14 Giugno, 2016

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L’attuale contenzioso che vede contrapposta la tesi, fatta propria dall’Agenzia delle entrate, della validità degli atti da essa emanati, anche se sottoscritti da dirigenti che non abbiano sostenuto il pubblico concorso (comunque di Area “C” 3 – ex nona qualifica) in presenza di idonea delega da parte del direttore, con quella, ad esempio, della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2148/2015 (1), che, al contrario, sancisce “il difetto assoluto di attribuzione” per tutti gli atti firmati dai dirigenti illegittimi, potrebbe investire anche gli atti di adesione ex art. 7 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, sottoscritti da entrambe le parti (e quindi anche dal direttore dell’Ufficio o da un suo delegato) a pena di nullità.
Difatti, prescindendo dalla tormentata questione sulla natura giuridica dell’atto di adesione, sia che esso vada ad essere inquadrato quale “transazione” (concezione contrattuale) sia come modo di accertamento strutturato di un atto unilaterale di autotutela con l’adesione del contribuente (concezione accertativa) (2), vi è il legittimo dubbio che il difetto di sottoscrizione sopra richiamato dell’atto di adesione sia causa di nullità o di annullabilità dello stesso, ai sensi degli artt. 21-septies e 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241 (3).
Le medesime conclusioni sono quelle tratte da E. Marello nel commentare la sentenza della Corte di Cassazione 28 giugno 2006, n. 14945 (4), «anche per l’accertamento con adesione, la sottoscrizione svolge la funzione di attribuzione della provenienza dell’atto dal soggetto che lo sottoscrive, consentendo così l’imputazione degli effetti tipici dell’atto. Resta applicabile pure il principio generale secondo cui la sottoscrizione del capo dell’ufficio consente di verificare la corrispondenza tra il soggetto che assume la paternità dell’atto e il soggetto che in astratto è legittimato all’esercizio del potere», e ciò per quanto riguarda appunto la firma “illegittima” apposta sull’atto di adesione.
Ma, a ben guardare, anche qualora il funzionario che li abbia firmati non fosse nella condizione di illegittimità di quello che ha sottoscritto gli avvisi di accertamento, l’invalidità di questi ultimi, a causa della loro nullità, si ripercuoterà inevitabilmente su tutti gli atti che, secondo la sequenza procedimentale prevista dalle vigenti norme che disciplinano l’accertamento e la riscossione dei tributi, sono stati emessi sulla base di quelli originariamente nulli, e quindi anche sugli atti di adesione agli accertamenti (5).
Difatti, non sembrano accoglibili le tesi, alle volte sviluppate dall’Amministrazione finanziaria (6), che vanno a ricercare il loro fondamento sulla impossibilità d’impugnazione nelle disposizioni del codice civile, con riferimento alle cause di “nullità” e di annullabilità, per via della “dissonanza” dei principi che animano le due concezioni dinanzi ricordate (7), né tantomeno sembra aiutare l’art. 1972 c.c., sulla transazione di un titolo nullo (alle volte invocata dall’Agenzia delle entrate), escludendosi (per impossibilità) il primo comma e non rinvenendo neanche nel secondo comma elementi che possano fare ritenere meno che pacifica l’applicazione della normativa che regolamenta il contenzioso tributario nei casi di contestazione sollevati dal contribuente (8), anche volendosi sottrarre – per puro esercizio accademico – alla oramai pacifica constatazione che l’atto di adesione attiene “alla potestà tributaria di cui è investito l’Ufficio” (9).
Tanto considerato, qualora si dovesse ritenere – come pare di riscontrare nella prevalente giurisprudenza formatasi dopo la sentenza della Consulta n. 37/2015 (10) – che le deleghe conferite in modo illegittimo comportino ex art. 42 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, causa di nullità dell’avviso di accertamento, pare che si debba concludere per la nullità “derivata” dell’atto di adesione, in quanto «è nella stessa natura della nullità la preclusione alla stabilizzazione degli effetti dell’atto viziato» (11).
E se ciò è vero, si pongono le questioni, trattate dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 1429/2012 (12), che attengono all’«effetto retroattivo dell’annullamento escluso solo per i c.d. rapporti esauriti», in materia di riscossione e di contenzioso.
Attualmente forse più arduo per il contribuente l’esperimento di un’istanza di autotutela – beninteso qualora vi sia la prova dell’assenza dei poteri di firma – volta al rimborso di quanto versato a seguito dell’adesione (13).
Nel probabile (se non scontato) caso di rigetto, il contribuente dovrebbe quindi presentare il ricorso contro il provvedimento di diniego ex art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, con ciò rimettendo l’intera questione – compresa quella della “riapertura” dei rapporti esauriti – alla Commissione tributaria.
Appare più realistico, invece, il caso dell’impugnazione – nonostante la previsione del comma 3 dell’art. 2 del D.Lgs. n. 218/1997 – di una cartella di pagamento connessa all’abbandono del piano di ammortamento che fu convenuto sulla base dell’atto illegittimo, nella quale circostanza, però, occorrerà considerare anche il rischio connesso all’aggravio delle sanzioni e dell’aggio spettante all’agente della riscossione.

Dott. Emilio de Santis

(1) Così Comm. trib. reg. della Lombardia, sez. XIII, 19 maggio 2015, n. 2148, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cfr. M. Versiglioni, Accertamento con adesione e conciliazione giudiziale, 2015, in Treccani.it: «Tuttavia, a quasi venti anni di distanza, se si pone in disparte la corrente “contrattuale-transattiva” (Batistoni Ferrara, F., Accertamento con adesione, in Enc. dir., Aggiornamento, II, Milano, 1998, 22; Russo, P., Manuale di diritto tributario, Milano, 2002, 322 ss., e Tosi, L., La conciliazione giudiziale, in Il processo tributario, in Giur. sist. dir. trib., a cura di F. Tesauro, Torino, 1998, 885), le divergenze strutturali tra le due principali correnti di pensiero ‘non contrattuali’, quella “accertativa” (Marello, E., Concordato tributario, in Diz. dir. pubbl. Cassese, II, Milano, 2006, 1134; Moscatelli, M.T., Moduli consensuali e istituti negoziali nell’attuazione della norma tributaria, Milano, 2007) e quella “compositiva” (Versiglioni, M., Accertamento con adesione, Padova, 2011) sembrano venute attenuandosi».
(3) Cfr. E. Manoni, La revocabilità in autotutela dell’atto di adesione perfezionato, in il fisco, 2015, 1019: «nulla dice il legislatore in ordine ai rimedi esperibili dal contribuente in caso di vizi e patologie che investano l’atto di adesione. Eppure tale eventualità non è da escludere, sia sul piano formale, sia su quello sostanziale. Basti pensare alla sottoscrizione dell’adesione da parte di chi non rivesta la qualifica di capo dell’Ufficio o da chi non sia stato delegato dallo stesso».
(4) Così E. Marello, Note intorno all’atto di accertamento con adesione carente di forma o di sottoscrizione, in Rass. trib., 2006, 2116.
(5) Cfr. E. Marello, L’invalidità dell’accertamento con adesione, in Giust. trib., 2008, 438: «Non irrilevante appare, invece, in un sistema duale delle invalidità, il vizio causa di nullità dell’atto impositivo pregresso. Il ragionamento interno sull’efficacia degli atti pare debba farci concludere per la nullità derivata del concordato su atto di imposizione nullo. Infatti, è nella stessa natura della nullità la preclusione alla stabilizzazione degli effetti dell’atto viziato, il che contempla anche l’impossibilità per l’atto nullo di giungere ad una qualche stabilizzazione per il tramite di convalida, sanatoria o di un procedimento che abbia come condizione legittimante proprio l’efficacia dell’atto invalido. Non sembra ragionevole credere che l’atto impositivo nullo possa validamente avviare il procedimento di accertamento con adesione, orientandolo, e, per questo tramite, giungere alla formalizzazione di un atto efficace fondato su presupposto nullo».
(6) Che contraddice sé stessa, ved. circ. dir. reg. Lombardia 4 aprile 2001, n. 411: «L’accertamento con adesione del contribuente, disciplinato dal D.Lgs. n. 218/1997, (I) non è un contratto mediante il quale l’Amministrazione finanziaria determina insieme con il contribuente il contenuto dell’atto di accertamento (definizione consensuale del contenuto dell’atto), in quanto la pretesa tributaria è estranea alla sfera dell’autonomia negoziale; (II) non è una transazione in via amichevole, in quanto, a tacer d’altro, ai sensi dell’art. 1966 del codice civile la transazione è possibile soltanto per quei rapporti dei quali le parti abbiano la libera disponibilità e tali non sono, in quanto non abdicabili, le potestà pubbliche della Pubblica Amministrazione, tra cui la potestà di imposizione tributaria (da cui direttamente discende la pretesa tributaria) e quella punitiva; (III) nemmeno può qualificarsi come «accordo sostitutivo» di un provvedimento ex art. 11 della legge n. 241 del 1990, anche perché tale norma, per espressa previsione dell’art. 13, comma 2, della stessa legge non è applicabile ai procedimenti tributari «per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano». Lo speciale procedimento di definizione degli accertamenti previsto dal D.Lgs. n. 218/1997, che viene avviato su iniziativa dell’ufficio (invito a comparire) o su iniziativa del contribuente (istanza) e prosegue con l’istruttoria, la quale si svolge in contraddittorio con il contribuente, è pur sempre diretto all’emanazione di un atto espressivo di potestà pubblica.
(7) Cfr. F. Saitta, Le patologie dell’atto amministrativo elettronico e il sindacato del giudice amministrativo, in Quaderni del DAE, rivista di diritto amministrativo elettronico, 2003: «Il principale problema è stato quello di apportare, nel sistema di invalidità del diritto privato, le integrazioni rese necessarie dalla specificità del provvedimento amministrativo. Com’è noto, nel diritto privato il concetto giuridico di “invalidità” costituisce il presupposto comune alle due figure della «nullità» (artt. 1418 ss. c.c.) e della “annullabilità” (artt. 1425 ss. c.c.) del contratto e, più in generale, del negozio giuridico; è noto, altresì, che la nullità del contratto deriva dall’inesistenza di quelli che vengono ordinariamente chiamati i requisiti o elementi essenziali del contratto stesso (art. 1418, comma 2, c.c.), mentre l’annullabilità deriva dal fatto che possa considerarsi viziato il primo di tali elementi essenziali, il consenso (artt. 1425 ss. c.c.). Ora, secondo una certa opinione, nel diritto amministrativo non si può fare riferimento a tali categorie privatistiche per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, perché le norme civilistiche dianzi richiamate sono incentrate soprattutto sui profili soggettivi del negozio, visto come atto umano, laddove la disciplina dell’atto amministrativo tende a prescindere dalla soggettività degli autori ed è formulata in termini oggettivi: è per questa ragione che il diritto amministrativo conosce la categoria specifica della «illegittimità» degli atti amministrativi, che ha il suo perno negli aspetti sostanziali (i vizi) e processuali sviluppatisi sulla base della legge del 1889, istitutiva della Quarta Sezione del Consiglio di Stato. Tuttavia, mentre si è concordi nel ritenere inutile e impossibile ricorrere all’annullabilità (data l’esistenza della categoria dell’illegittimità), quando alla nullità, si può osservare, da un lato, che anche il preteso atto amministrativo, se manca di requisiti essenziali, può risultare tale soltanto in apparenza, sicché, sotto questo profilo, può parlarsi di nullità-inesistenza dell’atto stesso; dall’altro, che la nullità del contratto si ha innanzitutto per contrasto con norme imperative (art. 1418, comma 1, c.c.) e che nulla osta ad una configurazione legislativa in termini di nullità anche della conseguenza del contrasto dell’atto amministrativo con determinate norme».
(8) Cfr. M. Versiglioni, Accertamento con adesione, logica e responsabilità della scelta, in Giust. trib., 2008, 447: «Quanto, invece, al contenuto dell’“accordo tributario”, ad esso sembrano applicabili le norme e i principi in materia di obbligazioni e contratti in genere, in quanto compatibili e non derogati dalla normativa tributaria. In tale prospettiva, pare sin d’ora possibile riferirsi a numerose disposizioni comprese nel libro IV del codice civile; peraltro, se si prospetta assai limitata l’utilizzabilità delle disposizioni del titolo I, con l’eccezione della sezione dedicata alle obbligazioni in solido, risulta invece più che plausibile la compatibilità di numerose norme del titolo II (sempre se non derogate), tra cui, senza cura di esaustività, quelle preliminari e quelle concernenti i requisiti, l’interpretazione, l’illiceità, la frode alla legge, la rappresentanza, la nullità e l’annullabilità».
(9) Cfr. F. Gallo, La natura giuridica dell’accertamento con adesione, in Riv. dir. trib., 2002, I, 430: «la potestà tributaria di cui l’ufficio è investito esprime una funzione che pone l’ufficio stesso su un piano diverso da quello del contribuente e tale, comunque, da non consentire la fusione di dette volontà in un sinallagma negoziale … Sintomatica dell’inconciliabilità dell’esercizio della potestà tributaria con la posizione di autonomia privata (e quindi con il modello contrattuale) è del resto, la previsione nell’art. 7 del D.Lgs. n. 218/1997 dell’obbligo di motivazione dell’atto di accertamento con adesione, obbligo che – è appena il caso di sottolinearlo – non è previsto per i contratti di diritto privato dove, come è noto, i motivi sono ininfluenti … L’eventuale riduzione del debito è, quindi, la conseguenza dell’applicazione di precise norme tributarie con riferimento alla nuova situazione di fatto e di diritto concordemente accertata rispetto a quella incerta precedente; e non la conseguenza di una “discrezionalità” con effetti di tipo dispositivo espressa da soggetti pariordinati e portatori di comuni interessi».
(10) Cfr. Corte Cost. 17 marzo 2015, n. 37, in Boll. Trib., 2015, 790, con nota di V. Azzoni, Atti firmati da dirigenti illegittimi: le Commissioni tributarie tirano le fila della sentenza della Consulta.
(11) Cfr. E. Marello, L’invalidità dell’accertamento con adesione, cit., 438: «Il ragionamento interno sull’efficacia degli atti pare debba farci concludere per la nullità derivata del concordato su atto di imposizione nullo. Infatti, è nella stessa natura della nullità la preclusione alla stabilizzazione degli effetti dell’atto viziato, il che contempla anche l’impossibilità per l’atto nullo di giungere ad una qualche stabilizzazione per il tramite di convalida, sanatoria o di un procedimento che abbia come condizione legittimante proprio l’efficacia dell’atto invalido. Non sembra ragionevole credere che l’atto impositivo nullo possa validamente avviare il procedimento di accertamento con adesione, orientandolo, e per questo tramite, giungere alla formalizzazione di un atto efficace fondato su presupposto nullo».
(12) Cfr. Cons. Stato 14 marzo 2012, n. 1429, in Boll. Trib. On-line.
(13) Cfr. E. Manoni, La revocabilità in autotutela dell’atto di adesione perfezionato, cit.: «sulla base delle considerazioni svolte, nulla sembrerebbe precludere al contribuente, in presenza di vizi formali e/o sostanziali dell’atto di adesione, di ricorrere all’istituto dell’autotutela e, per l’effetto, di domandare il rimborso di quanto indebitamente versato a perfezionamento dello stesso».
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