1. Come i nostri Lettori avranno modo di leggere e rilevare (1), una Commissione tributaria regionale, adita da un contribuente raggiunto da accertamento comunale di revisione dell’imposta comunale sugli immobili basata su rendita catastale, ha deciso di concentrare la propria attenzione non sulla valutazione di merito della completezza e congruità dell’atto impositivo impugnato bensì sulla conformità a fondamentali principi costituzionali della norma di legge posta a fondamento della pretesa impositiva contestata.
La norma in questione è prevista dall’art. 1, comma 335, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, il cui testo merita di essere qui subito riprodotto: «La revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di proprietà privata site in microzone comunali, per le quali il rapporto fra il valore medio di mercato individuato ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 138, e il corrispondente valore medio catastale ai fini dell’applicazione dell’imposta comunale sugli immobili si discosta significativamente dall’analogo rapporto relativo all’insieme delle microzone comunali, è richiesta dai comuni agli Uffici provinciali dell’Agenzia del territorio. Per i calcoli di cui al precedente periodo, il valore medio di mercato è aggiornato secondo le modalità stabilite con il provvedimento di cui al comma 339 (2). L’Agenzia del territorio, esaminata la richiesta del comune e verificata la sussistenza dei presupposti, attiva il procedimento revisionale con provvedimento del direttore dell’Agenzia medesima».
A tale disposizione, che possiamo definire “a carattere generale”, la stessa legge n. 311/2004 fa seguire un comma 336 per regolare situazioni residuali, quali l’omessa dichiarazione in catasto di immobili urbani e l’esecuzione su unità immobiliari già accatastate di variazioni edilizie, che rendono i classamenti catastali ottenuti non più coerenti con i valori effettivi e aggiornati dell’unità immobiliare interessata.
L’applicazione da parte dei Comuni (3) della procedura indicata dalla norma testé riportata ha ovviamente scatenato una vasta reazione da parte dei contribuenti ICI, possessori delle unità immobiliari interessate, con l’impugnazione dei provvedimenti attuativi; numerose, pertanto, sono le controversie portate alla cognizione delle Commissioni tributarie e, in alcuni casi, arrivate sino al vaglio della Corte di Cassazione, per lo più incentrate sul contenuto degli accertamenti impugnati, ritenuto incompleto e non aderente alla realtà (4), mentre solo in via subordinata e residuale è stata sollevata, in sede di formulazione delle censure, la questione dell’incostituzionalità della procedura delineata dal prefato comma 335 dell’art. 1 della legge n. 311/2004, non recepita positivamente, peraltro, dai Collegi giudicanti come “rilevante e non manifestamente infondata”.
L’ordinanza dei giudici tributari laziali presenta dunque la (rilevante) peculiarità di recepire positivamente le doglianze sollevate dal contribuente appellante, insieme alla contestazione di merito sull’accertamento impugnato, sulla riscontrata violazione dei principi costituzionali sanciti dagli artt. 3 e 53 Cost. nella procedura prevista dalla norma regolatrice del riclassamento attuato, e di passare a valutarle con scrupolosa e motivata attenzione, con le conclusioni espresse nel rinvio degli atti alla Corte Costituzionale.
2. Prima di esprimere le nostre valutazioni sulle questioni esaminate e decise dall’ordinanza n. 1471/2016 in parola, riteniamo opportuno – onde evitare facili equivoci e fraintendimenti – esporre a grandi linee i principali, essenziali chiarimenti tecnici e terminologici sulle complesse operazioni catastali previste dal nostro ordinamento vigente.
In primo luogo, va rammentato che l’oggetto delle operazioni de quibus non è il “fabbricato” o “l’edificio” ma “l’unità immobiliare”, elemento minimo inventariale, che può essere costituito da una porzione del fabbricato (appartamento, negozio, etc.), capace di produrre un reddito proprio e di permettere un’autonoma utilizzazione.
Il “classamento” della unità immobiliare costituisce l’attribuzione ad essa della categoria (abitazione, opificio, etc.), contrassegnata da lettere dell’alfabeto, e della classe numerica (distinzione, all’interno delle singole categorie, della destinazione data all’unità: abitazione, autorimessa, negozio, laboratorio, magazzino, etc.); la complessa operazione tecnico-estimativa si conclude con l’assegnazione all’unità della rendita catastale (5), che deve tenere conto della consistenza (cioè dell’estensione, superficie o volume dell’unità) e delle condizioni intrinseche ed estrinseche che esercitano o possono esercitare influenza sulla rendita finale.
Quest’ultimo rilievo appare particolarmente importante, in quanto testimonia il fatto che, all’atto dell’accatastamento dell’unità immobiliare, si è già tenuto debitamente conto non solo delle caratteristiche costruttive di ogni unità ma anche di condizioni ed elementi esterni, quali, ad esempio, la prossimità e il collegamento con il centro urbano o degli affari e dei mercati, l’esistenza e l’efficienza di collegamenti viari e di trasporto pubblico nella zona, spazi verdi attrezzati, e via discorrendo.
Dispone espressamente l’art. 61, secondo comma, del D.P.R. 1° dicembre 1949, n. 1142, secondo cui «Le unità immobiliari debbono essere classate in base alla destinazione ordinaria ed alle caratteristiche che hanno all’atto del classamento», secondo il principio in base al quale le stime di classificazione esprimono un valore medio valevole per tutta la vigenza degli estimi eseguiti.
Tutte le complesse operazioni qui sopra indicate sono eseguite dagli ex Uffici del territorio dell’Agenzia delle entrate con sopraluoghi tecnici conseguenti alle domande documentate di accatastamento presentate dai possessori delle unità immobiliari; nulla sostanzialmente cambia nel quadro procedurale ora delineato, in termini di completa e corretta valutazione tecnico-economica dell’immobile, con l’adozione generalizzata per gli immobili urbani della procedura DOCFA (documento catasto fabbricati), introdotta dal 1993 e disciplinata completamente nel 1996, eseguita dai tecnici dello stesso possessore dell’immobile da accatastare sulla base di software ufficiale predisposto dall’Agenzia delle entrate, che si sostanzia con la finale formulazione di una “rendita presunta”, che ha piena efficacia agli effetti fiscali fin dalla sua registrazione agli atti del catasto e che può essere sempre rettificata dai competenti Uffici erariali entro termini prefissati (6).
3. La realtà dello scostamento generalmente rilevabile per gli immobili accatastati fra i valori di mercato e le rendite catastali loro attribuite è oggettivamente esistente e impietosa per l’intero Paese.
Anche con l’applicazione periodica di coefficienti di aggiornamento (troppo generalizzati e indifferenziati a seconda delle epoche degli accatastamenti), gli allineamenti fra i due valori rivelano situazioni “a macchia di leopardo”, un quadro, cioè, ingiustificato di iniquità e di squilibri, specialmente fra accatastamenti recenti e datati, con intestazioni rimaste immutate negli anni.
Una situazione del genere può trovare risoluzione (almeno teorica) con la revisione generale del catasto immobiliare urbano, più volte annunziata e promessa, ma finora non realizzata (7).
Un elemento di novità nel settore, per vero, è stato introdotto con l’emanazione del «regolamento recante norme per la revisione generale delle zone censuarie, delle tariffe d’estimo delle unità immobiliari urbane e dei relativi criteri», approvato con D.P.R. 23 marzo 1998, n. 138; anche se non utilizzato ancora per una revisione generale del catasto immobiliare urbano, tutta da venire e da predisporre, il regolamento in parola ha anticipato criteri e procedure da seguire in sede di riforma e di adeguamento delle operazioni catastali; fra le novità, all’art. 2, si delineano le “microzone” comunali, indicandone nozione, contenuto e funzione, sino alla specificazione delle procedure da seguire per la loro istituzione e, addirittura, per la loro rettifica territoriale, in presenza di significative variazioni nel tessuto edilizio-urbanistico del Comune ovvero nella dotazione di servizi e infrastrutture!
Dunque, l’art. 1, comma 335, della legge n. 311/ 2004, qui in discussione, ha preso al volo tale novità regolamentare a favore dei Comuni già provvisti di “microzone”, per consentire loro di anticipare gli effetti fiscali della futura revisione generale del catasto immobiliare, ma l’ha fatto con modalità particolari, che l’ordinanza della Commissione tributaria del Lazio ha finito per valutare contrastanti con i precetti costituzionali disposti dagli artt. 3, 53 e 97 Cost.
4. Che dire?
Una revisione generale della situazione catastale delle unità immobiliari avrebbe preso in considerazione e fatto oggetto di valutazione – secondo criteri e parametri uniformi – tutte le unità immobiliari dell’intero territorio comunale, tenendo conto delle caratteristiche, della consistenza e delle condizioni intrinseche ed estrinseche dell’immobile; la suddivisione e la distinzione in microzone dovrebbero svolgere un’evidente funzione di semplificazione per la valutazione del giusto rapporto fra valori di mercato e rendite catastali, attraverso la predeterminazione di coefficienti oggettivi e uniformi idonei a differenziare le singole fattispecie da valutare.
Questa è, o dovrebbe almeno essere la logica dell’innovazione procedurale della “microzona” che, peraltro, l’ordinamento normativo dei tributi locali aveva già da decenni abbozzato con la distinzione delle tariffe massime di alcuni tributi (8) a seconda della zona comunale di svolgimento delle attività oggetto di tassazione.
La norma censurata dalla pronuncia della Commissione tributaria del Lazio non sembra ora seguire questa logica, introducendo uno strano nonché singolare meccanismo di revisione c.d. massiva delle rendite catastali delle sole unità immobiliari ricomprese in alcune microzone del Comune, scelte con un criterio inedito, basato sullo scostamento percentuale delle rendite fra l’insieme delle microzone!
Non un raffronto quindi, a parità o similarità di caratteristiche costruttive e consistenza, fra unità immobiliari realizzate nelle varie microzone del Comune, ma il risultato di una media fra tutte le microzone e l’enucleazione, ai fini della revisione, di quelle “sottostimate”, i cui immobili meritano di essere segnalati all’ex Agenzia del territorio per il riclassamento.
Sarebbe come, mutatis mutandis, rivedere i redditi di tutti i cittadini residenti in microzone di prestigio turistico o economico (il Colosseo a Roma, o via Montenapoleone a Milano), lasciando immutati e non segnalabili i redditi dei residenti nelle altre microzone dei due Comuni. Un modus operandi del tutto privo di senso logico prima ancora che giuridico.
La violazione dell’art. 3 Cost. è, in questa ipotesi, lampante, ma emerge comunque anche la palmare violazione della “capacità contributiva” ex art. 53 Cost., non potendosi ipotizzare che solo per il fatto della residenza in una zona comunale, tutti i cittadini ivi residenti guadagnino di più (ed evadano), rispetto a chi risiede in altre zone; del resto, una regola del genere si porrebbe in contrasto finanche con il principio di imparzialità di comportamento dei pubblici Uffici competenti in materia, presidiato dall’art. 97 Cost.
Il criterio prescelto dal comma 335 dell’art. 1 della legge n. 311/2004, in definitiva, ignora tali principii e le regole di una corretta valutazione tecnico-economica del classamento immobiliare, che non va impostato e indirizzato sulla zona occupata dall’immobile ma sulle caratteristiche, la consistenza e le situazioni intrinseche ed estrinseche di ciascuna unità immobiliare, unico, vero oggetto delle operazioni catastali.
Rimaniamo in attesa, con queste riserve e queste considerazioni, del giudizio costituzionale, con il finale, franco auspicio che la preoccupazione per i (modesti) minori introiti fiscali derivabili da un responso di riconosciuta illegittimità della norma contestata non finisca per travolgere i seri e fondati dubbi sulla sua permanenza e operatività nel nostro ordinamento giuridico.
Dott. Eugenio Righi
(1) Ved. Comm. trib. reg. del Lazio, sez. XI, 16 dicembre 2016, ord. n. 1471, pubbl in questo stesso fascicolo a pag. 317.
(2) L’art. 1, comma 339, della citata legge n. 311/2004, dispone: «Con provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, sono stabilite, previa intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, le modalità tecniche e operative per l’applicazione delle disposizioni di cui ai commi 336 e 337».
(3) L’adesione dei Comuni all’applicazione della norma di legge in questione fu inizialmente assai limitata e dubbiosa: degli oltre ottomila enti locali, solo una ventina aderì all’istituzione delle “microzone” come presupposto essenziale per la revisione dei classamenti immobiliari consentiti.
(4) Tra le numerose pronunce emesse in materia, in larga maggioranza favorevoli ai ricorsi dei contribuenti, meritano di essere qui citate Cass., sez. VI, 17 febbraio 2015, n. 3156, in Boll. Trib., 2015, 785, con nota di E. RIGHI, Brevi riflessioni in tema di revisione delle rendite catastali, e soprattutto Cass., sez. VI, 9 marzo 2015, nn. 4712 e 4717, in Boll. Trib. On-line, nella cui motivazione già venivano adombrati dubbi sulla costituzionalità del procedimento previsto dall’art. 1, comma 335, della legge n. 311/2004; per i giudizi di merito cfr. Comm. trib. reg. del Lazio 6 giugno 2016, n. 3557, in Arch. locaz. cond. e immob., 2017, 1, 84; e Comm. trib. prov. di Roma, sez. LII, 25 maggio 2016, n. 12656, in Boll. Trib. On-line.
(5) Per una esaustiva esposizione delle operazioni catastali nelle loro complesse fasi cfr. A. JOVINE, L’attribuzione della rendita catastale e la tutela dei cittadini, Santarcangelo di Romagna, 2013.
(6) I termini di legge previsti sono di dodici mesi, ritenuti non perentori dalla Corte di Cassazione.
(7) Si vedano al riguardo gli artt. 154 e 155 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e l’art. 2 della legge 11 marzo 2014, n. 23.
(8) Il R.D. 14 settembre 1931, n. 1175, che costituisce il T.U. per la finanza locale del 1931, prevedeva, per esempio, la suddivisione del territorio comunale in quattro zone (centro dell’abitato, zona limitrofa, sobborghi e zone periferiche, frazioni) per l’applicazione della TOSAP sui distributori dei carburanti (art. 199).