1. Premessa
Con la sentenza annotata la Suprema Corte propone un’articolata esegesi dell’art. 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con particolare riferimento alla «scansione procedimentale che fa da sfondo all’esecuzione delle attività di controllo formale» della dichiarazione dei redditi.
L’indagine della Suprema Corte ha riguardato, più specificamente, i «due momenti di confronto con il contribuente»: il primo, “eventuale”, previsto dal terzo comma; il secondo, “necessario”, previsto dal quarto comma, allo scopo di verificare se, come lamentava nel caso di specie il contribuente, sussista l’obbligo per l’Amministrazione finanziaria di attivare il contraddittorio prima di iscrivere a ruolo le imposte dovute a seguito di tale controllo e se, di conseguenza, sussista l’obbligo per la stessa Amministrazione di produrre in giudizio la prova dell’avvenuta consegna al contribuente dell’invito a fornire chiarimenti o trasmettere documenti (terzo comma) e della comunicazione dell’esito del controllo (quarto comma).
Il responso dei Supremi Giudici, a parere di chi scrive, è deludente e allo stesso tempo preoccupante, visto che segna una pericolosissima regressione in termini di tutela dei diritti del contribuente.
Il ragionamento della Corte di Cassazione, infatti, si fonda sull’assunto secondo cui, in sintesi, se per la comunicazione al contribuente di un atto della “sequenza procedimentale” non è prescritta la formale notificazione, a nulla rileva se tale atto sia giunto o meno nella sfera di conoscibilità del destinatario, rilevando esclusivamente che la comunicazione gli sia stata inviata.
I rischi e le preoccupazioni che scaturiscono da tale approdo interpretativo non necessitano di molte spiegazioni, si intuiscono facilmente.
Esaminiamo qui di seguito i fatti di causa e le motivazioni addotte a supporto della pronuncia in rassegna, per esporre successivamente le ragioni per le quali giudichiamo la stessa un preoccupante precedente.
2. Il caso di specie
Un contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale contestando la «legittimità dell’iscrizione a ruolo e della conseguente cartella di pagamento notificata ai sensi dell’art. 36-ter D.P.R. 600/73 all’esito del controllo formale della dichiarazione IRPEF presentata per l’anno 2000».
Il ricorso veniva accolto e avverso la sentenza di prime cure proponeva appello l’Amministrazione finanziaria.
La Commissione tributaria regionale del Piemonte accoglieva l’appello, avendo «constatato che l’ufficio aveva provveduto ad inoltrare, prima, la richiesta di documenti e, quindi, la comunicazione finale del controllo» e che «tali comunicazioni risultano regolarmente effettuate alla residenza e al domicilio fiscale della parte».
Avverso la sentenza di appello proponeva ricorso per cassazione il contribuente, affidato a otto motivi di impugnazione.
Con i motivi primo, terzo e quarto, il ricorrente censurava «violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 36-ter D.P.R. 600/73, comma terzo e 8 l. 890/82» sostenendo che il giudice di appello avrebbe «ignorato le norme in indirizzo, poiché, a fronte del contestato ricevimento di dette comunicazioni, quanto alla prima di esse “non è sufficiente, per superare l’eccezione, la mera affermazione di avere inviato la comunicazione e la semplice allegazione di una copia della stessa, essendo necessaria la produzione delle ricevute postali che ne attestino, oltre che la spedizione, anche il regolare ricevimento o, in difetto, le cause che ne impedirono la consegna” (primo motivo); e quanto alla seconda, oggetto di un duplice inoltro, che l’avviso di ricevimento, prodotto, insieme alla busta, a conforto della regolarità del primo inoltro, recando soltanto il numero della raccomandata e l’intestazione del destinatario, ma non la sua sottoscrizione “non è idoneo a dimostrare l’avvenuta notifica della raccomandata” (terzo motivo) e che le produzioni documentali eseguite a conforto della regolarità del secondo inoltro – consistenti in particolare nella dichiarazione del messo notificatore e nell’avviso di ricevimento contenente, tra l’altro, l’attestazione dell’inoltro della comunicazione di avvenuto deposito per temporanea assenza del destinatario, non accompagnata però dalla ricevuta di spedizione e dall’avviso di ricevimento – risultano del pari inidonee, posto che “solo l’avviso di ricevimento sottoscritto dal destinatario costituisce prova dell’eseguita notificazione” e che nella specie non era stato prodotto l’avviso di ricevimento attestante l’esito della raccomandata “contenente la comunicazione di avvenuto deposito presso l’ufficio postale” (quarto motivo)».
La Suprema Corte, tralasciando le censure con cui si prospettava una diversa lettura, sotto il profilo fattuale, delle risultanze processuali, inammissibili nel giudizio di legittimità, ha ritenuto che nessuno dei suddetti motivi evidenziasse un vulnus decisionale in grado di giustificare la richiesta pronuncia cassatoria.
Il Supremo Collegio, preliminarmente, ha osservato che a mente del vigente art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973, ai fini del controllo formale della dichiarazione fiscale, gli Uffici finanziari possono invitare i contribuenti, anche «telefonicamente o in forma scritta o telematica», a fornire chiarimenti in ordine ai dati contenuti nella dichiarazione e ad eseguire o trasmettere ricevute di versamento e altri documenti non allegati alla dichiarazione o difformi rispetto ai dati forniti da terzi (terzo comma). L’esito del controllo è infine comunicato al contribuente o sostituto d’imposta «con l’indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla eventuale rettifica per consentire la segnalazione di eventuali elementi omessi o valutati erroneamente» (quarto comma).
Secondo la Corte di Cassazione, l’invito di cui al terzo comma, «in quanto eventuale, può anche essere omesso, non essendo infatti propedeutico all’inoltro della comunicazione di cui al quarto comma»; quest’ultima, invece, è “necessaria” essendo destinata a rendere noti al contribuente «i motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili, delle imposte, delle ritenute alla fonte, dei contributi e dei premi dichiarati», assolvendo così ad una «peculiare funzione di garanzia nell’interesse del soggetto passivo il quale, avendo conoscenza dei motivi, può sia regolarizzare il contenuto della dichiarazione in rettifica, sia esercitare i propri diritti di difesa in sede contenziosa o addirittura interrompere la procedura segnalando dati ed elementi non comunicati o valutati erroneamente nella fase di controllo».
In tale cornice normativa, il Supremo Collegio dubita che il ricorrente abbia interesse a dolersi della pretesa violazione del terzo comma dell’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973, in quanto il «carattere eventuale dell’invito ivi previsto, … mette preventivamente l’ufficio al riparo da contestazioni, dal momento che il suo inoltro … non costituisce un adempimento necessitato».
Dunque, «se l’amministrazione può ben prescindere dalla formulazione dell’invito quando non ne sussista la necessità, il ricorrente non ha in linea di principio titolo a lamentarne l’omesso ricevimento potendo infatti non essergli mai pervenuto perché appunto l’amministrazione, non ravvisando la sussistenza delle condizioni richieste dal comma terzo dell’art. 36-ter, abbia ritenuto di non fargliene mai invio».
Inoltre, osserva la Suprema Corte, per l’invio dell’invito di cui al terzo comma è previsto «un ampio ventaglio di canali informativi ai quali l’ufficio è libero di attingere», e non sussiste dunque alcun vincolo di forma né, tantomeno, quando sia inoltrato a mezzo posta, esso deve necessariamente «avvenire in forma di raccomandata».
L’adozione di una “forma vincolata”, invece, si impone con riferimento alla comunicazione dell’esito finale del controllo formale, prevista dal quarto comma dell’art. 36-ter.
Pur essendo silente sul punto la legge, trattasi di «prescrizione operativa che, in funzione delle finalità perseguite dalla norma, l’Agenzia delle Entrate ha inteso dettare con la circolare 68/2001».
Ciò nondimeno, secondo la Corte di Cassazione, nel caso di specie comunque il ricorrente non aveva «interesse alcuno a dolersi della violazione dell’art. 36-ter, quarto comma, D.P.R. n. 600/73 …, per l’elementare constatazione che la comunicazione del cui mancato ricevimento egli si lamenta è stata inviata nella specie due volte, di modo che, se il secondo invio abbia raggiunto il suo scopo – abbia cioè posto il destinatario in condizioni di apprendere gli esiti finali dell’attività di controllo con l’indicazione dei motivi che hanno determinato l’eventuale rettifica reddituale – diviene inconferente ai fini del decidere stabilire se la prima comunicazione sia avvenuta ritualmente o no», essendo sufficiente dimostrare che la suddetta comunicazione, inviata una seconda volta, abbia potuto raggiungere lo scopo informativo perseguito dalla legge e in questa veste assolvere a quella funzione di garanzia su cui la stessa Corte ha già avuto occasione di insistere nella sentenza resa da Cass. 4 luglio 2014, n. 15311 (1).
Passando perciò all’esame delle doglianze relative al “secondo invio”, i Supremi Giudici hanno ritenuto di rimarcare che, se in base alle istruzioni dell’Amministrazione finanziaria «l’inoltro della comunicazione di cui al quarto comma dell’art. 36-ter deve essere effettuata in forma raccomandata, onde acquisire certezza sulla data di ricevimento della stessa, esso tuttavia non costituisce un adempimento che dia luogo ad una attività notificatoria».
Il concetto viene ribadito subito dopo, con la seguente affermazione: “La legge – anzi, per essere precisi – l’amministrazione in funzione delle finalità conoscitive che la comunicazione assolve … e della tutela del contribuente che in questo ambito si intende garantire, si premura di stabilire che la comunicazione sia inviata per raccomandata postale con avviso di ricevimento, ma non che essa sia fatta oggetto di notificazione, in quanto la legge non lo prevede e tantomeno tale formalità trova fonte nella disciplina di secondo livello».
Da ciò discende l’inapplicabilità delle disposizioni recate dalla legge 20 novembre 1982, n. 890, visto che l’art. 14 della stessa «concerne gli avvisi e gli altri atti “che per legge devono essere notificati al contribuente”, nella specie non ricorrendo all’evidenza né l’una né l’altra condizione: la comunicazione prevista dall’art. 36-ter non ha infatti natura provvedimentale, si ché possa essere inquadrata nella categoria degli avvisi, non incarnando essa infatti alcuna concreta funzione impositiva, che competerà, semmai, al ruolo e alla susseguente cartella; né rientra tra gli atti indicati dalla norma, non essendone prevista dalla legge la notificazione».
Conseguenza ulteriore di questo ragionamento, conclude il Supremo Consesso, è che «se la comunicazione del quarto comma dell’art. 36-ter non debba essere notificata, non solo non sussiste la lamentata violazione delle richiamate norme della l. n. 890/82, ma neppure è consentito eccepire la violazione dello stesso art. 36-ter, perché nella specie è incontestato che la comunicazione sia stata fatta oggetto – addirittura per ben due volte – di invio raccomandato con avviso di ricevimento e tanto basta a rigore a soddisfare il dettato normativo, a nulla rilevando in contrario che il destinatario eccepisca di non averla ricevuta, la mancata ricezione non potendo essere imputata all’ufficio una volta che l’invio sia stato effettuato in conformità alla legge e alla corrente prassi operativa».
Quanto ai motivi secondo e quinto del ricorso per cassazione, la relativa cognizione è stata ritenuta “assorbita” dal difetto di interesse che inficia le prospettate violazioni dei commi terzo e quarto dell’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973.
Sono stati invece accolti i motivi sesto, settimo e ottavo del suddetto ricorso, con i quali era stata eccepita l’omessa pronuncia su alcune eccezioni formulate dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, ovvero sul contestato difetto di motivazione dell’impugnata cartella di pagamento, sulla dedotta “tardività dell’azione erariale” e sull’eccepita infondatezza nel merito della pretesa impositiva.
L’impugnata sentenza è stata pertanto cassata con rinvio della causa al giudice di merito per il “doveroso riesame” dei suddetti motivi di impugnazione.
3. L’invito di cui al terzo comma dell’art. 36-ter
L’esegesi che, con l’annotata sentenza, la Suprema Corte propone del terzo comma dell’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 è ineccepibile sotto il profilo strettamente letterale (o formale), tuttavia, ad avviso di chi scrive, contrasta con una serie di principi affermati negli ultimi anni dalla stessa Corte di Cassazione, elaborati alla stregua di un’interpretazione adeguatrice e costituzionalmente orientata delle norme tributarie, al fine precipuo di assicurare al contribuente la maggiore tutela possibile.
Si può invero concordare nel ritenere che l’invito al contribuente a fornire chiarimenti o a trasmettere ricevute e altri documenti, previsto dal terzo comma dell’art. 36-ter, abbia “carattere eventuale” non solo perché a tale conclusione conduce la littera legis, né perché sia previsto un ampio «ventaglio di canali informativi ai quali l’ufficio è libero di attingere» (telefonicamente o in forma scritta o in forma telematica), quanto per la considerazione, di ordine sistematico e, pertanto, ben più rilevante, che ove l’invio del suddetto invito fosse omesso resterebbe comunque impregiudicata la possibilità per il contribuente di assolvere alle suddette incombenze – ed evitare una inutile iscrizione a ruolo – a seguito della comunicazione informativa di cui al quarto comma.
In altri termini, ove l’invito di cui al terzo comma fosse omesso, resterebbe salva la possibilità per il contribuente di interloquire preventivamente con l’Amministrazione finanziaria in occasione del ricevimento della comunicazione di cui al quarto comma avente, questa sì, carattere “necessario” e forma “vincolata”.
Rimane, tuttavia, la delusione per una proposta esegetica rigorosamente formale del terzo comma dell’art. 36-ter che, a nostro parere, si traduce nella proposta di una interpretazione con portata sostanzialmente abrogatrice della norma.
E invero, se l’invio dell’invito previsto dalla suddetta disposizione ha carattere (soltanto) eventuale e se l’accertamento giudiziale della sua effettiva esecuzione è del tutto privo di rilevanza, con conseguente “difetto di interesse” per il contribuente a contestarne in giudizio l’omissione, non è difficile immaginare che, dopo la sentenza in esame, quell’invito è destinato alla desuetudine.
Siamo dell’opinione, invece, che sia più conforme ai principi del nostro ordinamento tributario – primi tra essi quelli di tutela del contribuente (artt. 24 e 57 Cost.), di buon andamento e imparzialità della pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.) e di buona fede e collaborazione tra fisco e contribuenti (art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente) – proporre un’interpretazione del suddetto terzo comma alla stregua della quale, ferma la non incidenza dell’eventuale omissione di quell’invito sulla (il)legittimità della successiva iscrizione a ruolo, dato il carattere “eventuale” dello stesso, il comportamento dell’Ufficio finanziario che non riesca a provare in giudizio di averlo inviato e di avere adottato ogni adeguato “canale informativo” perché lo stesso giungesse nella “sfera di conoscibilità” del contribuente è tuttavia valutabile ad altri effetti, per esempio ai fini di un eventuale risarcimento del danno o della responsabilità processuale aggravata di cui all’art. 96 c.p.c.
Se è vero che la Corte di Cassazione, nel caso che occupa, era chiamata a pronunciarsi esclusivamente sulla censurata «violazione e falsa applicazione dell’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973» e che, data la natura “chiusa” del giudizio di legittimità, la verifica giudiziale era circoscritta ai soli vizi denunciati dal ricorrente, al Supremo Collegio non è affatto mancata la possibilità di pronunciarsi, con l’annotata sentenza, nel senso da noi prospettato.
Nella motivazione della suddetta sentenza, infatti, è la stessa Corte a chiedersi, sua sponte, se in linea di principio possa riconoscersi in capo al dichiarante un interesse «a dolersi dell’omesso invio dell’invito» di cui al terzo comma dell’art. 36-ter, affermando che esso «sarebbe in ipotesi riconoscibile … solo se in detta preliminare fase di controllo l’attività valutativa dell’ufficio si soffermi ad analizzare dati ed elementi emergenti dalla dichiarazione che, se fatti oggetto di un preventivo confronto con la parte, appunto attivando il meccanismo informativo del terzo comma, avrebbero potuto evitare una rettifica reddituale».
La sussistenza di quell’interesse, vale sottolinearlo, è stata poi esclusa perché «in disparte la considerazione che questa situazione non ricorre nel caso di specie, in quanto il ricorrente nell’esposizione del motivo non allega alcuna circostanza in questa direzione, è assorbente in contrario la constatazione che, dovendo a detta fase seguire l’invio della comunicazione di cui al successivo quarto comma ed essendo detta comunicazione … funzionale anche a segnalare dati ed elementi non considerati dall’ufficio o valutati da questo erroneamente, la parte che versi in questa situazione non è pregiudicata nella tutela dei propri diritti, potendo eventualmente far valere le proprie ragioni, una volta che raggiunta da detta comunicazione, fornendo a seguito di essa quei chiarimenti e producendo quei documenti che l’ufficio abbia ritenuto viceversa di non richiedere in precedenza».
Trattasi di una risposta, a nostro avviso, elusiva e insoddisfacente.
È elusiva perché, innanzi tutto, nulla esclude che la comunicazione di cui al quarto comma non venga affatto inviata (per qualunque ragione) o che, seppur inviata, non giunga a conoscenza (o nella sfera di conoscibilità) del destinatario.
Ma è elusiva soprattutto perché non tiene conto di un dato di fatto incontestato in giudizio, ovvero che nel caso di specie ricorreva proprio un’ipotesi in cui l’Ufficio finanziario, nella fase preliminare, si è «soffermato ad analizzare dati ed elementi emergenti dalla dichiarazione che, se fatti oggetto di un preventivo confronto con la parte, appunto attivando il meccanismo informativo del terzo comma, avrebbero potuto evitare una rettifica reddituale».
Se anche il ricorrente sul punto nulla ha allegato, come si sostiene in motivazione, trattasi di circostanza comunque emergente dal comportamento tenuto dall’Ufficio fiscale che, certamente, ha ravvisato la necessità, o quantomeno l’opportunità, del preventivo confronto con il dichiarante visto che, come non era contestato tra le parti e come ha accertato la stessa Corte di Cassazione, ha ritenuto di inviare al ricorrente e per ben due volte l’invito di cui al terzo comma.
La suddetta risposta, per altro verso, è insoddisfacente poiché proprio in casi come quello di specie, in cui la stessa Amministrazione finanziaria ravvisa la necessità/opportunità di contattare il dichiarante per provare a semplificare e concludere rapidamente il controllo formale della dichiarazione, lo stesso contribuente ha certamente un interesse tutelabile ad essere avvisato prima di conoscere l’esito di quel controllo, per almeno due ragioni: da un lato perché comunque c’è una specifica disposizione di legge (terzo comma) che formalmente prevede l’invio di un apposito invito a fornire chiarimenti o a presentare documenti; dall’altro perché è fuori da ogni logica – e contrasta con il principio di buona fede e collaborazione – rinviare alla conclusione del procedimento, ovvero alla comunicazione dell’esito del controllo formale della dichiarazione, un contraddittorio pre-contenzioso che si potrebbe attivare ben prima e che lo stesso legislatore, dobbiamo ritenere, ha inteso agevolare e sollecitare con l’invito di cui al terzo comma dell’art. 36-ter.
Pertanto, siamo dell’avviso che il contribuente che non sia stato raggiunto dall’invito di cui al terzo comma dell’art. 36-ter e che impugni la successiva comunicazione di irregolarità della dichiarazione (2) o la successiva cartella di pagamento, ben possa far valere in giudizio la suddetta omissione, se non per invocare, per essa sola, l’illegittimità dell’atto impugnato, certamente per invocare il risarcimento del danno ovvero la responsabilità processuale aggravata dell’Amministrazione finanziaria o, comunque, una «esemplare condanna alle spese di lite» in tutti quei casi in cui con un semplice chiarimento o con la sola produzione di un documento possa (o avrebbe potuto) dimostrare la regolarità della propria dichiarazione e, con essa, l’infondatezza della pretesa impositiva.
Non condividiamo perciò l’assunto della Suprema Corte secondo cui il contribuente, nei suddetti casi, non avrebbe uno specifico interesse all’attivazione del contraddittorio preventivo.
Invero, ove quel contribuente abbia contestato in giudizio l’omesso invio dell’invito di cui al terzo comma dell’art. 36-ter, l’Amministrazione finanziaria potrà invocare la correttezza del proprio operato e la conformità dello stesso ai principi di buona fede e collaborazione soltanto se dimostrerà sia di avere inviato il suddetto invito, sia che lo stesso è giunto nella sfera di conoscibilità del contribuente, poiché se è vero che l’art. 36-ter, terzo comma, del D.P.R. n. 600/1973, non impone esplicitamente la notificazione dell’invito ivi previsto, è altrettanto vero che il suo invio realizza lo scopo voluto dal legislatore tributario soltanto se e nella misura in cui se ne garantisce la conoscenza o, comunque, la effettiva conoscibilità.
Per concludere sul punto, in un contesto nel quale la stessa Suprema Corte, autonomamente, si è chiesta se possa riconoscersi in capo al dichiarante un interesse “a dolersi dell’omesso invio dell’invito” di cui al terzo comma dell’art. 36-ter, la risposta ben poteva essere affermativa, quanto meno in linea di principio, salvo precisare che tale omissione, ex se, non rende illegittima la successiva comunicazione di irregolarità della dichiarazione, né la successiva cartella di pagamento, ma, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, può essere valutata a fini diversi, come la sussistenza di una responsabilità processuale aggravata o di una responsabilità per danni, tutte le volte in cui l’ente impositore non riesca a provare in giudizio di avere portato a conoscenza del contribuente l’invito a fornire chiarimenti o a produrre documenti, né di averlo reso effettivamente conoscibile.
4. La comunicazione di cui all’art. 6, quinto comma, dello Statuto dei diritti del contribuente
A conforto della decisione che annotiamo, la Suprema Corte ha fatto riferimento anche all’invito di cui all’art. 6, quinto comma, della già citata legge n. 212/2000.
Si tratta dell’invito a «fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta», che l’Amministrazione finanziaria deve inviare «prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione».
Osserviamo, preliminarmente, che nel ricorso per cassazione non era stata in alcun modo prospettata la violazione o falsa applicazione della richiamata disposizione statutaria.
Ma la Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno menzionarla, «sebbene l’impugnante non vi faccia cenno», al fine di «completare il quadro di riferimento» e perché quella disposizione disciplina un “procedimento analogo”, se pure non caratterizzato dalla stessa scansione, al procedimento disciplinato dall’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 e, aggiungiamo noi, al procedimento disciplinato dall’art. 36-bis dello stesso decreto.
In realtà, proprio completando il quadro normativo di riferimento, e cioè proprio richiamando una disposizioni che «costituisce principio generale dell’ordinamento tributario», ai sensi dell’art. 1 della legge n. 212/2000, emerge in tutta evidenza l’errore interpretativo in cui, a nostro avviso, è incorsa la Suprema Corte.
Come vedremo nel paragrafo successivo, la conclusione di maggiore impatto contenuta nell’annotata sentenza, e allo stesso tempo la più preoccupante, riguarda l’asserita inapplicabilità delle disposizioni (e degli afferenti principi) in materia di notifica degli atti laddove sia prevista la semplice comunicazione, sia pure per posta, di un invito o di un avviso.
L’assunto non è affatto condivisibile, per le ragioni che illustreremo più avanti, ma per il momento vogliamo mettere in evidenza che la suddetta disposizione statutaria viene richiamata dal Supremo Collegio per evidenziare che l’adempimento ivi previsto, ovvero l’invito a «fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti», al pari di quello previsto dal terzo comma dell’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973, «non costituisce un adempimento necessario e dunque la sua eventuale mancanza non può determinare la successiva nullità del provvedimento impositivo che faccia seguito all’attività liquidatoria».
Tuttavia, illustrando le ragioni di tale “parificazione”, la Corte di Cassazione sembra non accorgersi di rendere evidente il clamoroso equivoco in cui è incorsa.
Se è vero che l’invito di cui all’art. 6, quinto comma, della legge n. 212/2000, secondo una consolidatissima giurisprudenza di legittimità, pure richiamata nella sentenza in esame, non è necessario «qualora non sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione», è altresì vero, di contro, che qualora tali incertezze sussistano l’invio di quell’invito è assolutamente obbligatorio, pena la nullità della successiva iscrizione a ruolo e della conseguente cartella di pagamento (3).
Motivo per il quale la “parificazione” alla quale accenna il Massimo Collegio non sussiste affatto, visto che, diversamente dall’invito previsto dal terzo comma dell’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973, l’invito di cui all’art. 6, quinto comma, della legge n. 212/2000, non ha sempre carattere eventuale, ma è tale soltanto nei casi in cui «non sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione».
L’osservazione che precede, se ce ne fosse bisogno, trova ulteriore conforto in un recentissimo arresto del Supremo Collegio, in cui si chiarisce che la previsione espressa di cui all’art. 6, quinto comma, della legge n. 212/2000, «è nel senso che la norma non obbliga tout court l’amministrazione all’invio dell’avviso (anche cioè, quando, corrispondendo l’esito del controllo a quanto dichiarato dal contribuente, non vi sarebbe alcun utile esercizio dell’informativa e del contraddittorio stesso), ma si tratta di un “obbligo condizionato”: e la condizione è data dalla difformità tra esito del controllo e dichiarazione, situazione che impone un avviso evidentemente funzionale all’esercizio immediato delle ragioni del dichiarante, in un quadro di tutela rafforzata del contribuente. Ciò perché, come è di tutta evidenza, mentre nell’ipotesi di corrispondenza tra dichiarazione ed esito del controllo, l’azione dell’Ufficio costituisce esercizio del “potere di riscossione”, nell’ipotesi, invece, di difformità tra esito del controllo e dichiarazione, l’azione dell’amministrazione costituisce esercizio del “potere di imposizione” di fronte al quale riemerge la necessità della tutela del contraddittorio endoprocedimentale – nelle forme e nei limiti stabiliti dalla ricordata sentenza delle Sezioni Unite: sicché l’Ufficio non può “liberamente omettere” l’avviso, pena la nullità dell’atto impositivo eventualmente emanato in esito al controllo» (4).
Concludendo sul punto, non è sempre vero, come si potrebbe dedurre dalla pronuncia in rassegna, che l’invito previsto dall’art. 6, quinto comma, della legge n. 212/2000, «al pari di quello previsto del terzo comma dell’art. 36-ter, non costituisce un adempimento necessario e dunque la sua eventuale mancanza non può determinare la successiva nullità del provvedimento impositivo».
Quell’invito, al contrario, è necessario tutte le volte in cui, all’esito del controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi, sussistano incertezze su aspetti rilevanti della stessa.
Insomma, nella sentenza in esame il richiamo dell’art. 6, quinto comma, della legge n. 212/2000 non è affatto pertinente.
Tuttavia, trattandosi di una disposizione che regola un procedimento analogo al procedimento disciplinato dall’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 e che costituisce un principio generale dell’ordinamento tributario, completando il quadro normativo di riferimento, essa ben può essere invocata da chi, come noi, ritiene che anche l’invito di cui al terzo comma dell’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 sia «funzionale all’esercizio immediato delle ragioni del dichiarante, in un quadro di tutela rafforzata del contribuente», con la differenza, questa sì rilevante, che mentre la disposizione statutaria, in caso di omesso invio di quell’invito, sanziona espressamente con la nullità i provvedimenti emessi in violazione dei suoi precetti, la disposizione che disciplina il controllo formale della dichiarazione non contiene analoga sanzione, ma questo, vale ribadirlo, non esclude tout court l’interesse del contribuente a far valere in giudizio la suddetta omissione, potendo egli invocarla a fini diversi dall’annullamento dell’atto consequenziale, come può essere, lo ripetiamo, la richiesta di risarcimento dei danni o di condanna per responsabilità processuale aggravata.
5. La comunicazione di cui al quarto comma dell’art. 36-ter
Come abbiamo già anticipato, la parte dell’annotata sentenza che desta maggiori perplessità (e preoccupazioni) è quella dedicata all’esegesi del quarto comma dell’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973.
Ivi si stabilisce, come è noto, che «L’esito del controllo formale è comunicato al contribuente o al sostituto d’imposta con l’indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili, delle imposte, delle ritenute alla fonte, dei contributi e dei premi dichiarati, per consentire anche la segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di controllo formale entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione».
Venendo al caso di specie, la Suprema Corte ha dapprima rimarcato, al fine di meglio inquadrare lo scenario fattuale, che il ricorrente non lamentava la mancanza pura e semplice della comunicazione dell’esito finale del controllo, ma «il mancato ricevimento di essa a fronte del fatto pure incontestato che l’amministrazione per ben due volte provvide al suo inoltro con gli esiti contestati dal ricorrente».
Motivo per il quale, è stato osservato, il ricorrente non aveva interesse alcuno a dolersi della violazione dell’art. 36-ter, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973, per l’elementare constatazione che, ove «il secondo invio abbia raggiunto il suo scopo – abbia cioè posto il destinatario in condizioni di apprendere gli esiti finali dell’attività di controllo con l’indicazione dei motivi che hanno determinato l’eventuale rettifica reddituale – diviene inconferente ai fini del decidere stabilire se la prima comunicazione sia avvenuta ritualmente o no», se è dimostrabile che la comunicazione inviata una seconda volta «abbia potuto raggiungere lo scopo informativo perseguito dalla legge ed in questa veste assolvere quella funzione di garanzia su cui questa Corte ha già avuto modo di insistere (15311/14)».
Ebbene, ha osservato il Supremo Collegio, per tale comunicazione certamente si impone una “forma vincolata”, non perché lo stabilisca il quarto comma dell’art. 36-ter, che è silente sul punto, ma perché così prescrive la stessa Agenzia delle entrate, con la circolare 16 luglio 2001, n. 68/E (5), «in funzione delle finalità perseguite dalla norma», ovvero al fine precipuo «di acquisire certezza sulla data di ricevimento della stessa».
Tuttavia, evidenziano successivamente i Supremi Giudici, la legge (art. 36-ter, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973) – anzi, per essere precisi, l’Amministrazione finanziaria (6) – si premura di stabilire che la comunicazione de qua sia «inviata per raccomandata postale con avviso di ricevimento, ma non che essa sia fatta oggetto di notificazione, in quanto la legge non lo prevede e tantomeno tale formalità trova fonte nella disciplina di secondo livello».
Da ciò discende l’inapplicabilità alla specie delle disposizioni recate dalla legge n. 890/1982, con la conseguenza ulteriore che «se la comunicazione del quarto comma dell’art. 36-ter non debba essere notificata … neppure è consentito eccepire la violazione dello stesso art. 36-ter, perché nella specie è incontestato che la comunicazione sia stata fatta oggetto – addirittura per ben due volte – di invio raccomandato con avviso di ricevimento e tanto basta a rigore a soddisfare il dettato normativo, a nulla rilevando in contrario che il destinatario eccepisca di non averla ricevuta, la mancata ricezione non potendo essere imputata all’ufficio una volta che l’invio sia stato effettuato in conformità alla legge e alla corrente prassi operativa».
A parere di chi scrive, si può concordare con la Corte di Cassazione quando afferma che, in assenza di specifica norma che preveda la notifica di un atto, risultano non applicabili (e, di conseguenza, non invocabili dal destinatario) le disposizioni recate dalla legge n. 890/1982.
Non è assolutamente condivisibile, invece, l’affermazione secondo la quale il dettato normativo di cui al quarto comma dell’art. 36-ter sarebbe soddisfatto con il solo invio della comunicazione ivi prevista, risultando perciò irrilevante se la stessa sia giunta o meno nella sfera di conoscibilità del contribuente.
Invero, sarebbe stato sufficiente che la Suprema Corte riflettesse sulle finalità perseguite dalla norma, pure ben individuate dall’Amministrazione finanziaria nel richiamato documento di prassi (7) e nella citata sentenza della stessa Corte n. 15311/2014 (8), per giungere alla conclusione esattamente opposta.
L’invio della suddetta comunicazione mediante «raccomandata postale con avviso di ricevimento» non è prescritto dalla normativa di secondo livello per mero spirito collaborativo, né per gentile concessione, ma al fine specifico e precipuo di «acquisire certezza sulla data di ricevimento della comunicazione».
Sfugge ai Supremi Giudici, evidentemente, che dal ricevimento di quella comunicazione, e non dal suo invio, decorre il termine di trenta giorni entro il quale il contribuente può «segnalare eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di controllo formale».
Né vale opporre, in senso contrario, l’assunto secondo cui per il dichiarante che non abbia ricevuto la comunicazione de qua resta salva la possibilità di segnalare quei dati ed elementi quando gli sarà notificata la successiva cartella di pagamento.
In primo luogo perché nulla esclude che anche la successiva cartella di pagamento non venga validamente notificata.
In secondo luogo, e soprattutto, perché dal ricevimento (non dall’invio) della suddetta comunicazione decorre il termine di trenta giorni entro il quale il contribuente può versare le imposte liquidate dall’Ufficio finanziario «usufruendo del beneficio della riduzione ai due terzi della sanzione, come previsto dall’art. 3 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462» (9).
È davvero strano che alla Suprema Corte sia sfuggita l’esistenza della predetta disposizione agevolativa, considerato che essa è esplicitamente richiamata nel documento di prassi citato nella sentenza in esame, oltre che nella più volte menzionata sentenza della Corte di Cassazione n. 15311/2014.
Non è certo casuale che nella suddetta circolare, proprio dopo aver richiamato quella disposizione agevolativa, l’Agenzia delle entrate abbia avuto cura di precisare che «la comunicazione degli esiti del controllo deve essere inviata mediante raccomandata postale con avviso di ricevimento, al fine di acquisire certezza sulla data di ricevimento della stessa».
Possiamo perciò affermare che dal ricevimento (non dall’invio) della comunicazione di cui al quarto comma dell’art. 36-ter decorre il termine per esercitare un vero e proprio diritto del contribuente il quale, anche laddove non debba segnalare alcunché, né contestare il quantum delle imposte che risultano dovute a seguito del controllo formale della propria dichiarazione (10), deve essere messo nelle condizioni di poter beneficiare della riduzione delle sanzioni.
Questa considerazione vale a tracciare la netta differenza, anche sul piano sostanziale, tra l’invito di cui al terzo comma dell’art. 36-ter e la comunicazione di cui al successivo quarto comma.
Se, come abbiamo visto, il mancato ricevimento del primo non incide, ex se, sulla legittimità della successiva comunicazione dell’esito del controllo formale, né sulla legittimità della successiva cartella di pagamento, il mancato ricevimento della seconda incide eccome sulla legittimità dell’iscrizione a ruolo e della cartella di pagamento.
Il contribuente che non riceve la comunicazione di cui al quarto comma, in disparte dalla impossibilità di segnalare o chiarire alcunché, non viene messo nelle condizioni di versare nel termine ivi previsto le somme liquidate e, così facendo, di beneficiare della riduzione delle sanzioni, motivo per il quale certamente è illegittima l’iscrizione a ruolo di quelle sanzioni in misura integrale, come illegittima è la pretesa, in proporzione, del relativo aggio esattoriale.
Questa è la fondamentale ragione per la quale, a nostro avviso, il solo invio della comunicazione de qua, sia pure mediante raccomandata con avviso di ricevimento, non è sufficiente a «soddisfare il dettato normativo» di cui al quarto comma dell’art. 36-ter, poiché l’Ufficio finanziario ha l’obbligo di dimostrare che quella comunicazione sia stata ricevuta o comunque sia giunta nella sfera di conoscibilità del contribuente il quale, in disparte da ogni possibile contestazione sulla legittimità e fondatezza della pretesa impositiva, ha certamente il diritto di beneficiare della riduzione delle sanzioni per omesso versamento delle somme dovute.
6. Considerazioni conclusive
Ma vi è un’ulteriore, fondamentale ragione per dissentire dalle conclusioni raggiunte nell’annotata sentenza.
Il diritto vivente ha ormai parificato le conseguenze derivanti dall’omesso invio della comunicazione di cui al quarto comma dell’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 alle conseguenze derivanti dall’omesso invio dell’invito di cui all’art. 6, quinto comma, della legge n. 212/2000, ovvero l’invalidità dell’atto conclusivo del procedimento.
Nella sentenza n. 15311/2014 il Supremo Collegio chiarisce esplicitamente i motivi per i quali, in senso contrario, non assume alcun rilievo la mancanza di una sanzione espressa di nullità nella prima delle richiamate disposizioni, derivando essa «ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazionale, nella quale la norma opera e, in particolare, dal rilievo che il vizio del procedimento si traduce, nella specie, in una divergenza dal modello normativo non certo innocua o di lieve entità …, bensì di particolare gravità, in considerazione della rilevanza della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali, cui la norma stessa assolve – sopra delineata – e della forza impediente, rispetto al pieno svolgimento di tale funzione, che assume il fatto viziante».
Ebbene, se l’omessa comunicazione dell’esito del controllo formale della dichiarazione fiscale determina, ex se, come abbiamo visto, la nullità della successiva cartella di pagamento, come può ragionevolmente affermarsi che l’Amministrazione finanziaria assolva al proprio “obbligo informativo” con il solo invio di quella comunicazione?
Come può ragionevolmente sostenersi che nei procedimenti di “controllo automatizzato” delle dichiarazioni, non essendo formalmente prevista la notifica degli inviti e delle comunicazioni al dichiarante – e quindi non applicandosi le disposizioni di cui alla legge n. 890/1982 – nei casi in cui si contesti il ricevimento di quegli atti l’Amministrazione finanziaria possa limitarsi a provarne in giudizio il solo invio?
Che tutela si assicura al contribuente se l’Ufficio mittente non è tenuto a dimostrare che l’atto asseritamente inviato è giunto quanto meno nella sua sfera di conoscibilità?
Noi riteniamo che la pronuncia in rassegna, pur richiamando ripetutamente i principi espressi nella citata sentenza della Corte di Cassazione n. 15311/2014, si sia posta in evidente contrasto con gli stessi.
Motivo per il quale non possiamo che auspicare un immediato revirement da parte della Suprema Corte o, diversamente, che la stessa prenda atto del segnalato contrasto interpretativo e rimetta quanto prima la questione alle Sezioni Unite, occorrendo fare definitiva chiarezza al riguardo.
Dott. Domenico Carnimeo
(1) Cfr. Cass., sez. trib., 4 luglio 2014, n. 15311, in Boll. Trib., 2014, 1489, con nota di L. LOVECCHIO, La nullità del controllo formale non preceduto dal contatto con il contribuente e la centralità del principio del contraddittorio preventivo.
(2) Deve ritenersi certamente impugnabile dinanzi al giudice tributario, tra i vari atti, anche la comunicazione di cui al comma quarto dell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973, alla luce del principio secondo cui «In tema di contenzioso tributario, sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi dell’art. 19, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, solo dinanzi al giudice speciale tributario, tutti quegli atti con cui l’amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto», come affermato dall’ordinanza resa da Cass., sez. VI, 19 febbraio 2016, ord. n. 3315, nonché da Cass., sez. VI, 28 novembre 2014, ord. n. 25297, entrambe in Boll. Trib. On-line.
(3) Si vedano in tal senso, tra le tante, Cass., sez. VI, 20 maggio 2014, ord. n. 11000; Cass., sez. VI, 22 giugno 2016, ord. n. 12927; e Cass., sez. trib., 9 settembre 2016, n. 17829; tutte in Boll. Trib. On-line.
(4) Cfr. Cass., sez. trib., 6 luglio 2016, n. 13760, in Boll. Trib. On-line.
(5) Cfr. circ. 16 luglio 2001, n. 68/E, in Boll. Trib., 2001, 1159.
(6) Cfr. circ. n. 68/E/2001, cit.
(7) Cfr. circ. n. 68/E/2001, cit.
(8) Ci riferiamo, in particolare, all’affermazione secondo la quale «Appare evidente, dal mero dato testuale della norma, che al più incisivo “controllo” previsto dall’art. 36-ter, rispetto alla “liquidazione” ex art. 36-bis, il legislatore abbia fatto conseguire una fase procedimentale necessaria, di garanzia per il contribuente, laddove il comma 4 in esame prevede l’obbligo dell’Amministrazione di comunicare i motivi della rettifica operata in un apposita comunicazione da effettuare al contribuente. Obbligatorietà, peraltro, riconosciuta anche dalla prassi (cfr. circolare n. 68/2001; circolare n. 77 del 2001 esattamente citate dalla controricorrente) la quale riconosce che la comunicazione dell’esito del controllo assolve alla duplice funzione di rendere edotto il contribuente delle motivazioni poste alla base dei recuperi d’imposta operati dall’Ufficio e di consentire allo stesso la segnalazione di dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente anche al fine, a fronte della verifica della fondatezza dei rilievi effettuati dal contribuente, di “procedere con sollecitudine ad esercitare il proprio potere di autotutela, al fine di consentire al contribuente di effettuare i versamenti delle somme eventualmente dovute, in tempo utile per usufruire del beneficio previsto dall’art. 3 del d.lgs. n. 462/1997”»: così Cass. n. 15311/2014, cit.
(9) Cfr. circ. n. 68/E/2001, cit.
(10) Analogo beneficio, con riduzione a un terzo delle sanzioni, è previsto dall’art. 2 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, per il versamento delle somme che risultano dovute «a seguito dei controlli automatici effettuati ai sensi degli articoli 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633».
Accertamento imposte sui redditi – Controllo formale della dichiarazione ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 – Obbligo di invitare il contribuente a fornire chiarimenti sui dati contenuti nella dichiarazione – Non sussiste – Obbligo di comunicare l’esito del controllo al contribuente – Sussiste – Omissione – Invalidità della relativa cartella di pagamento – Consegue.
Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento emessa ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 – Obbligo di invitare il contribuente a fornire chiarimenti sui dati contenuti nella dichiarazione – Non sussiste – Obbligo di comunicare l’esito del controllo al contribuente – Sussiste – Omissione – Invalidità della relativa cartella di pagamento – Consegue.
Accertamento imposte sui redditi – Controllo formale della dichiarazione ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 – Obbligo di invitare il contribuente a fornire chiarimenti sui dati contenuti nella dichiarazione – Non sussiste in base all’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 – Sussiste in base all’art. 6 della legge n. 212/2000, ma solo quando esistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione.
Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento emessa ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 – Obbligo di invitare il contribuente a fornire chiarimenti sui dati contenuti nella dichiarazione – Non sussiste in base all’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 – Sussiste in base all’art. 6 della legge n. 212/2000, ma solo quando esistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione.
Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento emessa ex artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 – Obbligo di invitare il contribuente a fornire chiarimenti a norma dell’art. 6, quinto comma, della legge n. 212/2000 – Sussiste, ma solo quando esistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione – Obbligo generalizzato del contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo ex artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 – Non sussiste.
Accertamento imposte sui redditi – Controllo formale della dichiarazione ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 – Comunicazione dell’esito del controllo al contribuente previsto dal quarto comma dell’art. 36-ter – Necessità di adottare la forma vincolata della raccomandata postale con avviso di ricevimento – Sussiste, ma solo per prassi amministrativa.
Accertamento imposte sui redditi – Controllo formale della dichiarazione ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 – Obbligo di comunicare l’esito del controllo al contribuente – Sussiste, ma non costituisce notificazione – Inapplicabilità dell’art. 14 della legge n. 890/1982 – Consegue – Natura provvedimentale della comunicazione – Esclusione – Dimostrazione che la comunicazione abbia formato oggetto di invio raccomandato con avviso di ricevimento – Sufficienza – Mancato ricevimento da parte del contribuente – Irrilevanza.
Procedimento – Ricorso per cassazione – Motivi di ricorso – Vizio di omessa pronuncia – Configurabilità in caso di omessa decisione su un capo di domanda di parte avente contenuto concreto e su cui debba essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto – Sussiste.
Procedimento – Ricorso per cassazione – Motivi di ricorso – Vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito che integri una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. – Configurabilità – Condizioni e limiti.
Nella scansione procedimentale che fa da sfondo all’esecuzione delle attività di controllo formale previste dall’art. 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, trovano regolazione due momenti di confronto con il contribuente: il primo, previsto dal terzo comma, è eventuale, in quanto è legato appunto all’eventualità che in sede di controllo della dichiarazione sorga la necessità di invitare il contribuente «a fornire chiarimenti in ordine ai dati contenuti nella dichiarazione e ad eseguire o trasmettere ricevute di versamento e altri documenti non allegati alla dichiarazione o difformi dai dati forniti da terzi», con la precisazione peraltro che l’invito può concernere alternativamente l’una o l’altra ipotesi che non devono perciò ricorrere nello stesso tempo e che esso, in quanto eventuale, può anche essere omesso, non essendo infatti propedeutico all’inoltro della comunicazione di cui al quarto comma; il secondo, previsto appunto dal quarto comma, è invece necessario, essendo destinato a rendere noti al contribuente ovvero al sostituto di imposta i «motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili, delle imposte, delle ritenute alla fonte, dei contributi e dei premi» dichiarati, onde «consentire anche segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati» e che assolve ad una peculiare funzione di garanzia nell’interesse del soggetto passivo, il quale avendo conoscenza dei motivi può sia regolarizzare il contenuto della dichiarazione in rettifica, sia esercitare i propri diritti di difesa in sede contenziosa o addirittura interrompere la procedura segnalando dati ed elementi non comunicati o valutati erroneamente nella fase di controllo, potendo infatti l’Amministrazione finanziaria che riconosca fondata la denuncia di omissione o di errore agire in autotutela e non dar seguito all’attività impositiva.
Se nella sequenza procedimentalizzata delle attività di controllo previste dall’art. 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, l’Amministrazione finanziaria può ben prescindere dalla formulazione dell’invito al contribuente «a fornire chiarimenti in ordine ai dati contenuti nella dichiarazione e ad eseguire o trasmettere ricevute di versamento e altri documenti non allegati alla dichiarazione o difformi dai dati forniti da terzi» quando non ne sussista la necessità, ne discende che il contribuente non ha in linea di principio titolo a lamentarne l’omesso ricevimento potendo infatti non essergli mai pervenuto perché appunto l’Amministrazione stessa, non ravvisando la sussistenza delle condizioni richieste dal terzo comma dell’art. 36-ter, abbia ritenuto di non fargliene mai invio, né ad una diversa conclusione conduce l’art. 6, quinto comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) che, pur prescrivendo l’adempimento in questione a pena di nullità, ha tuttavia cura di renderlo obbligatorio solo «qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione», sicché, al pari di quello previsto dal terzo comma del predetto art. 36-ter, esso non costituisce un adempimento necessario e dunque la sua eventuale mancanza non può determinare la successiva nullità del provvedimento impositivo che faccia seguito all’attività liquidatoria.
In tema di riscossione delle imposte, l’art. 6, quinto comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ma soltanto «qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione», situazione, quest’ultima, che non ricorre nel caso in cui nella dichiarazione vi sia un mero errore materiale, che è l’ipotesi tipica disciplinata dal predetto art. 36-bis, poiché in tal caso non v’è necessità di chiarire nulla e, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi, non avrebbe indicato quale presupposto di esso l’incertezza riguardante «aspetti rilevanti della dichiarazione».
L’adozione di una forma vincolata si impone con riferimento alla comunicazione degli esiti finali del controllo formale, il cui invio è stabilito dal quarto comma dell’art. 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sebbene sul punto la legge sia silente, limitandosi a prescrivere l’adempimento senza tuttavia indicarne le forme; si tratta in realtà di una prescrizione operativa che, in funzione delle finalità perseguite dalla norma, l’Agenzia delle entrate ha inteso dettare con la circolare 16 luglio 2001, n. 68/E, alla stregua della quale «la comunicazione degli esiti del controllo deve essere inviata mediante raccomandata postale con avviso di ricevimento, al fine di acquisire certezza sulla data di ricevimento della stessa».
L’Amministrazione finanziaria, in funzione delle finalità conoscitive che la comunicazione di cui appresso assolve nel quadro delle attività di verifica che hanno titolo nel controllo formale della dichiarazione ai sensi dell’art. 36-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e della tutela del contribuente che in questo ambito si intende garantire, si premura di stabilire che la comunicazione informativa di cui al quarto comma del predetto art. 36-ter sia inviata per raccomandata postale con avviso di ricevimento, onde acquisire certezza sulla sua data di ricevimento, ma non che essa sia fatta oggetto di notificazione, in quanto la legge non lo prevede e tantomeno tale formalità trova fonte nella disciplina di secondo livello, dal che discende de plano l’inapplicabilità alla specie delle disposizioni recate dalla legge 20 novembre 1982, n. 890, in quanto l’art. 14 di tale legge, che le rende applicabili agli atti dell’Amministrazione finanziaria, concerne gli avvisi e gli altri atti «che per legge devono essere notificati al contribuente», nella specie non ricorrendo all’evidenza né l’una né l’altra condizione, considerato che la comunicazione prevista dal citato art. 36-ter non ha infatti natura provvedimentale, sì che possa essere inquadrata nella categoria degli avvisi, non incarnando essa alcuna concreta funzione impositiva, che competerà semmai al ruolo e alla susseguente cartella di pagamento, né rientra tra gli altri atti indicati dalla norma, non essendone prevista dalla legge la notificazione; conseguenza ulteriore di questo ragionamento è che se la comunicazione prevista dal quarto comma dell’art. 36-ter non deve essere notificata, non sussiste alcuna violazione delle norme della legge n. 890/1992 e neppure dello stesso art. 36-ter, allorquando sia incontestato che la comunicazione abbia formato oggetto di invio raccomandato con avviso di ricevimento e tanto basta a rigore a soddisfare il dettato normativo, a nulla rilevando in contrario che il destinatario eccepisca di non averla ricevuta, la mancata ricezione non potendo essere imputata all’Ufficio finanziario una volta che l’invio sia stato effettuato in conformità alla legge e alla corrente prassi operativa.
Il vizio di omessa pronuncia della sentenza su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto.
Ai fini della deduzione del vizio di omessa pronuncia della sentenza su una domanda o eccezione di merito, che integri una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte.
[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Bielli, rel. Marulli), 9 marzo 2016, sent. n. 4591]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – 1. F.E. ricorre per cassazione impugnando la sentenza con la quale la CTR Piemonte in data 7.10.2009, in accoglimento dell’appello dell’ufficio ed in riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la legittimità dell’iscrizione a ruolo e della conseguente cartella di pagamento notificata alla parte ai sensi dell’art. 36-ter D.P.R. 600/73, all’esito del controllo formale della dichiarazione IRPEF da essa presentata per l’anno 2000.
La CTR, constatato che l’ufficio aveva provveduto ad inoltrare, prima, la richiesta di documenti e, quindi, la comunicazione finale del controllo e che “tali comunicazioni risultano regolarmente effettuate alla residenza e al domicilio fiscale (della parte) in …”, ha ritenuto di dover affermare, accogliendo perciò il gravame, che “l’iscrizione a ruolo è dunque legittima e che la cartella esattoriale non è dunque impugnabile per motivi inerenti l’accertamento che deve intendersi ormai definitivo”.
Il mezzo ora proposto è affidato ad otto motivi.
Non ha svolto attività difensiva l’erario.
MOTIVI DELLA DECISIONE – 2. Con il primo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso svolti ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 36-ter D.P.R. 600/73, comma terzo e 8 l. 890/82, in quanto la CTR, affermando che tanto la richiesta di documenti di cui all’art. 36-ter, comma terzo, D.P.R. 600/73 quanto la comunicazione dell’esito finale del controllo di cui all’art. 36-ter, comma quarto, D.P.R. 600/73 nella specie erano state regolarmente effettuate alla residenza e al domicilio fiscale della parte, ha evidentemente ignorato le norme in indirizzo, poiché, a fronte del contestato ricevimento di dette comunicazioni, quanto alla prima di esse, “non è sufficiente, per superare l’eccezione, la mera affermazione di aver inviato detta comunicazione e la semplice allegazione di una copia della stessa, essendo necessaria la produzione delle ricevute postali che ne attestino, oltre che la spedizione, anche il regolare ricevimento o, in difetto, le cause che ne impedirono la consegna” (primo motivo); e quanto alla seconda, oggetto di un duplice inoltro, che l’avviso di ricevimento, prodotto, insieme alla busta, a conforto della regolarità del primo inoltro, recando soltanto il numero della raccomandata e l’intestazione del destinatario, ma non la sua sottoscrizione “non è idoneo a dimostrare l’avvenuta notifica della raccomandata” (terzo motivo) e che le produzioni documentali eseguite a conforto della regolarità del secondo inoltro – consistenti in particolare nella dichiarazione del messo notificatore e nell’avviso di ricevimento contenente, tra l’altro, l’attestazione dell’inoltro della comunicazione di avvenuto deposito per temporanea assenza del destinatario, non accompagnata però dalla ricevuta di spedizione e dall’avviso di ricevimento – risultano del pari inidonee, posto che “solo l’avviso di ricevimento sottoscritto dal destinatario costituisce prova dell’eseguita notificazione” e che nella specie non era stato prodotto l’avviso di ricevimento attestante l’esito della raccomandata “contenente la comunicazione di avvenuto deposito presso l’ufficio postale” (quarto motivo).
2.2. Tutti i detti motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in ragione dell’unitarietà della censura, risultano affetti, tutti indistintamente, da un comune difetto di fondatezza.
Ancorché essi intendano censurare le determinazioni adottate dalla CTR in punto di ritualità dell’invito e della comunicazione rispettivamente previsti dall’art. 36-ter, comma terzo e comma quarto, D.P.R. 600/73 sotto il profilo fattuale, prospettando una diversa lettura delle risultanze processuali e su di esse sollecitando inammissibilmente il sindacato di questa Corte – che non è notoriamente un giudice di terza istanza cui si possa richiedere la rinnovazione del giudizio di fatto operato dal giudice di merito nell’auspicio che esso risulti più favorevole nel proprio interesse – nessuno degli esposti motivi evidenzia un vulnus decisionale in grado di giustificare in parte qua la richiesta pronuncia cassatoria.
2.3.1. Giova premettere, a miglior intendimento delle ragioni del decidere, che nel quadro di un rafforzamento delle attività dirette al contrasto dell’evasione fiscale, il D.lg. 241/97, emanato in attuazione della delega di cui all’art. 3, comma 134, l. 662/96, ha provveduto a ridisciplinare il campo dei controlli formali cui possono andare soggette le dichiarazioni dei contribuenti, prevedendo in particolare nel novellato art. 36-ter D.P.R. 600/73 – che al “controllo formale delle dichiarazioni” è appunto intitolato – che “gli uffici periferici dell’amministrazione finanziaria procedono entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione al controllo formale delle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti di imposta, sulla base dei criteri selettivi fissati dal Ministero delle finanze”.
Tale controllo formale, si apprende dal comma 2, consente agli uffici di escludere, in tutto o in parte, le ritenute d’acconto, le detrazioni d’imposta e le deduzioni dal reddito non spettanti; rideterminare i crediti d’imposta; calcolare la maggiore imposta e i maggiori contributi dovuti; correggere gli errori materiali e di calcolo commessi nelle dichiarazioni dei sostituti d’imposta, e ciò a seguito di una verifica della corrispondenza dei dati indicati in dichiarazione con la documentazione conservata dal contribuente ed i dati desunti dal contenuto delle dichiarazioni presentate e delle comunicazioni fornite da altri soggetti (sostituti d’imposta, enti previdenziali e assistenziali, banche ed imprese assicuratrici). Il comma terzo di detta norma abilita gli uffici a richiedere al contribuente o al sostituto di imposta, invitato all’uopo anche “telefonicamente o in forma scritta o telematica”, i chiarimenti in ordine ai dati esposti in dichiarazione e la trasmissione dei documenti non allegati alla dichiarazione o difformi rispetto ai dati forniti dai terzi. L’esito del controllo, chiude il comma quarto, è infine comunicato al contribuente o sostituto di imposta “con l’indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla eventuale rettifica per consentire la segnalazione di eventuali elementi omessi o valutati erroneamente”.
Dunque nella scansione procedimentale che fa da sfondo all’esecuzione delle attività di controllo formale previste dall’art. 36-ter, trovano regolazione due momenti di confronto con il contribuente: il primo, previsto dal terzo comma, eventuale, in quanto è legato, appunto, all’eventualità che in sede di controllo della dichiarazione sorga la necessità di invitare il contribuente “a fornire chiarimenti in ordine ai dati contenuti nella dichiarazione e ad eseguire o trasmettere ricevute di versamento e altri documenti non allegati alla dichiarazione o difformi dai dati forniti da terzi”, con la precisazione, peraltro, che l’invito può concernere alternativamente l’una o l’altra ipotesi che non devono perciò ricorrere nello stesso tempo e che esso, in quanto eventuale, può anche essere omesso, non essendo infatti propedeutico all’inoltro della comunicazione di cui al quarto comma; il secondo, previsto appunto dal quarto comma, invece necessario essendo destinato a rendere noti al contribuente ovvero al sostituto di imposta i “motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili, delle imposte, delle ritenute alla fonte, dei contributi e dei premi” dichiarati, onde “consentire anche segnalazione di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati” e che, come ha già precisato questa Corte (15311/14 (1)), assolve ad una peculiare funzione di garanzia nell’interesse del soggetto passivo, “il quale avendo conoscenza dei motivi, può sia regolarizzare il contenuto della dichiarazione in rettifica, sia esercitare i propri diritti di difesa in sede contenziosa o addirittura interrompere la procedura segnalando dati ed elementi non comunicati o valutati erroneamente nella fase di controllo”, potendo infatti l’amministrazione che riconosca fondata la denuncia di omissione o di errore agire in autotutela e non dar seguito all’attività impositiva.
2.3.2. Sebbene l’impugnante non vi faccia cenno, a completamento del quadro di riferimento è pure doveroso notare che analogo procedimento, quantunque se non caratterizzato dalla stessa scansione, è disciplinato dall’art. 6, comma 5, l. 212/00, che prevede l’inoltro al contribuente, prima di procedere all’iscrizione a ruolo ed a pena di nullità, di un invito, fatto recapitare a mezzo posta o per via telematica, a fornire chiarimenti e a produrre documenti “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”. Anche la norma statutaria, al pari dell’art. 36-ter D.P.R. 600/73, interviene quindi sull’attività di liquidazione delle dichiarazioni, ma, diversamente dal suo omologo, si occupa di regolare il solo aspetto afferente alla richiesta di chiarimenti e di documenti e, soprattutto, si premura di precisare – cosa che non fa viceversa l’art. 36-ter cit. – che “sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma”.
2.4.1. In questa cornice normativa si cala, dunque, la prima obiezione che con i motivi in disamina il ricorrente muove al deliberato d’appello, eccependone la contrarietà alla legge – nella specie sotto forma della violazione o falsa applicazione dell’art. 36-ter, commi terzo e quarto, D.P.R. 600/73 – in quanto, alla luce del contestato ricevimento di entrambe le anzidette comunicazione, non sarebbe a suo dire “sufficiente” la mera asserzione fatta propria dal giudice territoriale – nel che risiederebbe l’errore imputato al medesimo sotto questa angolazione – che le comunicazioni abbiano costituito oggetto di un regolare inoltro, in particolare non mostrandosi in grado di corroborarne la fondatezza in chiave probatoria – come la ricorrente si dà cura di osservare nell’illustrazione di ciascun motivo – “la semplice allegazione di una copia” dell’invito previsto dal terzo comma del citato art. 36-ter, o, quanto alla comunicazione di cui al comma quarto, “la presenza agli atti della copia dell’avviso di ricevimento recante il solo numero della raccomandata e l’intestazione del destinatario, senza la sottoscrizione di questo né alcuna altra indicazione circa l’esito della notifica” ovvero, “la presenza agli atti della copia dell’avviso di ricevimento recante l’attestazione sia della mancata consegna del plico per mancanza del destinatario, sia dell’immissione dell’avviso nella cassetta della corrispondenza dello stabile, sia degli estremi (data e numero) della raccomandata relativa alla spedizione della comunicazione di avvenuto deposito del piego presso l’ufficio postale”, non accompagnata tuttavia dalla ricevuta di spedizione e dall’avviso di ricevimento di tale ultima raccomandata.
2.4.2. Nei termini esposti il denunciato errore di diritto non è però ravvisabile. È dubitabile invero che il ricorrente abbia interesse a dolersi della pretesa violazione dell’art. 36-ter, comma terzo, D.P.R. 600/73 lamentata con il primo motivo: il carattere eventuale dell’invito ivi previsto, che l’ufficio è tenuto a formulare, come sopra si è ricordato, solo se nel corso dell’attività di controllo emergano dalla dichiarazione elementi e dati rispetto ai quali si renda necessario richiedere chiarimenti al soggetto passivo o si renda necessario invitarlo alla produzione di documenti non allegati o difformi da quelli in possesso dell’amministrazione, mette preventivamente l’ufficio al riparo da contestazioni, dal momento che il suo inoltro – della cui omissione si lamenta nella specie appunto il ricorrente eccependone, come visto, il mancato ricevimento – non costituisce un adempimento necessitato, neppure in funzione della successiva comunicazione di cui al comma quarto, atteso che l’ufficio è tenuto all’invio di quest’ultima anche se nella fase di verifica abbia ritenuto che non si dovessero chiedere chiarimenti di sorta al dichiarante o che lo stesso non dovesse essere invitato ad eseguire ulteriori produzioni documentali. Dunque, se nella sequenza procedimentalizzata delle attività di controllo previste dall’art. 36-ter citato, l’amministrazione può ben prescindere dalla formulazione dell’invito quando non ne sussista la necessità, il ricorrente non ha in linea di principio titolo a lamentarne l’omesso ricevimento potendo infatti non essergli mai pervenuto perché appunto l’amministrazione, non ravvisando la sussistenza delle condizioni richieste dal comma terzo dell’art. 36-ter, abbia ritenuto di non fargliene mai invio.
Né ad una diversa conclusione conduce l’art. 6, comma 5, l. 212/00 che, pur prescrivendo l’adempimento in questione a pena di nullità, ha tuttavia cura di renderlo obbligatorio solo “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, sicché, al pari di quello previsto dal terzo comma dell’art. 36-ter, esso non costituisce un adempimento necessario e dunque la sua eventuale mancanza non può determinare la successiva nullità del provvedimento impositivo che faccia seguito all’attività liquidatoria. Come del resto la giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente riconosciuto in relazione al controllo automatizzato di cui all’art. 36-bis D.P.R. 600/73, affermando che “in tema di riscossione delle imposte, l’art. 6, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212 non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre nel caso in cui nella dichiarazione vi sia un mero errore materiale, che è l’ipotesi tipica disciplinata dall’art. 36-bis citato, poiché in tal caso non v’è necessità di chiarire nulla e, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi, non avrebbe indicato quale presupposto di esso l’incertezza riguardante “aspetti rilevanti della dichiarazione” (7536/11; 8342/12; 12023/15) (2)”.
Un interesse a dolersi dell’omesso invio dell’invito sarebbe in ipotesi riconoscibile in capo al dichiarante solo se in detta preliminare fase di controllo l’attività valutativa dell’ufficio si soffermi ad analizzare dati ed elementi emergenti dalla dichiarazione che, se fatti oggetto di un preventivo confronto con la parte, appunto attivando il meccanismo informativo del terzo comma, avrebbero potuto evitare una rettifica reddittuale. Ma, in disparte la considerazione che questa situazione non ricorre nel caso di specie, in quanto il ricorrente nell’esposizione del motivo non allega alcuna circostanza in questa direzione, è assorbente in contrario la constatazione che, dovendo a detta fase seguire l’invio della comunicazione di cui al successivo quarto comma ed essendo detta comunicazione, come pure si è detto sopra, funzionale anche a segnalare dati ed elementi non considerati dall’ufficio o valutati da questo erroneamente, la parte che versi in questa situazione non è pregiudicata nella tutela dei propri diritti, potendo eventualmente far valere le proprie ragioni, una volta che sia raggiunta da detta comunicazione, fornendo a seguito di essa quei chiarimenti e producendo quei documenti che l’ufficio abbia ritenuto viceversa di non richiedere in precedenza.
Del resto l’inconferenza della doglianza, che fa leva su un aspetto formale del procedimento e lo eleva a requisito di legittimità dello stesso, è smentito dalla stessa lettera della legge che laddove autorizza ad inoltrare l’invito di cui al comma terzo, “anche telefonicamente o in forma scritta o telematica”, prevedendo, cioè, un ampio ventaglio di canali informativi ai quali l’ufficio è libero di attingere onde sollecitare il destinatario a fornire i necessari chiarimenti o a produrre i necessari documenti ai fini del completamento delle attività di verifica, implicitamente testimonia che l’invito non è soggetto ad alcun vincolo di forma e, tanto meno, che esso, quando sia inoltrato a mezzo posta, debba avvenire in forma di raccomandata. E ancora una volta non diverso è il responso che in parte qua si ricava dall’art. 6, comma 5, l. 212/00, giacché anch’esso adotta una formula simile, prescrivendo che l’invito al contribuente a chiarire e produrre possa essere formalizzato “a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici”.
Va infine da sé che la declaratoria in parola travolge anche quanto il ricorrente argomenta in pari direzione con riferimento all’art. 4 l. 890/82, e ciò in disparte da ogni considerazione sulla pertinenza nel caso concreto del parametro richiamato.
2.4.3.1. L’adozione di una forma vincolata si impone, invece, con riferimento alla comunicazione degli esiti finali del controllo formale, il cui invio è stabilito dal quarto comma dell’art. 36-ter citato. Non lo dice, per la verità, la legge che sul punto è silente, limitandosi a prescrivere l’adempimento, senza tuttavia indicarne le forme. E nulla è lecito inferire dall’art. 6, comma 5, l. 212/00 che di questa fase non si occupa, occupandosi esso solo della richiesta di chiarimenti e di documenti. È però una prescrizione operativa che, in funzione delle finalità perseguite dalla norma, l’Agenzia delle Entrate ha inteso dettare con la circolare 68/2001 (3) alla stregua della quale infatti “la comunicazione degli esiti del controllo deve essere inviata mediante raccomandata postale con avviso di ricevimento, al fine di acquisire certezza sulla data di ricevimento della stessa”.
Ad essa si riporta verosimilmente il ricorrente allorché con il terzo ed il quarto motivo di ricorso si duole, come si è visto, del mancato ricevimento della comunicazione datata 30.11.2003 contenente l’esito della verifica, che, sebbene fatta oggetto nella specie di un duplice inoltro, non avrebbe tuttavia raggiunto il suo scopo. L’ufficio non sarebbe infatti in grado di dimostrare il contrario – questa in breve la tesi dell’impugnante –, vuoi perché non sarebbe all’uopo bastevole “la presenza agli atti della copia dell’avviso di ricevimento recante il solo numero della raccomandata e l’intestazione del destinatario, senza la sottoscrizione di questo né alcuna altra indicazione circa l’esito della notifica”, vuoi perché analogamente si rivelerebbe inidonea, “la presenza agli atti della copia dell’avviso di ricevimento recante l’attestazione sia della mancata consegna del plico per mancanza del destinatario, sia dell’immissione dell’avviso nella cassetta della corrispondenza dello stabile, sia degli estremi (data e numero) della raccomandata relativa alla spedizione della comunicazione di avvenuto deposito del piego presso l’ufficio postale”, non accompagnata tuttavia dalla ricevuta di spedizione e dall’avviso di ricevimento di tale ultima raccomandata.
Su un piano di principio – anche per sottolineare la distanza dell’odierna fattispecie da quella esaminata da Cass. 15311/14 – non è inopportuno rimarcare in fatto, e proprio in considerazione della funzione di garanzia che la predetta decisione di questa Corte ha inteso ascrivere alla comunicazione dell’art. 36-ter, quarto comma, D.P.R. 600/73, che le doglianze complessivamente sviluppate dal ricorrente con i motivi in disamina lamentano non già una mancanza pure e semplice della comunicazione che non sarebbe stata inviata dall’amministrazione, ma il mancato ricevimento di essa a fronte del fatto pure incontestato che l’amministrazione per ben due volte provvide al suo inoltro con gli esiti contestati dal ricorrente.
2.4.3.2. Ciò detto a miglior inquadramento dello scenario fattuale in cui si colloca la fattispecie odierna, venendo ai motivi di ricorso, è di tutta evidenza che il ricorrente non ha interesse alcuno a dolersi della violazione dell’art. 36-ter, quarto comma, D.P.R. 600/73 denunciata con il terzo motivo di ricorso. Ciò per l’elementare constatazione che la comunicazione del cui mancato ricevimento egli si lamenta è stata inviata nella specie due volte, di modo che, se il secondo invio abbia raggiunto il suo scopo – abbia cioè posto il destinatario in condizioni di apprendere gli esiti finali dell’attività di controllo con l’indicazione dei motivi che hanno determinato l’eventuale rettifica redddituale – diviene inconferente ai fini del decidere stabilire se la prima comunicazione sia avvenuta ritualmente o no, in quanto se anche fosse dimostrabile che la prima comunicazione non sia andata a buon fine, perché, come sostiene il ricorrente, non sarebbe sufficiente a questo “la presenza agli atti della copia dell’avviso di ricevimento recante il solo numero della raccomandata e l’intestazione del destinatario, senza la sottoscrizione di questo né alcuna altra indicazione circa l’esito della notifica”, non per questo la decisione d’appello andrebbe necessariamente soggetta a cassazione se fosse dimostrabile che la comunicazione, inviata una seconda volta, abbia potuto raggiungere lo scopo informativo perseguito dalla legge ed in questa veste assolvere quella funzione di garanzia su cui questa Corte ha già avuto occasione di insistere (15311/14).
Anche qui occorre poi ripetere che la declaratoria si estende anche all’ulteriore argomento che il ricorrente svolge a fondamento del motivo richiamando gli artt. 4 e 8 l. 890/82 e ciò, come già si è detto in relazione all’analogo argomento che accompagna il primo motivo, senza prendere posizione sull’appropriatezza del richiamo così operato.
2.4.3.3. Anche il secondo invio è però, come visto, fonte di rimostranze, osservando il ricorrente che nella specie, adottate le forme della notificazione a mezzo posta ed una volta depositato il plico per irreperibilità del destinatario presso l’ufficio postale, della successiva comunicazione di avvenuto deposito non vi è nella specie prova mancando la ricevuta di spedizione e l’avviso di ricevimento.
Anche questo motivo si rivela infondato.
È bene infatti rimarcare che, se secondo le istruzioni dell’amministrazione l’inoltro della comunicazione di cui al quarto comma dell’art. 36-ter deve essere effettuata in forma raccomandata, onde acquisire certezza sulla data di ricevimento della stessa, esso tuttavia non costituisce un adempimento che dia luogo ad una attività notificatoria. La legge – anzi, per essere precisi – l’amministrazione, in funzione delle finalità conoscitive che la comunicazione assolve nel quadro delle attività di verifica che hanno titolo nel controllo formale della dichiarazione ai sensi dell’art. 36-ter e della tutela del contribuente che in questo ambito si intende garantire, si premura di stabilire che la comunicazione sia inviata per raccomandata postale con avviso di ricevimento, ma non che essa sia fatta oggetto di notificazione, in quanto la legge non lo prevede e tantomeno tale formalità trova fonte nella disciplina di secondo livello.
Da ciò discende de plano l’inapplicabilità alla specie delle disposizioni recate dalla l. 890/82 – di cui il ricorrente imputa al giudice d’appello la violazione con l’ulteriore argomento sviluppato a conforto della censura – che nella specie non trovano viceversa ragione di essere richiamate, in quanto l’art. 14 l. 890/82, che le rende applicabili agli atti dell’amministrazione finanziaria, concerne gli avvisi e gli altri atti “che per legge devono essere notificati al contribuente”, nella specie non ricorrendo all’evidenza né l’una né l’altra condizione: la comunicazione prevista dall’art. 36-ter non ha infatti natura provvedimentale, si ché possa essere inquadrata nella categoria degli avvisi, non incarnando essa infatti alcuna concreta funzione impositiva, che competerà, semmai, al ruolo e alla susseguente cartella; né rientra tra gli altri atti indicati dalla norma, non essendone prevista dalla legge la notificazione. Conseguenza ulteriore di questo ragionamento è che, se la comunicazione del quarto comma dell’art. 36-ter non debba essere notificata, non solo non sussiste la lamentata violazione delle richiamate norme della l. 890/82, ma neppure è consentito eccepire la violazione dello stesso art. 36-ter, perché nella specie è incontestato che la comunicazione sia stata fatta oggetto – addirittura per ben due volte – di invio raccomandato con avviso di ricevimento e tanto basta a rigore a soddisfare il dettato normativo, a nulla rilevando in contrario che il destinatario eccepisca di non averla ricevuta, la mancata ricezione non potendo essere imputata all’ufficio una volta che l’invio sia stato effettuato in conformità alla legge e alla corrente prassi operativa.
3.1. Il secondo ed il quinto motivo di ricorso hanno ad oggetto la denuncia ex art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c., di un vizio motivazionale, nella specie consistente nell’omessa motivazione circa il fatto controverso rappresentato dal contestato ricevimento tanto dell’invito di cui al terzo comma dell’art. 36-ter, D.P.R. 600/73 quanto della comunicazione di cui al successivo quarto comma, in quanto il giudice d’appello, nel riconoscere il regolare inoltro di entrambi, “avrebbe dovuto indicare in maniera dettagliata gli elementi da cui avrebbe tratto il proprio convincimento secondo cui la comunicazione datata 11.4.2003 risulterebbe regolarmente ricevuta” (secondo motivo); ovvero “gli elementi da cui avrebbe tratto il proprio convincimento secondo cui la comunicazione datata 30.11.2003 risulterebbe regolarmente ricevuta” (quinto motivo), in entrambi i casi non potendo limitarsi ad affermare che “detta comunicazione risulta regolarmente effettuata”.
3.2. Quanto al secondo motivo – con cui il ricorrente lamenta un vizio motivazionale in merito alla ritenuta ritualità dell’inoltro dell’invito di cui al terzo comma dell’art. 36-ter D.P.R. 600/73 – la sua cognizione resta assorbita dal difetto di interesse che inficia la prospettazione dell’impugnante in relazione al primo motivo di ricorso, poiché se, come si è già statuito nella disamina di esso, l’impugnante non ha ragione di dolersi della lamentata violazione di legge perché la sorte dell’atto è indifferente alla determinazione che si assume su di essa, del pari non ha interesse a dolersi di un ipotetico vizio di motivazione riguardo ad una statuizione al cui controllo di legittimità non ha interesse.
3.3. Anche il quinto motivo di ricorso – che si appunta sul vizio motivazionale in cui la CTR sarebbe incorsa per aver ritenuto regolare l’inoltro della comunicazione di cui di cui al quarto comma dell’art. 36-ter D.P.R. 600/73 presso la residenza ed il domicilio fiscale della parte – va dichiarato assorbito nella statuizione adottata con riferimento al terzo e quarto motivo di gravame: da un lato prevale il difetto di interesse del ricorrente a valersi di una pretesa violazione che, al pari di quella di cui al primo motivo di ricorso, risulta inconferente ai fini della legittimità dell’atto impugnato in quanto nella specie la comunicazione in parola è stata inviata due volte; dall’altro, sebbene sia innegabile che la motivazione del provvedimento impugnato sul punto sia laconica, nondimeno le ragioni che il ricorrente formula a sostengo dell’eccepita omissione motivazionale evidenziano argomenti che, come si è spiegato nel respingere la doglianza in diritto, si rivelano nella specie del tutto privi di conferenza (“per concludere il messo notificatore … non rispettava la regolamentazione prevista dalla legge 20.11.1982, n. 890 …”).
4.1. Con il sesto, settimo ed ottavo motivo di ricorso si deduce, per gli effetti dell’art. 360, comma primo, n. 4 c.p.c. la nullità dell’impugnato provvedimento avendo esso del tutto omesso di pronunciarsi in ordine “all’eccezione di carenza di motivazione della cartella impugnata” (sesto motivo); “all’eccezione di tardività dell’azione erariale per mancato rispetto del termine di decadenza previsto per la formazione del ruolo dall’art. 17, lett. b) del D.P.R. 602/73 ed in ogni caso per la notifica della cartella entro il medesimo termine di cui all’art. 17, lett. b) del D.P.R. 602/73” (settimo motivo); e “sulle contestazioni di merito della pretesa” (ottavo motivo).
4.2. Premesso che, come ancora si è ricordato di recente da questa stessa Sezione “il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto [e] pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto” (5653/15 (4); 4860/15 (5); 7653/12 (6)), nella specie la sussistenza del vizio denunciato con ciascuno dei motivi in esame è incontrovertibile. Ed invero, se come ancora di recente si è osservato ai fini della deduzione di esso “è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte” (15367/14 (7)), è nella specie provato che avanti ai giudici di merito il ricorrente avesse, nell’ordine, lamentato la carenza di motivazione della cartella impugnata, la tardività dell’azione erariale ed in ultimo l’infondatezza nel merito dell’esercita pretesa e che nessuna di dette istanze abbia formato oggetto di pronunciamento da parte del giudice adito, limitatosi invero a statuire la legittimità della cartella solo sotto il profilo della regolarità degli atti prodromici, con una statuizione che neppure implicitamente si mostra in grado di esaurire le ulteriori istanze fatte valere dal ricorrente.
5. Accogliendosi i detti motivi, la sentenza impugnata andrà conseguentemente cassata e la causa andrà rinviata al giudice territoriale per il doveroso riesame ai sensi dell’art. 383, comma primo, c.p.c.
P.Q.M. – La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa l’impugnata sentenza e rinvia avanti alla CTR Liguria che in altra composizione provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
(1) Cass. 4 luglio 2014, n. 15311, in Boll. Trib., 2014, 1488.
(2) Cfr. Cass. 31 marzo 2011, n. 7536; Cass. 25 maggio 2012, n. 8342; Cass. 16 giugno 2015, n. 12023; tutte in Boll. Trib. On-line.
(3) Cfr. circ. 16 luglio 2001, n. 68/E, in Boll. Trib., 2011, 1159.
(4) Cass. 20 marzo 2015, n. 5653, in Boll. Trib. On-line.
(5) Cass. 11 marzo 2015, n. 4860, in Boll. Trib. On-line.
(6) Cass. 16 maggio 2012, n. 7653, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cass. 4 luglio 2014, n. 15367, in Mass. foro it., 2014, 530.