L’accertamento mediante c.d. redditometro, realizzato ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non determina l’emersione di redditi di capitale, limitandosi il settimo comma vigente prima delle modifiche introdotte dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203 (convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248), a porre una presunzione semplice e non a delimitare l’ambito oggettivo dell’accertamento sintetico, il quale tende piuttosto a individuare, attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, il reddito complessivo presunto del contribuente mediante elementi indicativi di capacità contributiva stabiliti dai decreti ministeriali con periodicità biennale.
Non è esente dal cosiddetto concordato di massa disciplinato dal D.L. 30 settembre 1994, n. 564 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656), l’accertamento sintetico emesso ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ancorché l’art. 2-bis, terzo comma, del citato decreto, preveda che la definizione abbia per oggetto «l’esistenza, la stima, l’inerenza e l’imputazione a periodo dei componenti positivi e negativi del reddito di impresa o di lavoro autonomo», con la conseguenza che l’adesione al concordato per gli anni pregressi, di cui all’art. 2 del predetto decreto, inibisce all’Ufficio la possibilità di procedere all’esame dei conti correnti bancari e di compiere accertamenti in via induttiva con metodo sintetico, salvi i casi in cui per espressa previsione normativa la definizione non sia ammessa.
In tema di condono fiscale, l’inibizione per l’Ufficio tributario di procedere ad accertamento sintetico ex art. 38, commi da4 a7, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sancita dall’art. 9-bis, comma 15, del D.L. 28 marzo 1997, n. 79 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140), si applica a tutte le definizioni dell’accertamento con adesione (c.d. accertamento con adesione per anni pregressi) poste in essere ai sensi del D.L. 30 settembre 1994, n. 564 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656), e perciò anche a quelle intervenute prima dell’emanazione del citato D.L. n. 79/1997 e senza usufruire della proroga dell’originario termine di pagamento ivi prevista, non essendo ragionevole limitare il carattere premiale del medesimo concordato alle sole iniziative assunte nel periodo di proroga del termine di pagamento.
[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Pivetti, rel. Conti), 20 dicembre 2012, sent. n. 23554, ric. Agenzia delle entrate]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – O.G. propose ricorso innanzi alla Commissione Tributaria provinciale di Messina avverso un avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva provveduto a rettificare induttivamente e sinteticamente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, il reddito dichiarato dallo stesso contribuente per l’anno di imposta 1988 sostenendo che – avendo egli aderito al cd. “concordato di massa” regolato dal d.l. n. 564 del 1994, art. 3, convertito in l. n. 656 del 1994, l’Ufficio, in presenza di siffatta definizione agevolata, non avrebbe potuto procedere all’esame dei suoi conti correnti bancari ed a compiere accertamenti in via induttiva con metodo sintetico.
Nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate che si opponeva alle domande, l’adita Commissione provinciale accoglieva il ricorso e l’appello, successivamente promosso dall’Ufficio, veniva respinto.
In particolare, i giudici del gravame, rilevato che l’accertamento si era perfezionato con l’adesione del contribuente alla proposta di concordato dell’Ufficio e che l’art. 3 D.L. n. 564/1994 conv. dalla legge 656/1994 e modificato dalla l. n. 427/1995 aveva eliso la possibilità dell’Ufficio di revocarlo o modificarlo al di fuori delle ipotesi in cui fossero stati indicati fatti precisi previa notifica di appositi avvisi, riteneva che l’intervenuta definizione agevolata dell’accertamento con adesione impedisse la possibilità per l’Ufficio di effettuare per lo stesso periodo d’imposta l’accertamento di cui all’art. 38, commi da4 a7, del d.P.R. n. 600/1973 con riguardo all’ammontare dei redditi (d’impresa, di lavoro autonomo o di partecipazione) del contribuente, tanto più che con apposito provvedimento legislativo erano stati fatti salvi gli effetti delle definizioni perfezionate alla data del 15.12.1995; ragion per cui appariva evidente, nel caso di specie, in cui l’avviso di accertamento era stato notificato il 17 dicembre 1996, l’illegittimità dell’accertamento, dovendosi escludere un’indefinita soggezione del contribuente all’azione esecutiva del Fisco. Per sopperire a tale effetto l’Ufficio avrebbe dovuto procedere alla notifica della cartella entro l’anno 1995, assumendo i termini posti dalla legge per l’esercizio dei poteri impositivi natura perentoria e vincolante, alla stregua dell’orientamento sul punto consolidato della giurisprudenza di legittimità.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi.
Il contribuente ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE – L’Agenzia rileva, con la prima doglianza, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e dell’art. 3 d.l. n. 564/1994 nonché violazione dell’art. 9 bis d.l. n. 79/1997, sostenendo che avrebbe errato il primo giudice nel ritenere applicabile il concordato di massa regolato dall’art. 3 d.l. n. 564/1994 ai casi di accertamento da redditometro relativo a redditi di capitale, riguardando detta forma di definizione dei rapporti fra fisco e contribuente i soli redditi di lavoro autonomo e di impresa e non gli altri redditi comunque accertabili, tanto evincendosi dall’art. 38 d.P.R. n. 600/1973 secondo il quale i redditi derivati da redditometro erano inquadrabili in via presuntiva tra quelli da capitali.
Con la seconda censura l’Ufficio contesta la decisione impugnata per avere ritenuto di fare applicazione dell’art. 9-bis comma 15 d.l. 79/1997 disposizione che non era stata nemmeno invocata dal ricorrente con motivi aggiunti e che non poteva operare per il passato essendo entrata in vigore dopo la notifica dell’avviso di accertamento avvenuta nel Natale del 1996.
Aggiungeva, ancora, che una lettura coordinata delle diverse disposizioni inserite nell’art. 9-bis ult. cit. avrebbe dovuto indurre a confermare l’impossibilità di un’applicazione retroattiva della disposizione che non prorogava, peraltro, un condono o una sanatoria scaduta o in scadenza limitandosi a riaprire i termini di un anno e cinque mesi.
Con il controricorso O.G. ha dedotto l’inammissibilità del ricorso per la mancata formulazione dei quesiti di diritto da parte della ricorrente ed in ogni caso l’infondatezza delle doglianze, pure eccependo la violazione degli artt. 2909 c.c. e 342 c.p.c. in quanto la decisione impugnata aveva omesso di valutare che per gli anni 1989 e 1990la CTPdi Messina aveva accolto i ricorsi prodotti avverso gli accertamenti sintetici dallo stesso contribuente, desistendo poi l’Ufficio da ogni appello avverso tali pronunzie.
Occorre preliminarmente rilevare la piena ammissibilità dei motivi di ricorso proposti dall’Agenzia ad onta di quanto prospettato dal controricorrente, non trovando applicazione l’art. 366-bis c.p.c. introdotto dal d.l. n. 40/2006, applicabile alle sentenze di appello pubblicate in epoca successiva al 2 aprile 2006, circostanza non ricorrente nel caso di specie, ove la decisione impugnata è stata resa in data 26 gennaio 2006.
Tanto premesso, le doglianze prospettate dall’Agenzia non sono fondate e vanno per l’effetto disattese.
Per una più chiara comprensione della vicenda e per consentire la sussunzione della fattispecie nel quadro normativo di riferimento occorre chiarire, con riguardo all’accertamento sintetico da redditometro operato dall’Ufficio nei confronti del contribuente, che l’art. 38 d.P.R. n. 600/1973, nella versione – applicabile alla fattispecie qui all’esame della Corte – in vigore prima delle modifiche apportate dal D.L. n. 78/2005, stabiliva che “L’Ufficio, indipendentemente dalle disposizioni recate dai commi precedenti e dall’articolo 39, può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente in relazione al contenuto induttivo di tali elementi e circostanze quando il reddito complessivo netto accertatale si discosta per almeno un quarto da quello dichiarato. A tal fine, con decreto del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, sono stabilite le modalità in base alle quali l’ufficio può determinare induttivamente il reddito o il maggior reddito in relazione ad elementi indicativi di capacità contributiva individuati con lo stesso decreto, quando il reddito dichiarato non risulta congruo rispetto ai predetti elementi per due o più periodi d’imposta”. Il settimo comma dello stesso articolo aggiunge, poi, che “Agli effetti dell’imposta locale sui redditi il maggior reddito accertato sinteticamente è considerato reddito di capitale salva la facoltà del contribuente di provarne l’appartenenza ad altre categorie di redditi”.
Occorre ancora ricordare che ai sensi dell’art. 2-bis c. 1 del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, convertito nella legge 30 novembre 1994, n. 656, recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale” “… Ai fini delle imposte sul reddito e dell’imposta sul valore aggiunto la rettifica delle dichiarazioni può essere definita, con unico atto, in contraddittorio e con adesione del contribuente, a norma delle disposizioni seguenti”.
Il comma 2 dello stesso articolo aggiunge poi che “La definizione non è ammessa quando sulla base degli elementi, dati e notizie a conoscenza dell’ufficio è configurabile l’obbligo di denunzia all’autorità giudiziaria per i reati di cui agli articoli da1 a4 del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982, n. 516, e successive modificazioni. Tale disposizione si applica anche quando per i medesimi reati risulta essere stato presentato rapporto dalla Guardia di finanza o risulta essere stata avviata l’azione penale”.
Secondo il comma 3 della stessa disposizione “La definizione ha per oggetto l’esistenza, la stima, l’inerenza e l’imputazione a periodo dei componenti positivi e negativi del reddito di impresa o di lavoro autonomo ed ha effetto anche per l’imposta sul valore aggiunto”.
Il successivo comma 5 della stesso art. 2-bis, quindi, aggiunge che “L’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell’ufficio e non rileva a fini extratributari”.
Il comma 8 prevede, infine, che “I contribuenti che aderiscono all’accertamento di cui al presente articolo non sono tenuti ai fini fiscali alla conservazione delle scritture e dei documenti contabili relativi all’esercizio oggetto dell’accertamento, con la sola esclusione dei registri IVA”.
Orbene, l’Agenzia muove dal convincimento che sarebbe esente dal c.d. concordato di massa disciplinato dal sopra ricordato d.l. n. 564/1994 l’accertamento sintetico realizzato mediante c.d. redditometro ai sensi dell’art. 38 DPR n. 600/1973, determinando tale accertamento l’emersione di redditi di capitali diversi da quelli derivanti da lavoro autonomo e da impresa.
La tesi è infondata. Il settimo comma dell’art. 38 già richiamato si limita a porre una presunzione semplice e non a delimitare l’ambito oggettivo dell’accertamento sintetico.
In definitiva, tale presunzione non sembra potere incidere sulle finalità dell’accertamento sintetico, né tanto meno può avere la capacità di delimitare l’effetto preclusivo prodotto dall’accertamento con adesione disciplinato dalla normativa più sopra ricordata e dal d.l. n. 79 del 1997, art. 9-bis, comma 15, convertito in L. n. 140 del 1997 – a tenore del quale “L’intervenuta definizione dell’accertamento con adesione per gli anni pregressi inibisce la possibilità per l’ufficio di effettuare per lo stesso periodo d’imposta l’accertamento di cui all’articolo 38, commi dal quarto al settimo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni e integrazioni”.
D’altra parte, proprio l’accertamento sintetico disciplinato dall’art. 38 d.P.R. n. 600/1973, già nella formulazione anteriore a quella successivamente modificata dall’art. 22 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito in legge n. 122/2010, tende a determinare, attraverso l’utilizzo di presunzioni semplici, il reddito complessivo presunto del contribuente mediante i c.d. elementi indicativi di capacità contributiva stabiliti dai decreti ministeriali con periodicità biennale.
Passando al secondo motivo lo stesso, che in relazione al quesito di diritto non può essere interpretato che nel senso della prospettata violazione di legge senza che possa ritenersi rivolto ad evidenziare un vizio di extrapetizione da parte del giudice di secondo grado (peraltro infondato in relazione a quanto dedotto dal controricorrente a pag. 2 e 3 del controricorso in ordine all’esplicito richiamo dell’art. 9-bis comma 15 d.l. n. 79/1997 ss. in dal ricorso introduttivo ed a quanto risulta dalla pag. 2 della sentenza impugnata, ove si dà atto della posizione dell’Ufficio contraria all’applicazione retroattiva dell’art. 9-bis comma 15 l. n. 140/1997), occorre rammentare che questa Corte, a partire da Cass. n. 12785/06[1] – e di seguito con Cass. n. 1714/2007[2] e Cass. n. 1226/2007[3] – ha affermato il principio, che il Collegio condivide pienamente, secondo cui, in tema di condono fiscale, l’inibizione per l’ufficio tributario di procedere ad accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, commi dal 4 al 7, e successive modificazioni ed integrazioni (c.d. accertamento sintetico), sancita dal D.L. n. 79 del 1997, art. 9-bis, comma 15, convertito in L. n. 140 del 1997, si applica a tutte le definizioni dell’accertamento con adesione (cd. accertamento con adesione per anni pregressi) poste in essere ai sensi del D.L. n. 564 del 1994, art. 3, convertito in L. n. 656 del 1994, e, quindi, anche a quelle intervenute, prima dell’emanazione del citato D.L. n. 79 del 1997, art. 9-bis e senza usufruire della proroga dell’originario termine di pagamento (del 15.12.1995), ivi prevista.
Non evincendosi dal proposto motivo di ricorso ragioni probanti per discostarsi dal superiore orientamento, avuto riguardo alla circostanza che il D.L. n. 79 del 1997, art. 9-bis si limita a disporre la proroga del termine di pagamento per il c.d. “concordato di massa” previsto dal D.L. n. 564 del 1994, art. 3 ma sempre con riferimento alle medesime dichiarazioni, presentate entro il 30 settembre 1994 ed alla palese irrazionalità di un’esclusione dell’ampliamento dei benefici scaturenti dal concordato ai soggetti che non avevano usufruito della proroga del termine di pagamento, ne consegue la piena legittimità della decisione impugnata.
L’esito del giudizio di Cassazione impone la condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M. –La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 1.500,00 oltre spese generali ed accessori come per legge in favore del controricorrente.
L’annotata sentenza affronta tre distinte questioni che meritano di essere segnalate: da un lato indaga ancora una volta la natura giuridica dell’accertamento c.d. redditometrico; dall’altro, alla luce delle conclusioni cui giunge in riferimento al primo profilo, chiarisce il rapporto (preclusivo) che si instaura tra adesione al c.d. concordato di massa di cui al D.L. 30 settembre 1994, n. 564 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 novembre 1994, n. 656), limitato ai redditi d’impresa e di lavoro autonomo, e potere dell’Ufficio di procedere ad accertamento sintetico ex art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; infine, torna sull’interpretazione già consolidata nella giurisprudenza della Suprema Corte da rendersi all’art. 9-bis, comma 15, del D.L. 28 marzo 1997, n. 79 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140), che inibisce, a fronte dell’adesione al concordato, la possibilità per l’Ufficio di accertare sinteticamente un maggior reddito, ribadendone l’applicazione retroattiva.
Quanto al primo aspetto è interessante notare come la giurisprudenza di legittimità sia ancora oggi oscillante sulla valenza giuridica da attribuirsi agli indici redditometrici.
Solo pochi mesi addietro la Cortedi Cassazione (cfr. Cass., sez. VI, 6 agosto 2012, ord. n. 14168, e Cass., sez. VI, 5 settembre 2012, ord. n. 14896, entrambe in Boll. Trib., 2012, 1718 ss., con nota di l. ferlazzo natoli – p. montesano, Il contribuente vittima della probatio diabolica davanti alle presunzioni dell’accertamento sintetico) affermava la natura di presunzione legale degli indici di redditività individuati dai decreti ministeriali di cui all’art. 38, quarto comma, del D.P.R. n. 600/1973 [nella versione antecedente alle modifiche apportate dal D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), applicabili agli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non sia ancora scaduto al 31 maggio 2010].
Con l’annotata pronuncia, di contro, la Suprema Cortealimenta quel suo orientamento interno che tende piuttosto ad attribuire a tali indici la qualità di presunzioni semplici, richiedendo così al giudice del merito una valutazione (basata sul suo prudente apprezzamento ai sensi dell’art. 2729 c.c.) circa l’idoneità degli stessi a rappresentare la reale capacità reddituale del soggetto accertato.
L’indirizzo da ultimo segnalato comincia (graditamente) a radicarsi (cfr. Cass., sez. trib., 17 giugno 2011, n. 13289, inBoll. Trib., 2012, 215, con nota di v. azzoni, Brevi note sul divieto di utilizzazione giudiziale dei documenti sottratti all’accertamento e sul divieto di richiedere documenti già in possesso dell’Amministrazione finanziaria; Cass., sez. trib., 24 ottobre 2005, n. 20588, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. trib., 1° luglio 2003, n. 10350, in Boll. Trib., 2004, 1491), con il plauso di chi ritiene che il metodo di accertamento in parola esprima una quantificazione forfetaria del reddito ben lungi dal determinare quello effettivo, con conseguenze di non poco momento in punto di esercizio del diritto di difesa del contribuente nell’ipotesi di attribuzione agli indici redditometrici di una valenza di presunzione legale relativa (in questi termini l. ferlazzo natoli – p. montesano, op. cit., 1721; concorde f. leone, Accertamento sintetico, redditometro, presunzioni e la diabolica prova contraria, in Boll. Trib., 2012, 131 ss., in nota a Cass., sez. trib., 20 maggio 2011, n. 11213).
La pronuncia in commento si segnala tuttavia anche per un altro aspetto, ancora con riguardo alla natura dell’accertamento sintetico (e redditometrico in particolare).
Viene infatti ribadito che la sua caratteristica è che il fatto presunto è il reddito complessivo, nel senso di un reddito globalmente determinato indipendentemente dalla fonte di sua derivazione. per un approfondimento si segnala a. marcheselli, Le presunzioni nel diritto tributario: dalle stime agli studi di settore, Torino, 2008, 255 ss., il quale peraltro sostiene che «il carattere multiforme della realtà su cui il redditometro va ad incidere e le correlate necessità di “adattamento” si armonizzano assai meglio con una configurazione come un “catalogo” precostituito di presunzioni semplici, da inserire nel contesto di un accertamento caso per caso»: deriverebbe infatti secondo l’Autore l’incostituzionalità dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973 per contrasto con gli artt. 24 e 53 Cost. se si escludesse la possibilità di provare che: a) la ricchezza presunta sussiste in misura differente; b) che la ricchezza, pur sussistente nell’ammontare presunto, non costituisce reddito.
Solo ai fini ILOR, dunque, il maggior reddito determinato ai sensi dell’art. 38 costituisce reddito di capitale (art. 38, settimo comma, vigente fino alle più recenti modifiche apportate dal D.L. n. 78/2010).
Un’osservazione interessante, resa sul tema (cfr. r. lupi, Metodi induttivi e presunzioni nell’accertamento tributario, Milano, 1988, 401, nota 256), permette peraltro di riflettere sull’affermazione della Corte di Cassazione secondo cui il prefato settimo comma porrebbe una presunzione semplice di appartenenza ad una determinata categoria reddituale.
Si tratta della considerazione che l’utilizzazione da parte del legislatore dell’espressione «è considerato» in luogo di «è presunto» assumerebbe nella specie rilievo. La decisione di considerare il maggior reddito accertato sinteticamente quale reddito di capitale è infatti una tipica scelta normativa e non risponde ai criteri d’esperienza tipici del ragionamento presuntivo: la scelta è normativa nel senso che, nell’incertezza sulla natura giuridica del reddito, si è deciso di addossare al contribuente la dimostrazione della sua appartenenza a categorie reddituali diverse da quella cui è connesso il trattamento più gravoso. Con la conseguenza che essendo logicamente improponibile la prova negativa sulla non appartenenza del reddito alla categoria dei redditi di capitale, occorrerà procedere per incompatibilità, dimostrando l’appartenenza ad altre categorie di reddito (ancora r. lupi, op. cit., 401).
Per passare poi all’ulteriore profilo analizzato dalla sentenza, ossia quello relativo al rapporto tra potere accertativo dell’Ufficio e adesione al concordato di massa, la decisione chiarisce che l’inibizione dell’azione amministrativa si estende all’accertamento sintetico ancorché la definizione abbia per oggetto «l’esistenza, la stima, l’inerenza e l’imputazione a periodo dei componenti positivi e negativi del reddito di impresa o di lavoro autonomo» (art. 2-bis, terzo comma, del D.L. n. 564/1994).
La formulazione della disposizione lasciava spazio ad accertamenti dell’Ufficio che avessero ad oggetto altre categorie reddituali e anche (astrattamente) all’accertamento del reddito globale attraverso il metodo sintetico.
Si trattava, come osservato (s. capolupo, La riapertura dei termini per il concordato, in il fisco, 1997, 7675 ss.), di una delle questioni maggiormente controverse e che avevano sicuramente disincentivato i contribuenti a utilizzare lo strumento del concordato (può rammentarsi, a titolo esemplificativo, Comm. trib. prov. di Enna, sez. III, 27 febbraio 1997, n. 45, in Boll. Trib. On-line, che statuiva il principio secondo cui l’adesione da parte del contribuente al concordato di massa non avrebbe inibito all’Ufficio il potere di ricorrere alla procedura di accertamento sintetico di cui all’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973; tuttavia, per la rideterminazione del reddito delle annualità definite, non si sarebbero potuti prendere in esame dati ed elementi riferiti alle tipologie di reddito per le quali fosse intervenuta l’adesione).
L’art. 9-bis, commi da 12 a 18, del D.L. n. 79/1997, introduceva, tuttavia, nuove disposizioni in materia di accertamento con adesione per anni pregressi, disciplinato dall’art. 3 del citato D.L. n. 564/1994 (cfr. circ. 9 luglio 1997, n. 197/E, in Boll. Trib., 1997, 1109).
Alcune delle norme introdotte erano rivolte all’integrazione degli effetti del concordato (commi 15 e 18), inclusa quella (comma 15) che inibiva l’accertamento sintetico ex art. 38, commi da4 a 7, del D.P.R. n. 600/1973, con riferimento ai periodi d’imposta per i quali fosse intervenuto il perfezionamento dell’adesione.
L’espressa inibizione del potere accertativo dell’Ufficio assumeva carattere di novità e – pur risolvendo l’annosa questione concernente il rapporto tra concordato e accertamento sintetico – era destinata a sollevare dubbi interpretativi quanto al suo spettro di applicazione, in particolare in riferimento alla sua possibile rilevanza rispetto ad accertamenti intervenuti prima della sua entrata in vigore.
Sul carattere retroattivo della norma si attesta la giurisprudenza di legittimità, da ultimo con la sentenza qui in commento, che si conforma ai precedenti della Suprema Corte.
E infatti già con la sentenza 26 gennaio 2007, n. 1714 (in Boll. Trib. On-line), la Cassazione ha statuito che una espressa previsione di retroattività della suddetta disposizione non sarebbe stata necessaria innanzitutto «sulla base di un’interpretazione logico-sistematica della previsione in esame, da leggersi in collegamento con l’art. 9-bis del medesimo decreto (prevedente la proroga sopra menzionata) e alla luce della ratio emergente dall’interpretazione del combinato disposto delle suddette previsioni» (l’inibizione per l’Ufficio di procedere ad accertamenti sintetici è infatti sancita in relazione alla proroga del termine di pagamento del 15 dicembre 1995, ma sempre con riferimento alle dichiarazioni presentate entro il 31 settembre 1994 per le quali l’art. 3 del D.L. n. 564/1994 ha previsto la definizione stabilita dal precedente art. 2-bis nella forma del concordato a regime, come ha spiegato meglio la Corte di Cassazione con la pronuncia del 29 maggio 2006, n. 12785, ivi).
A ciò si è aggiunto che «l’applicabilità di tale previsione ad accertamenti con adesione intervenuti per anni pregressi si ricava in ogni caso dallo stesso tenore del citato art. 15, non potendo ritenersi che costituisca un limite a detta applicabilità l’intervenuta notificazione di un accertamento sintetico, l’unico limite potendo ravvisarsi solo nell’intervenuta definitività del suddetto accertamento per mancanza di impugnazione» (così ancora Cass. n. 1714/2007, cit.).
Un ultimo argomento (di rilievo) sostiene infine il ragionamento della Corte: che «del tutto irragionevole risulterebbe, con inevitabili ricadute anche sul piano della legittimità costituzionale della normativa, che l’ampliamento dei benefici scaturenti dal concordato, determinato dalla preclusione (anche) dell’accertamento sintetico, fosse limitato ai contribuenti che abbiano usufruito della proroga del termine di pagamento ed escludesse, invece, quelli che, a fronte del medesimo ambito di operatività del beneficio, di tale proroga non si siano avvantaggiati» (così Cass., sez. trib., 19 gennaio 2007, n. 1226, in Boll. Trib. On-line).