito d’impresa dichiarato per l’anno d’imposta 2011 e, a seguito di tale rettifica, veniva accertato nei confronti del “socio di maggioranza” un maggior reddito derivante dalla presunta distribuzione degli utili extra-bilancio accertati in capo alla società.
Successivamente l’Agenzia delle entrate chiedeva alla Commissione tributaria salentina di iscrivere ipoteca sugli immobili di proprietà del socio, per un importo pari al doppio del credito tributario accertato nei suoi confronti.
Il Collegio leccese, preliminarmente e in linea generale, ha evidenziato che per la concessione delle misure cautelari in esame occorre che sussistano i presupposti del “fumus boni juris” e del “periculum in mora”.
Quanto al primo di tali presupposti, i giudici hanno precisato che «ai fini della rappresentazione della sussistenza del fumus boni juris è comunque necessario che nella istanza sia fornita puntuale ed esauriente motivazione delle ragioni della richiesta, le quali, evidentemente, non possono essere sustanziate dal mero richiamo ai rilievi contestati nell’atto impositivo».
Diversamente opinando, prosegue la Commissione tributaria, «verrebbe meno qualsivoglia linea di demarcazione tra ragioni della pretesa e ragioni della istanza di misure cautelari, così sovrapponendo elementi aventi invece natura e finalità diversi (sì da, inammissibilmente, giustificare il ricorso alla misura cautelare in presenza di qualsivoglia vantato credito erariale, a cui tutela, non va trascurato, è già previsto il sistema di riscossione frazionata)».
Completando le proprie considerazioni di carattere generale sulla ricorrenza del fumus boni juris, il Collegio pugliese ha concluso doversi riconoscere che «le ragioni che sostengono la istanza di misure cautelari soccorrono ogni qualvolta sussista la possibilità di rappresentare un quid che va oltre la mera riproduzione dei rilievi contestati».
Relativamente alla ricorrenza del periculum in mora, la Corte territoriale leccese ha precisato che deve attentamente considerarsi «il comportamento del debitore, tenuto conto della effettività del di lui patrimonio in rapporto alla entità del credito vantato dall’Erario, e della comprovata esistenza della adozione da parte dello stesso di comportamenti, successivi alla adozione dell’atto impositivo (o dello stesso pvc che a questo abbia dato luogo) reali ed attuali, sì tali da manifestare la volontà di sottrarsi all’adempimento depauperando il proprio patrimonio».
Fatte tali premesse di carattere generale, i giudici hanno osservato che nella fattispecie in esame, ai fini della «sussistenza del fumus boni iuris» la richiedente Agenzia delle entrate si era limitata a richiamare le contestazioni formulate negli avvisi di accertamento emessi nei confronti della società prima e del socio poi.
Quanto al periculum in mora, la Commissione provinciale ha osservato che, a conforto della richiesta cautelare, nell’istanza era stata addotta semplicemente la presunta “inattendibilità della contabilità”, elemento evidentemente poco significativo perché «piuttosto sempre riconducibile ai rilievi che supportano le contestazioni di cui agli accertamenti» e ha sottolineato che soltanto comparendo dinanzi al Collegio l’Ufficio finanziario aveva prodotto due atti aventi ad oggetto la donazione, da parte del suddetto socio ai figli, di quote di partecipazione di “modesto valore” in due società.
Dopo avere evidenziato che l’intimato era proprietario di due terreni oltre alle tre unità immobiliari «con riferimento alle quali è stata invocata la misura cautelare e relativamente alle quali non risulta la adozione di comportamenti, attuali ed effettivi, diretti alla dismissione», la Commissione tributaria provinciale pugliese ha deciso di rigettare l’istanza presentata dall’Agenzia delle entrate, avendo ritenuto di doversi escludere nel caso de quo la sussistenza dei presupposti innanzi indicati.

4. Brevi riflessioni

A parere di chi scrive, l’annotata decisione è assolutamente condivisibile nella sua parte dispositiva, ma non del tutto convincente nella parte motiva.
Come abbiamo visto, possiamo ritenere ormai pacifico e condiviso, in dottrina come in giurisprudenza (4), che per la concessione di una delle misure cautelari previste dall’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997 devono sussistere, congiuntamente, i presupposti del “fumus boni juris” e del “periculum in mora”, orientamento al quale, evidentemente, i giudici leccesi hanno inteso uniformarsi.
Del resto, la stessa Amministrazione finanziaria ha avuto modo di ribadire che «i presupposti per l’adozione delle suddette misure cautelari sono: 1) l’esistenza di un atto di contestazione, di un provvedimento di irrogazione sanzione, di un avviso di accertamento, di un processo verbale di constatazione o di un atto di recupero, ritualmente notificati e dai quali si evinca la sussistenza del c.d. fumus boni iuris, ossia l’attendibilità e sostenibilità della pretesa tributaria; 2) il fondato timore, da parte dell’Ufficio, di perdere la garanzia del proprio credito, c.d. periculum in mora», precisando allo stesso tempo che «evidentemente, i predetti presupposti devono sussistere congiuntamente affinché possa essere applicata la misura cautelare» (5).
Ma cosa si deve intendere per “fumus boni juris” e per “periculum in mora” ai fini della concessione delle misure cautelari in esame?
Si tratta di una definizione assolutamente imprescindibile e preliminare perché si possa poi verificare, di volta in volta, nel caso concreto, se i suddetti requisiti sussistano oppure siano assenti.
È opinione diffusa che per fumus boni iuris deve intendersi la «verosimile esistenza della pretesa erariale» (6) ovvero, detta in altro modo, la “potenziale attendibilità” della pretesa creditoria che si intende cautelare, intesa non in termini di mera “possibilità” di sussistenza del diritto, ma di “probabilità” della stessa.
Ergo, perché si ravvisi il fumus boni iuris non è affatto necessario che sussista la certezza del diritto di credito.
In tale senso, infatti, è stato chiarito dalla Suprema Corte che «nella fattispecie normativa in esame (7), la iscrizione di ipoteca legale non implica necessariamente che il credito debba esistere già al momento della costituzione della garanzia. La garanzia reale può cioè essere costituita in un momento antecedente alla formazione del titolo di credito dell’Amministrazione, in base al fumus boni iuris circa l’effettiva esistenza dei credito tributario che si intende cautelare e che legittima l’iscrizione» (8).
Nello stesso senso, e più significativamente, è stato precisato che «nell’ipoteca legale in esame la garanzia può costituirsi addirittura in un momento precedente alla formazione del credito dell’Amministrazione finanziaria, essendo consentita la sua iscrizione sulla base del semplice processo verbale di constatazione, prima ancora della predisposizione e della notifica del verbale di accertamento … Non può assumere peraltro alcuna rilevanza il fatto che per l’ipoteca legale in esame, al pari dell’ipoteca giudiziale e diversamente dalle altre ipotesi di ipoteca legale, si richieda un provvedimento dell’autorità giudiziaria, non accertando tale provvedimento l’esistenza di un credito ma solo la presenza delle condizioni proprie di ogni provvedimento di natura cautelare: “fumus boni iuris” e “periculum in mora”» (9).
Del resto, aggiungiamo noi, l’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997 è fin troppo chiaro nel prevedere, come in precedenza l’art. 26 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 (Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), che l’ente impositore possa chiedere una delle misure cautelari ivi previste «In base all’atto di contestazione, al provvedimento di irrogazione della sanzione o al processo verbale di constatazione [oltre che, da qualche anno, al provvedimento che accerta maggiori tributi, n.d.r.], e dopo la loro notifica».
In sostanza, la norma consente espressamente che si possa chiedere l’adozione di una misura cautelare anche “in base” ad atti, come l’atto di contestazione o il processo verbale di constatazione, che non contengono e non possono contenere una pretesa impositiva definita, a tale fine occorrendo il successivo vaglio dell’Ufficio impositore.
Il legislatore, dunque, ha ritenuto che quegli atti certamente possono contenere gli elementi sufficienti per dimostrare l’esistenza delle condizioni proprie di ogni provvedimento cautelare, ovvero, per quanto riguarda il “fumus boni juris”, la “verosimile esistenza della pretesa erariale”.
Ad avviso di chi scrive, dunque, non convince l’affermazione dei giudici salentini secondo cui «ai fini della rappresentazione della sussistenza del fumus boni juris» la motivazione dell’istanza cautelare non può essere «sustanziata dal mero richiamo ai rilievi contestati nell’atto impositivo».
Ovviamente se nell’istanza vi è il puro e semplice richiamo dell’atto in base al quale la richiesta viene avanzata è assolutamente necessario che lo stesso atto venga allegato all’istanza medesima, per consentire al giudice tributario di valutare in concreto i rilievi ivi contenuti e apprezzare se, in forza degli stessi, sussista o meno la “potenziale attendibilità” della pretesa creditoria.
Pertanto, sia che l’Ufficio richiedente abbia integralmente trascritto nell’istanza cautelare i rilievi o le contestazioni mosse al contribuente, sia che abbia materialmente allegato alla suddetta istanza l’atto che quei rilievi o quelle contestazioni contenga, il giudice è certamente posto nelle condizioni di apprezzare la «verosimile esistenza della pretesa erariale».
Il Collegio leccese, al contrario, ha pregiudizialmente ritenuto che per concedere la misura cautelare non sia sufficiente il mero richiamo dei suddetti rilievi.
L’assunto, in modo più incisivo, è stato ribadito quando la Corte territoriale, «completando le proprie considerazioni di carattere generale sulla ricorrenza del fumus boni juris», ha concluso affermando: «le ragioni che sostengono la istanza di misure cautelari soccorrono ogni qualvolta sussista la possibilità di rappresentare un quid che va oltre la mera riproduzione dei rilievi contestati».
A nostro parere, invece, l’ente impositore non deve rappresentare alcun “quid in più” rispetto ai rilievi contenuti nell’atto presupposto, trattandosi di atti tipici, specificamente indicati nell’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997, “in base” ai quali, per espressa previsione normativa, è ben possibile chiedere l’adozione di una delle misure cautelari ivi previste.
Peraltro l’affermazione dei giudici salentini secondo cui dovrebbe sempre sussistere una «linea di demarcazione tra ragioni della pretesa e ragioni della istanza di misure cautelari» è certamente condivisibile, ma crediamo vada intesa in senso opposto a come la intendono loro: mentre la pretesa impositiva deve fondarsi su presupposti di fatto e ragioni giuridiche tali da dimostrare l’esistenza e la fondatezza della pretesa stessa, per ottenere una di quelle misure cautelari è sufficiente dimostrare la “verosimile esistenza” della suddetta pretesa, la sua “potenziale attendibilità”, ciò che, obiettivamente, è qualcosa di meno della “esistenza”.
Quanto al periculum in mora osserviamo che, per espressa previsione dell’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997, esso consiste nel «fondato pericolo di perdere la garanzia del credito erariale» (10).
Secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, «in tema di sequestro conservativo il requisito del “periculum in mora” può essere desunto sia da elementi oggettivi concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto alla entità del credito, sia da elementi soggettivi evincibili dal comportamento del debitore che lasci presumere che, al fine di sottrarsi all’adempimento, ponga in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale deprezzamento del suo patrimonio. Non è, quindi, necessario che vi sia un depauperamento in atto del patrimonio del debitore, purché sia desumibile alla stregua degli elementi indicati» (11).
Ergo, il giudice di merito può fare riferimento, «alternativamente, tanto a criteri oggettivi (rappresentati dalla capacità patrimoniale del debitore in relazione all’entità del credito) quanto soggettivi (quali il comportamento del debitore che lasci fondatamente temere atti di depauperamento del suo patrimonio), senza che, ai fini della validità del provvedimento di convalida, le due categorie di presupposti debbano simultaneamente concorrere» (12).
Nell’annotata sentenza la Commissione tributaria di Lecce ha mostrato di ben conoscere il richiamato orientamento giurisprudenziale quando ha individuato, in linea di principio, i presupposti che devono sussistere perché possa ravvisarsi il periculum in mora paventato dall’Ufficio finanziario che richiede la misura cautelare.
Dalla motivazione della stessa sentenza, tuttavia, non emerge con assoluta chiarezza se l’istanza cautelare sia stata rigettata perché supportata esclusivamente dalla presunta “inattendibilità della contabilità”, elemento qualificato “poco significativo” dal Collegio, che non poteva essere integrata dagli ulteriori elementi conoscitivi rappresentati dall’istante (due atti di donazione) perché prodotti “soltanto in sede di trattazione dell’istanza” o se, invece, pur giudicando ammissibile (e perciò valutabile) tale integrazione istruttoria la stessa non fosse ugualmente sufficiente a dimostrare l’esistenza di un effettivo periculum in mora, visto che, da un lato, le quote di partecipazione cedute dal contribuente erano di “modesto valore” e, dall’altro, quel contribuente risultava proprietario, oltre che degli immobili sui quali si chiedeva di iscrivere ipoteca, di altri due terreni.
Ad avviso di chi scrive sarebbe stato preferibile che i giudici, in maniera esplicita e inequivocabile, dichiarassero insufficiente l’unico elemento indicato nell’istanza cautelare (ovvero l’inattendibilità della contabilità) e, allo stesso tempo, inammissibili gli elementi conoscitivi prodotti successivamente dall’Amministrazione finanziaria.
Se è vero che il riferimento fatto dalla Suprema Corte, negli arresti in precedenza richiamati, alla «presenza delle condizioni proprie di ogni provvedimento di natura cautelare», potrebbe far pensare che la verifica del giudice tributario possa estendersi ad ogni elemento conoscitivo prodotto in giudizio fino al momento in cui quel provvedimento deve essere adottato, è altrettanto vero che in questo modo si violerebbe palesemente e gravemente il diritto di difesa della parte interessata, che non avrebbe possibilità di difendersi adeguatamente rispetto alla sopravvenuta produzione probatoria.
Che senso avrebbe imporre, come fa il secondo comma dell’art. 22, la notifica delle istanze cautelari «alle parti interessate» e consentire alle stesse, «entro venti giorni dalla notifica, di depositare memorie e documenti difensivi», se poi si permettesse all’istante di produrre nuovi elementi conoscitivi rispetto ai quali è praticamente impossibile replicare e difendersi?
Del resto il richiamato art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997 stabilisce espressamente che l’istanza cautelare sia “motivata”, ragione per la quale, riteniamo, anche a tale istanza devono applicarsi i principi giuridici enunciati dalla Suprema Corte in materia di motivazione dei provvedimenti impositivi.
Significativa, per tutte, è la sentenza della Corte di Cassazione n. 22003 del 2014 (13), in cui si sottolinea con estrema limpidezza che in materia di provvedimenti impositivi il nostro legislatore ha «chiaramente manifestato l’intento di costruire la motivazione, non come enunciazione mera di una pretesa soggetta a verifica processuale id est, quale causa petendi del futuro giudizio inteso a valutarla, … ma come ratio di una decisione assunta all’esito di una istruttoria (potremmo dire) primaria, svolta nella fase procedimentale e finalizzata, per il principio di buona amministrazione, ad assicurare la realizzazione di un’azione (amministrativa) efficiente e congrua. Di un’istruttoria, cioè, che appunto in vista di tale obiettivo deve precedere l’emissione dell’atto, e di cui, quindi, l’atto finale deve dar conto, seppure in relazione agli esiti finali del procedimento, compendiabili nei presupposti di fatto riscontrati e nella enunciazione delle ragioni giuridiche da cui l’azione possa dirsi sostenuta».
Per concludere, siamo dell’avviso che all’ente impositore non sia affatto consentito integrare la motivazione dell’istanza cautelare dopo la sua notifica al contribuente, né gli sia consentito produrre successivamente elementi conoscitivi non indicati nella suddetta istanza, tanto meno in camera di consiglio avanti al Collegio giudicante.
Non a caso, nella sentenza da ultimo richiamata, la Suprema Corte ribadisce che «nel processo l’amministrazione deve riversare, ex artt. 23 e 32 del D.Lgs. n. 546 del 1992, gli elementi di prova richiamati nell’atto impositivo e può dedurne di nuovi [soltanto, n.d.r.] nei limiti del principio di consequenzialità in rapporto agli avversi motivi di ricorso».

Dott. Domenico Carnimeo

(1) Cfr. G. INGRAO, Le misure cautelari a favore dell’amministrazione finanziaria (ipoteca e sequestro conservativo): dalla legge 7 gennaio 1929, n. 4 al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in Riv. dir. trib., 2000, I, 45.
(2) Cass., sez. trib., 26 novembre 2007, n. 24527, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cass., sez. trib., 9 agosto 2015, n. 16945, in Boll. Trib. On-line.
(4) Già con riferimento alle misure cautelari previste dall’art. 26 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 [disposizione successivamente abrogata dall’art. 29, primo comma, lett. a), del D.Lgs. n. 472/1997, con decorrenza dal 1° aprile 1998, e sostituita dall’art. 22 dello stesso decreto], la Suprema Corte ebbe modo di chiarire che condizione per richiedere l’iscrizione ipotecaria è la «sussistenza di due presupposti: il “fumus boni iuris” e il “periculum in mora”, precisando allo stesso tempo che “in assenza di uno dei presupposti previsti dalla norma, non può farsi luogo all’iscrizione”»: cfr. Cass., sez. trib., 20 dicembre 2006, n. 27226, in Boll. Trib. On-line.
(5) Ved. circ. 15 febbraio 2010, n. 4/E, in Boll. Trib., 2010, 281.
(6) Così S. GALLO, Una interessante sentenza sull’art. 22 del D.lgs. n. 472/1997, in nota a Comm. trib. prov. di Matera, sez. I, 17 settembre 2002, n. 141, in Boll. Trib., 2004, 533.
(7) Il riferimento della Corte di Cassazione è all’art. 26 della citata legge n. 4/1929, ma i principi di diritto affermati in ordine alla sussistenza dei presupposti per concedere le misure cautelari previste da tale disposizione sono certamente validi anche con riferimento alle (medesime) misure cautelari previste dall’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997.
(8) Cass., sez. I, 12 giugno 1998, n. 5872, in Boll. Trib. On-line.
(9) Cass., sez. I, 9 aprile 1999, n. 3462, in Boll. Trib. On-line.
(10) Merita di essere segnalata, a tale riguardo, la differenza dell’art. 22 del D.Lgs. n. 472/1997 rispetto al previgente art. 26 della legge n. 4/1929, dove invece si faceva riferimento all’esistenza di un “pericolo nel ritardo”.
(11) Cass., sez. III, 10 luglio 1996, n. 6460, in Boll. Trib. On-line.
(12) Cass., sez. II, 26 febbraio 1998, n. 2139, in Boll. Trib. On-line.
(13) Cass., sez. trib., 17 ottobre 2014, n. 22003, in Boll. Trib. On-line.

Imposte e tasse – Riscossione coattiva – Misure cautelari – Presupposti – Fumus boni iuris e periculum in mora – Mero richiamo dell’istanza di autorizzazione delle misure cautelari ai rilievi contenuti nell’atto impositivo – Insufficienza – Necessità di un quid aggiuntivo ai rilievi contestati e di un reale pericolo nel ritardo derivante dal comportamento del contribuente – Sussiste.

Per la concessione dell’ipoteca fiscale o del sequestro conservativo a tutela del credito tributario reclamato devono ricorrere contestualmente i presupposti del fumus boni iuris, consistente nell’attendibilità e sostenibilità della pretesa tributaria, e del periculum in mora, consistente nel fondato timore da parte dell’Amministrazione finanziaria di perdere la garanzia del proprio credito, di talché ai fini della rappresentazione della sussistenza del fumus boni iuris è necessario che nell’istanza di autorizzazione delle misure cautelari sia fornita puntuale ed esauriente motivazione delle ragioni della richiesta che, evidentemente, non possono essere sustanziate dal mero richiamo ai rilievi contestati nell’atto impositivo ma devono consistere in un quid che vada oltre la mera riproduzione dei rilievi medesimi, mentre ai fini dell’affermazione della ricorrenza del periculum in mora va invece attentamente considerato il comportamento del debitore, tenuto conto della effettività del suo patrimonio in rapporto all’entità del credito vantato dall’erario e della comprovata esistenza di suoi comportamenti, successivi all’adozione dell’atto impositivo, reali e attuali, tali da manifestare la volontà di sottrarsi all’adempimento depauperando il proprio patrimonio.

[Commissione trib. provinciale di Lecce, sez. I (Pres. Fiorella, rel. Vigorita), 31 marzo 2015, sent. n. 1080, ric. Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Lecce]

FATTO – All’esito delle risultanze del pvc del 26.6.2014 redatto nei confronti della Ducta S.r.l. (di cui R.V. è socio di maggioranza al 99%) la Agenzia delle entrate di Lecce ha notificato alla detta società avviso di accertamento n. … (con il quale, per l’anno di imposta 2011, ha rideterminato un maggiore reddito di impresa pari ad Euro 741.368,39 in ragione dei rilievi contestati, segnatamente: costi non inerenti, non documentati e non di competenza; utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti) e, in data 26.9.2014 al detto socio R.V. avviso di accertamento n. …, con il quale ha accertato nei confronti dello stesso la intervenuta distribuzione, in proporzione della di lui quota societaria, dei maggiori utili extracontabili accertati.
Indi, in data 1.12.2014 ha notificato al detto R.V. istanza di adozione di misure cautelari ex art. 22 D.Lgs. n. 472/1997, sustanziata dalla richiesta di autorizzazione a procedere ad iscrizione ipotecaria sui beni immobili di proprietà di R.V. quali individuati sino alla concorrenza della somma complessiva di Euro 763.953,28, pari al doppio del credito vantato.
Nel procedimento siccome instaurato si è costituito R.V., il quale ha eccepito la inammissibilità della richiesta siccome formulata per:
– difetto di motivazione;
– carenza dei presupposti normativi richiesti sia sotto il profilo del periculum in mora (mancanza di elementi attestanti la intervenuta adozione di comportamenti diretti alla dismissione del patrimonio) che sotto il profilo del fumus boni iuris (pretesa avente fondamento in mera presunzione di distribuzione di utili extrabilancio, questi ultimi, comunque e peraltro, contestati all’esito della acritica ricezione delle emergenze del pvc elevato alla società, censurabili per la disamina parziale e non corretta della documentazione).
All’esito della udienza del 6.2.2015 questa Commissione decide come segue.

MOTIVI DELLA DECISIONE – Siccome è pacifico, per la concessione della ipoteca fiscale o del sequestro conservativo devono ricorrere contestualmente i presupposti del fumus boni iuris (attendibilità e sostenibilità della pretesa tributaria) e del periculum in mora (fondato timore da parte della Amministrazione Finanziaria di perdere la garanzia del proprio credito).
Come la stessa Agenzia delle Entrate ha precisato con la Circolare n. 4/E del 15.2.2010 (1), anche laddove il titolo richiesto per la adozione di misura cautelare sia rappresentato da un provvedimento impositivo già adottato (come nel caso che ci occupa), ai fini della rappresentazione della sussistenza del fumus boni iuris è comunque necessario che nella istanza sia fornita puntuale ed esauriente motivazione delle ragioni della richiesta, le quali, evidentemente, non possono essere sustanziate dal mero richiamo ai rilievi contestati nell’atto impositivo.
È, infatti, solare che, diversamente opinando, verrebbe meno qualsivoglia linea di demarcazione tra ragioni della pretesa e ragioni della istanza di misure cautelari, così sovrapponendo elementi aventi invece natura e finalità diversi (sì da, inammissibilmente, in quanto indiscriminatamente, giustificare il ricorso alla misura cautelare in presenza di qualsivoglia vantato credito erariale, a cui tutela, non va trascurato, è già previsto il sistema di riscossione frazionata).
Deve, pertanto, riconoscersi che le ragioni che sostengono la istanza di misure cautelari soccorrono ogni qual volta sussista la possibilità di rappresentare un quid che va oltre la mera riproduzione delle rilievi contestati.
Parimenti, ai fini della affermazione della ricorrenza del periculum in mora, va attentamente considerato il comportamento del debitore, tenuto conto della effettività del di lui patrimonio in rapporto alla entità del credito vantato dall’Erario, e della comprovata esistenza della adozione da parte dello stesso di comportamenti, successivi alla adozione dell’atto impositivo (o dello stesso pvc che a questo abbia dato luogo), reali e attuali, sì tali da manifestare la volontà di sottrarsi all’adempimento depauperando il proprio patrimonio.
In ogni caso, come peraltro avvertito dalla stessa Amministrazione Finanziaria nella prefata Circolare, qualsivoglia valutazione in ordine alla ricorrenza dei superiori presupposti va improntata a prudenza, tenuto conto della necessità di comunque contemperare gli interessi dell’Erario con quelli del debitore (attesi i riflessi pregiudizievoli delle misure ad adottarsi sul di lui patrimonio), in un momento in cui il credito fiscale è ancora privo dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità (e, si ritiene di aggiungere, comunque, a tutela dell’Erario, già ex lege aggredibile quanto meno nei limiti della prevista riscossione frazionata).
Orbene, nella fattispecie che qui ci occupa, in sede di istanza di adozione della specifica misura cautelare invocata ovvero ipoteca immobiliare, la Amministrazione Finanziaria:
– al fine della prova della sussistenza del fumus boni iuris si è limitata a richiamare le contestazioni formulate nell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società (sostenendo la fondatezza della pretesa erariale quale evincibile dalle motivazioni poste a base degli accertamenti emessi nei confronti della società e, di seguito, al socio);
– al fine della prova del periculum in mora, ha addotto la riscontrata inattendibilità della contabilità: elemento, quest’ultimo, piuttosto sempre riconducibile ai rilievi che supportano le contestazioni di cui agli accertamenti.
Soltanto in sede di trattazione del procedimento innanzi al Collegio la Agenzia delle Entrate di Lecce ha prodotto copia di due atti, entrambi datati 1.10.2014, aventi ad oggetto la donazione da parte del R.V. ai figli delle di lui quote – di modesto valore – di partecipazione nelle società “Hepha Srl” (del valore nominale di Euro 3.615,00) e “G.F.G. Immobiliare di Maglio Reresa & c. sas” (del valore nominale di Euro 12.911,42).
Lo stesso R.V. risulta, poi, titolare della proprietà di due terreni e tre unità immobiliari, queste ultime appartenenti a categorie C/6, C/2 e A/7, le stesse con riferimento alle quali è stata invocata la misura cautelare e relativamente alle quali non risulta la adozione di comportamenti, attuali ed effettivi, diretti alla dismissione.
Sic rebus stantibus ritiene questa Commissione che le circostanze siccome rappresentate nella istanza ed evinte in sede di discussione, militano per il rigetto della istanza, dovendosi escludere la sussistenza dei presupposti giustificativi della stessa quali innanzi enucleati.
La particolarità della questione costituisce comunque giusto motivo per la compensazione delle spese del procedimento.

PER QUESTI MOTIVI – La Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, Sezione Prima, definitivamente pronunciando: Rigetta la istanza. Spese compensate.

(1) In Boll. Trib., 2010, 281.

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