Circolare 8 aprile 2016, n. 12/E, dell’Agenzia delle entrate
INDICE:
1. agevolazioni per la piccola proprietà contadina.
2. agevolazioni “prima casa”; 2.1 Credito d’imposta per l’acquisto della nuova abitazione; 2.2 Nuovo acquisto assoggettabile ad IVA; 2.3 Nuovo acquisto a titolo gratuito; 2.4 Vendita dell’abitazione preposseduta.
3. cedolare secca; 3.1 Applicazione dell’aliquota del 10 per cento; 3.2 Natura giuridica del conduttore.
4. consolidato.
5. contenzioso; 5.1 Liti di modesto importo; 5.2 Sottoscrizione degli avvisi d’accertamento.
6. contribuenti minimi; 6.1 Decorrenza del regime di vantaggio; 6.2 Regime forfetario.
7. detrazioni; 7.1 Detrazione IRPEF 50 per cento dell’IVA pagata per l’acquisto dell’abitazione dall’impresa costruttrice; 7.2 Detrazione IRPEF per gli studenti fuori sede.
8. dichiarazione precompilata e certificazione unica; 8.1 Dati relativi alla spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica; 8.2 Errata detrazione ravvisata dal contribuente successivamente all’invio della precompilata; 8.3 Errata indicazione dei dati reddituali ravvisata dal contribuente; 8.4 Indicatori di incoerenza; 8.5 Inserimento delle spese sanitarie; 8.6 Lieve ritardo nella trasmissione ed errori non sostanziali; 8.7 Rimborsi superiori ai quattromila euro; 8.8 Termine di trasmissione della CU da parte dei sostituti d’imposta; 8.9 Utilizzo dei dati per finalità di controllo; 8.10 Valore dichiarativo della CU.
9. leasing abitativo; 9.1 Agevolazione prima casa: destinazione ad abitazione principale; 9.2 Agevolazione prima casa: dichiarazioni dell’acquirente/concedente; 9.3 Registrazione del contratto di leasing enunciato nell’atto di compravendita.
10. maxiammortamenti; 10.1 Applicazione ai fini IRAP; 10.2 Maggiorazione del costo; 10.3 Società non operative; 10.4 Imputazione al periodo di vigenza; 10.5 Contribuenti forfetari; 10.6 Superamento della maggiorazione del 40 per cento; 10.7 Spettanza ai contribuenti minimi; 10.8 Ammortamenti civilistici e variazione in diminuzione ai fini fiscali.
11. nuovo regime sanzionatorio; 11.1 Favor rei; 11.2 Responsabilità solidale nella cessione da liquidazione del patrimonio.
12. patent box; 12.1 Complementarietà di beni ai fini dell’agevolazione; 12.2 Individuazione del metodo più appropriato di valutazione del prezzo di trasferimento di beni immateriali o dei diritti sugli stessi.
13. procedure concorsuali; 13.1 Note di variazione – Obblighi IVA del curatore o commissario; 13.2 Accordi di ristrutturazione del debito; 13.3 Revocatoria fallimentare – Pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso.
14. quadro rw; 14.1 Sanzione per omessa compilazione; 14.2 Soggetti obbligati al versamento dell’Ivafe.
15. ravvedimento; 15.1 Richiesta di documentazione necessaria alla verifica dei dati indicati nella dichiarazione dei redditi.
16. registro; 16.1 Accordi di riduzione del canone di locazione.
17. ristrutturazioni edilizie; 17.1 Bonus mobili e risparmio energetico; 17.2 IVA agevolata sui “beni significativi”.
18. scontrini fiscali; 18.1 Scontrino di chiusura giornaliera.
19. tematiche afferenti il contenzioso e la riscossione; 19.1 Riforma del contenzioso: conciliazione; 19.1.1 Termini di esperimento della conciliazione “in udienza”; 19.1.2 Ammissibilità delle liti riguardanti atti catastali e il diniego di agevolazioni; 19.1.3 Interessi relativi a rimborso conseguente a conciliazione; 19.1.4 Reclamo; 19.1.5 Mediazione e conciliazione giudiziale; 19.1.6 Sospensione processuale nei casi di procedure amichevoli; 19.2 Riforma della riscossione; 19.2.1 Acquiescenza a seguito di autotutela parziale; 19.2.2 Definizione agevolata delle sanzioni; 19.2.3 Rateazione e sanzioni rimborsabili; 19.2.4 Rateazione per avvisi bonari; 19.2.5 Ravvedimento operoso; 19.2.6Reclamo.
«1. agevolazioni per la piccola proprietà contadina
D. L’art. 1, comma 907, della legge di stabilità estende i benefici fiscali previsti dall’art. 2, comma 4-bis, del d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, per l’acquisto a titolo oneroso di terreni agricoli e relative pertinenze a favore di coltivatori diretti e IAP, anche agli acquisti effettuati dal coniuge e dai parenti in linea retta dei medesimi, purché proprietari di terreni agricoli e conviventi.
Si chiede di conoscere se anche tali soggetti debbano essere iscritti nella gestione previdenziale ed assistenziale come i coltivatori diretti o gli IAP.
R. L’art. 2, comma 4-bis, del d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25, stabilisce l’applicazione dell’imposta di registro ed ipotecaria nella misura fissa e dell’imposta catastale nella misura dell’1 per cento per … gli atti di trasferimento a titolo oneroso di terreni e relative pertinenze, qualificati agricoli in base a strumenti urbanistici vigenti, posti in essere a favore di coltivatori diretti ed imprenditori agricoli professionali, iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale.
Sulla base di tale previsione, dunque, le agevolazioni per la piccola proprietà contadina trovano applicazione per gli acquisti effettuati dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali (IAP), iscritti nella relativa gestione previdenziale ed assistenziale tenuta presso l’INPS. Con l’art. 1, comma 907, della legge di Stabilità, il legislatore ha esteso l’agevolazione fiscale anche agli acquisti a titolo oneroso effettuati dal coniuge e dai parenti in linea retta conviventi con i predetti soggetti (coltivatori diretti e gli IAP iscritti nella relativa gestione previdenziale), purché già proprietari di terreni agricoli.
In considerazione del dettato normativo deve ritenersi che per il coniuge e i parenti in linea retta l’iscrizione nella gestione previdenziale e assistenziale non sia necessaria per l’accesso alle agevolazioni in parola. Resta ferma, tuttavia, l’applicazione delle cause di decadenza dall’agevolazione, previste dall’art. 2, comma 4-bis, del d.l. n. 194 del 2009 e, pertanto, si decade dall’agevolazione fruita in sede di acquisto qualora, prima che siano trascorsi cinque anni dalla stipula degli atti di trasferimento, vengano alienati volontariamente i terreni ovvero venga cessata la coltivazione degli stessi.
2. agevolazioni “prima casa”
2.1 Credito d’imposta per l’acquisto della nuova abitazione
D. Se un contribuente vende l’abitazione comprata con l’agevolazione “prima casa” e ricompra entro un anno un’altra “prima casa”, gli spetta il credito d’imposta per il riacquisto della prima casa?.
Alla luce delle modifiche introdotte alle agevolazioni “prima casa”, spetta il credito d’imposta se il contribuente effettua il nuovo acquisto prima di vendere la casa preposseduta?
R. L’art. 7 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 prevede l’attribuzione di un credito d’imposta ai contribuenti che provvedono ad acquisire, entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato con le agevolazioni, un’altra casa di abitazione, sempreché anche in relazione al secondo acquisto sussistano le condizioni per beneficiare delle agevolazioni “prima casa”.
A parere della scrivente, alla luce delle modifiche che hanno interessato la normativa in materia di “prima casa” deve ritenersi che il credito di imposta di cui al citato art. 7 spetti al contribuente anche nell’ipotesi in cui proceda all’acquisto della nuova abitazione prima della vendita dell’immobile preposseduto. Una diversa interpretazione non risulterebbe, infatti, coerente con la ratio della riforma che ha inteso agevolare la sostituzione della “prima casa”, introducendo una maggiore flessibilità nei tempi previsti per la dismissione dell’immobile preposseduto.
All’atto di acquisto del nuovo immobile con le agevolazioni “prima casa” il contribuente potrà, quindi, fruire del credito di imposta per l’imposta dovuta in relazione al nuovo acquisto nel limite, in ogni caso, dell’imposta di registro o dell’imposta sul valore aggiunto corrisposte in occasione dell’acquisizione dell’immobile preposseduto.
2.2 Nuovo acquisto assoggettabile ad IVA
D. L’estensione dell’agevolazione “prima casa” di cui all’art. 1, comma 55, della legge di Stabilità (il quale fa riferimento all’aliquota del 2 per cento dell’imposta di registro) spetta anche nel caso che il nuovo acquisto sia imponibile IVA?
R. Le novità inserite nel corpo delle disciplina “prima casa”, nell’ambito della Nota II-bis citata, si applicano anche nell’ipotesi in cui il nuovo acquisto sia imponibile ad IVA.
Il punto 21) della Tab. A, parte II, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, ai fini dell’applicabilità dell’aliquota IVA agevolata al 4 per cento, fa espresso rinvio, infatti, alla ricorrenza delle condizioni di cui alla nota II-bis) all’art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
La modifica delle condizioni stabilite dalla Nota II-bis esplica, quindi effetti anche ai fini dell’applicazione dell’aliquota agevolata IVA del 4 per cento.
2.3 Nuovo acquisto a titolo gratuito
D. L’estensione dell’agevolazione “prima casa” di cui all’art. 1, comma 55, della legge di Stabilità, spetta anche nel caso di nuovo acquisto a titolo gratuito (con impegno dell’acquirente di alienare la casa preposseduta entro un anno)?
R. L’acquisto del nuovo immobile in regime agevolato, con l’impegno a rivendere quello preposseduto, può essere effettuato anche a titolo gratuito. La disciplina agevolativa riservata alla prima casa di abitazione trova, infatti, applicazione, in via generale, anche con riferimento agli atti a titolo gratuito, in virtù di quanto disposto dall’art. 69, commi 3 e 4, della legge 21 novembre 2000, n. 342. Tali disposizioni rinviano, infatti, alla ricorrenza delle condizioni di cui alla nota II-bis) all’art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
La modifica delle condizioni stabilite dalla Nota II-bis esplica, quindi effetti anche ai fini dell’applicazione delle agevolazioni “prima casa” in sede di successione o donazione.
Resta inteso che, nell’atto di donazione o nella dichiarazione di successione con cui si acquista il nuovo immobile in regime agevolato, dovrà risultare l’impegno a vendere entro l’anno l’immobile preposseduto.
2.4 Vendita dell’abitazione preposseduta
D. Se un contribuente ha acquistato il 1° ottobre 2015 una casa senza l’agevolazione “prima casa” ed entro il 30 settembre 2016 vende l’abitazione preposseduta, potrà chiedere il rimborso delle maggiori imposte versate per l’acquisto effettuato nel 2015 rispetto al prelievo con l’agevolazione “prima casa”? In alternativa, può utilizzare un credito d’imposta?
R. La nuova disciplina recata dall’art. 1, comma 55, della legge di Stabilità 2016 trova applicazione in relazione agli atti di acquisto di immobili posti in essere a decorrere dal 1° gennaio 2016, data di entrata in vigore della legge di Stabilità.
Per gli atti conclusi prima di tale data non può, dunque, essere richiesto il rimborso delle eventuali maggiori imposte versate rispetto a quelle che sarebbero state dovute in applicazione delle nuove disposizioni né può essere riconosciuto un credito d’imposta.
3. cedolare secca
3.1 Applicazione dell’aliquota del 10 per cento
D. Il decreto casa (art. 9 del d.l. n. 47 del 2014) estende la “cedolare secca” con aliquota ridotta al 10 per cento, per gli anni 2014-17, anche ai contratti di locazione stipulati nei Comuni per i quali è stato deliberato lo stato di emergenza a seguito di calamità naturali nei cinque anni precedenti la data di entrata in vigore della legge di conversione (27 maggio del 2014). Dato che molti di questi Comuni non rientrano tra quelli ad alta tensione abitativa né tra quelli individuati dal CIPE, mancano accordi locali tra proprietari e inquilini ai quali parametrare la locazione a canone concordato.
È corretto in questi casi rifarsi all’Accordo vigente nel comune demograficamente omogeneo di minore distanza territoriale, anche situato in altra regione, così come previsto dal decreto interministeriale del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro dell’economia e delle finanze del 14 luglio 2004?
R. L’art. 9 del d.l. 28 marzo 2014, n. 47 prevede, al comma 1, che “Per il quadriennio 2014-2017, l’aliquota prevista all’art. 3, comma 2, quarto periodo, del d.l. 14 marzo 2011, n. 23, come modificato dall’art. 4 del d.l. 31 agosto 2013, n. 102 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 ottobre 2013, n. 124, è ridotta al 10 per cento”.
La predetta disposizione stabilisce, quindi, una riduzione dal 15 al 10 per cento dell’aliquota della “cedolare secca” applicabile, ai sensi dell’art. 3, comma 2, quarto periodo, del D.lgs. n. 23 del 2011, per i contratti a canone concordato (o concertato), stipulati sulla base di appositi accordi tra le organizzazioni della proprietà edilizia e degli inquilini di cui all’art. 2, comma 3, della legge n. 431 del 1998 e all’art. 8 della medesima legge, relativi ad abitazioni site nei comuni con carenze di disponibilità abitative e nei comuni ad alta tensione abitativa.
Il comma 2-bis dell’art. 9 (del d.l. n. 47 del 2014) estende l’applicazione dell’aliquota ridotta del 10 per cento anche “ai contratti di locazione stipulati nei comuni per i quali sia stato deliberato, negli ultimi cinque anni precedenti la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, lo stato di emergenza a seguito del verificarsi degli eventi calamitosi di cui all’art. 2, comma 1, lett. c), della legge 24 febbraio 1992, n. 225”.
Qualora nei comuni per i quali sia stato deliberato lo stato di emergenza non siano mai stati definiti accordi tra le organizzazioni della proprietà edilizia e dei conduttori per la determinazione del canone, è possibile fare riferimento, ai fini dell’applicazione dell’aliquota ridotta del 10 per cento della cedolare secca, all’Accordo vigente nel comune demograficamente omogeneo di minore distanza territoriale, anche situato in altra regione, secondo i principi stabiliti dall’art. 1, comma 2 del decreto Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, emanato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, del 14 luglio 2004.
3.2 Natura giuridica del conduttore
D. È corretto applicare la cedolare secca quando l’inquilino, pur agendo nell’esercizio di attività di impresa o lavoro autonomo, utilizza l’immobile per finalità abitative di collaboratori, dipendenti, fornitori e clienti? Anche se la circolare del 1° giugno 2011, n. 26, ha inizialmente preso posizione in senso negativo, una lettura favorevole al contribuente pare maggiormente in linea con lo spirito e la lettera della norma (art. 3 del D.lgs. n. 23 del 2011), che non prevede alcuna limitazione legata alle caratteristiche del conduttore e che è orientata ad agevolare tutte le locazioni con finalità abitativa, comprese quelle brevi o transitorie.
R. Com’è noto, l’art. 3 del D.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, ha introdotto la possibilità per i possessori di immobili locati ad uso abitativo (persone fisiche titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento di unità immobiliari abitative locate, che non agiscono nell’esercizio di un’attività di impresa o di arti e professioni), di optare per l’applicazione della “cedolare secca” sugli affitti. L’imposta applicata nella forma della “cedolare secca” sostituisce l’imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali sul reddito fondiario prodotto dall’immobile locato, nonché le imposte di registro e di bollo dovute sul contratto di locazione.
Il comma 6 del predetto art. 3 del D.lgs. n. 23 del 2011 prevede, tra l’altro, che le disposizioni in materia di “cedolare secca” “… non si applicano alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate nell’esercizio di un’attività d’impresa, o di arti e professioni”.
Tenuto conto che la norma consente l’applicazione della “cedolare secca” solo per gli immobili abitativi locati con finalità abitative, escludendo quelle effettuate nell’esercizio di un’attività d’impresa o di lavoro autonomo, con la circolare 1° giugno 2011, n. 261, è stato chiarito che, per l’applicazione della “cedolare secca” occorre porre rilievo anche all’attività del conduttore, restando esclusi dal regime i contratti conclusi con conduttori che agiscono nell’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo, ancorché detti immobili vengano utilizzati dal locatario per soddisfare le esigenze abitative dei propri collaboratori o dipendenti.
Sono, invece, compresi nell’ambito applicativo della cedolare secca, i contratti conclusi con enti pubblici o privati non commerciali, purché risulti dal contratto la destinazione degli immobili a finalità abitative.
L’interpretazione resa con la citata circolare deve ritenersi confermata anche alla luce degli interventi normativi che sono stati di recente introdotti dal legislatore in materia.
Si rammenta che con l’art. 9, comma 2, del d.l. 28 marzo 2014, n. 47, è stato esteso l’ambito applicativo della “cedolare secca” ai contratti di locazione stipulati nei confronti di cooperative edilizie o enti senza scopo di lucro purché sublocate, tra l’altro, a studenti universitari.
In tale ipotesi, dunque, assume rilievo l’effettiva destinazione abitativa dell’immobile e, pertanto, nel caso in cui l’immobile venga utilizzato per soddisfare le finalità abitative degli studenti universitari può accedere al regime della “cedolare secca” anche il contratto di locazione stipulato dal locatore con le cooperative edilizie o con gli enti senza scopo di lucro.
La circostanza che il legislatore abbia individuato in maniera puntuale le ipotesi in cui è possibile estendere l’ambito applicativo della “cedolare secca”, definendo le condizioni, esclude che detta estensione possa essere effettuata in via interpretativa e, pertanto, deve ritenersi confermato il principio indicato con la predetta circolare, secondo cui è escluso dal regime della “cedolare secca” il contratto di locazione stipulato con conduttori che operano nell’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo.
4. consolidato
D. Con riferimento all’art. 7 del Provvedimento del 6 novembre 2015, si fa il caso in cui la società non residente A controlli le società italiane B e C e B, a sua volta, controlli la società italiana D, con la quale abbia esercitato l’opzione per il consolidato. Si chiede se siano corrette le seguenti soluzioni alle alternative consentite ad A:
1. se A designa B ad esercitare l’opzione come consolidante non si interrompe il consolidato fra B e D (punto 7.1 del provvedimento); C entra nel consolidato esercitando l’opzione congiunta con B e, limitatamente a C, il triennio decorre dall’opzione congiunta di B e C; in caso di successiva interruzione del consolidato con riferimento a B o C, le rispettive residue perdite non utilizzate devono essere obbligatoriamente riattribuite a B e C con i criteri di cui al punto 2.7 del Provvedimento;
2. se A designa D ad esercitare l’opzione come consolidante, si interrompe il consolidato fra B e D (perché D non può esercitare l’opzione come consolidante con una sua controllante (punto 2.6 del Provvedimento); D può esercitare solo l’opzione con C e il triennio decorre dall’opzione; le eventuali residue perdite fiscali non utilizzate restano, salvo che il contratto di consolidato ne preveda la riattribuzione alla società che le ha prodotte, nella disponibilità della ex consolidante (B) e a tali perdite si applicano in ogni caso le disposizioni previste dall’art. 118, comma 2, del TUIR per cui saranno utilizzabili solo da B;
3. se A designa C come consolidante, si interrompe il consolidato fra B e D (punto 7.2 del Provvedimento), ma – in base al punto 7.3 del Provvedimento – se B e D optano anch’esse per il consolidato con C per il periodo d’imposta in corso al 7 ottobre 2015 non si producono – in relazione al consolidato preesistente – gli effetti di cui all’art. 124, commi 1, 2 e 3, del TUIR (sostanzialmente l’integrazione degli acconti). Resta invece applicabile il comma 4 per cui le eventuali residue perdite fiscali non utilizzate restano, salvo che il contratto di consolidato ne preveda la riattribuzione alla società che le ha prodotte, nella disponibilità della ex consolidante (B) e a tali perdite si applicano in ogni caso le disposizioni previste dall’art. 118, comma 2, del TUIR per cui saranno utilizzabili solo da B e non potranno essere trasferite al nuovo consolidato. Decorre un nuovo triennio.
R. Il quesito attiene alle novità normative introdotte dall’art. 6 del D.lgs. 14 settembre 2015, n. 147, in tema di consolidato nazionale, e alle relative disposizioni attuative contenute nel Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 6 novembre 2015.Tali disposizioni, contenute nell’art. 117, comma 2-bis e nell’art. 120 del TUIR, hanno ampliato la possibilità di esercitare l’opzione per il regime del consolidato anche alle società “sorelle”, sia residenti in Italia, sia stabili organizzazioni di società residenti in Stati appartenenti all’Unione europea (UE) ovvero in Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni, consentendo di consolidare le proprie basi imponibili, purché il soggetto non residente controllante designi una delle società controllate “sorelle” a esercitare l’opzione per la tassazione di gruppo e ad assumere la qualità di consolidante.
Nel caso prospettato, la società non residente A controlla le società italiane B e C; B, a sua volta controlla la società italiana D, con la quale ha esercitato l’opzione per il consolidato. La società A non residente può designare, al ricorrere delle condizioni normativamente previste, una delle società residenti all’esercizio dell’opzione per il consolidato.
Preliminarmente, si osserva che tra la società non residente A e ciascuna delle società che optano per il consolidato, sia in qualità di consolidante designata, sia di consolidata, deve sussistere il rapporto di controllo di cui all’art. 2359, comma 1, numero 1), del codice civile, con i requisiti di cui all’art. 120 del TUIR.
Tanto premesso, il quesito propone tre diverse soluzioni alternative consentite alla società non residente A, in relazione alle quali si formulano le osservazioni che seguono:
1. A designa B ad esercitare l’opzione per il consolidato, a seguito della quale B assume la qualità di consolidante. Pertanto, la società B che era consolidante nel preesistente consolidato con D, diviene consolidante designata da A.
Nel perimetro di consolidamento entrano B, C e D, purché in capo ad A vi siano i requisiti del controllo rilevante sopra evidenziati, nei confronti di ciascuna delle società che opta per il consolidato.
Il consolidato preesistente tra B e D non si interrompe, ai sensi del punto 7.1 del citato Provvedimento del Direttore, ma solo a condizione che l’opzione effettuata ai sensi del comma 2-bis dell’art. 117 del TUIR sia esercitata da B per il periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del citato D.lgs. n. 147 del 2015 (7 ottobre 2015). Diversamente, qualora l’opzione sia esercitata per periodi d’imposta successivi a quello in corso alla data di entrata in vigore del citato decreto (quindi a regime), il consolidato preesistente tra B e D si interrompe.
C può entrare nel consolidato esercitando l’opzione congiunta con B e, limitatamente a C, il triennio decorre dall’opzione congiunta di B e C.
Inoltre, in caso di successiva interruzione del consolidato con riferimento a B oppure C le rispettive perdite residue non utilizzate devono essere obbligatoriamente riattribuite a B o C con i criteri di cui al punto 2.7 del citato Provvedimento.
2. A designa D ad esercitare l’opzione per il consolidato, a seguito della quale D assume la qualità di consolidante.
Nel perimetro di consolidamento entrano C e D e il triennio decorre dal periodo d’imposta di esercizio dell’opzione.
B non può entrare nel perimetro di consolidamento in quanto ai sensi del comma 2-bis dell’art. 117 del TUIR “La controllata designata non può esercitare l’opzione con le società da cui è partecipata”.
Di conseguenza, il consolidato preesistente tra B e D si interrompe.
Eventuali residue perdite fiscali non utilizzate relative al consolidato nazionale preesistente restano, salvo che nella comunicazione dell’opzione non sia stato indicato un diverso criterio di attribuzione delle perdite residue, nella disponibilità della ex consolidante B. In tale ipotesi alle perdite residue attribuite a B non si applicano le disposizioni previste dall’art. 118, comma 2, del TUIR in quanto B non opta per il nuovo consolidato, ma divengono perdite proprie di B, dalla stessa utilizzabili ai sensi dell’art. 84 del TUIR.
3. A designa C ad esercitare l’opzione per il consolidato, a seguito della quale C assume la qualità di consolidante.
Se optano per il consolidato solo C e B, il consolidato preesistente tra B e D si interrompe (punto 7.2 del Provvedimento).
Se, invece, B e D optano entrambe per il consolidato con C, e solo se tale opzione è esercitata per il periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del citato D.lgs. n. 147/2015 (7 ottobre 2015), in base al punto 7.3 del Provvedimento non si producono – in relazione al consolidato preesistente – gli effetti di cui all’art. 124, commi 1, 2 e 3, del TUIR, mentre resta applicabile il comma 4 del medesimo articolo. Di conseguenza, le eventuali residue perdite non utilizzate del preesistente consolidato restano, salvo che nella comunicazione dell’opzione non sia stato indicato un diverso criterio di attribuzione delle perdite residue, nella disponibilità della ex consolidante B. A tali perdite si applicano in ogni caso le disposizioni previste dall’art. 118, comma 2, del TUIR per cui non potranno essere trasferite da B al nuovo consolidato. Diversamente, qualora l’opzione sia esercitata da B e D con C per periodi d’imposta successivi a quello in corso alla data di entrata in vigore del citato decreto (quindi a regime), il consolidato preesistente tra B e D si interrompe con gli effetti di cui all’art. 124 del TUIR.
Il triennio di validità dell’opzione decorre dal periodo d’imposta con riferimento alla quale la nuova opzione è esercitata.
5. contenzioso
5.1 Liti di modesto importo
D. Le recenti modifiche introdotte nel decreto sul processo tributario lasciano intravvedere una possibile tendenza all’abbandono delle liti di modesto importo nelle quali il contribuente abbia riportato successo nelle sentenze di merito?
R. L’Agenzia delle entrate è impegnata nell’incremento della qualità degli atti amministrativi emessi e della loro difesa in giudizio e, quindi, nel ridurre la conflittualità nel rapporto con i contribuenti.
Si evidenzia che meno del 10 per cento degli avvisi di accertamento notificati vengono impugnati avanti le Commissioni tributarie, mentre la stragrande maggioranza degli atti viene definita in via amministrativa. La predetta percentuale di impugnazione scende fortemente per le cartelle di pagamento, che sono impugnate solo in circa il 2 per cento dei casi
Quindi, solo una minima percentuale degli atti dell’Agenzia delle entrate viene esaminato dal giudice tributario. Le controversie tributarie, poi, arrivano in Cassazione mediamente nel 6 per cento dei casi, sommando sia i ricorsi per Cassazione del contribuente che quelli dell’ente impositore, e i relativi esiti sono prevalentemente favorevoli all’Agenzia delle entrate.
Ciò premesso, si fa presente che vengono sistematicamente fornite indicazioni agli Uffici per l’abbandono delle controversie seriali per le quali si sia consolidato un orientamento sfavorevole della Cassazione.
Più in particolare, la prosecuzione del giudizio in Cassazione non avviene in modo “automatico”, ma previa valutazione della rilevanza e sostenibilità della controversia, anche in relazione ai possibili riflessi su altre controversie analoghe. Tale valutazione è svolta in prima battuta dalla Direzione Provinciale parte del giudizio e, successivamente, dalla Direzione regionale di riferimento d’intesa con l’Avvocatura generale dello Stato, che assiste e difende l’Agenzia delle entrate nei giudizi in Cassazione nonché, ove necessario, con la Direzione Centrale Affari Legali, Contenzioso e Riscossione.
Si forniscono alcuni dati sui ricorsi per Cassazione.
Sulla base dei dati attualmente disponibili nel sistema informatico del contenzioso, il numero dei ricorsi per Cassazione proposti nel 2015 risultano 9.163, di cui 4.379 (pari al 47,8 per cento) da parte dell’Agenzia delle entrate. In termini percentuali, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per Cassazione avverso il 21 per cento delle decisioni sfavorevoli delle Commissioni tributarie regionali.
Attualmente la media delle decisioni della Cassazione favorevoli all’Agenzia delle entrate è del 78 per cento (c.d. “indice di vittoria numerico”, calcolato in riferimento ai giudizi – proseguiti fino in Cassazione – conclusi nell’anno). Sempre a livello nazionale, l’“indice di vittoria” per valore in Cassazione (calcolato sugli importi decisi a favore dell’Erario in rapporto a quelli contestati dal contribuente) si attesta all’82 per cento.
5.2 Sottoscrizione degli avvisi d’accertamento
D. La Cassazione, con le sentenze del 9 novembre 2015, nn. 22800, 22803 e 22810, ha posto a carico dell’Agenzia delle entrate l’onere di provare in giudizio la corretta attribuzione della delega alla sottoscrizione degli avvisi di accertamento da parte del titolare dell’Ufficio, essendo al riguardo sufficiente una generica contestazione da parte del contribuente, in quanto solo l’Ufficio dispone degli elementi adeguati per questo onere. Onde evitare un inutile contenzioso, l’Amministrazione pensa di istituire una sezione del sito internet dell’Agenzia che consenta al contribuente e ai suoi consulenti la preventiva verifica di questa condizione di validità degli avvisi?
R. Sul sito internet dell’Agenzia delle entrate, nella sezione “Amministrazione trasparente”, è già pubblicato l’elenco degli estremi degli atti di conferimento di incarico dirigenziale nonché l’elenco dei funzionari incaricati di funzioni dirigenziali, cessati dal 26 marzo 2015.
L’art. 15 del D.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, prevede, infatti, che le Amministrazioni rendano pubbliche le informazioni relative ai titolari di incarichi amministrativi di vertice e di incarichi dirigenziali.
Il contribuente e il suo difensore possono quindi accedere liberamente alle predette informazioni, senza necessità di accesso presso l’Ufficio. Inoltre, l’Ufficio fornisce al contribuente, che ne abbia concreto ed attuale interesse le ulteriori informazioni utili per la propria tutela.
Per completezza si aggiunge che l’Ufficio non ha l’obbligo di allegare la delega di firma all’avviso di accertamento o altro atto impugnabile né di depositarla in giudizio. Sullo stesso incombe, invece, l’onere di prova dell’esistenza e validità della delega mediante deposito nel fascicolo di causa in caso di rituale motivo di ricorso sul punto, trattandosi di questione non rilevabile d’ufficio da parte del giudice.
6. contribuenti minimi
6.1 Decorrenza del regime di vantaggio
D. I soggetti che applicano il regime dei contribuenti minimi di cui all’art. 27 del d.l. n. 98 del 2011, possono continuare ad applicarlo fino alla scadenza naturale (il quinquennio oppure il raggiungimento del 35° anno di età), tenuto conto che il comma 88 della legge n. 190 del 2014 non è stato abrogato?
R. Il comma 88 della legge di Stabilità per il 2015 non è stato modificato e, pertanto, i contribuenti che hanno aderito al regime di vantaggio, di cui all’art. 27 comma 1 del d.l. 98 del 2011 potranno … “continuare ad avvalersene per il periodo che residua al completamento del quinquennio agevolato e comunque fino al trentacinquesimo anno di età”. Analoga facoltà è riconosciuta anche a coloro che si sono avvalsi della proroga del regime di vantaggio disposta dal comma 12-undecies dell’art. 10 della legge n. 11 del 2015 di conversione del d.l. 192 del 31 dicembre 2014.
6.2 Regime forfetario
D. Com’è noto, l’art. 1, commi da 54 a 89, della legge n. 190 del 2014 ha introdotto, dal 1° gennaio 2015, il regime forfetario e ha abrogato tutti i precedenti regimi di favore riservati alle attività economiche di ridotte dimensioni. Il comma 88 del suddetto art. 1 ha, tuttavia, riconosciuto ai soggetti che nel 2014 applicavano il regime fiscale di vantaggio (art. 27, commi 1 e 2, del d.l. n. 98 del 2011), la possibilità di continuare ad avvalersene per il periodo residuo.
Tenuto conto delle rilevanti modifiche apportate al regime forfetario dalla legge di Stabilità 2016, coloro che nel 2015 hanno optato per continuare ad applicare il regime di vantaggio, ovvero hanno optato per il regime ordinario, possono revocare la suddetta opzione nel 2016 e applicare il regime forfetario?
R. Il regime forfetario, in vigore dal 1° gennaio 2015, disciplinato dalla legge n. 190 del 2014, commi da 54 a 89, costituisce il regime naturale dei soggetti che possiedono i requisiti previsti dal comma 54 e non incorrono in una delle cause di esclusione previste dal successivo comma 57. Al ricorrere di ambedue le suddette condizioni, coloro che, nel 2014, applicavano il regime fiscale di vantaggio sono transitati di diritto, nel 2015, nel regime forfetario.
In alternativa, agli stessi contribuenti è stata riconosciuta la possibilità di:
• optare per l’applicazione dell’IVA e delle imposte sul reddito nei modi ordinari;
• optare per l’applicazione del regime fiscale di vantaggio per il periodo che residua al completamento del quinquennio agevolato e, comunque, fino al compimento del trentacinquesimo anno di età (comma 88);
• applicare il regime agevolato del comma 65, introdotto per favorire la costituzione di nuove attività produttive, per il periodo che residua dalla data di inizio dell’attività (comma 87).
La legge di Stabilità per il 2016 ha, tuttavia, introdotto significative modifiche al regime forfetario, applicabili a partire dal 1° gennaio 2016.
In particolare:
• sono state elevate le soglie relative ai ricavi o compensi percepiti nell’anno precedente cui fare riferimento per l’accesso al regime;
• è stata abrogata la norma che prevedeva l’esclusione dal regime di coloro che, nell’anno precedente, avevano percepito redditi d’impresa, arte o professione prevalenti rispetto a quelli di lavoro dipendente e assimilati;
• è stato previsto che possono accedere al regime i lavoratori dipendenti e pensionati con reddito massimo di 30.000 euro.
Anche le agevolazioni previste per le nuove attività, di cui al comma 65, hanno subito delle modifiche rilevanti, concernenti nello specifico:
• i criteri di determinazione del reddito imponibile (è stato abolito l’abbattimento di un terzo del reddito determinato forfetariamente);
• la misura dell’imposta sostitutiva applicabile (ridotta dal 15 per cento al 5 per cento);
• il periodo di applicazione del beneficio (da tre a cinque anni – a partire da quello in cui l’attività è iniziata).
Tanto premesso, sebbene, in via generale, l’opzione per un regime di determinazione dell’imposta vincoli il contribuente alla sua concreta applicazione almeno per un triennio (art. 3 del D.P.R. n. 442 del 1997), nel caso di specie – stante le significative modifiche sopra elencate – si ritiene applicabile la deroga contenuta nell’art. 1 del citato decreto, secondo cui “è comunque consentita la variazione dell’opzione e della revoca nel caso di modifica del relativo sistema in conseguenza di nuove disposizioni normative”.
Conseguentemente, i soggetti che, nel 2015, avevano optato per il regime ordinario, ovvero avevano scelto di applicare il regime fiscale di vantaggio, possono, dal 1° gennaio 2016, revocare detta opzione e accedere al regime forfetario. Nel caso, poi, in cui ne sussistano i presupposti, i medesimi soggetti possono scegliere di applicare le disposizioni di cui al comma 65 previste per le nuove attività economiche, per il periodo che residua al compimento del quinquennio dall’inizio dell’attività.
7. detrazioni
7.1 Detrazione IRPEF 50 per cento dell’IVA pagata per l’acquisto dell’abitazione dall’impresa costruttrice
Domanda
L’art. 1, comma 56, della legge n. 208 del 2015, dispone una detrazione dall’IRPEF del 50 per cento dell’IVA corrisposta per acquisto di abitazioni dall’impresa costruttrice. Si domanda:
1. è detraibile l’IVA pagata in acconto del 2015 se la vendita è stipulata nel 2016?
2. è detraibile l’IVA pagata in acconto nel 2016 se la vendita è stipulata nel 2017?
3. è detraibile l’IVA pagata per acquisto di case costruite da più di 5 anni?
4. è detraibile l’IVA pagata per acquisto di un appartamento che l’impresa costruttrice, in attesa di venderlo, abbia concesso in locazione?
R. L’art. 1, comma 56 della legge di Stabilità 2016 prevede che “ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, si detrae dall’imposta lorda, fino alla concorrenza del suo ammontare, il 50 per cento dell’importo corrisposto per il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto in relazione all’acquisto, effettuato entro il 31 dicembre 2016, di unità immobiliari a destinazione residenziale, di classe energetica A o B ai sensi della normativa vigente, cedute dalle imprese costruttrici delle stesse. La detrazione di cui al precedente periodo è pari al 50 per cento dell’imposta dovuta sul corrispettivo d’acquisto ed è ripartita in dieci quote costanti nell’anno in cui sono state sostenute le spese e nei nove periodi d’imposta successivi”.
1) La detrazione IRPEF, in vigore dal 1° gennaio 2016, è pari al “50 per cento dell’importo corrisposto per il pagamento dell’IVA in relazione all’acquisto” di unità immobiliari effettuato o da effettuare “entro il 31 dicembre 2016”. Ne consegue che, ai fini della detrazione ed in applicazione del principio di cassa, è necessario che il pagamento dell’IVA avvenga nel periodo di imposta 2016.
2) L’IVA in acconto versata nell’anno 2016 per acquisti effettuati nel 2017 non è detraibile perché la norma si riferisce agli acquisti effettuati o da effettuare “entro il 31 dicembre 2016”.
3) Per effetto delle modifiche apportate all’art. 10, comma 1, n. 8-bis, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dall’art. 9 del d.l. n. 83 del 2012 (Decreto Sviluppo), la cessione di fabbricati abitativi da parte delle imprese costruttrici può essere assoggettata all’IVA anche dopo i cinque anni dalla fine dei lavori, purché l’impresa abbia manifestato espressamente l’opzione per la relativa imposizione. In presenza di quest’ultima condizione, la detrazione IRPEF, introdotta dalla norma agevolativa, può essere riconosciuta indipendentemente dalla data di fine lavori, posto che, al riguardo, il comma 56 in commento non indica alcun termine finale.
4) Nel silenzio della norma, si ritiene che l’acquisto nel periodo di imposta 2016 di un appartamento che l’impresa costruttrice cedente abbia precedentemente concesso in locazione consenta comunque di fruire della detrazione.
7.2 Detrazione IRPEF per gli studenti fuori sede
D. Qual è il massimale su cui calcolare la detrazione per studenti fuori sede, nel caso di un figlio a carico dei genitori (al 50 per cento per ciascuno) con una spesa per canoni di locazione superiore a 2.633 euro annui? Prendiamo il caso di uno studente con un canone annuo di 4.200 euro: è giusto ritenere che il limite massimo valga per ognuno dei due genitori (che quindi detraggono entrambi il 19 per cento di 2.100 euro) oppure va considerato complessivamente (e quindi ogni genitore detrae il 19 per cento di 1.316,50 euro)? La circolare 20/E del 20112ha esaminato il caso dei due figli a carico al 50 per cento dei genitori, entrambi con contratti detraibili, affermando che “tale importo (2.633 euro, ndr) costituisce il limite complessivo di spesa di cui può fruire ciascun contribuente anche se ci si riferisce a più contratti intestati a più di un figlio”. L’espressione “anche” induce a ritenere che lo stesso principio valga anche quando ci si riferisce a un figlio solo.
R. La circolare n. 34/E del 20083 – nel richiamare la circolare n. 11/E del 20074 che, in merito alle le modalità di ripartizione tra i genitori delle detrazione di cui all’art. 15, comma 2, del TUIR, ha confermato le indicazioni generali già fornite nei precedenti documenti di prassi e nelle istruzioni ai modelli di dichiarazione – ha precisato che, quando l’onere è sostenuto per i figli, la detrazione spetta al genitore al quale è intestato il documento comprovante la spesa sostenuta. Nel caso in cui il suddetto documento risulti, invece, intestato al figlio le spese devono essere suddivise tra i due genitori con riferimento al loro effettivo sostenimento, annotando sul documento comprovante la spesa la percentuale di ripartizione, se quest’ultima è diversa dal 50 per cento. In caso di contratto di locazione stipulato da entrambi i genitori, in favore del figlio studente universitario fuori sede, dovendosi presumere che la spesa verrà ripartita tra i genitori in parti uguali, la detrazione connessa al pagamento del canone spetta ad entrambi in egual misura nel limite massimo, per ciascun genitore, di 1.316,50 euro.
La circolare n. 20/E del 2011 ha ribadito tale assunto precisando che l’importo di 2.633 euro, costituisce il limite complessivo di spesa di cui può fruire ciascun contribuente anche se ci si riferisce a più contratti intestati a più di un figlio. L’ipotesi ivi delineata, tuttavia, era quella di due figli titolari ciascuno di un distinto contratto di locazione e a carico di entrambi i genitori. A tali condizioni ciascun genitore avrebbe potuto beneficiare della detrazione del 19 per cento sull’importo massimo per ciascuno di 2.633 euro.
Nel caso ora prospettato, invece, si conferma che la detrazione deve essere calcolata su di un importo massimo non superiore a 2.633 euro, da ripartire tra i genitori con riferimento al loro effettivo sostenimento. Diversamente, infatti, in presenza di un solo contratto, verrebbe attribuita a ciascun genitore una detrazione calcolata su di un ammontare superiore a quello massimo stabilito dall’art. 15 medesimo.
8. dichiarazione precompilata e certificazione unica
8.1 Dati relativi alla spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica
D. Per i contribuenti che hanno sostenuto spese per recupero edilizio e riqualificazione energetica nell’anno d’imposta 2015 i dati relativi ai bonifici effettuati, comunicati dalle banche, saranno inseriti direttamente nella dichiarazione o nel foglio informativo cosi che il diretto interessato possa valutare se ha effettivamente diritto alla detrazione?
R. Per beneficiare delle detrazioni relative alle spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica sono previste particolari condizioni soggettive (ad esempio il possesso o la detenzione dell’immobile) ed oggettive (ad esempio la tipologia di intervento e un limite di spesa), non desumibili dalle informazioni trasmesse dalle banche.
Inoltre, per quanto riguarda le spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio edilizio, nella dichiarazione dei redditi vanno riportati anche i dati catastali identificativi dell’immobile o gli estremi di registrazione del contratto se i lavori sono effettuati dall’inquilino.
Ciò premesso, i dati relativi ai bonifici effettuati per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica non saranno inseriti direttamente nella dichiarazione precompilata, ma saranno riportati solo nel foglio informativo allegato alla dichiarazione, in modo che il contribuente possa verificarli e, qualora sia in possesso dei requisiti per fruire delle detrazioni, possa riportarli nella dichiarazione dei redditi.
8.2 Errata detrazione ravvisata dal contribuente successivamente all’invio della precompilata
D. Nel caso in cui il contribuente accetti nel 730 precompilato una detrazione che si rivela errata e successivamente si accorga dell’errore come può rimediare?
R. Il contribuente è sempre tenuto a verificare i dati proposti dall’Agenzia delle entrate con la dichiarazione precompilata, apportando le necessarie modifiche o integrazioni nel caso in cui riscontri dati non corretti o incompleti.
Se il contribuente si accorge di un errore dopo aver accettato e inviato il 730 precompilato, può presentare un modello 730 integrativo o un modello Unico correttivo nei termini o integrativo con le modalità ed entro i termini descritti nella parte II, paragrafo 5, “Rettifica del modello 730”, delle istruzioni per la compilazione del modello 730 del 2016.
8.3 Errata indicazione dei dati reddituali ravvisata dal contribuente
D. Nel caso in cui il contribuente accetti un 730 precompilato che non contiene un reddito imponibile (perché non comunicato dal sostituto d’imposta o comunque perché non inserito nel modello) a quali conseguenze va incontro? Se si accorge dell’errore come può rimediare?
R. Il contribuente è sempre tenuto a verificare i dati proposti dall’Agenzia delle entrate con la dichiarazione precompilata, apportando le necessarie modifiche o integrazioni nel caso in cui riscontri dati non corretti o incompleti.
Se il contribuente si accorge di un errore nell’indicazione dei dati reddituali dopo aver accettato e inviato il 730 precompilato, trattandosi di una correzione che comporta un maggior debito o un minor credito, il contribuente può rimediare all’errore presentando un Modello Unico Persone Fisiche correttivo nei termini o integrativo con le modalità ed entro i termini descritti nella parte II, paragrafo 5, “Rettifica del modello 730”, lettera D, delle istruzioni per la compilazione del modello 730 del 2016.
Sui dati reddituali indicati nella dichiarazione precompilata non opera l’esclusione dal controllo formale di cui all’art. 5 del D.lgs. n. 175 del 2014.
8.4 Indicatori di incoerenza
D. Quali saranno gli indicatori di incoerenza in base ai quali l’Agenzia delle entrate potrà effettuare controlli preventivi sul modello 730 prima dell’erogazione dei rimborsi spettanti?
R. L’articolo 5, comma 3-bis, del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, introdotto dall’articolo 1, comma 949, lettera f), della legge di stabilità per il 2016, prevede che nel caso di presentazione della dichiarazione direttamente ovvero tramite il sostituto d’imposta che presta l’assistenza fiscale, con modifiche rispetto alla dichiarazione precompilata, l’Agenzia delle entrate può effettuare dei controlli preventivi, in via automatizzata o mediante verifica della documentazione giustificativa, se si rilevano degli elementi di incoerenza rispetto ai criteri pubblicati con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate ovvero determinano un rimborso di importo superiore a 4.000 euro. Il controllo è effettuato entro quattro mesi dal termine previsto per la trasmissione della dichiarazione, ovvero dalla data della trasmissione, se questa è successiva a detto termine. Il rimborso che risulta spettante al termine delle operazioni di controllo preventivo è erogato dall’Agenzia delle entrate non oltre il sesto mese successivo al termine previsto per la trasmissione della dichiarazione, ovvero dalla data della trasmissione, se questa è successiva a detto termine. Restano fermi i controlli previsti in materia di imposte sui redditi.
Per effetto del richiamo al citato articolo 5, comma 3-bis, contenuto nell’articolo 1, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014, i controlli preventivi possono trovare applicazione anche con riferimento alle dichiarazioni presentate ai Caf o ai professionisti abilitati.
Gli elementi di incoerenza saranno determinati sulla base di alcuni indicatori collegati, ad esempio, alla tipologia e all’entità delle integrazioni effettuate dal contribuente o al maggior rimborso determinato rispetto alla dichiarazione proposta.
8.5 Inserimento delle spese sanitarie
D. Le spese sanitarie sostenute per familiari a carico di più contribuenti (ad esempio i figli) saranno sempre inserite nelle dichiarazioni precompilate dei genitori in proporzione alle percentuali di carico così come risultanti in Anagrafe tributaria? In caso affermativo, sarà necessario integrare la dichiarazione nel caso in cui la percentuale di carico dovesse variare o la spesa risultasse sostenuta integralmente da uno solo dei genitori?
R. Come previsto dal Provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 31 luglio 2015, se il familiare risulta a carico di più contribuenti, le spese sanitarie a lui riferite vengono inserite nelle dichiarazioni precompilate di questi ultimi in proporzione alla percentuale di carico.
L’Agenzia delle entrate individua i familiari da considerare fiscalmente a carico esclusivamente sulla base delle informazioni, anche reddituali, comunicate dai sostituti d’imposta con le Certificazioni Uniche trasmesse all’Agenzia delle entrate nei termini previsti dall’art. 2 del D.Lgs. n. 175 del 2014.
Il contribuente è tenuto a modificare la dichiarazione proposta dall’Agenzia delle entrate se il familiare non è in possesso dei requisiti per essere considerato fiscalmente a carico o se la spesa è stata sostenuta da un soggetto diverso o in una percentuale diversa rispetto a quella risultante dal prospetto dei familiari a carico.
8.6 Lieve ritardo nella trasmissione ed errori non sostanziali
D. La legge di Stabilità 2016 prevede la non sanzionabilità nel caso di lievi ritardi o errori non sostanziali nel primo invio delle comunicazioni dei dati afferenti la precompilata. Questo vale per tutte le certificazioni uniche o solo per gli adempimenti dei soggetti specificatamente richiamati dall’art. 3 del D.lgs. n. 175 del 2014? Per “primo anno previsto per la trasmissione” s’intende il primo anno in cui la normativa specifica preveda l’obbligo di invio o il primo anno in cui, invece, scatta l’obbligo di trasmissione per il contribuente interessato?
R. L’art. 1, comma 949, della legge di stabilità 2016, ha introdotto nell’art. 3 del D.lgs. 21 novembre 2014, n. 175, il comma 5-ter, il quale prevede che per le trasmissioni da effettuare nell’anno 2015, relative all’anno 2014, e comunque per quelle effettuate nel primo anno previsto per la trasmissione all’Agenzia delle entrate dei dati e delle certificazioni uniche utili per la predisposizione della dichiarazione precompilata, non si fa luogo all’applicazione delle sanzioni di cui al comma 5-bis del presente articolo, all’art. 78, comma 26, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, e successive modificazioni, all’art. 4, comma 6-quinquies, del regolamento di cui al D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, e successive modificazioni, nei casi di lieve tardività o di errata trasmissione dei dati stessi, se l’errore non determina un’indebita fruizione di detrazioni o deduzioni nella dichiarazione precompilata.
Al riguardo, si fa presente che la disposizione trova applicazione non solo con riferimento agli adempimenti dei soggetti specificatamente richiamati dall’art. 3 del D.lgs. n. 175 del 2014 ma per tutte le trasmissioni per le quali si applicano le sanzioni indicate nella stessa disposizione in commento. In sostanza, si tratta delle sanzioni relative alla comunicazione dei dati delle spese mediche, tasse universitarie, ecc. (comma 5-bis dell’art. 3 del D.lgs. n. 175 del 2014), dei dati degli interessi passivi per mutui, premi di assicurazione, ecc. (art. 78, comma 26, della legge 30 dicembre 1991, n. 413) e delle certificazioni uniche (art. 4, comma 6-quinquies, del regolamento di cui al D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322).
Con riferimento alla decorrenza, si chiarisce che la disposizione si applica nel primo anno in cui è richiesta la trasmissione dei dati. Pertanto, si applica con riferimento alle trasmissioni effettuate nell’anno di avvio della dichiarazione precompilata, per quelle effettuate nell’anno 2015 e relative all’anno 2014 (ad esempio, i dati delle certificazioni uniche e degli interessi passivi). Per quanto riguarda invece la trasmissione dei dati che sono richiesti successivamente al 2015, la non applicazione delle sanzioni opera esclusivamente nel primo anno in cui è stato introdotto il relativo obbligo e non in relazione al primo anno in cui il medesimo obbligo scatta per il singolo contribuente interessato. Pertanto, la non punibilità opera per le trasmissioni effettuate nel 2016 e relative a dati del 2015, ad esempio, delle spese sanitarie mentre non opera per la trasmissione delle certificazioni uniche effettuate nel 2016 e relative al 2015 in quanto, come è noto, per le stesse il primo anno di trasmissione previsto è il 2015 per le certificazioni relative al 2014.
La non applicazione delle sanzioni opera solo nei casi di lieve tardività o di errata trasmissione dei dati stessi, se l’errore non determina un’indebita fruizione di detrazioni o deduzioni nella dichiarazione precompilata. Pertanto la non punibilità non opera in caso di omissione della trasmissione della comunicazione.
8.7 Rimborsi superiori ai quattromila euro
D. Nel caso in cui il rimborso superi i 4.000 euro il controllo preventivo verrà sempre effettuato a prescindere dalla presenza di detrazioni per carichi familiari?
R. A seguito delle modifiche introdotte dalla legge di Stabilità 2016, nel caso di presentazione della dichiarazione con modifiche rispetto alla dichiarazione precompilata, l’Agenzia delle entrate può effettuare dei controlli preventivi, in via automatizzata o mediante verifica della documentazione giustificativa, se si rilevano degli elementi di incoerenza oppure se il rimborso che emerge dalla dichiarazione supera 4.000 euro.
Pertanto, nel caso in cui dalla dichiarazione modificata dal contribuente, emerga un rimborso di importo superiore a 4.000 euro il controllo preventivo può essere effettuato dall’Agenzia delle entrate anche a prescindere dalla presenza di detrazioni per familiari a carico.
8.8 Termine di trasmissione della CU da parte dei sostituti d’imposta
D. La scadenza del prossimo 7 marzo per la trasmissione telematica delle CU da parte dei sostituti d’imposta che hanno erogato redditi soggetti a ritenuta nel corsodel 2015 è perentoria anche se la certificazione riguarda redditi esenti o che non possono essere dichiarati nel modello 730 (tipicamente, quindi, redditi d’impresa e di lavoro autonomo)? La circolare 6/E del 20155(punto 2.9) ha chiarito che “nel primo anno l’invio delle certificazioni contenenti esclusivamente redditi non dichiarabili mediante il modello 730 (come i redditi di lavoro autonomo non occasionale) può avvenire anche dopo questa data, senza applicazione di sanzioni. Al fine di semplificare ulteriormente l’adempimento della trasmissione della Certificazione Unica, per il primo anno gli operatori potranno scegliere se compilare la sezione dedicata ai dati assicurativi relativi all’Inail e se inviare o meno le certificazioni contenenti esclusivamente redditi esenti”. Tale chiarimento è ancora valido per la prossima scadenza per l’invio delle CU?
R. Si ritiene che anche quest’anno, tenuto conto che la Certificazione Unica ha subito rilevanti modifiche, in aderenza ai chiarimenti forniti lo scorso anno con la circolare n. 6/E del 2015, l’invio delle Certificazioni Uniche che non contengono dati da utilizzare per l’elaborazione della dichiarazione precompilata può avvenire anche successivamente al 7 marzo senza l’applicazione di sanzioni, purché entro il termine di presentazione dei quadri riepilogativi (ST, SV, SX, SY) del modello 770.
8.9 Utilizzo dei dati per finalità di controllo
D. I dati trasmessi da soggetti terzi per spese di iscrizione a corsi universitari, rimborsi per spese sanitarie, contributi versati per fondi di previdenza complementare saranno utilizzati anche per finalità di controllo oltre che per la dichiarazione precompilata? In caso affermativo e in caso di errori nei dati trasmessi, come potrà avvenire la correzione da parte del contribuente?
R. Con riferimento ai dati relativi ai rimborsi delle spese sanitarie ed ai contributi versati alle forme di previdenza complementare l’art. 78, commi 25 e 25-bis, della legge n. 413 del 1991 prevede espressamente che l’Agenzia delle entrate possa utilizzare i dati comunicati anche per finalità di controllo. Inoltre, l’art. 7 del D.P.R. n. 605 del 1973, con una disposizione di carattere generale, prevede che i dati trasmessi dagli enti esterni possano essere utilizzati dall’Agenzia delle entrate anche per finalità di controllo.
Ciò premesso, se il contribuente riscontra, nella dichiarazione proposta dall’Agenzia delle entrate, dati non corretti o incompleti, prima di procedere all’invio è tenuto a modificare la dichiarazione, direttamente on line oppure rivolgendosi al proprio sostituto d’imposta ovvero ad un Caf o professionista abilitato.
8.10 Valore dichiarativo della CU
D. In che termini la nuova CU può avere «valore dichiarativo»? In relazione ai redditi esenti, i due adempimenti (CU e 770) sono in tutto e per tutto alternativi e può essere lasciata al contribuente la scelta di quale modello inviare telematicamente entro la scadenza del 31 luglio, visto considerato anche la loro irrilevanza ai fini della precompilata?
R. Con le modifiche introdotte dalla legge di Stabilità 2016 all’art. 4 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, è stato semplificato il precedente impianto normativo attribuendo valore dichiarativo alla Certificazione Unica.
Inoltre, al fine di evitare una duplicazione di informazioni, in relazione alla quale è stata manifestata un’esigenza di semplificazione da parte degli organi rappresentativi dei soggetti tenuti alla trasmissione, il modello 770 2016, approvato con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 15 gennaio 2016, è composto dei soli quadri riepilogativi (ST, SV, SX, SY) e non contiene più i dati di dettaglio delle singole certificazioni uniche le quali sono trasmesse all’Agenzia delle entrate autonomamente.
Pertanto, i due adempimenti non possono essere considerati alternativi atteso che le informazioni contenute nella Certificazione Unica non sono più ricomprese nel modello 770.
9. leasing abitativo
9.1 Agevolazione prima casa: destinazione ad abitazione principale
D. L’art. 1, comma 83, della legge di Stabilità per il 2016 dispone che all’acquisto della società concedente si applichi l’agevolazione “prima casa” se ricorrono i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, in capo all’utilizzatore. Il leasing abitativo (art. 1, comma 83, legge di Stabilità 2016) ha come presupposto la destinazione ad abitazione principale dell’utilizzatore della casa acquistata su sua indicazione. Si domanda se l’agevolazione “prima casa” spetti a prescindere dal fatto che si tratti di una casa destinata ad abitazione principale dell’utilizzatore.
R. L’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, come modificato dall’art. 1, comma 83, della legge di Stabilità 2016 prevede l’applicazione dell’imposta di registro nella misura dell’1,5 per cento per i trasferimenti effettuati nei confronti di banche e intermediari finanziari autorizzati all’esercizio dell’attività di leasing finanziario aventi per oggetto case di abitazione, di categoria catastale diversa da A1, A8 e A9, acquisite in locazione finanziaria da utilizzatori per i quali ricorrono le condizioni di cui alla nota II-bis e II-sexies.
L’aliquota dell’1,5 per cento dell’imposta di registro trova applicazione all’atto di trasferimento dell’immobile a favore della società di leasing in presenza delle condizioni stabilite dalla Nota II-bis che devono essere sussistere in capo all’utilizzatore e, dunque a prescindere dalla circostanza che tale soggetto destini l’immobile oggetto del contratto di locazione finanziaria a propria abitazione principale.
9.2 Agevolazione prima casa: dichiarazioni dell’acquirente/concedente
D. L’art. 1, comma 83, della legge di Stabilità 2016 dispone che all’acquisto della società concedente (effettuato tra il 1° gennaio 2016 e il 31 dicembre 2020) si applichi l’agevolazione “prima casa” se ricorrono in capo all’utilizzatore i requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla Nota II-bis all’art. 1 della Tariffa.
Al riguardo, si chiede se le dichiarazioni richieste dalla legge all’acquirente quale presupposto per ottenere l’agevolazione “prima casa” (ad esempio la dichiarazione di non avere la proprietà di altre case nel Comune) devono essere fatte dall’utilizzatore nel contratto di leasing o nel contratto di compravendita tra il fornitore e la società concedente.
Se queste dichiarazioni devono essere fatte nel contratto di leasing, vanno ripetute nel contratto di compravendita dall’utilizzatore o dall’acquirente? In altre parole, l’utilizzatore deve intervenire al contratto di compravendita?
R. Com’è noto, ai fini dell’applicazione delle agevolazioni “prima casa”, devono ricorrere le condizioni previste dalla nota II-bis all’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR.
Tale disposizione stabilisce che le agevolazioni spettano a condizione che:
a) l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero, che l’immobile sia acquistato come prima casa sul territorio italiano. La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistato deve essere resa, a pena di decadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto;
b) nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
c) nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni “prima casa”.
La richiamata disciplina è stata integrata dall’art. 1, comma 83, della legge di Stabilità 2016, che alla lettera b), n. 2), ha previsto l’inserimento nell’art. 1 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, della nota II-sexies. Tale disposizione stabilisce che “nell’applicazione della nota II-bis ai trasferimenti effettuati nei confronti di banche e intermediari finanziari autorizzati all’esercizio dell’attività di leasing finanziario, si considera, in luogo dell’acquirente, l’utilizzatore e, in luogo dell’atto di acquisto, il contratto di locazione finanziaria”.
Dall’esame delle richiamate disposizioni, emerge, dunque che le condizioni per applicare le agevolazioni “prima casa” all’atto di trasferimento dell’immobile devono ricorrere in capo all’utilizzatore e che tale soggetto sarà tenuto ad effettuare le dichiarazioni relative al possesso dei requisiti previsti dalla nota II-bis.
Tali dichiarazioni potranno essere rese dall’utilizzatore sia nell’atto di acquisto dell’immobile da parte della società di leasing, intervenendo volontariamente all’atto, sia nel contratto di locazione finanziaria dell’immobile.
In tale ultima ipotesi, tuttavia, è necessario, ai fini dell’applicazione delle agevolazioni “prima casa” che il contratto di locazione finanziaria venga prodotto per la registrazione unitamente all’atto di trasferimento dell’immobile.
9.3 Registrazione del contratto di leasing enunciato nell’atto di compravendita
D. Il contratto di leasing (che è stipulato tra la società concedente e il soggetto utilizzatore) non deve essere registrato in termine fisso, perché è soggetto a registrazione solo in caso d’uso. Il successivo contratto di compravendita, stipulato in esecuzione del contratto di leasing, è usualmente firmato da tre soggetti (venditore, società concedente e soggetto utilizzatore). Nel contratto di compravendita è inevitabilmente fatta enunciazione del contratto di leasing. Questa enunciazione comporta la tassazione del contratto di leasing enunciato?
R. La Nota I all’art. 1 della Tariffa, parte seconda, allegata al TUR, stabilisce che “i contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari e finanziari e al credito al consumo, ivi compresi quelli di locazione finanziaria immobiliare, per i quali il Titolo VI del decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, prescrive a pena di nullità la forma scritta, sono assoggettati a registrazione solo in caso d’uso”.
Pertanto, gli atti aventi ad oggetto i contratti di locazione finanziaria immobiliare, se non formati per atto pubblico o scrittura privata autenticata, sono soggetti a registrazione solo in caso d’uso.
Ai sensi dell’art. 22 del TUR “se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere tra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. Se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69”. Come precisato dalla Corte di Cassazione, con sentenza 14 marzo 2007, n. 5946, la disposizione dell’art. 22 del TUR si riferisce anche all’enunciazione di atti soggetti a registrazione solo in caso d’uso. La Suprema Corte ha, infatti, chiarito che “… se il legislatore ha specificato, nella parte finale del comma 1, che se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69 è evidente che ha inteso includere anche gli atti soggetti a registrazione in caso d’uso …” tra quelli per i quali trova applicazione l’art. 22 del TUR. Pertanto, nel caso in cui nel contratto di compravendita nel quale interviene anche l’utilizzatore del contratto di leasing si faccia riferimento al precedente contratto di leasing stipulato e non registrato, detta enunciazione comporta l’applicazione dell’imposta di registro anche per l disposizione enunciata. Si precisa che per l’enunciazione del contratto di locazione finanziaria l’imposta di registro è dovuta nella misura fissa in applicazione del primo periodo del comma 1 dell’art. 40 del TUR secondo cui: “per gli atti relativi a cessione di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa”.
10. maxiammortamenti
10.1 Applicazione ai fini IRAP
D. La norma sui maxiammortamenti introduce l’agevolazione “ai fini delle imposte sui redditi”. Il “bonus” si applica ai fini IRAP?
R. L’art. 1, comma 91, della legge di Stabilità stabilisce che “ai fini delle imposte sui redditi, per i soggetti titolari di reddito d’impresa e per gli esercenti arti e professioni che effettuano investimenti in beni materiali strumentali nuovi dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016, con esclusivo riferimento alla determinazione delle quote di ammortamento e dei canoni di locazione finanziaria, il costo di acquisizione è maggiorato del 40 per cento”. Dal tenore letterale della norma si evince che l’applicazione della norma riguarda soltanto le imposte sui redditi e non produce effetti ai fini dell’IRAP. In particolare, si precisa che la disposizione in esame non produce effetti neanche nei confronti dei soggetti che determinano la base imponibile del tributo regionale secondo i criteri stabili per le imposte sui redditi, come ad esempio i soggetti che applicano le disposizioni di cui all’art. 5-bis del D.lgs. n. 446 del 1997.
10.2 Maggiorazione del costo
D. La maggiorazione del costo rileva “con esclusivo riferimento alla determinazione delle quote di ammortamento e dei canoni di locazione finanziaria”. Sembra quindi esclusa ogni rilevanza ai fini del calcolo dei parametri utilizzati per effettuare il test di operatività delle società non operative. È corretta questa interpretazione?
R. Sulla base del tenore letterale dell’art. 1, comma 91, della legge di Stabilità, la maggiorazione del costo si applica esclusivamente con “riferimento alla determinazione delle quote di ammortamento e dei canoni di locazione finanziaria”. Ne deriva che tale maggiorazione non rileva ai fini del test di operatività.
10.3 Società non operative
D. Se una società consegue il reddito minimo richiesto dalla normativa sulle società non operative, ma per effetto dei super ammortamenti il reddito finale dichiarato scende al di sotto di questo livello, si chiede quali siano gli effetti rispetto alla disciplina di tali società.
R. Si conferma che la disciplina delle società non operative non implica il venir meno delle agevolazioni fiscali previste da specifiche disposizioni di legge (cfr. circolare n. 25/E del 20076 e circolare n. 53/E del 20097). Ne deriva che la maggiore quota di ammortamento del periodo d’imposta (derivante dall’agevolazione) riduce il reddito minimo presunto rilevante nella disciplina delle società di comodo.
10.4 Imputazione al periodo di vigenza
D. Per fruire dell’agevolazione gli investimenti devono essere “effettuati” entro il 31 dicembre 2016. Trattandosi di acquisti di beni mobili, la data di effettuazione dell’investimento è quella di consegna o di spedizione del bene. L’agevolazione, però, consiste in un aumento della quota di ammortamento, e quindi diventa imprescindibile l’entrata in funzione del bene stesso, senza la quale l’ammortamento non inizierebbe. Si chiede una conferma della seguente impostazione: se un bene mobile, per esempio un impianto, viene consegnato entro il 31 dicembre 2016, ma entra in funzione successivamente, si tratta comunque di un bene agevolato, i cui ammortamenti potranno essere aumentati a partire dal periodo, successivo al 2016, nel quale il bene entra in funzione.
R. Sotto il profilo temporale, il comma 91 dell’art. 1 della legge di Stabilità dispone che la maggiorazione del 40 per cento del costo di acquisizione compete per gli investimenti effettuati in beni materiali strumentali nuovi “dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016”. Ai fini della determinazione della spettanza della predetta maggiorazione, si è dell’avviso che l’imputazione degli investimenti al periodo di vigenza dell’agevolazione segua le regole generali della competenza previste dall’art. 109, commi 1 e 2, del TUIR. Si ritiene, inoltre, che la maggiorazione in questione, traducendosi in sostanza in un incremento del costo fiscalmente ammortizzabile, possa essere dedotta – conformemente a quanto previsto dall’art. 102, comma 1, del TUIR – solo “a partire dall’esercizio di entrata in funzione del bene”. Pertanto, si condivide la soluzione prospettata nel quesito.
10.5 Contribuenti forfetari
D. La maggiorazione degli ammortamenti deducibili spetta anche ai contribuenti che hanno adottato il regime forfetario?
R. La possibilità di usufruire della maggiorazione del 40 per cento deve essere esclusa per i contribuenti forfetari, che determinano il reddito attraverso l’applicazione di un coefficiente di redditività al volume dei ricavi o compensi. In tale ipotesi, infatti, l’ammontare dei costi sostenuti dal contribuente (inclusi quelli relativi all’acquisto di beni strumentali nuovi) non rileva ai fini del calcolo del reddito imponibile.
10.6 Superamento della maggiorazione del 40 per cento
D. Si chiede di chiarire il comportamento da adottare nel caso in cui, per i beni il cui costo unitario non è superiore a 516,46 euro, la maggiorazione del 40 produca il superamento di detto limite. Ad esempio, se viene acquistato un bene per un valore di 516,00 euro, che verrebbe interamente dedotto nell’esercizio, con la maggiorazione del 40 per cento prevista dall’agevolazione, il costo risulterebbe maggiorato a 722,40 euro, superiore al limite di 516,46 euro. In questo caso sembrano possibili due soluzioni:1) il bene “agevolato” può esser dedotto per intero per 722,40 euro; 2) il bene, superando il limite, deve essere ammortizzato secondo i coefficienti Tabellari previsti dal D.M. 31 dicembre 1988. Quale delle due è la soluzione corretta?
R. Per i beni il cui costo unitario non è superiore a 516,46 euro, l’art. 102, comma 5, del TUIR consente “la deduzione integrale delle spese di acquisizione nell’esercizio in cui sono state sostenute”.
L’art. 1, comma 91, della legge di Stabilità 2016 prevede che per gli investimenti in beni materiali strumentali nuovi effettuati dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016, “il costo di acquisizione è maggiorato del 40 per cento”.
Visto che, ai sensi del medesimo comma 91, tale maggiorazione opera “con esclusivo riferimento alla determinazione delle quote di ammortamento”, si ritiene che essa non influisca sul limite di 516,46 euro previsto dall’art. 102, comma 5, del TUIR. Pertanto, la possibilità di deduzione integrale nell’esercizio non viene meno neanche nell’ipotesi in cui il costo del bene superi i 516,46 euro per effetto della maggiorazione del 40 per cento.
Si condivide, quindi, la soluzione 1).
10.7 Spettanza ai contribuenti minimi
D. La maggiorazione degli ammortamenti deducibili spetta anche ai contribuenti che hanno adottato il regime dei minimi?
R. Il procedimento di determinazione del reddito dei contribuenti minimi prevede che il costo di acquisto dei beni strumentali è deducibile dal reddito dell’esercizio in cui è avvenuto il pagamento (principio di cassa). Si ritiene che la deduzione del costo di acquisto di un bene strumentale secondo il principio di cassa non sia di ostacolo alla fruizione del beneficio in esame trattandosi, in sostanza, di una diversa modalità temporale di deduzione del medesimo costo.
10.8 Ammortamenti civilistici e variazione in diminuzione ai fini fiscali
D. La norma sui maxiammortamenti prevede una maggiorazione del costo ai fini dell’imposta sul reddito. È da chiarire il legame tra ammortamenti civilistici e variazione in diminuzione a fini fiscali, soprattutto quando l’importo imputato a bilancio è inferiore a quanto previsto dal D.M. 31 dicembre 1988. Ad esempio, per un bene di costo 100, con coefficiente di ammortamento 10, la variazione in diminuzione è pari a 4 (cioè al 10 per cento del maggior costo figurativo di 40). Se però l’impresa imputa a conto economico un ammortamento ridotto, per esempio pari a 8, ci si chiede se la variazione in diminuzione debba essere commisurata a questo importo (diventando 3,2, e cioè il 40 per cento di 8) oppure se rimanga possibile effettuare la variazione in diminuzione a fini fiscali pari a 4. La seconda soluzione è quella che sembra più conforme alla norma. Si chiede una conferma.
R. Si condivide la soluzione proposta. In considerazione del fatto che la maggiorazione del 40 per cento si concretizza in una deduzione che opera in via extracontabile, non correlata alle valutazioni di bilancio, si ritiene che la stessa vada fruita in base ai coefficienti di ammortamento stabiliti dal D.M. 31 dicembre 1988, a partire dall’esercizio di entrata in funzione del bene. In caso di cessione o di eliminazione del bene stesso dal processo produttivo, non si potrà fruire di eventuali quote non dedotte della maggiorazione.
11. nuovo regime sanzionatorio
11.1 Favor rei
D. Il nuovo sistema sanzionatorio decorrente dal 2016 sarà applicabile alle violazioni commesse dal 1° gennaio 2016 ovvero dagli atti emessi da tale data anche se riferiti a violazioni commesse in precedenza? Per gli atti già notificati ai contribuenti e non ancora divenuti definitivi è applicabile il favor rei in base alle nuove sanzioni previste?
R. Il D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, emanato in attuazione della delega contenuta nell’art. 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23, prevede al Titolo II la revisione del sistema sanzionatorio amministrativo. Per effetto di quanto previsto dall’art. 1, comma 33, della legge di Stabilità 2016, che ha modificato l’art. 32 del citato D.lgs. n. 158/2015, gli effetti delle modifiche normative in commento decorrono dal 1° gennaio 2016.
Tuttavia, in applicazione del principio di legalità (c.d. favor rei) contenuto nell’art. 3 del D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, le modifiche delle diposizioni sanzionatorie aventi effetti per il contribuente più favorevoli rispetto alla previgente disciplina sono applicate a violazioni commesse anche prima del 1° gennaio 2016, relativamente alle situazioni non ancora rese definitive.
Il citato principio, in una ottica di favore per il contribuente, prevede infatti che nessuno possa essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile e che, se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applichi la legge più favorevole, salvo che il provvedimento sia divenuto definitivo.
Pertanto, le sanzioni più favorevoli al contribuente, determinate secondo le disposizioni che disciplinano la revisione del sistema sanzionatorio amministrativo, trovano applicazione anche in relazione alle violazioni contestate in atti notificati prima della decorrenza degli effetti della nuova normativa (1° gennaio 2016), a condizione che non siano divenuti definitivi.
Peraltro, le misure più favorevoli al contribuente delle sanzioni previste dalla nuova disciplina sanzionatoria trovano applicazione anche in sede di ravvedimento operoso in relazione alle violazioni commesse prima del 1° gennaio 2016.
11.2 Responsabilità solidale nella cessione da liquidazione del patrimonio
D. In tema di responsabilità solidale prevista nelle ipotesi di trasferimento di azienda tra cedente e cessionario, il nuovo art. 14 del D.lgs. n. 472 del 1997 prevede che non sia applicata la disposizione quando la cessione avviene nell’ambito della “liquidazione del patrimonio”. È quindi corretto ritenere che in tutte le ipotesi di liquidazione di società non sia necessario reperire il certificato dei carichi fiscali pendenti poiché è esclusa la responsabilità dell’acquirente?
R. L’art. 14 del D.lgs. n. 472 del 1997 disciplina la materia della responsabilità solidale tra cedente e cessionario nell’ambito della cessione di azienda, limitandola al valore dell’azienda stessa e con l’obbligo per l’Ufficio creditore di procedere, in primis, in via esecutiva nei confronti del cedente.
Il comma 2 del citato art. 14 prevede un’ulteriore limitazione alla responsabilità del cessionario, disponendo che la sua obbligazione è limitata al debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti degli Uffici finanziari o di altri Enti creditori, fatte salve le ipotesi di cessione in frode ai crediti tributari.
Al riguardo, ai sensi del successivo comma 3, il cessionario ha la facoltà di chiedere agli Uffici creditori il rilascio di un certificato in ordine all’esistenza di contestazioni in corso e di quelle già definite per le quali i debiti non sono stati ancora soddisfatti alla data della richiesta. Tale certificato, se negativo, ha effetto liberatorio per il cessionario.
Il nuovo comma 5-bis del richiamato art. 14 – introdotto dall’art. 16, comma 1, lettera g), del D.lgs. n. 158 del 2015, in vigore dal 1° gennaio 2016 – esclude la responsabilità solidale del cessionario quando la cessione avviene nell’ambito di una procedura concorsuale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis del R.D. n. 267 del 1942, di un piano attestato ai sensi dell’art. 67, terzo comma, lettera d), del predetto R.D. o di un procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio.
Tanto premesso, si ritiene che, a decorrere dal 1° gennaio 2016, laddove la cessione di azienda avvenga nell’ambito delle procedure richiamate nell’art. 14, comma 5-bis, del D.lgs. n. 472 del 1997 – e, quindi, nel caso di liquidazione del patrimonio, in applicazione delle disposizioni contenute nel Capo II, Sezione II, della legge n. 3 del 2012 – il cessionario possa non richiedere il certificato dei carichi fiscali pendenti.
La responsabilità solidale del cessionario non è, invece, esclusa – e, quindi, lo stesso non è esonerato dal chiedere il certificato dei carichi fiscali pendenti ove voglia escludere la responsabilità solidale – nelle ipotesi di liquidazione ordinaria volontaria.
12. patent box
12.1 Complementarietà di beni ai fini dell’agevolazione
D. Secondo il comma 42-ter della legge n. 190/2014 (introdotto dalla legge di Stabilità) distinti beni immateriali – che siano legati da vincoli di complementarietà e vengano utilizzati congiuntamente per realizzare un prodotto o un processo, o famiglie di prodotti o processi – possono costituire un solo bene immateriale ai fini dell’agevolazione patent box. Questa disposizione ha carattere procedurale e può essere applicata anche per i regimi avviati con decorrenza dall’esercizio 2015, cioè alle opzioni e istanze di ruling presentate entro il 31 dicembre scorso?
R. L’art. 6, comma 3, del D.M. 30 luglio 2015 prevede che “qualora, nell’ambito delle singole tipologie dei beni immateriali individuati al comma 1 del presente art., due o più beni appartenenti ad un medesimo soggetto siano collegati da un vincolo di complementarietà tale per cui la finalizzazione di un prodotto o di un processo sia subordinata all’uso congiunto degli stessi, tali beni immateriali costituiscono un solo bene immateriale ai fini dell’applicazione delle disposizioni del presente decreto”. L’art. 1, comma 148, della legge Stabilità 2016 ha modificato l’art. 1 della legge di Stabilità 2015 introducendo il nuovo comma 42-ter. Attraverso questo intervento, il legislatore ha chiarito che più beni collegati da un vincolo di complementarietà possono costituire un solo bene immateriale ai fini dell’agevolazione in argomento. In sostanza, il vincolo di complementarietà non è più limitato a beni della stessa tipologia e può riguardare anche beni di tipologia diversa utilizzati congiuntamente per le realizzazione di un prodotto o processo. Si ritiene che tale nuova disposizione possa applicarsi anche ai regimi avviati con decorrenza dall’esercizio 2015, cioè alle opzioni e istanze di ruling presentate entro il 31 dicembre 2015.
12.2 Individuazione del metodo più appropriato di valutazione del prezzo di trasferimento di beni immateriali o dei diritti sugli stessi
D. L’art. 12 del D.M. 30 luglio 2015 stabilisce che la determinazione del contributo economico alla produzione del reddito derivante dall’utilizzo diretto dei beni immateriali è effettuata, nell’ambito di un ruling con l’Agenzia delle entrate, sulla base degli standard internazionali dell’OCSE, con particolare riferimento alle linee guida sui prezzi di trasferimento. Il Discussion paper diffuso in bozza dall’Organismo italiano di valutazione in data 4 dicembre 2015 illustra quattro metodi per la determinazione di tale contributo economico. Si chiede conferma che tali metodi sono ritenuti conformi alle indicazioni del D.M. e che, dunque, i contribuenti possono utilizzarli nell’ambito dei ruling in fase di attuazione. Si chiede, altresì, se vi sono altri metodi che l’Agenzia delle entrate ritiene possano eventualmente essere adottati nei descritti ruling.
R. L’art. 12 del D.M. 30 luglio 2015, al punto 3, stabilisce che ai fini della determinazione del contributo economico alla produzione del reddito d’impresa derivante dall’utilizzo diretto dei beni immateriali, lo stesso vada determinato sulla base degli “standard internazionali rilevanti elaborati dall’OCSE con particolare riferimento alle linee guida in materia di prezzi di trasferimento”.
Il nuovo Capitolo VI delle linee guida OCSE in materia di prezzi di trasferimento, denominato “Intangibles”, al paragrafo D.2.5., fornisce alcune indicazioni per la selezione del metodo più appropriato finalizzato alla valutazione del prezzo di trasferimento di beni immateriali o dei diritti sugli stessi. Al riguardo, si evidenzia che i principi da seguire nella selezione del MAM (most appropriate method) sono quelli tracciati nel Capitolo II delle Guidelines OCSE, paragrafi dal 2.1 al 2.11.
Come detto, anche nell’ambito delle transazioni intercompany aventi ad oggetto beni immateriali, valgono gli stessi principi e le stesse regole previste per le altre tipologie di beni. Pertanto, occorre applicare il metodo più appropriato al caso di specie tenendo conto che, a parità di condizioni di applicabilità:
– il metodo del confronto di prezzo (CUP) è preferibile a tutti gli altri;
– i metodi tradizionali basati sulla transazione sono preferibili a quelli reddituali basati sull’utile delle transazioni (es. profit split).
Tuttavia, pur sussistendo tale “gerarchia naturale”, come precisato nel Capitolo II, esistono situazioni in cui i metodi basati sull’utile possono risultare più appropriati rispetto ai metodi tradizionali.
Ad esempio, nel caso in cui siano implicati beni immateriali di elevato valore e caratterizzati da profili di unicità, ovvero vi sia una carenza di informazioni disponibili e/o affidabili, può risultare difficile individuare sul mercato transazioni comparabili tra imprese indipendenti.
In tali casi, il metodo più appropriato può rivelarsi quello di ripartizione dell’utile (profit split).
Nell’ambito dell’applicazione del metodo del profit split, le Direttive OCSE, sia nel capitolo VI, sia nel Capitolo II, suggeriscono la possibilità di fare riferimento ai flussi attualizzati di reddito o di cassa attesi dalla parti della transazione, sia per la ripartizione del profitto residuale, sia come vero e proprio metodo di ripartizione degli utili.
Inoltre, al capitolo VI sugli “Intangibles” viene ulteriormente precisato che laddove non sia possibile identificare transazioni comparabili tra parti indipendenti sul libero mercato e, quindi, non sia possibile applicare i metodi tradizionali e reddituali previsti al capitolo II delle Direttive OCSE, è possibile utilizzare delle “valutazioni tecniche” per stimare il prezzo ad “arm’s length” del valore di trasferimento del bene immateriale.
In particolare, l’utilizzo di tecniche di valutazione basate sul reddito, che considerino quale premessa il calcolo del valore attualizzato del flussi di reddito o dei flussi di cassa previsti futuri derivanti dallo sfruttamento dell’intangibile, possono essere particolarmente utili se correttamente applicate.
A seconda dei fatti e circostanze, le tecniche di valutazione possono essere utilizzate dai contribuenti e dalle amministrazioni fiscali come modalità applicative di uno dei metodi OCSE sui prezzi di trasferimento descritti nel capitolo II, o come strumento che può essere utilmente applicato per identificare il prezzo di mercato.
Ad ulteriore supporto di quanto appena riferito, si rappresenta che il punto 2.9 del Capitolo II delle Guide Lines, consente l’applicazione di metodi differenti da quelli da esse previsti, purché i prezzi così determinati siano conformi al principio di “arm’s length” sancito in ambito OCSE e contenuto nelle Linee Guida stesse.
Tali altri metodi, tuttavia, non dovrebbero essere utilizzati in sostituzione dei metodi previsti nel Capitolo II delle Linee Guida dall’OCSE, nel caso in cui questi ultimi risultino più appropriati tenendo conto dei fatti e delle circostanze di specie.
Si precisa, infine, che nei casi in cui si ricorra ad altri metodi, la relativa selezione andrebbe suffragata da una spiegazione del perché i metodi riconosciuti dall’OCSE siano stati considerati meno appropriati o non praticabili nelle circostanze di specie e delle ragioni per le quali si è ritenuto che il metodo selezionato fornisse una soluzione migliore.
13. procedure concorsuali
13.1 Note di variazione – Obblighi IVA del curatore o commissario
D. La nuova versione dell’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972 prevede che nelle ipotesi di procedure concorsuali elencate nel comma 11, l’organo della procedura che riceve la nota di accredito non dovrà annotarla con il segno meno nel registro degli acquisti. Questo comporta che mentre il cedente o il prestatore recupera l’IVA corrispondente al corrispettivo non riscosso, la procedura non deve specularmente rendersi debitrice dell’IVA e di conseguenza dell’imposta se ne fa carico lo Stato. Tale precisazione è opportuna in quanto in futuro la nota di credito potrà essere emessa all’inizio della procedura e non alla fine della medesima come avviene ora; quindi il curatore o commissario che deve assolvere anche gli obblighi ai fini dell’IVA potrà ignorare la nota di credito ricevuta?
R. L’art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972, come sostituito dall’art. 1, comma 126, legge di Stabilità stabilisce, al comma 4, che la nota di variazione in diminuzione può essere emessa dal cedente o prestatore, in caso il mancato pagamento, a partire dalla data della sentenza che dichiara il fallimento del debitore, o dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti, di cui all’art. 182-bis della legge Fallimentare, o dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell’art. 67, terzo comma, lettera d), della stessa legge.
Il successivo comma 5 prevede che, a fronte della variazione in diminuzione effettuata dal creditore non sussiste, in caso di procedura concorsuale, l’obbligo di registrazione della corrispondente variazione in aumento. A ciò consegue che la procedura non è, altresì, tenuta al versamento della relativa imposta non essendone debitrice.
13.2 Accordi di ristrutturazione del debito
D. Gli accordi di ristrutturazione del debito di cui all’art. 182-bis, nonché il piano attestato di cui all’art.67, comma 3, lettera d) della legge Fallimentare, non vengono classificati tra le procedure concorsuali. Pertanto, il debitore che a seguito della riduzione dell’ammontare dei debiti, accettata dai fornitori, riceve la nota di accredito, la deve registrare con il segno meno nel registro degli acquisti rendendosi debitore dell’imposta. Questa fattispecie assume particolare rilevanza ai fini della tenuta del piano di ristrutturazione in quanto se ad esempio viene concordato uno stralcio del 30 per cento dei debiti occorre considerare che il debitore dovrà versare l’IVA corrispondente. È questa l’interpretazione da fornire alla disposizione?
R. L’art. 1, comma 126 della legge di Stabilità 2016 ha sostituito integralmente l’art. 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Variazioni dell’imponibile o dell’imposta). In particolare, il secondo periodo del comma 5 del vigente art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972 prevede che l’obbligo del cessionario o committente di registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa, “non si applica nel caso di procedure concorsuali di cui al comma 4, lettera a)”.
Il richiamo alle sole procedure concorsuali comporta che nell’ipotesi di accordo di ristrutturazione dei debiti ovvero di un piano attestato ai sensi, rispettivamente, dell’art. 182-bis e dell’art. 67, terzo comma, lett. d), della legge Fallimentare, permane l’obbligo del cessionario o committente di registrare la variazione, in rettifica della detrazione originariamente operata. Pertanto, il cedente o prestatore del servizio può portare in detrazione l’IVA, nella misura esposta nella nota di variazione, mentre la controparte è tenuta a ridurre in pari misura la detrazione che aveva effettuato, riversando l’imposta all’Erario.
13.3 Revocatoria fallimentare – Pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso
D. Secondo l’art. 1, comma 77, della legge di Stabilità 2016, all’acquisto dell’immobile oggetto del contratto di leasing abitativo si applica l’art. 67, comma 3, lettera a), della legge Fallimentare (R.D. 267 del 1942), secondo il quale non sono soggetti all’azione revocatoria i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso. Si tratta dei pagamenti fatti dall’utilizzatore alla società concedente o dei pagamenti fatti dalla società concedente al venditore del bene poi concesso in godimento all’utilizzatore?
R. L’art. 1, comma 77, della legge di Stabilità 2016 prevede espressamente l’applicazione della disposizione di cui all’art. 67, terzo comma, lett. a), della legge Fallimentare all’ipotesi di acquisto dell’immobile oggetto del contratto di locazione finanziaria e non anche all’acquisto da parte dell’utilizzatore.
Inoltre, il richiamo contenuto nella citata norma della legge Fallimentare all’esercizio dell’attività d’impresa conferma che si possono considerare esclusi dall’azione revocatoria solo i pagamenti effettuati dal concedente, nel caso di specie la banca ovvero l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’art. 106 del D.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, al venditore dell’immobile oggetto del contratto di locazione finanziaria.
14. quadro rw
14.1 Sanzione per omessa compilazione
D. Si chiede a quale importo vada applicata la sanzione di cui all’art. 5 del d.l. n. 167 del 1990 nei seguenti casi di omessa compilazione del quadro RW.
Caso 1:
Colonna 7 (valore iniziale) |
Colonna 8 (valore finale) |
Colonna 10 (giorni) |
1.000.000
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1.100.000
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365
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Caso 2:
Colonna 7 (valore iniziale) |
Colonna 8 (valore finale) |
Colonna 10 (giorni) |
1.000.000
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1.015.323
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31
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1.015.323
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1.030.647
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28
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1.030.647
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1.045.970
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31
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1.045.970
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1.061.293
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30
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1.061.293
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1.076.616
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31
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1.076.616
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1.091.940
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30
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1.091.940
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1.107.263
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31
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1.107.263
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1.122.586
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31
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1.122.586
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1.137.909
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30
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1.137.909
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1.153.233
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31
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1.153.233
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1.168.556
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30
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1.168.556
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31
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Come si può notare, in entrambi i casi il valore finale medio (in funzione dei giorni di possesso) delle attività detenute all’estero è 1.100.000 euro. La differenza fra i due casi è che nel primo caso il capitale iniziale è sempre stato investito in un solo titolo che si è rivalutato, mentre, nel secondo caso, lo stesso capitale è stato oggetto di disinvestimento e reinvestimento ogni mese. Nel primo caso il totale degli importi di colonna 7 è 1.000.000 euro e quelli di colonna 8 è 1.100.000 euro; nel secondo caso il totale di colonna 7 è 13.011.335 euro e quello di colonna 8 è 13.195.214 euro. Si ritiene che le sanzioni debbano essere calcolate in entrambi i casi sui valori di colonna 8 ponderati con i giorni di possesso: 1.100.000 euro in entrambi i casi.
R. In merito alla compilazione del quadro RW, l’art. 4, comma 1, del d.l. n. 167 del 1990, nella formulazione vigente, dispone l’obbligo dichiarativo a carico delle persone fisiche, degli enti non commerciali e delle società semplici ed equiparate ai sensi dell’articolo 5 del TUIR, residenti in Italia e che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia.
Con particolare riferimento alla valorizzazione delle attività finanziarie, come riportato nelle istruzione di cui al modello Unico, devono essere adottati gli stessi criteri validi ai fini dell’Ivafe. Occorre quindi preliminarmente specificare se l’attività finanziaria detenuta all’estero sia riferibile alla detenzione di conti correnti (o libretti di risparmio) o se riferibili alla detenzione di altre attività finanziarie. Nel caso di detenzione di conti correnti, il criterio di compilazione è quello del valore medio di detenzione; diversamente il criterio di compilazione è il valore al termine del periodo di imposta o del periodo di detenzione.
Dal tenore del quesito, la fattispecie presentata risulta riferibile alla detenzione di un’attività finanziaria, e più in particolare alla detenzione, nel periodo di riferimento, di un singolo titolo. Nel primo caso il capitale iniziale è sempre stato investito in un solo titolo che si è rivalutato. Nel secondo caso, lo stesso capitale è stato oggetto di disinvestimento e reinvestimento in un singolo titolo al termine di ciascun mese.
In queste circostanze, quindi, le istruzioni della colonna 8 dei righi da RW1 a RW5 del modello Unico prevedono l’indicazione del valore al termine del periodo di detenzione.
Nelle ipotesi di omessa compilazione del modello RW, nel primo caso, la sanzione è determinata applicando la percentuale prevista dall’art. 5 del D.L. n. 167/90 al valore al termine del periodo di detenzione, rappresentato dall’intero anno, pari a euro 1.100.000.
Nel secondo caso, la determinazione della sanzione risulta più articolata, in quanto nell’arco di un anno risulta essere stato detenuto un singolo titolo in ciascun periodo di riferimento conseguente tra loro. Pertanto la sanzione dovrà essere determinata applicando la percentuale dall’art. 5 del D.L. n. 167/90 al valore al termine del periodo di detenzione di ciascun periodo di riferimento ponderato per i giorni di possesso. La somma delle sanzioni riferibili a ciascun periodo di riferimento ponderato per i giorni di possesso determinerà la sanzione complessiva dovuta per le violazioni della normativa sul monitoraggio fiscale.
Resta fermo che dal punto di vista della temporalità delle operazioni di investimento e disinvestimento rientranti all’interno di un unitario rapporto finanziario, l’individuazione del termine si riferisce al rapporto finanziario nel suo complesso. Pertanto, gli adempimenti dichiarativi previsti dovranno prevedere l’indicazione del valore iniziale e del valore finale di detenzione della relazione finanziaria, non rilevando le eventuali singole variazioni della composizione di quest’ultima. Per completezza, nel caso in cui le variazioni della composizione della relazione finanziaria siano riconducibili ad un apporto di capitale (versamento contanti, conferimento titoli, …), il momento di avvenuta variazione dovrà essere considerata come discriminante temporale da cui far discendere un nuovo adempimento dichiarativo. Pertanto, in tale fattispecie, gli adempimenti dichiarativi previsti, seppur inerenti alla medesima relazione finanziaria, saranno duplici:
1. si dovrà indicare in un rigo il valore iniziale e il valore finale di detenzione immediatamente antecedente al momento dell’apporto;
2. in un nuovo rigo, successivamente, si dovrà indicare il valore iniziale di detenzione successivo al momento dell’apporto e il valore finale.
A tale scopo, e solo con riferimento al modello Unico 2016, in via transitoria, il codice da utilizzare sarà il 14 “Altre attività estere di natura finanziaria”, rinviando, per esigenze tecnico organizzative, l’individuazione di uno specifico codice al modello Unico 2017.
Per consentire l’attività di controllo, permane, comunque, l’onere per il contribuente di predisporre e conservare un apposito prospetto, da esibire o trasmettere su richiesta dell’Amministrazione finanziaria, in cui sono specificati i dati delle singole attività finanziarie valorizzate in conformità ai criteri di valorizzazione delle attività contenuti nella circolare 38/E del 2013.
La soluzione dell’utilizzo del valore medio di giacenza ponderato per i giorni di possesso, prospettata nel quesito, trova, invece, compimento per la detenzione di conti correnti (o libretti di risparmio), dove va tenuto conto, quindi, del valore finale medio pari a euro 1.100.000 in funzione dei giorni di possesso delle attività detenute all’estero.
Si rammenta, inoltre, che tra gli adempimenti previsti per la dichiarazione di conti correnti all’estero (detenuti in Paesi non collaborativi) è richiesta l’indicazione, nella colonna 9 dei righi da RW1 a RW5 del modello Unico, dell’ammontare massimo raggiunto dall’attività nel corso del periodo d’imposta: il valore a base della determinazione della sanzione resta comunque il valore medio di giacenza da indicare nella colonna 8 dei righi da RW1 a RW5 del modello Unico.
14.2 Oggetti obbligati al versamento dell’Ivafe
D. I soggetti delegati su un conto estero, per i quali esiste comunque l’obbligo di compilazione del modulo RW, sono tenuti al versamento dell’Ivafepro quota o trattandosi di un’imposta patrimoniale è tenuto al versamento solo il titolare della disponibilità finanziaria?
Risposta
Come già precisato nella circolare n. 28/E del 2 luglio 20128 (§ 2.1), si ribadisce che l’Ivafe è dovuta dalle persone fisiche residenti che detengono all’estero attività finanziarie a titolo di proprietà o di altro diritto reale, indipendentemente dalle modalità della loro acquisizione e, quindi, anche se pervengono da eredità o donazioni.
Pertanto, i soggetti delegati su un conto estero, comunque obbligati alla compilazione del modulo RW, non sono tenuti al versamento dell’Ivafe.
15. ravvedimento
15.1 Richiesta di documentazione necessaria alla verifica dei dati indicati nella dichiarazione dei redditi
D. La prima comunicazione inviata dagli uffici per avviare i controlli formali (ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973), con la quale è normalmente richiesta la documentazione ai fini della verifica dei dati indicati nella dichiarazione, è ostativa al ravvedimento di eventuali irregolarità scoperte in sede di reperimento dei documenti richiesti?
R. Il comma 1 dell’art. 13 del D.lgs. n. 472 del 1997 consente l’accesso al ravvedimento “sempreché la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l’autore o i soggetti solidalmente obbligati abbiano avuto formale conoscenza”.
Per effetto del comma 1-ter del medesimo art. 13, tuttavia, la suddetta preclusione non opera per i tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate “salva la notifica degli atti di liquidazione e di accertamento, comprese le comunicazioni recanti le somme dovute ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, e 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni”.
In altri termini, per quanto riguarda il controllo formale, l’accesso al ravvedimento è precluso dal recapito della comunicazione degli esiti del controllo effettuato ai sensi dell’art. 36-ter, recante l’indicazione delle somme dovute dal contribuente, e non dall’eventuale richiesta di documentazione, finalizzata alla verifica dei dati indicati nella dichiarazione dei redditi.
Pertanto, le comunicazioni con cui è richiesta la documentazione, inviate al soggetto che ha prestato l’assistenza fiscale (Caf o professionista abilitato) e/o al contribuente, non costituiscono una preclusione all’esercizio del ravvedimento da parte del contribuente, purché lo stesso avvenga prima della ricezione della comunicazione degli esiti del controllo effettuato ai sensi dell’art. 36-ter.
16. registro
16.1 Accordi di riduzione del canone di locazione
D. L’art. 19 del d.l. n. 133 del 2004 prevede che la registrazione dell’atto con il quale le parti dispongono esclusivamente la riduzione del canone di un contratto di locazione ancora in essere è esente dalle imposte di registro e di bollo. È giusto ritenere che l’esenzione vale anche nel caso di atti che prevedono una riduzione per un certo periodo di tempo, ad esempio per un anno?
Nel caso in cui la registrazione dell’accordo preveda la riduzione del canone per l’intera durata del contratto è giusto ritenere esente anche la registrazione di un eventuale nuovo accordo con il quale, in un momento successivo, si riporta il canone al livello originariamente pattuito?
R. L’art. 19, comma 1, del d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito con la legge 11 novembre 2014, n. 164, stabilisce che la registrazione dell’atto, con il quale le parti dispongono esclusivamente la riduzione del canone di un contratto di locazione in essere, è esente dall’imposta di registro e di bollo.
A parere della scrivente, tale agevolazione spetta anche nell’ipotesi in cui le parti concordino la riduzione del canone solo per un periodo di durata del contratto (ad esempio, un anno).
Il beneficio non spetta, invece, nell’ipotesi in cui, successivamente alla registrazione dell’accordo che prevede la riduzione del canone per l’intera durata contrattuale, venga riportato il canone al valore inizialmente pattuito, in quanto la citata norma agevolativa trova applicazione “esclusivamente” per l’accordo di riduzione.
17. ristrutturazioni edilizie
17.1 Bonus mobili e risparmio energetico
D. La detrazione per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici (art. 16, comma 2, del d.l. n. 63 del 2013) è riservata ai contribuenti che fruiscono della detrazione del 50 per cento sulle ristrutturazioni edilizie. La detrazione sugli arredi si applica alle spese sostenute dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2016, quella sulle ristrutturazioni edilizie alle spese sostenute dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2016. Fermo restando il rispetto degli altri requisiti, è corretto ritenere che un contribuente che ha sostenute spese di ristrutturazione nel secondo semestre del 2012 possa agevolare anche le spese per l’acquisto degli arredi sostenute nel 2016?
R. Con circolare n. 11 del 20149 (punto 5.6) è stato rappresentato che, per l’anno 2014, era possibile fruire del “bonus mobili” da parte dei contribuenti che avessero sostenuto, a decorrere dal 26 giugno 2012, spese per gli interventi edilizi indicati con la circolare n. 29/E del 201310.
Considerato che la disposizione agevolativa, originariamente prevista per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2015, è stata ulteriormente prorogata, spostando il predetto termine al 31 dicembre 2016, si ritiene che possano considerarsi agevolate anche le spese sostenute entro l’anno 2016, correlate a interventi di recupero del patrimonio edilizio, a decorrere dal 26 giugno 2012, fermo restando il rispetto del limite massimo di spesa agevolabile di 10 mila euro (cfr circ. n. 11 del 2014 par. 5.7).
17.2 IVA agevolata sui “beni significativi”
D. Rispetto ai “beni significativi”, l’art. 7, comma 1, lettera b), della legge n. 488 del 1999, in tema di aliquota d’imposta applicabile alle prestazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria sui fabbricati a destinazione abitativa, prevede che l’aliquota Iva agevolata venga applicata solo entro certi limiti di valore ai “beni significativi”, tra cui rientrano anche gli infissi interni ed esterni, la cui fabbricazione ha luogo normalmente su misura da parte di imprese artigiane. Si chiede di chiarire se le componenti e le parti staccate dall’infisso, come ad esempio le tapparelle e i materiali di consumo utilizzati in fase di montaggio, possano essere considerati come non facenti parte dell’infisso e – ai fini dell’applicazione dell’aliquota agevolata del 10 per cento – possano essere trattati al pari della prestazione di servizio.
R. Con risoluzione del 6 marzo 2015, n. 2511, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che il valore dei “beni significativi” deve essere determinato in base ai principi di carattere generale che disciplinano l’imposta su valore aggiunto, non contenendo la norma agevolativa alcuna previsione in ordine alla quantificazione dell’imponibile.
In particolare, come precisato nella circolare del 7 aprile 2000, n. 7112, “assume rilievo l’art. 13 del D.P.R. n. 633 del 1972 in base al quale la base imponibile Iva è costituita dall’ammontare dei corrispettivi dovuti al cedente o al prestatore secondo le condizioni contrattuali. Come valore dei beni elencati nel decreto ministeriale 29 dicembre 1999 deve quindi essere assunto quello risultante dall’accordo contrattuale stipulato dalle parti nell’esercizio della loro autonomia privata”.
Tale valore dovrà, comunque, pur nel rispetto dell’autonomia contrattuale della parti, tener conto di tutti gli oneri che concorrono alla produzione dei suddetti beni significativi e, dunque, sia delle materie prime che della manodopera impiegata per la produzione degli stessi.
Tutto ciò premesso, si ritiene che, ove nel quadro dell’intervento di installazione degli infissi siano forniti anche componenti e parti staccate degli stessi, sia necessario verificare se tali parti siano connotate o meno da una autonomia funzionale rispetto al manufatto principale. Solo in presenza di detta autonomia il componente, o la parte staccata, non deve essere ricompresa nel valore dell’infisso, ai fini della verifica della quota di valore eventualmente non agevolabile.
Se il componente o la parte staccata concorre alla normale funzionalità dell’infisso, invece, deve ritenersi costituisca parte integrante dell’infisso stesso. In tale ipotesi, il valore del componente o della parte staccata deve confluire, ai fini della determinazione del limite cui applicare l’agevolazione, nel valore dei beni significativi e non nel valore della prestazione.
18. scontrini fiscali
18.1 Scontrino di chiusura giornaliera
D. Gli esercizi pubblici che protraggono la loro attività oltre le ore 24, come ad esempio i bar o i ristoranti, possono stampare lo scontrino di chiusura giornaliera, anziché entro le 24 di ciascun giorno, al termine di effettivo svolgimento dell’attività, con riferimento alla data di inizio della giornata? Lo scontrino di chiusura emesso alle ore 02.00 del 10 gennaio può essere annotato come corrispettivo del 9?
R. L’art. 1, comma 4, del D.P.R. 30 dicembre 1999, n. 544, dispone: “al termine di ogni giorno di attività è emesso dall’apparecchio misuratore fiscale un documento riepilogativo giornaliero degli incassi. Per gli esercizi la cui attività si protrae oltre le ore ventiquattro, il documento riepilogativo è emesso al termine dell’effettivo svolgimento dell’attività con riferimento alla data di inizio dell’evento”.
La norma in questione – dettata per gli esercenti attività di intrattenimento e spettacolo – è applicabile anche agli esercizi commerciali con attività protratta oltre la mezzanotte, con conseguente possibilità di emettere lo scontrino di chiusura giornaliera “al termine dell’effettivo svolgimento dell’attività, con riferimento alla data di inizio dell’evento (quindi anche oltre la mezzanotte)”.
Pertanto, lo scontrino di chiusura emesso alle ore 02:00 del 10 gennaio può essere annotato come corrispettivo del 9 gennaio.
19. tematiche afferenti il contenzioso e la riscossione
19.1 Riforma del contenzioso: conciliazione
19.1.1 Termini di esperimento della conciliazione “in udienza”
D. Nel silenzio del legislatore, si ritiene che dalla data dello scorso 1° gennaio (2016) operino le nuove norme sulla conciliazione, non avendo rilevanza il momento in cui il giudizio, di primo o di secondo grado, sia stato incardinato. Di conseguenza, se, per esempio, un appello fosse stato notificato a ottobre 2015 e/o fosse ancora nei termini per la relativa proposizione (per esempio 15 gennaio 2016) e l’udienza non si fosse ancora tenuta, le parti potrebbero depositare presso la segreteria della Commissione tributaria regionale l’istanza congiunta.
R. La nuova disciplina della conciliazione giudiziale, applicabile anche in grado di appello, opera per i giudizi pendenti alla data del 1° gennaio 2016. Ciò in conformità all’art. 12, comma 1, del D.lgs. n. 156/2015, la cui ratio è volta ad escludere le confusioni e le incertezze che deriverebbero da una previsione di applicabilità della riforma limitata ai soli giudizi instaurati dal 1° gennaio 2016.
La conciliazione “fuori udienza” – che si realizza attraverso il deposito in giudizio, non oltre l’ultima udienza di trattazione, di un’istanza congiunta – è esperibile qualora, alla data del 1° gennaio 2016, non si sia ancora tenuta l’ultima udienza di trattazione del giudizio di appello, senza che possa assumere rilevanza la data di notifica dell’appello e/o la pendenza del termine per la proposizione del gravame.
La conciliazione “in udienza” – per il cui tentativo è necessaria la trattazione in pubblica udienza – può essere esperita nei casi in cui, alla data del 1° gennaio 2016, non si sia ancora tenuta l’ultima udienza di trattazione del giudizio di appello oppure sia ancora possibile presentare l’istanza di discussione in pubblica udienza.
19.1.2 Ammissibilità delle liti riguardanti atti catastali e il diniego di agevolazioni
D. Sempre in tema di conciliazione si chiede se è possibile conciliare anche le liti su provvedimenti che, come gli avvisi di classamento o i dinieghi di un’agevolazione, non comportano la necessità di corrispondere un tributo o non possono beneficiare della riduzione delle sanzioni.
R. Il D.lgs. n. 156/2015 non ha modificato i presupposti per l’ammissibilità della conciliazione giudiziale, che resta applicabile alla generalità delle controversie tributarie e, quindi, anche a quelle riguardanti gli atti catastali.
Pertanto sono conciliabili anche le liti relative alle operazioni catastali, che hanno ad oggetto, ad esempio, la modifica del classamento o della rendita. In questa ipotesi, gli atti catastali verranno aggiornati a seguito del perfezionamento della conciliazione e nei termini risultanti dall’accordo.
Sono inoltre conciliabili le controversie che hanno ad oggetto il diniego – espresso o tacito – alla richiesta di agevolazioni.
19.1.3 Interessi relativi a rimborso conseguente a conciliazione
D. In caso di mediazione tributaria o di conciliazione di una controversia tributaria si chiede se sulle somme oggetto di rimborso, in assenza di indicazioni legislative, siano conteggiati gli interessi ai sensi dell’art. 6 del D.M. 21 maggio 2009.
R. Qualora la conciliazione giudiziale o la mediazione tributaria riguardino la restituzione di tributi indebitamente versati dal contribuente, spettano gli interessi di cui all’articolo 1 (Interesse per ritardato rimborso delle imposte) del D.M. 21 maggio 2009. Gli interessi sui rimborsi vanno calcolati con le stesse modalità, a prescindere dalla circostanza che il rimborso sia riconosciuto da un provvedimento amministrativo, da un accordo conciliativo o da una sentenza.
Il successivo articolo 6 dello stesso decreto ministeriale disciplina invece gli interessi per ritardato pagamento dei tributi dovuti dal contribuente essenzialmente a seguito di attività di controllo e liquidazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, eventualmente definiti anche in sede di mediazione o conciliazione.
19.1.4 Reclamo
D. In relazione al procedimento di mediazione restano valide le indicazioni dell’Agenzia delle entrate in merito alle modalità di calcolo del valore della controversia laddove l’avviso di accertamento rettifichi le perdite dichiarate?
Inoltre, valgono anche in relazione al reclamo le disposizioni introdotte all’articolo 42 del D.P.R. n. 600 del 1973 laddove si prevede che, in caso di presentazione di istanza per lo scomputo delle perdite pregresse, è sospeso il termine per la presentazione del ricorso?
R. Restano valide le indicazioni, contenute nel punto 1.3.1. della circolare n. 9/E del 19 marzo 201213, relative alle modalità di calcolo del valore della controversia laddove l’avviso di accertamento rettifichi le perdite dichiarate, in quanto in proposito non sono state apportate modifiche all’articolo 17-bis del D.lgs. n. 546/1992.
La sospensione del termine di impugnazione, prevista dal nuovo quarto comma dell’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973, vale per ogni ricorso, a prescindere dalla circostanza che l’impugnazione sia soggetta o meno al procedimento di mediazione.
19.1.5 Mediazione e conciliazione giudiziale
D. A seguito della modifica recata all’articolo 12, comma 8, del D.lgs. n. 472 del 1997 dal decreto di riforma del sistema sanzionatorio, come cambia la determinazione del cumulo delle sanzioni in sede di mediazione e di conciliazione?
R. Già nel vigore della precedente formulazione dell’articolo 12, comma 8, del D.lgs. n. 472/1997, la sanzione da irrogare anche in conciliazione e mediazione, in dipendenza di una pluralità di violazioni, era determinata dagli uffici, sulla base di una interpretazione logico sistematica, applicando separatamente il cumulo giuridico per ciascun tributo e per ciascun periodo d’imposta.
Una differente interpretazione della citata disposizione, infatti, avrebbe comportato un effetto distorsivo del sistema, poiché all’applicazione del cumulo giuridico per più tributi e per diversi anni d’imposta sarebbe potuto conseguire, in sede di conciliazione/mediazione, un beneficio maggiore di quello riconosciuto nella fase, antecedente, dell’accertamento con adesione.
La modifica recata dal D.lgs. n. 158/2015 ha, pertanto, esplicitato che anche per la mediazione tributaria e la conciliazione giudiziale le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si applicano “separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d’imposta”, confermando l’interpretazione sin qui seguita dagli uffici.
Come emerge anche dalla relazione illustrativa al decreto, il legislatore, sulla base delle medesima ratio che ha ispirato il comportamento degli uffici, ha inteso in tal modo superare “i possibili effetti distorsivi, che potrebbero indurre il contribuente a concludere con esito negativo il procedimento di accertamento con adesione, allo scopo di definire successivamente il medesimo atto in conciliazione”.
19.1.6 Sospensione processuale nei casi di procedure amichevoli
D. Le procedure amichevoli per evitare fenomeni di doppia imposizione in ambito internazionale (ai sensi delle Convenzioni bilaterali o in ambito europeo per le sole rettifiche in materia di prezzi di trasferimento intercompany ai sensi della Convenzione 90/436/CEE) di fatto erano alternative al procedimento contenzioso interno, in quanto vi era il rischio che i giudici nazionali decidessero in contrasto con il dispositivo dell’accordo amichevole eventualmente intervenuto tra le autorità competenti. Con la riforma del processo tributario, tuttavia, è stata prevista espressamente la facoltà delle parti processuali di ottenere, su concorde richiesta, la sospensione del processo quando sia iniziata una procedura amichevole. Tale novità di fatto permette di considerare superata l’alternatività tra procedure amichevoli internazionali e contenzioso tributario nazionale?
R. Per quanto riguarda le procedure amichevoli avviate ai sensi del Modello OCSE o della Convenzione n. 90/436/CEE in materia di prezzi di trasferimento, come chiarito nella circolare n. 21/E del 5 giugno 201214, l’apertura delle procedure può essere richiesta dal contribuente indipendentemente dal ricorso giurisdizionale.
L’opportunità di adire il giudice tributario corrisponde alla necessità di evitare che, in pendenza di procedura amichevole, l’imposta accertata in Italia diventi definitiva e, pertanto, non modificabile ai sensi dell’eventuale accordo raggiunto fra le autorità competenti.
Tuttavia, il contemporaneo svolgimento della procedura amichevole e del contenzioso interno determina la possibilità di un giudicato in contrasto con il dispositivo dell’eventuale accordo amichevole. Di conseguenza, qualora le autorità competenti addivengano a un accordo che elimina la doppia imposizione senza che sia ancora intervenuto un giudicato, presupposto necessario per l’esecuzione dell’accordo amichevole è l’accettazione dei suoi contenuti da parte del contribuente e la contestuale rinuncia al ricorso giurisdizionale.
Nell’ipotesi di mancato raggiungimento di un accordo amichevole, la Convenzione in materia di prezzi di trasferimento prevede all’art. 7 l’accesso alla fase arbitrale, affermando che “Qualora la legislazione interna d’uno Stato contraente non consenta alle Autorità di derogare alle decisioni delle rispettive Autorità giudiziarie, il paragrafo 1” – e, dunque, l’accesso alla fase arbitrale – “si applica soltanto se l’impresa associata di tale Stato ha lasciato scadere il termine di presentazione del ricorso o ha rinunciato a quest’ultimo prima che sia intervenuta una decisione”.
Al riguardo, nella citata circolare n. 21/E del 2012, considerato che nella giurisdizione italiana non è consentito all’autorità amministrativa di derogare a una sentenza, è stato chiarito che il primo paragrafo dell’articolo 7 della Convenzione arbitrale non può trovare applicazione in presenza di una decisione dell’autorità giudiziaria.
Da quanto evidenziato emerge che la facoltà concessa alle parti di chiedere la sospensione del processo quando sia iniziata una procedura amichevole – ai sensi del novellato art. 39, comma 1-ter, del D.lgs. n. 546/1992 – non comporta modifiche sotto il profilo dei rapporti tra le predette procedure amichevoli e il contenzioso interno. Invero, nell’ipotesi in cui sia disposta la sospensione del giudizio, resterà esclusa l’eventualità che intervengano giudicati ostativi ad un diverso componimento della questione; inoltre, in caso di esperibilità della fase arbitrale, l’assenza di pronunce intervenute nelle more garantirà la facoltà di optare per la procedura arbitrale, previa rinuncia al contenzioso interno, ovvero per la prosecuzione di quest’ultimo.
19.2. Riforma della riscossione
19.2.1 Acquiescenza a seguito di autotutela parziale
D. Nel caso di annullamento parziale in autotutela, il contribuente, alla luce delle novità recentemente introdotte, può prestare acquiescenza alla pretesa rideterminata, rinunciando così all’impugnazione. In questa ipotesi:
– è possibile, come sembrerebbe dal testo della norma, fruire della riduzione delle sanzioni al sesto di quanto irrogato quando l’atto che in origine era stato impugnato prevedeva questa facoltà ai sensi dell’ormai abrogato articolo 15, comma 2-bis, del D.lgs. n. 218 del 1997?
– è necessario il pagamento delle somme o della prima rata unitamente alla rinuncia all’impugnazione?
R. Il comma 1-sexies (1) dell’articolo 2-quater del d.l. n. 564/1994, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 656/1994, prevede che: “Nei casi di annullamento o revoca parziali dell’atto il contribuente può avvalersi degli istituti di definizione agevolata delle sanzioni previsti per l’atto oggetto di annullamento o revoca alle medesime condizioni esistenti alla data di notifica dell’atto purché rinunci al ricorso …”.
Il nuovo strumento deflattivo del contenzioso è volto a consentire al contribuente destinatario di un provvedimento di autotutela parziale relativo a un atto impugnato (2) di prestare acquiescenza alla pretesa come rideterminata in autotutela, alle stesse condizioni esistenti al momento della notifica dell’atto oggetto di parziale annullamento d’ufficio. In altri termini, si applica il regime di definizione agevolata dell’atto in vigore al tempo della sua notifica a prescindere dalla circostanza che sia stato successivamente abrogato o modificato.
Il beneficio riconosciuto al contribuente consiste nella riduzione della sanzione; se accede alla definizione agevolata, il contribuente paga: a) integralmente il tributo e i corrispondenti interessi, nonché eventuali contributi, nella misura rideterminata; b) la sanzione, rideterminata in base al tributo rettificato in autotutela, nella misura ridotta prevista in caso di acquiescenza, cioè di non impugnazione dell’atto tributario.
Con specifico riferimento al quesito, ciò significa che, nonostante l’intervenuta abrogazione dell’articolo 15, comma 2-bis, del D.lgs. n. 218/1997, che prevedeva la riduzione della sanzione al sesto in caso di rinuncia alla facoltà di proporre istanza di accertamento con adesione e impugnazione dell’avviso di accertamento, il contribuente, in caso di autotutela parziale in pendenza di giudizio, viene rimesso in termini per esercitare la facoltà di definire con la riduzione a un sesto della sanzione se al momento della notifica dell’atto impugnato aveva questa possibilità.
Più in generale, la definizione deve essere effettuata con le stesse modalità e termini previsti al momento della notifica dell’atto impugnato. Il termine di pagamento decorre dalla data di notifica al contribuente del provvedimento di autotutela parziale.
La norma non richiede la contestuale formalizzazione da parte del contribuente della rinuncia all’impugnazione proposta né subordina la definizione all’accettazione della rinuncia da parte dell’ente impositore.
Tale considerazione fa ritenere che il puntuale e tempestivo versamento integrale dell’importo dovuto – o della prima rata in caso di opzione per il pagamento rateale – sia sufficiente per il perfezionamento della definizione agevolata, dovendosi intendere come comportamento concludente con cui il contribuente manifesta la propria intenzione di rinunciare alla lite. Il contribuente può limitarsi a comunicare al Giudice tributario e all’Ufficio dell’Agenzia parte in giudizio che è venuta a cessare la materia del contendere, allegando la documentazione che attesta l’avvenuto pagamento e richiedendo la conseguente dichiarazione di estinzione del giudizio. In caso di inerzia del contribuente, la comunicazione e richiesta in questione possono essere formulate anche dall’Ufficio.
Le spese del giudizio sono compensate di diritto, come previsto dall’ultimo periodo del comma 1-sexies in commento, secondo cui “In tale ultimo caso le spese del giudizio restano a carico delle parti che le hanno sostenute”.
19.2.2 Definizione agevolata delle sanzioni
D. Il legislatore ha previsto che la decadenza non si verifica per gli inadempimenti dovuti a: – insufficiente versamento per un ammontare non superiore al 3% e, comunque, a 10 mila euro; – tardivo versamento non sia superiore a 7 giorni. Si chiede se alle medesime conclusioni si deve pervenire per la definizione agevolata delle sanzioni, i cui importi devono essere versati entro il termine per il ricorso.
R. La legge delega n. 23/2014, per la revisione del sistema fiscale, ha previsto la modifica del sistema sanzionatorio con l’introduzione del principio del lieve inadempimento in caso di ritardo di breve durata o di errori di limitata entità nel versamento delle somme dovute con espresso riferimento alla rateizzazione dei debiti tributari gestita dall’Agenzia delle entrate.
A questo riguardo si precisa che il legislatore delegato – nel recepire il principio in questione con l’art. 15-ter del D.P.R. n. 602/1973, introdotto dall’art. 3, comma 1, del D.lgs. n. 159/2015 – ha inteso riferirne la disciplina alle rateazioni disposte a seguito delle comunicazioni degli esiti derivanti da controllo automatizzato o formale ovvero dell’accertamento con adesione e degli altri istituti a questo assimilabili (ossia la definizione per omessa impugnazione, la mediazione e la conciliazione giudiziale) in virtù del richiamo all’art. 8 del D.lgs. n. 218/1997, prevedendone l’applicazione anche nei casi in cui il contribuente decida di pagare integralmente le somme dovute. In sintesi, il legislatore delegato ha inteso circoscrivere la disciplina del lieve inadempimento ai soli istituti innanzi menzionati.
L’estensione del lieve inadempimento a fattispecie ulteriori, come quella della definizione agevolata delle sanzioni, non trova espressa enunciazione nella norma.
19.2.3 Rateazione e sanzioni rimborsabili
D. Il D.lgs. n. 159/2015 nulla ha detto sul tema, ma dovrebbe essere naturale che, per effetto della riammissione al beneficio della rateazione, venga meno la sanzione del 60%. Il debitore, però, deve poter chiedere a rimborso o, in alternativa, compensare quanto pagato per effetto della applicazione della sanzione del 60%, al fine di evitare un’ingiustificata disparità di trattamento tra contribuenti. Si chiede conferma di tale indicazione.
R. L’art. 1, comma 134, della legge di stabilità 2016 prevede che, nelle ipotesi di adesione o di omessa impugnazione degli accertamenti, i contribuenti decaduti dal beneficio della rateazione nei trentasei mesi antecedenti al 15 ottobre 2015 sono riammessi al piano di rateazione inizialmente concesso, limitatamente al versamento delle imposte dirette, a condizione che entro il 31 maggio 2016 riprendano il versamento della prima delle rate scadute.
Tenuto conto che la finalità della norma è quella di ripristinare l’originario piano di rateazione consentendo al contribuente di riprendere il pagamento delle rate come se non si fosse mai verificata la decadenza, si ritiene che venga meno la ratio della sanzione del 60% ovviamente con riguardo alle sole imposte dirette.
Ne consegue che, qualora il contribuente, a seguito di iscrizione a ruolo per intervenuta decadenza, avesse già eseguito dei pagamenti all’Agente della riscossione, l’ufficio dell’Agenzia delle entrate, in sede di rielaborazione del piano di ammortamento, provvederà a imputare alle rate ancora dovute anche gli importi già pagati a titolo di sanzione, fermo restando che non si procederà al rimborso di eventuali eccedenze.
19.2.4 Rateazione per avvisi bonari
D. È possibile ottenere un piano rateizzato con rate decrescenti e/o crescenti per gli avvisi bonari (articolo 3-bis del D.lgs. n. 462/1997)?
R. L’articolo 2, comma 1, del D.lgs. n. 159/2015, nel riformulare l’art. 3-bis del D.lgs. n. 462/1997, ha eliminato il comma 6-bis della precedente versione che prevedeva che le rate potessero essere anche di importo decrescente, fermo restando il numero massimo stabilito.
Pertanto, le somme dovute a seguito di comunicazione degli esiti del controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni dei redditi individuate nell’art. 15, comma 2, del D.lgs. n. 159/2015, possono essere dilazionate esclusivamente con rate trimestrali di pari importo.
19.2.5 Ravvedimento operoso
D. Il contribuente può evitare il pagamento coattivo delle somme fruendo del ravvedimento operoso entro il termine di pagamento della rata successiva o, in caso di inadempienze relative alla totalità delle somme dovute o all’ultima rata, entro 90 giorni dalla scadenza. Si chiede se le inadempienze relative all’ultima o alla prima rata siano sanzionate nell’ordinaria misura del 30%.
R. L’art.15-ter, comma 5, del D.P.R. n. 602/1973 stabilisce che, qualora operi la fattispecie del lieve inadempimento (versamento carente della rata oppure tardivo pagamento della prima rata entro sette giorni) nonché in caso di tardivo pagamento di una rata diversa dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, l’Ufficio procede – mediante iscrizione a ruolo – al recupero dell’eventuale frazione non pagata, della sanzione per ritardato o omesso versamento ex art. 13 del D.lgs. n. 471/1997 commisurata all’importo non pagato o pagato in ritardo e dei relativi interessi. In questo caso la sanzione sarà irrogata nella misura ordinaria del 30%, o ridotta alla metà (15%) per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, con ulteriore riduzione a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni.
Il contribuente può, tuttavia, evitare questa iscrizione a ruolo se si avvale del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del D.lgs. n. 472/1997.
In questo caso, considerato che, al fine di evitare la decadenza, il versamento della prima rata deve essere effettuato con un ritardo non superiore a sette giorni dalla prescritta scadenza, la sanzione nella misura ordinaria del 30% non verrà mai applicata in quanto opera la previsione di cui al terzo periodo del comma 1 dell’art. 13 del D.lgs. n. 471/1997 (riduzione a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo) con applicazione del ravvedimento operoso di cui all’art. 13, comma 1, lett. a), del D.lgs. n. 472/1997.
Analogamente, la misura ordinaria della sanzione del 30% non verrà applicata sull’ultima rata, in quanto, dovendosi eseguire il versamento entro novanta giorni dalla scadenza, si applicherà, in funzione dell’entità del ritardo, la sanzione ridotta alla metà – o ulteriormente ridotta a un quindicesimo per ogni giorno di ritardo – ai sensi dell’art. 13, comma 1, del D.lgs. n. 471/1997, con conseguente applicazione del ravvedimento operoso di cui all’13, comma 1, lett. a) o a-bis), del D.lgs. n. 472/1997.
Con riguardo, infine, all’ipotesi di insufficiente versamento della prima o dell’ultima rata per una frazione non superiore al 3 per cento e, in ogni caso, a diecimila euro, la sanzione del 30% sarà applicata ove non effettuato il ravvedimento operoso nei termini previsti.
19.2.6 Reclamo
D. Il procedimento di mediazione, fermo restando il limite di valore di 20.000 euro, è ora obbligatorio anche per gli atti degli Agenti della riscossione. Come si determina il valore nel ricorso di una lite contro la comunicazione di iscrizione di fermo di beni mobili registrati o di ipoteca?
R. Per la determinazione del valore di una controversia tributaria si fa riferimento alle disposizioni del novellato articolo 12, comma 2, del D.lgs. n. 546/1992, che sullo specifico punto sono rimaste invariate.
In particolare, per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle sanzioni, il valore è costituito dal loro ammontare.
Qualora il debitore impugni la comunicazione di iscrizione di fermo di beni mobili o di ipoteca su immobili, il valore della controversia va determinato con riferimento all’atto impugnato e, analogamente a quanto previsto per la quantificazione del contributo unificato, deve essere calcolato in base al valore dei crediti per tributi – al netto di interessi, sanzioni (salvo che le sanzioni, in analogia con quanto detto in precedenza, non costituiscano un accessorio al tributo per cui si procede, bensì pretesa autonoma) e altri oneri accessori – per i quali l’Agente della riscossione ha comunicato l’iscrizione del fermo o dell’ipoteca.
Anche nel caso in cui il ricorrente, oltre a contestare vizi propri del fermo o dell’ipoteca, contesti anche i crediti per i quali si procede, si deve far riferimento al valore complessivo dei crediti tributari come detto in precedenza; pertanto, se il valore complessivo dei crediti tributari sottostanti al fermo o all’ipoteca supera 20.000 euro, la lite non è soggetta al procedimento di mediazione anche se le iscrizioni a ruolo contestate abbiano un valore inferiore alla predetta soglia. In altri termini, si ritiene che, quando con lo stesso ricorso il debitore impugni sia il fermo o l’ipoteca con valore della lite superiore a 20.000 euro sia singole iscrizioni a ruolo di valore inferiore, prevalga il rito ordinario di impugnazione su quello speciale previsto per le controversie di valore fino a 20.000 euro.
Gli stessi criteri si applicano, analogamente, nel caso di impugnazione di una cartella di pagamento che cumula distinte iscrizioni a ruolo anche se eseguite da diversi enti creditori, se si contesta integralmente la cartella per vizi propri, nonché le singole iscrizioni a ruolo per vizi riferiti all’attività degli enti creditori».
NOTE:
(1) Aggiunto dall’art. 11 del D.lgs. n. 159/2015.
(2) Si ritiene che a tale ipotesi vada assimilata quella dell’autotutela parziale intervenuta in assenza di impugnazione ma antecedentemente alla scadenza del termine di impugnazione.