SOMMARIO: 1. Premessa – 2. I diversi orientamenti interpretativi – 3. Conclusioni.
1. Premessa
Una recente sentenza dei giudici di merito (1) consente di tornare (2), sia pure brevemente, sul tema dell’ammissibilità (e del valore probatorio) delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario. Le diverse pronunce giurisprudenziali in proposito, che si alternano con differenti contenuti, mostrano come ormai sia imprescindibile l’intervento del legislatore – o, in mancanza, della Corte Costituzionale – al fine di eliminare l’ormai “obsoleto” divieto di prova testimoniale che ancora caratterizza il nostro processo. In tal modo, infatti, il rischio di “oscillazioni” giurisprudenziali (del tipo di quelle che si sono verificate recentemente in tema di contraddittorio endoprocedimentale) verrebbe eliminato alla radice.
2. I diversi orientamenti interpretativi
In tema di dichiarazioni di terzi nel processo tributario, come noto, sono ipotizzabili – e sono state in concreto sostenute – tre diverse tesi, delle quali una, che potremmo definire “intermedia”, risulta certamente preferibile.
Iniziando da questa, si sostiene che le dichiarazioni di terzi, assunte fuori dal processo unilateralmente da una delle parti, sono “utilizzabili” all’interno del processo (tributario), nonostante il divieto di prova testimoniale di cui all’art. 7, comma 4, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
In proposito si rendono necessarie peraltro delle precisazioni, sia con riferimento alla loro ammissibilità, sia con riguardo al loro valore probatorio.
Per quanto concerne in particolare la prima questione, a giustificazione della loro ammissibilità, occorre osservare che diverse disposizioni tributarie prevedono l’“utilizzo” di dichiarazioni di soggetti terzi rispetto al rapporto di imposta, tanto in relazione all’istruttoria amministrativa (art. 32 del D.P.R. n. 600/1973; art. 51 del D.P.R. n. 633/1972), che a quella processuale (art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992, che espressamente consente la richiesta, da parte del giudice, di “dati, informazioni e chiarimenti”, avente come possibili destinatari anche soggetti terzi). Discende dunque necessariamente da tali disposizioni che dette dichiarazioni – nonostante il divieto di cui al citato art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992 – possono essere utilizzate nel procedimento di accertamento, prima (a sostegno dell’atto impositivo), e nel processo tributario, poi, a sostegno della sentenza. Utilizziamo volutamente la locuzione “a sostegno” e non “a fondamento”, in quanto le stesse presentano un valore probatorio ridotto (probatio inferior) rispetto alla vera prova per testi che, tecnicamente, è quella assunta dinanzi al giudice secondo le formalità del codice di rito (artt. 244 ss. c.p.c.) e che proprio per questo – in considerazione delle connesse garanzie di veridicità (3) – può viceversa assumere valore di “piena prova” (e non, come per le dichiarazioni di terzi, il valore di “meri indizi” o “argomenti di prova”, insufficienti da soli, senza il ricorrere di ulteriori riscontri probatori, a fondare la sentenza – e, prima, l’avviso di accertamento –).
Illuminante in proposito quanto specificato in più occasioni dalla Corte di Cassazione (4) la quale, affrontando la problematica oggetto del nostro esame, ha affermato che “nel processo tributario le dichiarazioni di persone informate dei fatti non possono assumere il valore di testimonianze e quindi di vere e proprie prove in quanto il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle commissioni tributarie, sancito dal D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4, esclude la prova testimoniale da assumere nel processo – che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio” (5). Tuttavia, “il principio non implica la inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione” – o, aggiungiamo noi, dal contribuente, nell’esercizio del suo diritto di difesa – “nella fase procedimentale e rese da ‘terzi’, e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente – parte e l’Erario. Tali informazioni testimoniali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi”.
Circa l’ammissibilità delle dichiarazioni in questione, occorre infine ribadire (6) che l’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992, non vieta in generale “il giuramento e la testimonianza”, bensì “il giuramento e la prova testimoniale”, che precisamente – come osservato – è quella assunta (ex artt. 244 ss. c.p.c.) nel processo, dinanzi al giudice e previo giuramento. Ciò ad ulteriore conferma di quanto sopra evidenziato (7).
Una differente tesi, viceversa, non solo ritiene ammissibile l’utilizzo, nel processo tributario, delle dichiarazioni rese da soggetti terzi rispetto al rapporto d’imposta, ma finisce per riconoscere alle stesse, mediante un particolare percorso argomentativo, valore di “piena prova”. Il “nucleo” essenziale di tale percorso è ben espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza 23 dicembre 2014, n. 27314 (8), e consiste nell’affermare che “tali dichiarazioni del terzo possono, nel concorso di particolari circostanze ed in ispecie quando abbiano valore confessorio (9), integrare non un mero indizio, ma una prova presuntiva, ai sensi dell’art. 2729 c.c., idonea da sola ad essere posta a fondamento e motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica, da parte dell’amministrazione finanziaria”. In definitiva, secondo questo orientamento, la prova nel processo tributario può essere presuntiva, a prescindere da altri riscontri probatori; la presunzione può essere integrata anche da dichiarazioni di terzi assunte nel corso della procedura accertativa; dette dichiarazioni, conseguentemente, nel ricorrere di particolari circostanze (10), possono assumere il carattere della “gravità, precisione e concordanza” di cui all’art. 2729 c.c., e come tali essere considerate bastevoli al fine di fondare la decisione del giudice (e, precedentemente, l’atto impositivo) (11).
Quanto osservato in precedenza induce peraltro a non accogliere tale orientamento, il quale, sia pure in via “indiretta”, finisce per aggirare l’ostacolo rappresentato dal divieto di cui all’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992, giungendo ad attribuire piena valenza probatoria a mere dichiarazioni di terzi, assunte unilateralmente da una delle parti al di fuori del processo, senza il rispetto del principio del contraddittorio (oggi sempre più considerato fondamentale nell’ordinamento nazionale, anche sulla scia della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea). Tale valore probatorio, viceversa, come osservato, può essere attribuito unicamente alla testimonianza disciplinata dalle norma del codice di rito, che garantiscono sufficientemente la veridicità della stessa. Inoltre, diversamente opinando, si giungerebbe all’inammissibile conseguenza di un giudice che può fondare la propria decisione su una dichiarazione a contenuto testimoniale, assunta unilateralmente da una delle parti al di fuori del processo (12), senza al contempo potere disporre lui direttamente l’assunzione di una prova testimoniale all’interno del processo, nel contraddittorio delle parti (stante il divieto di tale prova ex art. 7, comma 4, di cui si discute), con le connesse garanzie di veridicità di cui si è detto (13).
L’ultimo orientamento – anche questo criticabile – espresso, ancora di recente, dalla giurisprudenza in materia, si fonda su differenti considerazioni e finisce necessariamente per escludere in toto l’ammissibilità delle dichiarazioni di cui si discute.
In proposito si trova affermato che, “secondo l’orientamento ormai consolidato della Suprema Corte di Cassazione, … ‘l’attribuzione di efficacia probatoria alla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria esclusivamente in alcune procedure amministrative, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale, trova, con specifico riguardo al contenzioso tributario, ostacolo invalicabile nella previsione dell’art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546 del 1992, giacché finirebbe per introdurre nel processo tributario – eludendo il divieto di giuramento e prova testimoniale – un mezzo di prova, non solo equipollente a quello vietato, ma anche costituito al di fuori del processo’” (14).
In proposito è sufficiente ribadire quanto già sostenuto in passato (15), e cioè che, in considerazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost. (principio di uguaglianza, effettività del diritto di difesa, giusto processo e parità della parti processuali), o si esclude qualsivoglia efficacia probatoria alle dichiarazioni di terzi trasfuse in un documento, a prescindere dalla circostanza che questo sia rappresentato dal processo verbale di constatazione dell’Ufficio finanziario o della Guardia di finanza, o da dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà prodotta dal contribuente – e dunque a prescindere dalla circostanza che tali dichiarazioni siano invocate a proprio favore dall’Amministrazione finanziaria o dal contribuente – ovvero vi è una palese incostituzionalità della ricostruzione sopra vista, qualora volta a vietare detta efficacia solo quando ad avvalersene possa essere quest’ultimo. D’altronde, è evidente che la violazione del diritto al contraddittorio (art. 111 Cost.), cui implicitamente fa riferimento l’affermazione sopra riportata – là dove si sostiene che la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, qualora ammessa, sarebbe un mezzo di prova (non solo equipollente a quello vietato ma anche) costituito al di fuori del processo – si verifica allo stesso modo nell’ipotesi di dichiarazioni di terzi assunte dagli organi verificatori e trasfuse nel processo verbale di constatazione.
Dunque, accogliendo il criticato orientamento, per coerenza occorre ritenere inammissibili le dichiarazioni di terzi nel processo tributario (16), a prescindere dalla via di ingresso delle stesse (l’Amministrazione o il contribuente). Per quanto osservato precedentemente, peraltro, anche questa tesi non può accogliersi, dovendosi viceversa accogliere la tesi che abbiamo indicato come “intermedia”.
Per concludere, è necessario evidenziare che – in opposizione a quanto precisato nel brano di sentenza sopra riportato: “secondo l’orientamento ormai consolidato della Suprema Corte di Cassazione” – esiste viceversa un cospicuo numero di sentenze della Suprema Corte le quali – in evidente contrasto con detto orientamento – sostengono che il contribuente, al pari dell’Amministrazione finanziaria, in attuazione del principio della parità delle parti processuali (art. 111 Cost.), può produrre in giudizio dichiarazioni scritte di terzi, dotate di uguale valore probatorio (cioè, come osservato, con il valore di “meri indizi” o “argomenti di prova” – probatio inferior (17) –). In proposito si è affermato e confermato il “principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo cui in tema di contenzioso tributario, anche al contribuente, oltre che all’Amministrazione finanziaria, deve essere riconosciuta – in attuazione dei principi del giusto processo e della parità delle parti di cui al nuovo testo dell’art. 111 Cost., la possibilità di introdurre, nel giudizio innanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale (nella fattispecie, dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà) le quali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e come tali devono essere valutati dal giudice – non potendo costituire da sole il fondamento della decisione – nel contesto probatorio emergente dagli atti (Cass. n. 20028/2011 e, di recente, Cass. n. 18772/2014)” (18).
Come si vede, l’orientamento in questione è di contenuto opposto rispetto a quello da noi criticato, anche con riferimento all’individuazione (e alla ammissibilità) del “mezzo” mediante il quale il contribuente di regola introduce, nel processo tributario, dichiarazioni di terzi a sé favorevoli (la “dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà”).
In definitiva, occorre riconoscere anche al contribuente la possibilità, allo stesso modo dell’Amministrazione finanziaria, di introdurre e far valere, a sostegno delle proprie ragioni, dichiarazioni scritte di terzi nel giudizio tributario; analogamente (e lo stesso discorso vale per la controparte pubblica), bisogna ritenere che il giudice debba dichiarare infondata la domanda del contribuente qualora l’unico mezzo di prova prodotto in giudizio dallo stesso sia una (o più) di dette dichiarazioni (19).
3. Conclusioni
La sentenza della Commissione tributaria regionale che ha dato lo spunto a queste brevi note, dimostra come ancora vi siano incertezze (a livello di giurisprudenza sia di merito che di legittimità) circa la problematica delle dichiarazioni di terzi nel giudizio tributario, ovverosia di quelle dichiarazioni che, pur avendo un contenuto sostanzialmente testimoniale (20), non sono rese dinanzi al giudice e non possono dunque essere equiparate alla testimonianza vera e propria.
Non rimane che augurarsi – come ormai più volte auspicato (21) – che intervenga sul punto il legislatore, con una semplice norma che elimini il comma 4 dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 o, in mancanza, che intervenga la Corte Costituzionale, con una pronuncia che semplicemente si limiti a dichiarare l’incostituzionalità della norma citata (22). I precedenti in proposito, peraltro, non lasciano ben sperare circa una soluzione positiva della questione (23).
Prof. Avv. Andrea Colli Vignarelli
(1) Comm. trib. reg. dell’Emilia Romagna, 5 gennaio 2016, n. 21, in Boll. Trib., 2016, 881.
(2) Dell’argomento ci eravamo già occupati in altre occasioni; da ultimo ved. COLLI VIGNARELLI, Le dichiarazioni di terzi possono, da sole, fondare la decisione del giudice tributario?, in Boll. Trib., 2015, 300 ss.; ID., Dichiarazioni di terzi e parità delle parti processuali, ivi, 565 ss.
(3) Visione diretta del teste da parte del giudice e assunzione nel contraddittorio delle parti; giuramento; previsione del reato di falsa testimonianza (art. 372 c.p.).
(4) Cfr. in tal senso, tra le tante, Cass., 27 febbraio 2015, n. 4123.
(5) Nello stesso senso si è pronunciata anche la Corte Costituzionale con la fondamentale sentenza 21 gennaio 2000, n. 18 (in Boll. Trib., 2000, 311 ss.) – dichiarativa delle legittimità costituzionale del divieto di prova testimoniale di cui al comma 4 dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 – ove si legge che “le dichiarazioni di cui si tratta – rese al di fuori e prima del processo – sono essenzialmente diverse dalla prova testimoniale, che è necessariamente orale e di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio. La norma denunciata non può perciò essere interpretata nel senso di ricomprendere nella sua previsione anche l’inammissibilità di tali dichiarazioni”.
(6) Come già precisato in altri interventi sul tema: cfr. COLLI VIGNARELLI, Dichiarazioni di terzi e parità delle parti processuali, cit., 566; ID., I poteri istruttori delle Commissioni tributarie, Bari, 2002, 170.
(7) Già nella vigenza del D.P.R. n. 636/1972, in dottrina vi era chi riteneva che l’esclusione della prova testimoniale, disposta dall’art. 35 dello stesso D.P.R., riguardasse solo la prova per testi così come prevista dalla normativa del codice di rito: cfr. GLENDI, I poteri del giudice nell’istruttoria del processo tributario, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1985, I, 948 s.; ID., Processo tributario, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, XXIV, 10; SALVANESCHI, Sub art. 35, in GLENDI (a cura di), Commentario delle leggi sul contenzioso tributario, Milano, 1990, 775.
(8) In Boll. Trib., 2015, 298 ss., con nostro commento critico, Le dichiarazioni di terzi possono, da sole, fondare la decisione del giudice tributario?, cit.
(9) Attribuendo dunque una particolare attendibilità alla dichiarazione, in quanto di contenuto tale da risultare contraria all’interesse dello stesso dichiarante.
(10) Ved. nota precedente.
(11) In senso analogo ved. Cass., 5 maggio 2011, n. 9876, in Boll. Trib. On-line (già oggetto di un nostro commento critico: cfr. COLLI VIGNARELLI, Dichiarazioni di terzi, intercettazioni telefoniche e giudizio tributario, in Boll. Trib., 2013, 808 s.), ove si afferma: – “nel processo tributario, le dichiarazioni del terzo – acquisite … dalla Polizia Tributaria nel corso di un’ispezione, e trasfuse nel processo verbale di constatazione, a sua volta recepito nell’avviso di accertamento – hanno per lo più valore meramente indiziario, per cui concorrono a formare il convincimento del giudice, se confortate da altri elementi di prova”; – “tuttavia, tali dichiarazioni – nel concorso di particolari circostanze – possono rivestire i caratteri della presunzioni (generalmente ammesse nel processo tributario, nonostante il divieto di prova testimoniale) gravi, precise e concordanti, ai sensi dell’art. 2729 c.c., dando luogo, di conseguenza, non ad un mero indizio, bensì ad una prova presuntiva, idonea da sola ad essere posta a fondamento e motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica, da parte dell’amministrazione finanziaria”; – questo avviene, in particolare, “quando le dichiarazioni rese a verbale dal terzo si segnalino come dotate di una particolare attendibilità ed affidabilità, poiché aventi natura confessoria, per le conseguenze negative che possano derivarne a carico del terzo medesimo”; – da ciò deriva – “attesa la natura … confessoria di tale dichiarazione” – che “alla stessa va attribuita la valenza di una presunzione rivestita dei caratteri di cui all’art. 2729 c.c. e perciò di per sé idonea a supportare l’avviso di accertamento”.
(12) Considerando inoltre che il giudice tributario, qualora volesse “delucidazioni” dal terzo, si deve “accontentare” di una risposta scritta ad una richiesta “di dati, di informazioni e chiarimenti” inoltrata al terzo stesso nell’esercizio del potere previsto dall’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992, essendo esclusa una sua audizione orale innanzi al giudice (contra, PISTOLESI, L’efficacia probatoria delle informazioni rese da terzi nel processo tributario, in Corr. trib., 2007, 2364; FANNI, Sub art. 7, in TESAURO (a cura di), Codice commentato del processo tributario, Torino, 2011, 137 s.); per approfondimenti sul punto, e sull’individuazione dei possibili soggetti destinatari della richiesta, si rinvia a COLLI VIGNARELLI, I poteri istruttori delle Commissioni tributarie, cit., 140 ss., 173 ss.
(13) In dottrina, attribuiscono invece, alle dichiarazioni in questione, valore di prove «fondanti», “come tali anche da sole sufficienti” a giustificare il convincimento del giudice “in ordine all’accertamento dei fatti di causa”, RUSSO – FRANSONI, Manuale di diritto tributario. Il processo tributario, Milano, 2005, 172; nello stesso senso PISTOLESI, L’efficacia probatoria delle informazioni rese da terzi nel processo tributario, cit., 2363 s., il quale afferma che “niente vieta che le dichiarazioni dei terzi possano fornire la prova diretta ed immediata dei fatti che debbono essere dimostrati nel processo tributario”. In proposito ved. anche MARCHESELLI, Diritto alla prova e parità delle «armi» nel processo tributario, in Dir. prat. trib., 2003, II, 437 ss.
(14) Così, testualmente, la già indicata sentenza 5 gennaio 2016, n. 21, della Comm. trib. reg. di Bologna, che cita, a sostegno della propria tesi, Cass., 15 gennaio 2007 n. 703, Cass., 19 marzo 2010, n. 6755, e Cass, 24 gennaio 2013, n. 1663. In particolare, nella sentenza della Commissione regionale, si era escluso qualsiasi valore probatorio a dichiarazioni scritte di terzi, prodotte dal contribuente a proprio favore, in considerazione del divieto di prova testimoniale operante nel processo tributario. Nello stesso senso della citata sentenza ved. anche Cass., 17 giugno 2008, n. 16348, in Rass. trib., 2008, 1675 ss., con nostro commento critico, La Cassazione si pronuncia sulla (in)ammissibilità delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario, ivi, 1678 ss.; per una critica a tale sentenza ved. ancora MARCHESELLI, Esclusa l’efficacia probatoria della dichiarazione di notorietà nel processo tributario, in Corr. trib., 2008, 2927 ss.; FANNI, Le “dichiarazioni sostitutive di atto notorio” nel processo tributario, in Rass. trib., 2009, 1368 ss.
(15) COLLI VIGNARELLI, La Cassazione si pronuncia sulla (in)ammissibilità delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario, cit., 1695 s.
(16) Per tale interpretazione, in dottrina, ved. BAFILE, Il nuovo processo tributario, Padova, 1994, 143; A. FINOCCHIARO – M. FINOCCHIARO, Commentario al nuovo contenzioso tributario, Milano, 1996, 124, nota 50; MOSCHETTI, Utilizzo di dichiarazioni di terzo e divieto di prova testimoniale nel processo tributario, in Dir. prat. trib., 1999, II, spec. 19 e 37; TESAURO, Prova (diritto tributario), in Enc. dir., Milano, 1999, Aggiornamento, III, 890; ID., Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, Torino, 2006, 385, ove si trova affermato che “il divieto di prove testimoniali dovrebbe comportare l’irrilevanza, nel processo tributario: a) delle dichiarazioni orali di terzi riprodotte nei processi verbali della Guardia di finanza o dell’Amministrazione finanziaria; b) delle dichiarazioni di terzi, riprodotte per iscritto, e introdotte nel processo con il documento che le riproduce”.
(17) In relazione agli argomenti di prova cfr. GRASSELLI (L’istruzione probatoria nel processo civile, Cedam, 2015, sub Gli argomenti di prova), il quale, citando De Stefano e Comoglio, afferma che, “in sostanza, secondo un tradizionale orientamento dottrinario, gli argomenti di prova ‘hanno la caratteristica di offrire una probatio inferior rispetto alle prove in senso stretto … e, generalmente, sono qualificati come strumenti per la valutazione ausiliaria di prove vere e proprie, con conseguente loro intrinseca inidoneità a fondare da soli il convincimento del giudice’”.
(18) Così, testualmente, Cass., 19 ottobre 2015, n. 21153, in Boll. Trib. On-line. Nello stesso senso ved. Cass., 12 marzo 2015, n. 5018 (in Boll. Trib., 2015, 629, con nostro commento, Dichiarazioni di terzi e parità delle parti processuali, cit.), ove si legge che “nel processo tributario, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione, va riconosciuto non soltanto all’Amministrazione finanziaria, ma anche al contribuente, con il medesimo valore probatorio, dandosi così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 Cost., per garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l’effettività del diritto di difesa (Cass. 14 maggio 2010, n. 11785; conformi, Cass. 20028/11 e 8987/13)”; Cass., 27 febbraio, 2015, n. 4123, in Boll. Trib. On-line; Cass., 27 marzo 2013, n. 7707, ivi; Cass., 16 maggio 2007, n. 11221, in Corr. trib., 2007, 2360 ss., con nota di PISTOLESI, L’efficacia probatoria delle informazioni rese da terzi nel processo tributario, cit., nonché in Boll. Trib., 2008, 156, con nota di IANNACCONE, La valenza probatoria delle dichiarazioni di terzi e il giusto processo tributario. Da ultimo ved., in una controversia relativa alla violazione del contraddittorio endoprocedimentale, Cass., 8 aprile 2016, n. 6966, ove si ribadisce – per quello che qui interessa – che “il giudizio tributario, pur nella sua particolarità, è comunque rispettoso del principio della c.d. ‘parità delle armi’, giacchè, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, il potere di introdurre in giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, compete non solo all’Amministrazione finanziaria, che tali dichiarazioni abbia raccolto nel corso d’indagine amministrativa, ma, altresì, con il medesimo valore probatorio, al contribuente”.
(19) In Cass. 25 marzo 2002, n. 4269 (in Boll. Trib., 2002, 1647), si trova affermato che “bene ha fatto la Commissione Regionale a prendere in esame l’atto notorio contenente le dichiarazioni rese dai genitori del contribuente, anche se poi ha errato ad assegnare a tali dichiarazioni il valore di una prova vera e propria, poiché ha basato la sua decisione solo su di esse”.
(20) Con specifico riferimento alle “dichiarazioni assunte dall’ufficio in sede di accertamento”, afferma che, “sebbene non abbiano la forma della testimonianza (perché non assunte dal giudice e non assistite da giuramento), di essa hanno certamente la sostanza”, PARLATO, Considerazioni sui limiti all’acquisizione di prove nel procedimento e nel processo tributario, in Scritti di diritto tributario, Bari, 2010, 53.
(21) Cfr., da ultimo, COLLI VIGNARELLI, Le dichiarazioni di terzi possono, da sole, fondare la decisione del giudice tributario?, cit., 301 s.; ID., Dichiarazioni di terzi e parità delle parti processuali, cit., 568.
(22) Sugli aspetti problematici, anche di ordine costituzionale, del divieto di testimonianza ex art. 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992, ci sia consentito rinviare a COLLI VIGNARELLI, I poteri istruttori delle Commissioni tributarie, cit., 160 ss.
(23) Per quanto riguarda la Consulta, come noto, diverse sono le pronunce che hanno rigettato la questione di legittimità costituzionale del divieto di prova testimoniale nel processo tributario (per tutte, basti ricordare la già citata sentenza n. 18/2000); per quanto riguarda il legislatore, in riferimento alla legge delega 11 marzo 2014, n. 23, avevamo già avuto modo di precisare (COLLI VIGNARELLI, Dichiarazioni di terzi e parità delle parti processuali, cit., 568) quanto segue: “L’occasione per eliminare … gli … inconvenienti ricollegabili al divieto di prova testimoniale sancito dal comma 4 dell’art. 7, D.Lgs. n. 546/1992, potrebbe essere rappresentata dall’attuazione della delega fiscale (L. 11 marzo 2014, n. 23), anche se, effettivamente, tale ‘intervento’ non è esplicitato tra i principi e criteri direttivi di cui all’art. 10, rubricato ‘Revisione del contenzioso tributario e della riscossione degli enti locali’. La norma, peraltro, nel suo incipit statuisce che ‘Il Governo è delegato ad introdurre … norme per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente’, e certamente questa può essere rafforzata anche eliminando l’anacronistico divieto di prova testimoniale, la quale può risultare indispensabile in tutti quei casi in cui la stessa sia l’unica prova a sua disposizione (considerando che, in determinate ipotesi, potrebbe essere anche l’unica a disposizione della stessa Amministrazione finanziaria)”. Come noto, peraltro, il decreto attuativo della delega in tema di processo tributario (D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156) nulla ha disposto in tal senso.