10 Ottobre, 2017

La Suprema Corte si è trovata dinanzi a un quesito particolare (potremmo dire eccezionale) in tema di contribuzione sostanzialmente obbligatoria (1) degli utenti attuali del c.d. “servizio idrico integrato” e, anni fa, della “tariffa” o del “contributo” alla costruzione, manutenzione e attivazione degli impianti comunali di fognatura e di depurazione delle c.d. acque reflue: il rifiuto di un utente di avvalersene, pur in presenza di tali impianti pubblici funzionanti, in quanto asseritamente già dotato di idoneo impianto proprio e autonomo ad hoc.
In genere le questioni sollevate in materia riguardano la pretesa degli enti gestori del servizio di aggiungere, nella periodica bolletta-fattura per il consumo dell’acqua potabile, anche una quota per la fognatura e la depurazione, pur non avendo ancora in funzione quest’ultimo impianto (e, spesso, purtroppo, neanche la rete fognaria estesa a tutto il territorio comunale) (2).
Va subito precisato che la controversia in esame riguardava l’anno 2001, puntualizzazione importante – come si vedrà – per l’avvicendarsi nel tempo di distinte discipline normative della materia in discussione.
E, per vero, la storia delle varie discipline succedutesi nel tempo sul thema decidendi è antica e articolata (3).
L’esigenza, di pubblico interesse, di dotare tutti i centri abitati di un’adeguata ed efficiente rete fognaria, mirata a eliminare e sostituire i pozzi neri e a regolare il deflusso e convogliamento delle acque piovane e di rifiuto, fu avvertita, nel nostro Paese, per primo dal Comune di Torino, nel lontano 1890: le rilevate necessità di igiene pubblica e di decoro e tutela ambientali trovarono subito un ostacolo insormontabile nei limiti di bilancio a fronte di una spesa insostenibile; la questione arrivò al Parlamento nazionale, il quale varò una legge dedicata al solo Comune richiedente, la legge 12 luglio 1896, n. 303, con la quale si chiamavano a contribuire al costo dell’opera i cittadini proprietari degli immobili, in quanto beneficiari del maggior valore acquisibile per il proprio patrimonio dal funzionamento della rete fognaria.
L’esempio torinese fu seguito da altre città (Napoli, Roma, etc.), ma si capì ben presto che il problema aveva una portata e una rilevanza nazionali; fu così emanata la legge 18 luglio 1911, n. 799, seguita da un’altra del 1915, applicabile a tutti i Comuni.
Il testo unico per la finanza locale del 1931 (4) riordinò la materia: fu abolito il contributo dei cittadini sulla costruzione delle fognature (art. 253), sostituito da due distinti tributi, il contributo di miglioria, destinato al finanziamento di tutte le opere pubbliche idonee a creare un incremento di valore degli stabili e delle aree fabbricabili interessati dalle opere, e il contributo di fognatura, per la manutenzione degli impianti vecchi e nuovi (artt. 236-252), tutto sempre a carico dei proprietari degli immobili interessati all’opera.
I due nuovi contributi erano facoltativi per i Comuni ma, una volta autorizzati e istituiti, erano tributi obbligatori per tutti i soggetti passivi (5); la loro vita giuridica, alquanto travagliata per la mole del contenzioso formatosi presto sulla loro quantificazione, durò quarant’anni, fino alla loro abrogazione e sostituzione con il canone o diritto comunale, previsto dalla c.d. “legge Merli” (art. 16 della legge 10 maggio 1976, n. 319), di dubbia natura giuridica e, soprattutto, non riscuotibile sino alla laboriosa determinazione ed entrata in vigore delle tariffe da applicare!
La sopra citata legge n. 319/1976 fu in parte modificata nel 1981 e incontrò sempre difficoltà applicative: è indicativa, al riguardo, la risoluzione ministeriale richiesta da molti Comuni nel 1994 (!) per conoscere le condizioni di applicabilità del canone (6), soprattutto in riferimento all’estensione del “diritto” alla quota “depurazione” per quei Comuni, tanti, che ancora non avevano in costruzione e in funzione tale impianto. Confusione e incertezza notevoli, quindi, a distanza di oltre un decennio dall’emanazione della legge.
Una notazione particolarmente interessante emerge comunque dal parere espresso in tale occasione dal Ministero delle finanze, che può collegarsi al caso qui esaminato: a specifico quesito di un Comune il Ministero, nella succitata nota, così rispose: «Nessun obbligo impositivo sorge dal momento che lo smaltimento delle acque reflue avviene a carico dell’utente stesso».
La situazione cambiò radicalmente con una nuova legge (legge 5 gennaio 1994, n. 36, c.d. “legge Galli”) che, regolando ex novo il problema delle risorse idriche del nostro Paese, sostituì la logica dei canoni, diritti e contributi sui vari stadi del servizio pubblico con l’adozione di un sistema già funzionante in molti Paesi europei: l’istituzione del servizio idrico integrato, trasposizione dell’“integrated urban water management”, inteso come l’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue, offerto a tutti gli utenti dai gestori del servizio: un “pacchetto” di prestazioni, insomma, che viene offerto dietro il pagamento di un corrispettivo contrattuale da parte degli utenti. Importante novità recata dall’istituzione del servizio idrico integrato fu la natura non più tributaria del corrispettivo richiesto agli utenti. La legge 23 dicembre 1998, n. 448, all’art. 31, comma 28, precisa poi che «a decorrere dal 1° gennaio 1999 il corrispettivo dei servizi di depurazione e di fognatura costituisce quota di tariffa» del servizio idrico integrato; il successivo comma 29 detta ancora disposizioni transitorie sulle tariffe applicabili, in attesa del previsto, ma ancora non in vigore, “metodo normalizzato” per la definizione delle tariffe stesse.
Qualcosa però ancora non funzionava nel nuovo sistema ed era il fatto che il “pacchetto” dell’offerta conteneva anche la “depurazione”, che molti Comuni non hanno in costruzione e nemmeno in funzione: la normativa, sul punto, presentava una soluzione iniqua e inaccettabile; infatti l’art. 14, primo comma, della legge n. 36/1994, disponeva che la quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione era dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura fosse «sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi fossero temporaneamente inattivi».
Insomma, per legge, poiché l’offerta del servizio idrico integrato costituisce una prestazione complessa e unitaria il corrispettivo richiesto all’utente è parimenti complessivo e unitario, anche se tra i vari servizi offerti non c’è la depurazione!
Il bello (si fa per dire) è che questa regola incredibile venne ripresa e ripetuta nel nuovo Codice per la tutela ambientale (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) all’art. 155, nella recente disciplina del servizio idrico integrato, sostitutiva di quella prevista dalla legge n. 36/1994, abrogata.
Il grave ed evidente vulnus a danno degli utenti è stato – com’è noto – portato al vaglio della Corte Costituzionale da due ordinanze di rinvio di giudici di merito e il responso della Corte delle leggi fu perfettamente coerente con la logica, l’equità e il rispetto dei principi costituzionali: con la sentenza n. 335 del 10 ottobre 2008 (7), la Corte Costituzionale dichiarò l’incostituzionalità delle due norme contestate, rilevandone l’iniquità e l’irragionevolezza, in quanto il corrispettivo richiesto agli utenti del servizio idrico integrato, poggiando su un contratto e non più su un tributo, imponeva la necessità di rispettare la coincidenza fra il “dare” e l’“avere”, secondo il rapporto sinallagmatico proprio dei contratti, cioè fra le prestazioni effettivamente rese e il corrispettivo preteso per esse.
In altri termini, la bolletta-fattura dell’acqua non poteva legittimamente contenere anche le quote tariffarie di un servizio non reso, in quanto inesistente.
Ma – come spesso accade in politica – si è fatto rientrare dalla finestra ciò che era uscito dalla porta: l’art. 8-sexies, infilato, in sede di conversione del D.L. 30 dicembre 2008, n. 208, dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13, prevede ora che è sufficiente avviare la progettazione o il completamento degli impianti di depurazione perché i relativi oneri costituiscano una componente vincolata della tariffa del servizio idrico integrato, che concorre alla determinazione del corrispettivo dovuto dall’utente.
Tutto ciò da fare nel rispetto dei tempi programmati (chi verifica?) e, se proprio non si realizza l’impianto, si faranno i rimborsi della quota tariffaria in più pagata dagli utenti, con calma e prudenza.
Si conclude qui, a grandi linee e senza pretese di completezza, la storia tortuosa e tormentata delle forme di contribuzione degli utenti del servizio pubblico riguardante la fornitura di acqua potabile, storia che abbiamo ritenuto utile per passare a un’adeguata valutazione delle motivazioni e delle conclusioni della sentenza in epigrafe riportata; sembra intanto non contestata in causa l’esistenza e la funzionalità di impianti di fognatura e di depurazione comunali nelle immediate vicinanze del condominio interessato ed è altrettanto incontestato, in fatto, il mancato allaccio di tali impianti all’immobile in questione, per volontà motivata dei suoi possessori.
La Suprema Corte, di fronte a una fattispecie singolare, ha dovuto impostare il proprio ragionamento tenendo conto di due distinti aspetti della questione esaminata: la natura non più tributaria ma contrattuale del rapporto per il complesso servizio di fornitura dell’acqua (analisi pregevolmente compiuta dai giudici costituzionali nella citata sentenza n. 335 del 2008) e gli effetti sulla questione del principio affermato in materia di tutela dell’ambiente dalla normativa comunitaria, sintetizzato nell’arcinoto e abusato “chi inquina, paga”; ha altresì dovuto valutare l’epoca della controversia, risalente al 2001 (come abbiamo precisato nella premessa analisi storica sul servizio idrico e il suo finanziamento).
La conclusione raggiunta va definita “equa e saggia”, perché da un lato la natura contrattuale del servizio idrico integrato, già (almeno sulla carta) vigente all’epoca del sorgere della controversia, confliggeva con la pretesa di fare pagare all’utente un servizio non reso, tant’è che il citato Codice dell’ambiente del 2006, all’art. 155, ha codificato la regola, secondo cui «la tariffa non è dovuta se l’utente è dotato di sistemi di collettamento e di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano trovato specifica approvazione da parte dell’ente di governo dell’ambito», regola ribadita da un decreto ministeriale del 2009 (8), nominato dalla sentenza massimata; per altro verso, l’interesse pubblico primario nello specifico settore dell’acqua è quello di prevenire ed eliminare al massimo grado ogni forma o causa di inquinamento e di degrado ambientale e sanitario nella fornitura dell’acqua potabile al cittadino e nella successiva fase di ritorno e di trattamento delle acque di rifiuto. Bene, nel caso di specie l’autonoma attività dell’impianto privato in contestazione, fino a prova contraria, non violava il principio “chi inquina, paga”, né poteva influire, per mancanza di ogni allaccio, sulla qualità dell’impianto pubblico.
Giusto e saggio, ribadiamo quindi, il responso di condizionare l’esonero del condominio in causa dal pagamento della pesante pretesa avanzata dal Comune interessato alla prova della piena idoneità tecnica del proprio impianto a realizzare tutte le tutele e le garanzie fornite dall’impianto pubblico in funzione.
In sede di rinvio della causa ci sarà sicuramente un serrato duello di dotte perizie tecniche sul funzionamento dell’impianto “ribelle”, per cui francamente non sappiamo se sia valsa la pena, con i prevedibili costi dell’operazione e con la probabile declaratoria di compensazione delle spese di lite (giustificata, in questo caso, dalla novità della questione controversa), di contestare giudizialmente, sino in fondo, la pur discutibile pretesa del Comune. Ma questo è uno dei mali gravi e noti della nostra giustizia tributaria.

Dott. Eugenio Righi

(1) Sull’obbligatorietà del contributo stante la sua acclarata natura tributaria ved. Cass. 30 giugno 1917, in Riv. amm., 1917, 501, e Cass. 21 luglio 1936, ivi, 1938, 561.
(2) Sull’argomento facciamo diretto rinvio a RIGHI, Lineamenti e profili di costituzionalità del canone o diritto comunale di cui all’art. 16 della legge 10 maggio 1976, n. 319, in Boll. Trib., 1980, 1630; e ID., I canoni di fognatura e di depurazione dopo la sentenza costituzionale n. 335 del 2008, ivi, 2009, 1093.
(3) Per tutti ved. ALBANESI – LAZZARI, Come si applicano i tributi comunali, Firenze, 1951, 1011 ss.; e MARONGIU, Storia dei tributi degli enti locali, Padova, 2001, 303.
(4) Ossia il R.D. 14 settembre 1931, n. 1175.
(5) In aggiunta alle numerose sentenze richiamate nel contesto della pronuncia annotata, ved. Cass., sez. trib., 4 gennaio 2005, n. 96, in Boll. Trib., 2005, 312; e Cass., sez. trib., 2 febbraio 2005, n. 2100, ivi, 2006, 886, con nota di RIGHI, Termine triennale di decadenza per il recupero del canone di fognatura e di depurazione prima dell’anno 2000.
(6) Cfr. ris. 21 marzo 1994, n. 6/609/Q, in Boll. Trib., 1994, 1509.
(7) In Boll. Trib. On-line.
(8) Ossia il D.M. 30 settembre 2009, n. 43569.

Tributi locali – Tariffa di fognatura e depurazione, quale componente del corrispettivo del servizio idrico integrato disciplinato dall’art. 14 della legge n. 36/1994 – Mancato utilizzo del servizio da parte di un utente che provveda alle relative esigenze con sistemi propri ed intenda sottrarsi al pagamento della tariffa – Onere di provare la compatibilità dei propri sistemi con le preminenti finalità di tutela dell’ambiente e della concorrenza – Sussiste.

La debenza della tariffa di fognatura e di depurazione quale componente del corrispettivo del servizio idrico integrato, alla stregua dell’art. 14, primo comma, della legge 31 gennaio 1994, n. 36, ancora applicabile alle controversie riguardanti il periodo di vigenza del servizio idrico integrato disciplinato dalla predetta disposizione, nel testo quale risultante alla stregua della declaratoria d’illegittimità costituzionale ad opera della sentenza della Corte Costituzionale n. 335 del 10 ottobre 2008, non è automaticamente esclusa nel caso che i relativi impianti di fognatura e di depurazione siano stati dall’ente locale predisposti e siano attivi e la mancata fruizione dei relativi servizi dipenda da comportamento volontario dell’utente che non intenda allacciarvisi, provvedendo alle rispettive esigenze con sistemi propri; in tal caso incombe all’utente, che intenda sottrarsi al pagamento in parte qua della tariffa, l’onere probatorio di dimostrare la compatibilità dei propri sistemi di collettamento e depurazione delle acque reflue provenienti da scarichi di insediamenti domestici con le preminenti finalità di tutela ambientale e della concorrenza relative all’istituzione del servizio idrico integrato.

[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Di Blasi, rel. Napolitano), 13 aprile 2016, sent. n. 7210, ric. Comune di Pordenone c. Condominio Risorgimento]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Il Condominio Risorgimento di Viale Cossetti n. 16-22 in Pordenone, in persona dell’amministratore pro-tempore, impugnò dinanzi al Tribunale civile ordinario la cartella emessa dal concessionario del servizio di riscossione per la Provincia di Pordenone, con la quale era stato richiesto il pagamento della somma di € 3788,98, pretesa dal Comune di Pordenone a titolo di tariffa per il servizio di fognatura e depurazione relativamente all’anno 2001, ritenendo che la stessa non fosse dovuta, non essendo il Condominio allacciato alla fognatura, pur essendo prospiciente una via nella quale era stata da tempo predisposta la rete fognaria comunale.
Il Tribunale di Pordenone rigettò la domanda proposta dal Condominio.
Sull’appello proposto dal Condominio avverso la decisione di primo grado, la Corte d’appello di Trieste, con sentenza n. 205 depositata il 23 maggio 2009, accolse il gravame, osservando che – in forza della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 335/2008, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14 della L. n. 36/1994, e dell’art. 155 del D.Lgs. n. 152/2006, nella parte in cui prevede che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione sia dovuta dagli utenti anche nel caso in cui la fognatura sia sprovvista d’impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi – doveva intendersi confermata la natura di corrispettivo contrattuale della tariffa, che la rendeva inesigibile laddove i relativi servizi non fossero erogati per mancanza di allacciamento.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione il Comune di Pordenone in forza di due motivi.
L’intimato Condominio resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. Con il primo motivo il Comune di Pordenone censura la sentenza impugnata per “violazione dell’articolo 14 della legge n. 36 del 1994, nel testo successivo alla sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008, violazione del principio di buona fede, violazione dell’art. 1375 del codice civile”, ritenendo che la sopravvenuta pronuncia della Corte costituzionale non avrebbe alcun effetto nella controversia in esame, atteso che nella fattispecie il mancato allacciamento alla esistente fognatura comunale è ascrivibile a fatto del Condominio, che si configura come comportamento contrario alla buona fede contrattuale.

2. Con il secondo motivo, l’Ente ricorrente deduce “violazione dell’art. 8-sexies del decreto legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito dalla legge 27 febbraio 2009, n. 13”, con riferimento alla statuizione con la quale la Corte d’appello ha condannato il Comune alla restituzione in favore del Condominio delle somme già versate, avuto riguardo al fatto che la disposizione richiamata in epigrafe prevede la formalizzazione di un tipico procedimento amministrativo, il cui provvedimento finale relativo alle modalità e alla quantificazione dell’eventuale rimborso è sindacabile solo davanti agli organi della giurisdizione amministrativa.

3. Il primo motivo è fondato nei limiti di seguito precisati.
Giova premettere che la controversia ha ad oggetto la tariffa nella parte relativa al servizio di depurazione e fognatura per l’anno 2001.
Essa, per effetto dell’evoluzione della normativa in materia, che l’economia della presente decisione consente di omettere, cessata alla data del 3 ottobre 2000 la sua qualificazione come tributo comunale, ha natura di corrispettivo della prestazione del relativo servizio.
La Corte d’appello di Trieste, con motivazione succinta, ha ritenuto che in forza della sentenza della Corte costituzionale n. 335, depositata il 10 ottobre 2008 (1), attesa la natura di corrispettivo contrattuale della tariffa come affermata dalla citata sentenza della Corte costituzionale, nulla sia dovuto a tale titolo al Comune per l’anno di riferimento essendo pacifico che al Condominio per mancanza di allacciamento non sono erogati i relativi servizi.

3.1. Certamente, posto che la pronuncia della Corte risponde alla censura d’illegittimità costituzionale delle norme sopra richiamate, quale sollevata dal giudice a quo, è cruciale nell’argomentazione della decisione della Corte costituzionale, resa con riferimento a tariffa dovuta per l’anno 2003, cioè nella vigenza del servizio idrico integrato, il passaggio secondo il quale «la tariffa del servizio idrico integrato si configura, in tutte le sue componenti, come corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, il quale, ancorché determinato nel suo ammontare in base alla legge, trova fonte non in un atto autoritativo direttamente incidente sul patrimonio dell’utente, bensì nel contratto di utenza. L’inestricabile connessione delle suddette componenti è evidenziata, in particolare, dal fatto … che, a fronte del pagamento della tariffa, l’utente riceve un complesso di prestazioni, consistenti sia nella somministrazione della risorsa idrica, sia nella fornitura dei servizi di fognatura e depurazione. Ne consegue che la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione, in quanto componente della complessiva tariffa del servizio idrico integrato, ne ripete necessariamente la natura di corrispettivo contrattuale, il cui ammontare è inserito automaticamente nel contratto (art. 13 della legge n. 36 del 1994)».

3.2. Quanto sopra, che è riferibile alla fattispecie in esame in cui la tariffa, relativa all’anno 2001, assume certamente natura di corrispettivo, non giustifica peraltro la totale sovrapponibilità, affermata dalla decisione in questa sede impugnata, tra l’ipotesi del servizio di fognatura e depurazione non reso per mancata istituzione o predisposizione degli impianti da parte del Comune o per la loro temporanea inattività, oggetto precipuo della sentenza n. 335/2008 della Corte costituzionale, e quella del servizio non usufruito dall’utente che non abbia voluto allacciarsi al servizio predisposto e funzionante.
Fonte dell’obbligazione è, infatti, pur sempre il contratto tra il fornitore del servizio idrico integrato, la cui originaria definizione è contenuta nell’art. 4 1° comma lett. f) della L. n. 36/1994, quale “costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e depurazione delle acque reflue” (cfr. ora art. 141 2° comma, del D.Lgs. n. 152/2006) ed il fruitore del servizio che, come si è visto, integra una prestazione complessa.
Nel previgente quadro normativo, ante 3 ottobre 2000, data di entrata in vigore del servizio idrico integrato, pur dopo l’emanazione della succitata sentenza n. 335/2008 della Corte costituzionale, questa Corte, muovendo dalla qualificazione fino alla predetta data del 3 ottobre 2000 del canone relativo al servizio di fognatura e depurazione come avente natura di tributo, in più occasioni aveva avuto modo di affermare il principio di diritto in forza del quale “fino alla data del 3 ottobre 2000, per far sorgere l’obbligo del pagamento del canone è sufficiente che il Comune abbia istituito e predisposto gli impianti necessari per il relativo servizio e che esso sia concretamente fruibile dall’utente, a prescindere dalla sua utilizzazione o meno per fatto del destinatario medesimo” (cfr., tra le altre, Cass. civ. sez. V 18 dicembre 2009, n. 26668, resa in controversia proprio tra il Comune di Pordenone ed altro Condominio; Cass. civ. sez. V, 12 gennaio 2010, n. 265 (2); Cass. civ. sez. V, 12 gennaio 2012, n. 258 (3); Cass. civ. sez. V, 24 febbraio 2012, n. 2820 (4)).
Una volta entrato in vigore il servizio idrico integrato ed assunta quindi dalla tariffa, anche nella sua componente qui in esame, la natura di corrispettivo di prestazione complessa di natura contrattuale, se, in via tendenziale, può condividersi l’affermazione secondo cui “è irragionevole, per mancanza della controprestazione, l’imposizione dell’obbligo del pagamento della quota riferita a detto servizio” (testualmente Cass. civ. sez. V 6 giugno 2014, n. 12763 (5), nell’ambito peraltro di controversia afferente a periodo ante 3 ottobre 2000, ciò che ha precluso in quella sede una più approfondita disamina della questione), essa non esaurisce le implicazioni scaturenti dalla problematica in oggetto.
Tra le pronunce rese da questa Corte nel quadro della vigenza del servizio idrico integrato e dunque della qualificazione della tariffa per il servizio di fognatura e depurazione come corrispettivo, va menzionata Cass. civ. sez. III 4 giugno 2013, n. 14042, che tuttavia non apporta elementi di rilievo ai fini della decisione della presente controversia.
Il principio ivi affermato che, dalla configurazione della tariffa del servizio idrico integrato, in tutte le sue componenti, come il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, fa discendere la conseguenza della sussistenza in capo al soggetto esercente detto servizio dell’onere di provare l’esistenza di impianto funzionante (nella fattispecie di depurazione, discutendosi degli oneri relativi a detto servizio) nel periodo della fatturazione, in relazione al quale pretenda la riscossione dei relativi oneri, è riferito, nella controversia ivi decisa, alla mancanza di prova del funzionamento degli impianti.

3.3. Nella fattispecie qui in esame (cfr. pag. 5 della sentenza di primo grado non oggetto sul punto di specifica impugnazione, di modo che sulla relativa statuizione deve ritenersi formato il giudicato interno) si dà atto da parte del giudice adito che “pacificamente” l’utente “non sia allacciato alla fognatura (benché l’edificio si trovi prospiciente una via nella quale è da tempo predisposta la rete fognaria comunale)”.
Ciò posto, è pertinente il richiamo, da parte del Comune ricorrente, alle norme in tema d’integrazione ed esecuzione del contratto, di cui agli artt. 1374 e 1375 c.c.
La prima disposizione connota certamente il rinvio alla legge come fonte d’integrazione del contratto, nel senso che la clausola generale della correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), cui deve ispirarsi il comportamento delle parti, debba conformarsi agli inderogabili doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione (in generale, tra le molte riferite alle obbligazioni aventi fonti contrattuale Cass. civ. sez. I 5 novembre 1999, n. 12130; Cass. civ. sez. I 16 agosto 2008, n. 21250 e Cass. civ. sez. III, 10 novembre 2010, n. 22819).
Tale connotazione deve cogliersi più che mai nella materia in esame che, come ha avuto in più occasioni modo di precisare la Corte costituzionale (cfr. tra le molte Corte cost. n. 29 del 4 febbraio 2010; n. 39 dell’11 febbraio 2010 (6); n. 142 del 14 aprile 2010; n. 117 del 25 giugno 2015), è ascrivibile in prevalenza alla tutela dell’ambiente e della concorrenza, e che richiede quindi una lettura sistematica delle disposizioni contrattuali nel quadro delle rispettive disposizioni della legislazione nazionale e comunitaria.
Oggi la materia trova una sua compiuta disciplina nelle disposizioni del succitato D.Lgs. n. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente) che si pongono (art. 3-bis) come principi generali in tema di tutela dell’ambiente in attuazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 9, 32, 41, 42 e 44, 117 commi 1 e 3 e nel rispetto degli obblighi internazionali, con la specifica disciplina, dettata, quanto alla tariffa del servizio idrico integrato, dall’art. 154 e, con specifico riferimento alla tariffa del servizio di fognatura e depurazione dall’art. 155 del succitato D.Lgs. n. 152/2006, quale risultante dalla ricordata declaratoria d’illegittimità costituzionale ad opera della succitata sentenza n. 335/2008 della Corte costituzionale.
In particolare l’ultimo periodo del primo comma del citato art. 155 prevede che “la tariffa non è dovuta se l’utente è dotato di sistemi di collettamento e di depurazione propri, sempre che tali sistemi abbiano ricevuto specifica approvazione da parte dell’ente di governo dell’ambito” (cfr. anche d.m. 30 settembre 2009, n. 43569).
Nella fattispecie in esame, attinente a controversia sulla debenza o meno della tariffa del servizio di fognatura e depurazione per l’anno 2001, trova ancora applicazione il disposto dell’art. 14 della L. n. 36/1994 (quale in vigore, per effetto dei successivi aggiornamenti intervenuti, nel periodo dal 13 giugno 1999 al 27 agosto 2002), il cui primo comma, primo periodo, per effetto della succitata declaratoria parziale d’illegittimità costituzionale da parte della più volte citata sentenza n. 335/2008, sul piano letterale si compendia nella seguente proposizione: “La quota di tariffa riferita al servizio di pubblica fognatura e di depurazione è dovuta dagli utenti”.
Detta proposizione va integrata per un verso, nel senso che, per effetto diretto della citata pronuncia, la tariffa non sia dovuta nel caso in cui la fognatura sia sprovvista di impianti centralizzati di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi.
Per l’altro, alla stregua della richiamata eterointegrazione secondo le fonti del diritto nazionale e comunitario, nel caso di predisposizione da parte dell’ente locale d’impianti di recapito degli scarichi in pubblica fognatura e di depurazione delle acque reflue domestiche, la debenza o meno della tariffa, nel caso in cui l’utente sia dotato di sistemi di collettamento e depurazione propri, va verificata alla stregua del principio “chi inquina paga” che, espressamente riportato oggi nel testo dell’art. 154 1° comma del D.Lgs. n. 152/2006, deve ritenersi informare anche la disciplina previgente, stante l’obbligo del giudice nazionale d’interpretare l’ordinamento nazionale alla luce delle disposizioni dell’ordinamento sovranazionale, essendo codificato detto principio dall’art. 191 del Trattato FUE (già 174 TCE).
La sentenza impugnata nella fattispecie in esame ha omesso del tutto di valutare la compatibilità del sistema di raccolta e depurazione delle acque provenienti dagli scarichi dell’edificio condominiale in oggetto con le finalità proprie (in primis quella di tutela della qualità della risorsa idrica) di determinazione della tariffa del sistema idrico integrato quali previste dall’art. 13 comma 2° della L. n. 36/1994, ancora applicabile, ratione temporis, alla controversia in esame (da cui va escluso unicamente il riferimento all’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, per effetto dell’esito della consultazione referendaria in materia).
La decisione impugnata, dunque, è incorsa nel denunciato errore di diritto laddove ha tout court escluso, per effetto della menzionata pronuncia della Corte cost. n. 335/2008 avente ad oggetto ipotesi non sovrapponibile a quella in fatto pacificamente accertata nella controversia in oggetto, relativa a mancato allacciamento da parte dell’utente a rete fognaria predisposta e funzionante, da parte del Condominio, la debenza della tariffa nella sua componente afferente il servizio di fognatura e depurazione.
La sentenza impugnata va dunque cassata e rimessa per nuovo esame alla Corte d’appello di Trieste, che deciderà la causa alla stregua del seguente principio di diritto: “La debenza della tariffa di fognatura e depurazione quale componente del corrispettivo del servizio idrico integrato, alla stregua dell’art. 14 1° comma della L. n. 34/1996, ancora applicabile alla controversia in esame, nel testo quale risultante alla stregua della declaratoria d’illegittimità costituzionale ad opera della sentenza della Corte cost. n. 335/2008, non è automaticamente esclusa nel caso in cui i relativi impianti di fognatura e depurazione siano stati dall’ente locale predisposti e siano attivi e la mancata fruizione dei relativi servizi dipenda da comportamento volontario dell’utente che non intenda allacciarvisi, provvedendo alle rispettive esigenze con sistemi propri. In tal caso incombe all’utente, che intenda sottrarsi al pagamento in parte qua della tariffa, l’onere probatorio di dimostrare la compatibilità dei propri sistemi di collettamento e depurazione delle acque reflue provenienti da scarichi di insediamenti domestici con le preminenti finalità di tutela ambientale e della concorrenza relative all’istituzione del servizio idrico integrato”.

4. Il secondo motivo, in forza dell’accoglimento del primo, resta assorbito.

5. Resta altresì demandata al giudice di rinvio anche la disciplina delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M. – La Corte accoglie il ricorso in relazione al primo motivo, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa per nuovo esame a diversa sezione della Corte d’appello di Trieste, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

(1) In Boll. Trib. On-line.
(2) In Boll. Trib. On-line.
(3) In Boll. Trib. On-line.
(4) In Boll. Trib. On-line.
(5) In Boll. Trib. On-line.
(6) In Boll. Trib., 2010, 386.

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