Accertamento imposte sui redditi – Elusione – Disposizioni antielusive – Art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 – Richiesta al contribuente di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni a pena di nullità dell’accertamento – Incongruenza della sanzione della nullità rispetto ad altre norme antielusive e al principio dell’abuso del diritto – Questione di legittimità costituzionale dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. – Non manifesta infondatezza.
Accertamento imposte sui redditi – Accertamento – Rettifica fiscale per violazione dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 – Preventiva richiesta al contribuente di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni a pena di nullità dell’accertamento – Incongruenza della sanzione della nullità rispetto ad altre norme antielusive e al principio dell’abuso del diritto – Questione di legittimità costituzionale dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. – Non manifesta infondatezza.
Non è manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 37-bis, quarto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dettato nell’ambito delle procedure antielusive, nella parte in cui sanziona espressamente con la nullità l’avviso di accertamento che non sia stato preceduto dalla richiesta al contribuente di «chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta», attesa l’incongruenza e l’irragionevole disparità di trattamento rispetto ad altre norme del vigente ordinamento che, pur a loro volta prescrivendo l’inopponibilità all’erario di negozi stipulati con finalità elusive, non sono corredate dalla medesima previsione di nullità per difetto delle forme del contraddittorio preventivo.
[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Merone, rel. Bruschetta), 5 novembre 2013, ord. n. 24739, ric. Agenzia delle entrate c. Cassa di Risparmio di Rieti s.p.a.]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con l’impugnata sentenza n. 64/37/07, depositata il 12 luglio 2007, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in totale riforma della decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Rieti n. 164/01/04, annullava l’avviso di accertamento n. … IRPEG ILOR 1997 e la derivata cartella di pagamento n. … IRPEG ILOR 1997 emessi nei confronti della contribuente Cassa di Risparmio di Rieti S.p.A.
Con l’avviso di accertamento, fonte d’innesco un PVC della G.d.F., venivano ripresi a tassazione interessi moratori non contabilizzati per L. 45.924,23, relativi a crediti maturati nei confronti di Unione Manifatture S.p.A., oltreché considerata “indebita” la deduzione di L. 1.472.645.631 conseguente alla cessione di crediti “svalutati” a favore, ancora, di Unione Manifatture S.p.A., operazione, quest’ultima, che l’Ufficio riteneva elusiva à sensi dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
La CTR, per quanto d’interesse, annullava l’opposto avviso di accertamento perché, lo stesso, in violazione dell’art. 37 bis, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, era stato notificato prima che fossero trascorsi sessanta giorni dal ricevimento della lettera di chiarimenti richiesti alla contribuente. Difatti, i giorni trascorsi erano stati invece cinquantaquattro.
Contro la sentenza della CTR, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La Cassa di Risparmio di Rieti resisteva con controricorso.
[-protetto-]
MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. Col secondo motivo, ma da esaminarsi per primo atteso il suo carattere preliminare, l’Agenzia delle Entrate censurava la sentenza à sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, deducendo, in particolare, la irrilevanza del rispetto del procedimento previsto dal citato art. 37-bis, prevalendo la necessità di reprimere l’elusione, e, comunque, l’abuso del diritto, secondo le indicazioni della CE, oltreché di questa Corte. L’argomentazione del motivo, terminava col quesito: “se per effetto della introduzione nell’ordinamento nazionale del divieto di abuso del diritto in forza del quale l’Amministrazione può disattendere gli effetti di operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale, sia divenuta irrilevante la nullità prevista dall’art. 37-bis, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, e se conseguentemente sia illegittima una sentenza che annulli un avviso di accertamento contenente un rilievo in relazione ad operazioni elusive, per il mancato rispetto del termine di cui al comma 4 del medesimo articolo”.
2. Questa Corte ritiene, per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., di dover sollevare ex officio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37-bis, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, laddove quest’ultimo sanziona con la nullità l’avviso di accertamento “antielusivo” che non sia stato preceduto dalla richiesta di chiarimenti nelle forme e nei tempi ivi prescritti.
Nella concreta fattispecie, come ricordato in narrativa, l’avviso di accertamento sub iudice era stato notificato prima dei prescritti sessanta giorni.
3. La questione che si solleva è all’evidenza rilevante, perché dall’applicazione della comminatoria conseguirebbe la nullità dell’avviso.
4. La questione, altresì, secondo questa Corte, non è manifestamente infondata. In effetti, come appena più sotto si avrà cura di spiegare, la nullità stabilita dall’art. 37-bis, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, è distonica rispetto al “diritto vivente” e creatrice di irragionevoli disparità di trattamento.
5. Come noto, l’interpretazione di questa Corte si è consolidata nel senso dell’esistenza, nel nostro ordinamento, di un principio generale, ricavabile dalla Costituzione, precisamente dall’art. 53 della stessa, che vieta di conseguire indebiti vantaggi fiscali abusando del diritto (Cass. sez. un. n. 15029 del 2009 (1); Cass. sez. un. n. 30057 del 2008(2); Cass. sez. trib. n. 10807 del 2012 (3); Cass. sez. trib. n. 22932 del 2005 (4); Cass. sez. trib. n. 20398 del 2005 (5) ). La fattispecie antielusiva di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, si presenta, perciò, inevitabilmente, come speciale rispetto a quella più generale del cosiddetto abuso del diritto (Cass. sez. trib. n. 12042 del 2009 (6)). Come si vede, difatti, in entrambi casi il fondamento della ripresa è costituito da un vantaggio fiscale che, per mancanza di causa economica, diventa indebito. Tuttavia, irrazionalmente, soltanto per la ripresa antielusiva à sensi del citato art. 37-bis è legge che le forme del preventivo contraddittorio debbano esser seguite sub poena nullitatis. Del resto, ad aumentare l’irragionevolezza della misura in parola, deve essere rilevata l’esistenza di altre norme che, nella comune interpretazione, consentono l’inopponibilità di negozi elusivi, ma senza che però vi sia un’analoga previsione di nullità per difetto di forme del contraddittorio. Tra tutte, per la sua frequenza, si rammenta l’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Cass. sez. trib. n. 9162 del 2010 (7); Cass. sez. trib. 3571 del 2010 (8); Cass. sez. trib. n. 12042 del 2009 (9); Cass. sez. trib. n. 13580 del 2007 (10); Cass. sez. trib. n. 10273 del 2007 (11) ). Da ultimo, a completamento, deve essere ricordato che, nell’interpretazione della giurisprudenza, il giudice deve, anche d’ufficio, quando ritenga sussistenti gli elementi della fattispecie abusiva, far applicazione della ripresa antielusiva (Cass. sez. un. n. 30057 del 2008 (12); Cass. sez. un. n. 30055 del 2008 (13); Cass. sez. trib. n. 7393 del 2012 (14); Cass. sez. trib. n. 22932 del 2005 (15); Cass. sez. trib. n. 20398 del 2005 (16)). Ciò che, ovviamente, implica l’impossibilità di ogni preventivo contraddittorio.
Cosicché, a questo punto, la nullità per irregolarità delle forme di che trattasi risulta irragionevolmente stabilita solo nella residuale ipotesi antielusiva di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.
6. Va aggiunto, ulteriore parametro della irragionevolezza divisata da questa Corte, questa volta con riferimento all’art. 53 Cost., norma che a tutti impone l’adempimento delle obbligazioni tributarie, che la giurisprudenza ha sempre inteso che il contraddittorio debba avere carattere di effettività sostanziale e non formalistico. Ad esempio, nel campo del processo, ancor più delicato, secondo l’arcinota giurisprudenza, la nullità della notifica dell’atto fiscale si considera sanata, à sensi degli artt. 156, comma 3, c.p.c., e 60 del D.P.R. n. 600 del 1973, cioè per raggiungimento dello scopo, quando il contribuente impugni correttamente l’atto (Cass. sez. trib. n. 14925 del 2011 (17); Cass. sez. trib. n. 10445 del 2011 (18)).
7. Serve precisare che non è qui in discussione l’utilità, in qualche modo anche la necessità, di un contraddittorio preventivo tra Amministrazione e contribuente. È invece in discussione che, nel quadro delineato, il mero difetto di forma del contraddittorio, qui, tra l’altro, particolarmente lieve, giacché l’avviso è stato notificato poco prima dello spirare del termine dilatorio di giorni sessanta, debba comportare l’invalidità dell’atto fiscale, cosa davvero irragionevole, anche, come s’è visto, in relazione alle altre viciniori fattispecie antielusive.
8. Questa Corte conclude annotando che, a suo avviso, in relazione alla perentoria formulazione della denunciata disposizione, la comminatoria di nullità non sembra poter esser, in alcuna maniera, suscettibile di interpretazioni adeguatrici che siano costituzionalmente orientate. In effetti, la sanzione è diretta proprio a protezione delle forme del preventivo contraddittorio.
P.Q.M. – La Corte, visto l’art. 23 della L. 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 bis, comma 4, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale; ordina alla Cancelleria che la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati.
(1) Cass. 26 giugno 2009, n. 15029, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 23 dicembre 2008, n. 30057, in Boll. Trib., 2009, 481.
(3) Cass. 28 giugno 2012, n. 10807, in Boll. Trib., 2013, 465.
(4) Cass. 14 novembre 2005, n. 22932, in Boll. Trib., 2006, 627.
(5) Cass. 21 ottobre 2005, n. 20398, in Boll. Trib., 2006, 525.
(6) Cass. 25 maggio 2009, n. 12042, in Boll. Trib., 2009, 1223.
(7) Cass. 16 aprile 2010, n. 9162, in Boll. Trib. On-line.
(8) Cass. 16 febbraio 2010, n. 3571, in Boll. Trib. On-line.
(9) Cass. 25 maggio 2009, n. 12042, in Boll. Trib., 2009, 1223.
(10) Cass. 11 giugno 2007, n. 13580, in Boll. Trib. On-line.
(11) Cass. 4 maggio 2007, n. 10273, in Boll. Trib. On-line.
(12) Cass. 23 dicembre 2008, n. 30057, in Boll. Trib., 2009, 481.
(13) Cass. 23 dicembre 2008, n. 30055, in Boll. Trib., 2009, 484.
(14) Cass. 11 maggio 2012, n. 7393, in Boll. Trib. On-line.
(15) Cass. 14 novembre 2005, n. 22932, in Boll. Trib., 2006, 627.
(16) Cass. 21 ottobre 2005, n. 20398, in Boll. Trib., 2006, 525.
(17) Cass. 6 luglio 2011, n. 14925, in Boll. Trib. On-line.
(18) Cass. 12 maggio 2011, n. 10445, in Boll. Trib. On-line.
Brevi riflessioni immediate intorno a uno spiazzante “revirement” concettuale della Suprema Corte
Una pronuncia che disorienta, di quelle che lasciano nel lettore un senso di amarezza se non di frustrazione. Non altrimenti si può definire lo stato d’animo di chi ha appena fatto in tempo a metabolizzare l’insegnamento della Suprema Corte circa il significato da attribuire all’art. 12, settimo comma, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente) (1), e già si ritrova a fare i conti con una picconata sferrata al fragile edificio fresco di intonaco.
Solo ieri, infatti, con la sentenza 29 luglio 2012, n. 18184 (2), il giudice di legittimità, sollecitato nella sua composizione allargata, ha stabilito che l’inosservanza del termine di 60 giorni – quello che, in base alla norma citata, deve intercorrere fra il rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di accesso, ispezione o verifica e l’emanazione dell’avviso di accertamento – comporta “di per sé” l’illegittimità dell’atto impositivo a meno che l’Amministrazione finanziaria non dia prova dei motivi di urgenza che l’hanno indotta alla sua emissione anticipata. Tre mesi o poco più e già la visione sottesa da quella pronuncia (per la verità non del tutto convincente, ma pur sempre indicazione meditata quanto autorevole) (3) viene di fatto, indirettamente ma drasticamente, rimessa in discussione. Vediamo perché muovendo dall’odierna pronuncia.
Oggetto della più recente disputa è il quarto comma dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. La norma, introdotta dall’art. 7, primo comma, del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, prevede, sotto la rubrica Disposizioni antielusive, che «l’avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili i commi 1 e 2». Commi i quali, a loro volta, rispettivamente statuiscono che «sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti» (primo comma); e che «l’amministrazione finanziaria disconosce i vantaggi tributari conseguiti mediante gli atti, i fatti e i negozi di cui al comma 1, applicando le imposte determinate in base alle disposizioni eluse, al netto delle imposte dovute per effetto del comportamento inopponibile all’amministrazione» (secondo comma).
Non è chi non veda il preciso parallelo – o meglio: il rapporto da genus a species – esistente fra il settimo comma dell’art. 12 della legge n. 212/2000 (a portata generale, in quanto utilizzabile ogni qualvolta sia stata condotta una verifica «nei locali destinati all’esercizio di attività», ma non solo) e il quarto comma dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 (a portata speciale, in quanto spendibile solo nella repressione dei vantaggi fiscali privi di causa economica e per ciò stesso indebiti). Anzi, nominalmente più solido il secondo perché, a differenza dell’altro, la sua violazione è espressamente sanzionata con la nullità dell’atto in cui l’azione finanziaria avesse a sfociare.
Ebbene, incurante del fatto che l’art. 12, settimo comma, ha felicemente superato il predetto vaglio delle Sezioni Unite, oggi la Sezione Semplice dubita della legittimità costituzionale dell’art. 37-bis, quarto comma, poiché, a suo dire, l’osservanza del termine costituirebbe un ostacolo eccessivo, un peso ingiustificato, a fronte dell’incombenza primaria gravante sull’operatore, consistente nell’accertamento dell’effettivo imponibile e quindi nella quantificazione del corretto tributo. In altri termini, sarebbe banale sottilizzare sul difetto procedurale determinato dall’infrazione del termine, quando in gioco sono valori sostanziali come la repressione del tentativo, perpetrato dal contribuente, di sottrarre materia imponibile in fraudem legis. Tentativo peraltro – non pare inutile ricordarlo – al momento oggetto di mera contestazione, ergo ancora tutto da dimostrare.
Non sfugge l’errore logico in cui i supremi giudici sono caduti, l’avere rapportato due fattori di concezione, struttura e funzione del tutto lontani: contenutistico e sostanziale l’uno, cioè il dovere del privato di contribuire alla cosa pubblica attraverso la giusta contribuzione; formale e procedurale l’altro, cioè il dovere della pubblica Amministrazione di procedere, nella raccolta delle prove e nella formulazione dei rilievi, attenendosi al più scrupoloso rispetto dei diritti di contraddittorio conferiti alla persona sottoposta ad indagine. Anche solo l’accostamento dei valori impliciti nell’uno e nell’altro fattore è un non senso, perché equivarrebbe a dire che il reato di banda armata è di tale pericolosità per lo Stato che nei confronti del sospettato vanno sospese le libertà difensive fondamentali. Neanche negli anni bui del terrorismo, quando tentazioni di cedimenti in siffatta direzione non sono mancate (e probabilmente, vista la drammaticità degli eventi, non senza ragione), nemmeno allora si è giunti a tanto.
A parte che la richiesta di caducazione appena licenziata si configura tecnicamente insufficiente, in quanto, una volta amputato il quarto comma dell’art. 37-bis, resterebbe da chiedersi quale sarebbe la sorte del successivo quinto comma, alla stregua del quale «l’avviso d’accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente», contribuente cui la stessa Corte Suprema ha recentemente riconosciuto la possibilità di più interventi nell’arco dei 60 giorni (4), a parte ciò appaiono armi spuntate tutti gli argomenti spesi a sostegno dell’ordinanza di rimessione al giudice delle leggi.
Piuttosto labile il principale di essi, quello per cui solo per la fattispecie disciplinata dall’art. 37-bis (figura definita «speciale rispetto a quella più generale del cosiddetto abuso del diritto»), solo per essa «è legge che le forme del preventivo contraddittorio debbano esser seguite sub poena nullitatis», mentre l’ordinamento contiene «altre norme che, nella comune interpretazione, consentono l’inopponibilità di negozi elusivi, ma senza che però [sic] vi sia un’analoga previsione di nullità per difetto di forme del contraddittorio» (al riguardo si cita, «per la sua frequenza», l’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131).
Ora, a prescindere dal fatto che, stando alle più recenti manifestazioni del diritto vivente, la nozione di nullità è sempre più d’indole sistematica, appartenendo più al costrutto sistematico della norma che non a quello letterale; a prescindere, altresì, dal fatto che la Corte Costituzionale ha costantemente riconosciuto al legislatore ordinario il potere di modulare diversamente la disciplina di fattispecie analoghe purché non si dia sperequazione fra classi di utenti, resta la domanda: per caso, non sarà che – tutto all’opposto – ha sbagliato il legislatore nel non sanzionare espressamente di nullità anche le altre fattispecie, al momento prive di tale enunciazione espressa, piuttosto che impuntarci noi oggi sull’unico caso in cui la sanzione è stata – opportunamente – enunciata? Diversamente opinando, non si indulge nell’eterno vizio italico di livellare in basso il regime delle garanzie del contribuente (esponendoci a solenni bastonature di fonte comunitaria)?
Meno consistente ancora la riflessione successiva, posta “a completamento”, quella per cui «nell’interpretazione della giurisprudenza, il giudice deve, anche d’ufficio, quando ritenga sussistenti gli elementi della fattispecie abusiva, far applicazione della ripresa antielusiva» (5). Come a dire: se si tratta di una eccezione sollevabile d’ufficio in sede giurisdizionale, a che serve la necessità di una preventiva contestazione in fase precontenziosa? Peccato che, da anni in qua, per regola ferrea, nessun giudice possa sollevare d’ufficio una eccezione foriera di inammissibilità senza concedere, alla parte destinata a subirne gli effetti, un termine utile alla confutazione. Esempio dunque, quello in parola, dove un argomento logico-giuridico si ritorce a danno di chi l’ha evocato.
Deboluccio anziché no il terzo e ultimo argomento, quello per cui, se è vero che «il contraddittorio debba avere carattere di effettività sostanziale e non formalistico» – come dimostrerebbe, lo ricorda l’ordinanza, il fatto che ogni nullità della citazione finisce coperta, ex art. 156, terzo comma, c.p.c., per raggiungimento dello scopo, «quando il contribuente impugni correttamente l’atto» (6) – così sarebbe inconcepibile che un documento con il quale l’erario gioca una partita così delicata come quella della lotta all’elusione imbastita dal contribuente con artificiosa distorsione degli strumenti giuridici, un documento di simile importanza rischi di venire azzerato a causa di mancanze rimediabili tramite un’oculata difesa davanti al giudice. Peccato che la regola or ora ricordata, della sanatoria dei vizi della notifica a seguito di costituzione in giudizio del convenuto, «espressione di un principio generale del nostro ordinamento, applicabile sia agli atti di natura processuale che a quelli amministrativi» (7), in tanto regga in quanto quegli sia insorto “correttamente”, cioè osservando a sua volta le regole del processo (se, ad esempio, sono violati i tempi previsti per la presentazione del ricorso contro l’avviso, il gravame è inammissibile e i difetti della notifica dell’avviso non sono affatto sanati). Dal che emerge, in tutta evidenza, che l’osservanza delle forme, nel nostro ordinamento, trova ancora cittadinanza e che la sanatoria ha natura derogatoria.
Se accolta, l’eccezione di illegittimità costituzionale del quarto comma dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, farebbe sì che, in nome della intatta possibilità per il privato di dedurre le proprie ragioni avanti il giudice tributario, venga sacrificata tutta una fase di salvaguardia endoprocedimentale non meno importante; e anzi sommamente importante perché non c’è terreno più scivoloso e sdrucciolo, esposto a umori di parte e a opinabilità obiettive, come quello dell’abuso del diritto, caratterizzato (e complicato) dalla mancanza di qualsiasi contrasto formale della condotta seguita con alcuna specifica disposizione (8). Terreno, dunque, dove è fondamentale, per l’equilibrio del sistema, che il contribuente sia messo in grado preventivamente, fin dagli albori del potenziale contenzioso, di fornire «la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non meramente marginale o teorico», idonee a sostenere la o le operazioni in discussione (9). Sottrargli questo spazio d’azione sotto la molla della fretta (tanto più se, come non di rado avviene, lungi dall’essere dimostrata) non contribuisce certo alla bontà dell’azione amministrativa.
Avv. Valdo Azzoni
(1) Così recitano i primi due periodi dell’art. 12, settimo comma, della legge n. 212/2000: «Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impostori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza».
(2) In Boll. Trib., 2013, 1428, con nota di V. Azzoni, Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?
(3) Di segno favorevole l’accoglienza tributata da U. Perrucci, La “sanzione” dell’invalidità dell’avviso di accertamento emesso anticipatamente rispetto al termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alla luce della recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte, in Boll. Trib., 2013, 1436; meno benevoli F. Del Torchio, Contraddittorio preventivo e ragioni di motivata urgenza, ivi, 1434, in nota a Cass., sez. trib., 29 luglio 2013, n. 18184; e V. Azzoni, Sessanta e non più sessanta: la violazione del termine dilatorio dello Statuto dei diritti del contribuente costituisce un vizio invalidante dell’accertamento?, cit., 1432.
(4) Cfr. Cass., sez. trib., 5 ottobre 2012, n. 16999, in Boll. Trib., 2013, 385, con nota di V. Azzoni, Sulle conseguenze della violazione dell’obbligo di rispetto dell’intervallo minimo prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, che ha deliberato la nullità dell’avviso accelerato «anche nel caso che il contribuente abbia già presentato osservazioni prima dello spirare del termine previsto». Di qui la ulteriormente conclamata sacertà dei 60 giorni edittali.
(5) Per tutte si veda Cass., sez. trib., 11 maggio 2012, n. 7393, in Boll. Trib. On-line.
(6) Una delle più complete sinossi della questione si trova in Cass., sez. trib., 12 maggio 2011, n. 10445, in Boll. Trib. On-line.
(7) Giurisprudenza costante: da Cass., sez. un., 5 ottobre 2004, n. 19854, in Boll. Trib., 2004, 1754, a Cass., sez. trib., 6 luglio 2011, n. 14925, in Boll. Trib. On-line.
(8) Cfr. Cass., sez. trib., 26 febbraio 2010, n. 4737, in Boll. Trib., 2010, 990. La friabilità della materia è legata alla necessità di dipanare «pratiche che, pur formalmente rispettose del diritto interno o comunitario, siano mirate principalmente ad ottenere benefici fiscali contrastanti con la ratio delle norme che introducono il tributo», così Cass., sez. trib., 28 giugno 2012, n. 10807, in Boll. Trib., 2013, 465.
(9) Cfr. Cass., sez. trib., 21 aprile 2008, n. 10257, in Boll. Trib. On-line. La maggiore incertezza discende dal fatto che la diatriba che si innesca tra fisco e contribuente, e che rende più complesso il dialogo (e più necessario il confronto), transita attraverso l’onere del fisco stesso di dimostrare essere stato «elemento predominante ed assorbente della negoziazione lo scopo di ottenere vantaggi fiscali, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta», cfr. Cass., sez. trib., 21 gennaio 2009, n. 1465, in Boll. Trib., 2009, 486. Va da sé che, su sentieri così scoscesi, la marcia abbinata, meglio ancora se in cordata, si raccomanda perché di tutte la più sicura e feconda di risultati. Essendo, fuor di metafora, l’impostazione che meglio si accorda con un sistema tributario di taglio avanzato.