31 Luglio, 2017

SOMMARIO: 1. INQUADRAMENTO NORMATIVO – 2. ASPETTI PRELIMINARI; 2.1 Sulla opportunità della introduzione di una clausola generale antielusiva nell’ordinamento tributario: un tema vintage che meriterebbe di essere riesplorato. Rinvio; 2.2 La portata della norma e la sua natura “residuale” – 3. DEFINIZIONE DI ABUSO DEL DIRITTO A SEGUITO DELLA NOVELLA DEL 2015; 3.1 Il contenuto della legge delega n. 23/2014 in tema di abuso del diritto; 3.2 La Raccomandazione della Commissione UE del 2012. Finalità e contenuto della Raccomandazione; 3.3 Nuove prospettive, de jure condendo: proposta di direttiva antiabuso del 28 gennaio 2016 (COM 2016/26 final); 3.4 La definizione di abuso del diritto di cui all’art. 1 del D.Lgs. n. 128/2015 (art. 10-bis della legge n. 212/2000). Problematico coordinamento sia con le previsioni di cui alla legge delega che con quelle di origine comunitaria – 4. DISAMINA DEI SINGOLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELL’ABUSO DEL DIRITTO: (A) PRESENZA DI OPERAZIONI PRIVE DI SOSTANZA ECONOMICA (LA “CONDOTTA”) – 5. SEGUE: (B) INDEBITO VANTAGGIO FISCALE (“EVENTO”) – 6. SEGUE: (C) ESSENZIALITÀ DALL’ELEMENTO COSTITUITO DAL VANTAGGIO FISCALE (INDEBITO) NELLA IDEAZIONE DELLA COSTRUZIONE EVASIVA – 7. LE CONSEGUENZE DELL’ABUSO: INOPPONIBILITÀ DEL VANTAGGIO FISCALE INDEBITO, RECUPERO DELLE IMPOSTE – 8. ESCLUSIONI ESPRESSE DALLA NOZIONE DI ABUSO DEL DIRITTO; 8.1 Presenza di valide ragioni extrafiscali, non marginali; 8.2 Libera scelta di regimi opzionali e preferenza per operazioni con diverso carico fiscale – 9. PROFILI SANZIONATORI AMMINISTRATIVI E PENALI – 10. RETROATTIVITÀ DELLA NUOVA NORMATIVA ANTIABUSO.

1. INQUADRAMENTO NORMATIVO

Il 2 settembre 2015 è entrata in vigore la nuova disciplina dell’abuso del diritto ed elusione fiscale, recata dall’art. 1 del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128. La disposizione in parola introduce ex novo l’art. 10-bis nella legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), assegnando pertanto alla normativa de qua il più alto grado di valore nella gerarchia delle fonti dell’ordinamento tributario.
Si tratta, oggettivamente, di una disciplina complessa, oggetto di vivacissimo dibattito che si presta ad approcci di tipo giuridico, economico, comparatistico, misto, etc. In questa sede si intende proporre un approccio aderente al dato testuale – oggettivamente prudente – che ponga anche in luce elementi di continuità o “corti circuiti” tra i diversi piani normativi. L’analisi è condotta tendenzialmente tabula rasa, dando quindi per acquisito – e resettando – il tormentato percorso normativo, giurisprudenziale e dottrinario in materia di abuso del diritto tributario.
Alla data di “chiusura” della presente nota, l’Amministrazione finanziaria non ha ancora espresso commenti o interpretazioni ufficiali in merito alla normativa in parola. Non mancano tuttavia significativi e apprezzabili contributi dottrinari, ai quali senz’altro si rinvia per una rassegna completa delle opinioni e delle discussioni recentemente espresse sul tema (1). Si deve inoltre segnalare una prima sentenza della Corte di Cassazione (2) relativa ai profili penali tributari della nuova disciplina, nella quale vi è una interessante prolusione, di carattere generale e sistematico, sulla nuova normativa in tema di abuso del diritto, qui in esame.
Sotto il profilo strutturale, la normativa può essere suddivisa in una parte sostanziale (3) – recante l’esposizione della nozione di abuso del diritto – e una parte procedimentale. Pur essendo il focus della presente nota sugli aspetti sostanziali, in particolare sui profili definitori, verranno brevemente esposti anche gli aspetti procedimentali.

2. ASPETTI PRELIMINARI

2.1 Sulla opportunità della introduzione di una clausola generale antielusiva nell’ordinamento tributario: un tema vintage che meriterebbe di essere riesplorato. Rinvio

È opportuno ricordare preliminarmente come – in termini generali – l’introduzione nell’ordinamento tributario di una clausola generale antielusiva non sia un evento ineluttabile. La questione è stata – come noto – discussa lungamente e approfonditamente in passato (4).
Sia sufficiente osservare come i medesimi risultati perseguiti dalla nuova norma qui in esame potrebbero essere raggiunti, per ipotesi – e con eguale efficacia –, anche seguendo strade diverse: mediante, ad esempio, il ricorso all’istituto civilistico del negozio in frode alla legge, eventualmente “adattato alle circostanze”. O, ancora, ricorrendo all’applicazione di un principio immanente di divieto di abuso del diritto tributario. E altro. Sempre per ipotesi, si potrebbe ritenere che una clausola generale antielusiva sia oggettivamente di difficile elaborazione, al punto che la non-elaborazione di una tale clausola potrebbe risultare preferibile.
Non si ritiene, tuttavia, in questa sede, di appesantire la trattazione tornando indietro sino all’epoca del predetto vivacissimo dibattito: come si vedrà nel prosieguo, la normativa comunitaria – attuale e futura – promuove espressamente l’introduzione di una tale disposizione. Sicché, da tale prospettiva, la questione sembra superata.
In ogni modo, coloro i quali siano interessati ad un’operazione di archeologia tributaria, potranno rinvenire, in quel dibattito, una serie di spunti preziosi di assoluta attualità. È il caso, in particolare, dell’analisi svolta in merito alla possibile estensione della norma civilistica in tema di negozi in frode alla legge (art. 1344 c.c.), anche all’ordinamento tributario.

2.2 La portata della norma e la sua natura “residuale”

La normativa in esame ha portata omnicomprensiva, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.
Essa, innanzitutto, abbraccia sia il fenomeno dell’abuso del diritto che dell’elusione fiscale fondendoli in un’unica fattispecie patologica, a fronte della quale è previsto un trattamento unico e indistinto. D’ora in avanti può quindi ritenersi superata la discussione sulle differenze tra elusione fiscale e abuso del diritto.
Sotto il profilo oggettivo, la disciplina in parola si applica indistintamente sia al comparto delle imposte dirette che indirette. Attesa la difficoltà – per non dire impossibilità – di proporre una puntuale catalogazione della imposte indirette, può affermarsi, più semplicemente, che la nuova norma comprende anche i tributi “altri” rispetto a quelli diretti. La portata omnicomprensiva della norma è confermata sia dall’esame dei lavori parlamentari che dal dato testuale, sicché può ritenersi pacifica. A ciò si aggiunga che la normativa in esame è stata collocata – come detto – nel contesto dello Statuto dei diritti del contribuente, segnatamente nell’art. 10-bis del medesimo: anche tale circostanza conferma la portata generale e sistematica della normativa antiabuso. L’unico limite di natura oggettiva all’applicazione della norma può essere ragionevolmente costituito dalla nozione di tributo (5), al di fuori della quale la normativa in parola non dovrebbe applicarsi. Quanto detto comporta, sul piano oggettivo, la potenziale applicabilità della norma a circa un centinaio di imposte, canone radiotelevisivo incluso (6).
Sotto il profilo territoriale, essa deve intendersi applicabile – indistintamente – nei confronti di tutti i tributi dovuti in Italia, per effetto delle specifiche norme in tema di territorialità. Essa potrà essere applicata anche qualora il beneficio fiscale discenda da strutture che coinvolgono ordinamenti e legislazioni estere, nonché soggetti terzi residenti all’estero.
Sul piano soggettivo, non si rinvengono limitazioni di sorta, nel senso che la norma, sebbene principalmente pensata e calibrata sulle realtà imprenditoriali, ricomprende – in assenza di espresse limitazioni – l’intera platea dei contribuenti, a prescindere dalle qualificazioni soggettive del contribuente stesso, sia esso imprenditore, professionista, persona fisica o ente associativo, residente o meno nel territorio dello Stato. Né si individuano restrizioni di natura soggettiva in merito alle prerogative degli enti impositori, potendo pertanto la norma essere applicata anche da enti locali, quali le Regioni, le Province e i Comuni, nei limiti, s’intende, dei rispettivi poteri di accertamento dei singoli tributi.
Alla luce di quanto sopra, risulta decisivamente superato il previgente assetto della materia, fondato, per il comparto delle imposte dirette, sull’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (7), per l’IVA (e i tributi armonizzati in genere) sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, e, per l’imposta di registro, su una – spesso distorta – applicazione dell’art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. Inoltre, la presenza di un generale e immanente principio di divieto dell’abuso del diritto è stata sostenuta – a più riprese – dalla Corte di Cassazione sulla base del rispetto del principio costituzionale di capacità contributiva (8).
Giova poi sottolineare la natura “residuale” della disciplina in esame, applicabile soltanto qualora il vantaggio fiscale (illegittimamente) conseguito dal contribuente non possa essere posto nel nulla «contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie».
Tale aspetto – in realtà – è di per sé tutt’altro che “residuale”: da esso consegue innanzitutto il corollario per cui l’abuso del diritto implica che il contribuente non abbia violato alcuna norma impositiva, eccezion fatta, s’intende, per il divieto di abuso del diritto come ora risulta normato.
Continueranno dunque a trovare applicazione, in luogo della nuova clausola generale antiabuso, le norme antielusive già presenti nell’ordinamento: si pensi, ad esempio, alle disposizioni in tema di IVA riguardanti la determinazione della base imponibile (9) secondo il criterio del valore normale, in luogo del criterio del corrispettivo pattuito tra le parti. Lo stesso è a dirsi per i casi in cui la deducibilità di un costo sia contestabile in ragione della asserita violazione dei criteri di inerenza, competenza e oggettiva determinabilità.
Inoltre, non è affatto indifferente, dalla prospettiva del contribuente, che la pretesa tributaria sia incentrata sulla nuova normativa in parola, o su altre disposizioni tributarie. Come si vedrà nel prosieguo la nuova disciplina antiabuso reca una serie di garanzie “rafforzate” (10), per il contribuente, dovute essenzialmente al fatto che – in caso di abuso del diritto – non vi è, come detto, violazione di specifiche norme tributarie.
Nel concludere la discussione sulla portata e sul perimetro della nuova normativa, è il caso di sottolineare l’estraneità all’area dell’abuso del diritto, della tematica connessa alla pura riqualificazione di atti e contratti da parte dell’Amministrazione finanziaria. A ben vedere, infatti, il potere di (qualificazione e) riqualificazione degli atti e dei negozi in genere nei casi (i) in cui la veste giuridica formale non corrisponda a quella effettiva, nonché (ii) in presenza di fattispecie di simulazione assoluta o relativa, o di interposizione, attiene alla pura attività interpretativa dell’Amministrazione finanziaria – da svolgersi secondo gli ordinari canoni ermeneutici – e resta fuori dal perimetro dell’abuso del diritto. Ciò in quanto, almeno di regola, nelle costruzioni abusive gli effetti degli atti e dei contratti corrispondono alla effettiva volontà e alle dichiarazioni delle parti, sebbene gli atti e i contratti medesimi siano studiati, realizzati e “combinati” in modo tale da approdare ad un vantaggio fiscale indebito, nel senso che si tenterà di chiarire nel prosieguo.

3. DEFINIZIONE DI ABUSO DEL DIRITTO A SEGUITO DELLA NOVELLA DEL 2015

3.1 Il contenuto della legge delega n. 23/2014 in tema di abuso del diritto

Ai sensi dell’art. 5 della legge 11 marzo 2014, n. 23, il Governo è stato delegato «ad attuare … la revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, in applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi, coordinandoli con quelli contenuti nella raccomandazione della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012». La legge delega richiedeva, in particolare di «definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio di imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione».
E ancora, ai sensi dell’art. 5 in parola (limitando l’analisi, in questa sede, ai temi di natura sostanziale), veniva richiesto di:
• garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale;
• considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell’operazione abusiva;
• escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali; stabilire che costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente;
• prevedere l’inopponibilità degli strumenti giuridici, utilizzati in modo distorto, all’Amministrazione finanziaria con conseguente potere della stessa di disconoscere il relativo risparmio di imposta.
Evidentemente, le linee guida fornite in sede di delega sono state molto – forse fin troppo – puntuali. Ci troviamo di fronte, infatti – non già, e non solo, alla enunciazione di “principi e criteri” – quanto alla indicazione letterale della definizione di abuso del diritto ed elusione.
La suesposta definizione di abuso indicata dalla legge delega è stata fortemente criticata in dottrina (11): è stato lamentato, in particolare, come la definizione fosse eccessivamente focalizzata sull’abnormità degli strumenti giuridici utilizzati, sul “percorso” seguito dal contribuente, più che sull’analisi del risultato conseguito per effetto della costruzione giuridica posta in essere. Il disappunto della dottrina era in realtà principalmente da ascriversi al fatto che la definizione di abuso contenuta nella legge delega ricalcasse pressoché testualmente la giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di abuso del diritto, giurisprudenza che, in più di una occasione, è approdata a conclusioni oggettivamente discutibili e molto penalizzanti per i contribuenti (12).
A difesa della definizione espressa dalla legge delega, si può osservare come la stessa chiaramente evocasse l’istituto civilistico del negozio in frode alla legge (nel caso di specie: legge fiscale) di cui all’art. 1344 c.c. Tale implicito rinvio consentiva di attingere – ai fini dell’interpretazione della norma – agli studi compiuti in materia dalla migliore dottrina civilistica, nonché alla giurisprudenza (anche) non tributaria sul tema.

3.2 La Raccomandazione della Commissione UE del 2012. Finalità e contenuto della Raccomandazione

Come sopra riportato, la norma di delega imponeva al legislatore delegato il coordinamento con i principi comunitari contenuti nella Raccomandazione della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012.
Si rende pertanto opportuna, ai fini dell’analisi, la disamina della citata Raccomandazione. Non si tratta, a ben vedere, né di una Direttiva né di un Regolamento, sicché essa non risulta rigidamente vincolante per gli Stati membri. Tale Raccomandazione assolve ad una finalità di armonizzazione delle legislazioni nazionali nel contrasto del fenomeno della pianificazione fiscale aggressiva. La Raccomandazione, la cui portata è espressamente circoscritta all’area delle imposte dirette, incoraggia gli Stati membri «ad adottare una norma generale antiabuso adattata alle situazioni nazionali, alle situazioni transfrontaliere limitate all’Unione ed alle situazioni che coinvolgono Paesi terzi».
La definizione di abuso espressa nella Raccomandazione è la seguente «Una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale deve essere ignorata. Le autorità nazionali devono trattare tali costruzioni a fini fiscali facendo riferimento alla loro sostanza economica … Per “costruzione” si intende una transazione, un regime, un’azione, un’operazione, un accordo, una sovvenzione, un’intesa, una promessa, un impegno o un evento. Una costruzione può comprendere più di una misura o di una parte. Una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale».
Per determinare se la costruzione o la serie di costruzioni è artificiosa, «le autorità nazionali sono invitate a valutare se presenta una o più delle seguenti situazioni:
(a) la qualificazione giuridica delle singole misure di cui è composta la costruzione non è coerente con il fondamento giuridico della costruzione nel suo insieme;
(b) la costruzione o la serie di costruzioni è posta in essere in un modo che non sarebbe normalmente impiegato in quello che dovrebbe essere un comportamento ragionevole in ambito commerciale;
(c) la costruzione o la serie di costruzioni comprende elementi che hanno l’effetto di compensarsi o di annullarsi reciprocamente;
(d) le operazioni concluse sono di natura circolare;
(e) la costruzione o la serie di costruzioni comporta un significativo vantaggio fiscale, di cui tuttavia non si tiene conto nei rischi commerciali assunti dal contribuente o nei suoi flussi di cassa;
(f) le previsioni di utili al lordo delle imposte sono insignificanti rispetto all’importo dei previsti vantaggi fiscali».
E ancora, «la finalità di una costruzione o di una serie di costruzioni artificiose consiste nell’eludere l’imposizione quando, a prescindere da eventuali intenzioni personali del contribuente, contrasta con l’obiettivo, lo spirito e le finalità delle disposizioni fiscali che sarebbero altrimenti applicabili».
Infine «una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso».
Interessante, inoltre, la identificazione del concetto di vantaggio fiscale in termini di erosione della base imponibile, utilizzo di una detrazione o di una perdita, nella mancata effettuazione di una ritenuta alla fonte o nella compensazione di imposte estere.
Restando in ambito comunitario, occorre evidenziare come il tema dell’inserimento di una clausola generale antiabuso, nelle Direttive e Regolamenti che disciplinano la materia tributaria, sia di estrema rilevanza e attualità. Una clausola analoga a quella della Raccomandazione del 2012 è stata inserita, in primo luogo, nella più recente versione di Proposta di Direttiva per la tassazione delle transazioni finanziarie (13). Ma, soprattutto, una clausola generale antiabuso è stata altresì inclusa nella Direttiva Madre-Figlia 2011/96 del 30 novembre 2011 dalla recente Direttiva 2015/121 del 27 gennaio 2015 (14). La clausola, che si espone di seguito, è leggermente diversa da quella di cui alla Raccomandazione:
«Nella direttiva 2011/96/UE, all’articolo 1, il paragrafo 2 è sostituito dai paragrafi seguenti:
“2. Gli Stati membri non applicano i benefici della presente direttiva a una costruzione o a una serie di costruzioni che, essendo stata poste in essere allo scopo principale o a uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto o la finalità della presente direttiva, non è genuina avendo riguardo a tutti i fatti e le circostanze pertinenti.
Una costruzione può comprendere più di una fase o parte.
3. Ai fini del paragrafo 2, una costruzione o una serie di costruzioni è considerata non genuina nella misura in cui non è stata posta in essere per valide ragioni commerciali che riflettono la realtà economica.
4. La presente direttiva non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare l’evasione fiscale, la frode fiscale o l’abuso».

3.3 Nuove prospettive, de jure condendo: proposta di direttiva antiabuso del 28 gennaio 2016 (COM 2016/26 final)

Merita specifica menzione – de jure condendo – il “Pacchetto antielusione” che la Commissione europea ha varato il 28 gennaio 2016. Il predetto Pacchetto include una Proposta di Direttiva antiabuso, nel cui contesto è presente una clausola generale antiabuso (art. 7) apparentemente riservata all’area delle imposte sulle società. La norma – rubricata “Norma generale anti-abuso” e destinata a superare la clausola di cui alla Raccomandazione del 2012 – dispone testualmente che:
«1) Le costruzioni non genuine o una serie di costruzioni non genuine poste in essere essenzialmente allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto o le finalità delle disposizioni fiscali che sarebbero state altrimenti applicate sono ignorate ai fini del calcolo dell’imposta sulle società dovuta. Una costruzione può comprendere più di una fase o parte.
2) Ai fini del paragrafo 1 una costruzione o una serie di costruzioni è considerata non genuina nella misura in cui non è stata posta in essere per valide ragioni commerciali che riflettono la realtà economica.
3) Quando le costruzioni o una serie di costruzioni sono ignorate a norma del paragrafo 1, l’imposta dovuta è calcolata con riferimento alla sostanza economica in conformità al diritto nazionale».
La norma ha evidentemente un taglio più sintetico rispetto alla clausola prevista dalla Raccomandazione UE del 2012: essa, inoltre, essendo inserita in una Direttiva, sarebbe vincolante per tutti gli Stati membri, a differenza di quanto accade per la Raccomandazione, la quale non ha un’efficacia cogente diretta e immediata.
Ma, soprattutto, la disposizione in parola sembra tornare a porre l’accento sul tema della presenza o meno delle valide ragioni economiche, tema che sembrava essere prossimo al declino, con l’abrogazione dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 e l’emanazione della nuova norma di cui all’art. 10-bis della legge n. 212/2000. Sta di fatto che non appena la Direttiva anti-abuso verrà definitivamente approvata, la coerenza del quadro normativo domestico dovrà necessariamente essere riesaminata.
In sede di commento, si può osservare come il quadro normativo comunitario in tema di abuso del diritto sia piuttosto sconfortante. Da un lato, infatti, le disposizioni sopra riportate si riferiscono espressamente all’area delle imposte dirette. Non è chiaro, quindi, se, al di fuori dell’area dell’IVA – ove, come noto, la tematica in esame è nata e si è sviluppata, sicché non si avverte in modo drammatico l’assenza di una norma generale antiabuso – vi sia spazio per l’applicazione generalizzata della clausola generale antielusiva.
E ancora, il contenuto delle disposizioni citate non sembra perfettamente collimare, il che aggiunge ulteriori elementi di confusione.
Conclusivamente, trarre ispirazione dalla normativa comunitaria ai fini della redazione della norma domestica – come richiesto dalla legge delega – non era operazione semplice.

3.4 La definizione di abuso del diritto di cui all’art. 1 del D.Lgs. n. 128/2015 (art. 10-bis della legge n. 212/2000). Problematico coordinamento sia con le previsioni di cui alla legge delega che con quelle di origine comunitaria

L’art. 1 del D.Lgs. n. 128/2015 introduce il seguente art. 10-bis nello Statuto dei diritti del contribuente: «Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni».
Ancora, ai sensi dell’art. 10-bis, si considerano operazioni prive di sostanza economica «i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali». Si considerano vantaggi fiscali indebiti «i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario».
Sono infine indici di mancanza di sostanza economica, sempre ai sensi dell’art. 10-bis, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato.
In sede di commento della definizione sopra riportata, si può in primo luogo osservare come il legislatore delegato abbia nettamente disatteso l’indicazione contenuta nella legge delega in merito alla definizione della fattispecie di abuso del diritto: come si potrà agevolmente notare, è del tutto assente – nell’art. 10-bis – il riferimento all’uso distorto di strumenti giuridici. Detto concetto è stato soppiantato da quello di assenza di sostanza economica, non presente – per converso – nella legge delega.
In particolare, mentre nella definizione di cui alla legge delega l’elemento costituivo principale è rappresentato dall’utilizzo distorto degli strumenti giuridici, nella normativa delegata si pone piuttosto l’accento – quanto alla condotta – sull’assenza di sostanza economica dell’operazione. Sotto il profilo puramente logico, i due concetti non sono equivalenti: l’uso distorto di strumenti giuridici non implica necessariamente l’assenza di sostanza economica (e viceversa). Valga il seguente esempio: un contribuente, al fine di attenuare il carico fiscale dell’imposta di registro effettua, in luogo di una cessione di azienda, una vendita frazionata di beni: il corrispettivo complessivamente incassato è identico a quello che sarebbe stato percepito a fronte della cessione di azienda. Ebbene, nell’esempio in parola vi è un uso distorto degli istituti giuridici, ma – innegabilmente – vi è sostanza economica, almeno secondo il significato comune dell’espressione. Sembrerebbe quindi, in tal caso, doversi escludere il ricorrere dell’abuso del diritto ai sensi dell’art. 10-bis, ma non anche ai sensi della norma di delega. Potrebbe tuttavia obiettare, il legislatore delegato, che la fattispecie sopra indicata rientra nell’abuso, ove si guardi all’indice costituito dalla «non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme»: vero, ma è altresì vero che allora l’elemento principale di cui alla delega è ora relegato al rango di indice, per giunta di un diverso concetto quale l’assenza di sostanza economica, che – come detto – nel caso in esame non ricorre (i.e. vi è oggettivamente, nell’operazione, sostanza economica).
Né può dirsi che l’anomalia in parola sia superabile attraverso il richiesto coordinamento tra la normativa antiabuso domestica e la Raccomandazione UE del 2012. Vero è che la Raccomandazione pone l’accento sull’assenza di sostanza economica (rectius: commerciale) dell’operazione. Se non che il legislatore italiano ha poi introdotto una definizione di tale concetto – la inidoneità della condotta elusiva a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali – di per sé criptico e non presente nel testo della Raccomandazione. Tale definizione di assenza di sostanza economica – come si vedrà tra breve – genera più di una difficoltà in sede interpretativa. Non solo: gli indici di artificialità della costruzione elusiva, indicati nella Raccomandazione, sono stati riproposti soltanto parzialmente nell’art. 10-bis, e “trasformati” da indici di artificialità della costruzione in indici di assenza di sostanza economica (15).
E ancora: non è stata riprodotta, nell’art. 10-bis, la definizione di beneficio fiscale, presente nella Raccomandazione.
La creatura ibrida nata dal testo dell’art. 10-bis non aiuta, tra l’altro, il processo di armonizzazione comunitaria cui la Commissione mirava nel fornire una puntuale definizione di abuso attraverso la più volte citata Raccomandazione.
Può dunque dubitarsi, alla luce delle incongruenze sopra evidenziate, della legittimità costituzionale della norma delegata, non avendo essa recepito le indicazioni esposte – invero molto chiaramente e puntualmente – nella delega. Né, come detto, il problema può ritenersi risolto attraverso il riferimento alla Raccomandazione UE, in assenza di un efficace coordinamento e adattamento tra i due piani normativi (domestico e comunitario).
Con riferimento, in particolare, all’armonizzazione tra la normativa domestica e quella comunitaria, il legislatore della Novella – in alternativa alla scelta compiuta, consistente, come si è visto, nella creazione di una fattispecie “ibrida” – avrebbe potuto seguire due percorsi alternativi, a giudizio di chi scrive, entrambi preferibili rispetto al passo compiuto.
Il legislatore avrebbe potuto, da un lato, limitarsi alla mera trascrizione del testo recato dalla Raccomandazione UE: ciò avrebbe conferito senz’altro maggiore chiarezza alla norma domestica e adiuvato l’auspicata armonizzazione della disciplina generale antiabuso in ambiente comunitario.
Dall’altro, al polo opposto, il legislatore avrebbe potuto “calare” il contenuto della disposizione comunitaria nel sistema domestico richiamando espressamente gli istituti del diritto italiano applicabili, segnatamente la fattispecie del negozio in frode alla legge. Tale opera non sarebbe comunque stata agevole: è un dato di fatto che le Direttive comunitarie appaiono sovente scritte in una sorta di “lingua franca”, focalizzata prevalentemente sugli aspetti economici delle fattispecie impositive, la cui implementazione risulta piuttosto faticosa, specie sui temi in cui gli aspetti giuridici sono prevalenti su quelli economici.
Per altro verso, il punto non è tanto quello di verificare se con la norma delegata si sia o meno fatto un passo avanti – sul piano qualitativo – rispetto alla norma di delega, quanto il fatto che una simile licenza non è ammessa (16).
Tanto premesso, occorre comunque tentare di definire e interpretare gli elementi costitutivi della fattispecie, sottolineando sin d’ora come essi debbano essere tutti presenti, affinché ricorra la fattispecie dell’abuso del diritto o elusione fiscale. Ne consegue che quand’anche soltanto uno degli elementi costitutivi fosse assente, ciò varrà ad escludere la presenza di un caso di abuso o elusione. In via di principio, la ricorrenza dei tre elementi dovrebbe essere valutata in via autonoma, a prescindere cioè dalla presenza o meno dei restanti due: in realtà – come meglio emergerà nel prosieguo – tale approccio, non sembra possibile, per via della non piena chiarezza delle definizioni.

4. DISAMINA DEI SINGOLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELL’ABUSO DEL DIRITTO: (A) PRESENZA DI OPERAZIONI PRIVE DI SOSTANZA ECONOMICA (LA “CONDOTTA”)

Scorrendo il testo della clausola antiabuso, il primo elemento costitutivo dell’abuso del diritto in cui ci si imbatte è quello della effettuazione di una o più operazioni prive di sostanza economica. Posto che almeno avendo riguardo al significato proprio delle parole, ben raramente un’operazione potrà essere del tutto priva di sostanza economica, occorre tornare sulla definizione recata dall’art. 10-bis: si considerano operazioni prive di sostanza economica «i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali».
Al riguardo, non può non osservarsi come, almeno di regola, un contratto – al pari di un atto o un fatto giuridico – spieghi comunque effetti giuridici propri (trasferimento della proprietà del bene, pagamento del corrispettivo, etc.), oggettivamente piuttosto significativi, diversi da quelli fiscali; ciò anche quando il contratto stesso sia concluso nel contesto di una struttura elusiva.
Si concorda, quindi, con quella parte della dottrina (17) secondo cui il riferimento alle operazioni prive di sostanza economica, in assenza di un accurato coordinamento e adattamento tra la norma finale e il testo della Raccomandazione UE, «diventa un corpo estraneo e la riprova di ciò è l’avere attribuito alla “mancanza di sostanza economica” un significato a dir poco criptico e comunque di problematica applicazione concreta».
Conclusivamente, si ritiene preferibile e opportuno, ai fini di una interpretazione attendibile, avere riguardo – pragmaticamente – alla fonte cui la norma domestica indubbiamente si ispira, i.e. alla Raccomandazione UE del 2012 e, segnatamente, ivi inclusa la lista completa degli indici di artificialità della costruzione elusiva recati dalla Raccomandazione della Commissione europea, soltanto parzialmente riportati nel contesto dell’art. 10-bis.

5. SEGUE: (B) INDEBITO VANTAGGIO FISCALE (“EVENTO”)

L’elemento davvero centrale della fattispecie è costituito dal conseguimento di un indebito vantaggio fiscale, definito dalla norma come «un beneficio, anche non immediato, realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario». La definizione di tale elemento è questa volta pienamente in linea con la definizione espressa in sede comunitaria sia nella Raccomandazione del 2012 che nella Clausola antielusiva presente nella novellata Direttiva madre-figlia.
Nella definizione di tale elemento costitutivo della fattispecie, manca, come detto, la definizione di “beneficio fiscale”. Non può affatto escludersi, a priori, l’eventualità di casi in cui l’individuazione di un vantaggio fiscale possa risultare problematica: anche a tal proposito, il suggerimento è quello di avere riguardo alla definizione presente nella Raccomandazione UE, secondo la quale, lo ricordiamo, detto elemento consiste nella erosione della base imponibile, nell’utilizzo di una detrazione, di una perdita, nella mancata effettuazione di una ritenuta alla fonte o nella compensazione di imposte.
In termini più generali, si può osservare come l’indagine sulla natura indebita del vantaggio fiscale – nel richiedere di esaminare la ratio delle norme e i principi generali – implichi un’operazione interpretativa di alto profilo. A titolo meramente esemplificativo, e in ordine sparso, si può pensare, quanto ai principi generali di riferimento, ai principi costituzionali di capacità contributiva e progressività nonché a quelli espressi nello Statuto dei diritti del contribuente. Quanto ai singoli tributi, si può pensare, ad esempio, al principio di neutralità dell’IVA, per quanto concerne le imposte indirette o all’assoggettamento della ricchezza trasferita in talune imposte d’atto.

6. SEGUE: (C) ESSENZIALITÀ DALL’ELEMENTO COSTITUITO DAL VANTAGGIO FISCALE (INDEBITO) NELLA IDEAZIONE DELLA COSTRUZIONE EVASIVA

Quanto alla essenzialità del vantaggio fiscale, si può osservare, preliminarmente, come nella delega fosse ritenuta sufficiente la prevalenza di tale elemento su altre potenziali ragioni poste a base del comportamento del contribuente. L’art. 10-bis della più volte ripetuta legge n. 212/2000 utilizza invece l’avverbio “essenzialmente” e si pone in linea con la formulazione della Raccomandazione UE del 2012, esprimendo una posizione maggiormente garantista rispetto alla norma di delega.
Ciò posto, il tema potrà essere affrontato facendo utile riferimento alla precisazione di cui alla citata Raccomandazione del 2012, secondo cui «una data finalità deve essere considerata fondamentale se qualsiasi altra finalità che è o potrebbe essere attribuita alla costruzione o alla serie di costruzioni sembri per lo più irrilevante alla luce di tutte le circostanze del caso».
Emerge dalla definizione recata dalla Raccomandazione un approccio all’essenzialità in termini soggettivi – una sorta di “dolo specifico” per intendersi – laddove la norma italiana sembrerebbe proporre un approccio più oggettivizzato.
Il tema va inoltre affrontato “ad incastro” con l’esimente di cui al terzo comma dell’art. 10-bis ai sensi del quale «Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente».
Da notare, poi, come mentre ai fini della integrazione della fattispecie dell’abuso del diritto, il vantaggio fiscale debba costituire l’effetto “essenziale” della costruzione abusiva, ai fini della sua esclusione sia sufficiente che le ragioni extrafiscali siano “non marginali”. Tale asimmetria è apprezzabile per il connotato di garanzia per il contribuente che chiaramente ne deriva.
E ancora, la portata del termine extrafiscale è invero assai ampia, potendo ricomprendere anche motivazioni di natura personale oltre che economiche e gestionali in senso lato.

7. LE CONSEGUENZE DELL’ABUSO: INOPPONIBILITÀ DEL VANTAGGIO FISCALE INDEBITO, RECUPERO DELLE IMPOSTE

Le operazioni riconducibili alla fattispecie dell’abuso del diritto «non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni».
In estrema sintesi, il vantaggio fiscale conseguito tramite l’abuso viene annullato e sterilizzato attraverso un’operazione ricostruttiva che individua – o tenta di individuare – il risultato fiscale conseguibile ove l’abuso del diritto non fosse stato perpetrato.
Il che è a dire che potrà quindi essere disconosciuta la rilevanza fiscale di componenti positivi di reddito, o viceversa tassato un componente positivo: applicata un’aliquota d’imposta più alta, disconosciuta la detrazione dell’IVA, etc.
Nella determinazione della propria pretesa, l’Amministrazione dovrà scomputare da quanto richiesto al contribuente gli importi eventualmente versati per effetto della – e in connessione con – operazione abusiva.

8. ESCLUSIONI ESPRESSE DALLA NOZIONE DI ABUSO DEL DIRITTO

8.1 Presenza di valide ragioni extrafiscali, non marginali

La disamina della normativa antiabuso di natura sostanziale si conclude con l’espressa indicazione delle condotte che non costituiscono abuso del diritto. Ai sensi del terzo comma dell’art. 10-bis della legge n. 212/2000 «Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente».
In merito a tale esimente, si deve in primo luogo rilevare l’ampia portata della stessa: la norma fa infatti riferimento alla presenza di ragioni “extrafiscali”. Ciò vuol dire che potrà trattarsi non soltanto (e non più) di valide ragioni economiche, in senso stretto, ma anche di esigenze di diversa natura, ad esempio, finanziaria, strategica, commerciale, etica, e forse financo personale. Importante è anche il riferimento all’ottimizzazione dell’assetto organizzativo, strutturale o funzionale dell’impresa.
Quanto invece ai requisiti di “validità” e “non marginalità”, può ritenersi – anche attingendo alla dottrina e alla giurisprudenza formatasi sotto la vigenza dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 – che siano valide le ragioni “apprezzabili”, “non pretestuose”, “oggettive”, “significative”.
E ancora limitando il campo alle ragioni di natura economica, sono state qualificate rilevanti, ad esempio, l’eliminazione di costi amministrativi, l’ottimizzazione delle risorse, etc. In merito a tale delicato aspetto si legge nella Relazione si qualificano “non marginali” le motivazioni in assenza delle quali l’operazione non sarebbe stata posta in essere. Sempre secondo la Relazione, occorre guardare «all’intrinseca valenza di tali ragioni rispetto al compimento dell’operazione».
La valutazione dovrà poi, per quanto possibile, essere oggettiva, avendo cioè riguardo ad un operatore medio, tenendo presente comunque le specificità del caso in esame.

8.2 Libera scelta di regimi opzionali e preferenza per operazioni con diverso carico fiscale

Ai sensi del successivo quarto comma dell’art. 10-bis della legge n. 212/2000 «Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale».
La norma, a ben vedere, si riferisce a due diverse fattispecie. La prima è quella in cui il contribuente si avvalga di un regime opzionale che risulti – per le più diverse ragioni – meno oneroso rispetto ad altri. Può essere il caso della procedura del consolidato fiscale, dell’IVA di gruppo, etc.
La seconda e più ampia ipotesi è quella in cui il contribuente scelga, sic et simpliciter, una determinata operazione (cessione di azienda in luogo della cessione delle partecipazioni in una società, ad esempio) che comporti un vantaggio fiscale rispetto ad altre operazioni, astrattamente concorrenti. A tal proposito, si ribadisce nella Relazione illustrativa, che «il contribuente può legittimamente perseguire un risparmio d’imposta esercitando la propria libertà di iniziativa economica e scegliendo tra gli atti, i fatti e i contratti quelli meno onerosi sotto il profilo impositivo».
Non esiste, in altre parole, un obbligo per il contribuente di avvalersi dell’operazione fiscalmente più onerosa. La norma, in estrema sintesi, ha ribadito e confermato la prevalenza di un principio immanente nell’ordinamento giuridico statale e internazionale.

9. PROFILI SANZIONATORI AMMINISTRATIVI E PENALI

In merito ai profili sanzionatori, il tredicesimo e ultimo comma dell’art. 10-bis della legge n. 212/2000 dispone che «Le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie».
La norma disciplina, in forma molto sintetica, due profili ben distinti, rispettivamente concernenti le sanzioni amministrative e le implicazioni penali dell’abuso del diritto.
Per quanto concerne le sanzioni amministrative, in assenza di una disposizione specifica dedicata all’abuso del diritto, si tratterà di individuare – di volta in volta – la norma sostanziale violata in relazione al tributo interessato, per poi approdare alla individuazione della sanzione applicabile.
Potrà per lo più configurarsi – per le imposte di periodo – la violazione di infedele dichiarazione (dei redditi o IVA) nonché quella di omesso versamento delle imposte. Tale ultima violazione (omesso versamento) potrà essere applicata nella maggior parte dei casi ove l’abuso del diritto sia commesso nel mare magnum dell’imposizione indiretta.
Giova evidenziare, se non altro per fini di completezza, come parte della dottrina (18) – a dispetto della netta indicazione della norma – esprima forti perplessità circa l’applicabilità delle sanzioni amministrative nel caso di abuso del diritto. Secondo tali ricostruzioni, e in estrema sintesi, l’applicazione di sanzioni amministrative cozzerebbe con il principio di legalità di cui all’art. 3 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (19). Si sottolinea, in particolare, come l’assenza di una chiara e precisa regolamentazione normativa delle sanzioni di volta in volta applicabili in caso di abuso del diritto violi il principio di determinatezza (o precisione) che discende, appunto, dal principio di legalità. Come è noto, il principio di determinatezza impone al legislatore di descrivere la fattispecie con chiarezza e precisione, in modo da assicurare ai consociati – nel nostro caso: ai contribuenti – la prevedibilità delle condotte alle quali segue la comminazione delle sanzioni.
Da altra prospettiva, si potrebbe lamentare la violazione del principio di proporzionalità, argomentando sulla identità di trattamento, implicitamente riservata dal legislatore, alla evasione fiscale e all’abuso del diritto: ciò ancorché nella seconda fattispecie (abuso del diritto), a differenza della prima, non ha luogo alcuna espressa violazione di una norma tributaria.
Ai fini che qui occupano, si può semplicemente evidenziare come tali interessanti spunti possano – se del caso – essere per lo più sviluppati in sede contenziosa.
Quanto, invece, alla non punibilità dell’abuso del diritto disposta ai fini penali, essa è formulata in modo estremamente chiaro. Sul punto, il tema più interessante sembrerebbe essere costituito dalla retroattività della disposizione, per la cui analisi si rinvia al paragrafo finale.

10. RETROATTIVITÀ DELLA NUOVA NORMATIVA ANTIABUSO

Ai sensi del quinto comma dell’art. 1 del più volte citato D.Lgs. n. 128/2015, la data di decorrenza dell’efficacia del provvedimento è quella del 1° ottobre 2015. In merito ai profili di diritto transitorio, si osserva come la nuova disciplina si applichi indistintamente «anche alle operazioni poste in essere in data anteriore [al 1° ottobre 2015, n.d.r.] … per le quali, alla stessa data, non sia stato notificato il relativo atto impositivo». Il che è a dire che la nuova normativa potrà applicarsi anche ad eventuali fattispecie realizzate nel corso di periodi d’imposta pregressi – ancora “aperti” – per i quali non sia stato emanato avviso di accertamento.
L’efficacia retroattiva della norma sembra in conflitto con i principi costituzionali in tema di efficacia della legge nel tempo, nonché, in particolare, con l’art. 3, primo comma, della legge n. 212/2000, il quale sancisce l’irretroattività delle disposizioni tributarie. Ciò a meno di non attribuire alle disposizioni interessate, natura procedimentale o interpretativa, nel qual caso l’efficacia retroattiva è da ritenere pienamente legittima: tali ipotesi, a nostro giudizio, non ricorrono nel caso dell’art. 10-bis della legge n. 212/2000.
In primo luogo, infatti, la portata della norma è – a nostro avviso – di natura sostanziale.
Con riguardo alla seconda ipotesi (natura interpretativa dell’art. 10-bis), è stato sostenuto che la nuova normativa sull’abuso del diritto potrebbe avere natura interpretativa in quanto norma di mero recepimento di un principio generale “immanente”: tale salvifica impostazione (20) è invero difficile da condividere. Al riguardo, si osserva come, da un lato, non sarebbero stati rispettati i requisiti di forma di cui all’art. 1, secondo comma, della legge n. 212/2000, ai sensi del quale l’adozione di norme interpretative tributarie può essere disposta soltanto in casi eccezionali qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica. Ma, soprattutto, oggetto di interpretazione non sarebbe, nel caso in esame, una norma specifica, e in vigore, bensì, appunto, un “principio immanente”.
Va da sé che, sebbene la norma non lo affermi espressamente, il riferimento agli atti impositivi non notificati alla data del 1° ottobre 2015 deve interpretarsi in coordinamento e combinato disposto con le norme che disciplinano il termine di decadenza, per gli Uffici, per la notifica degli accertamenti.
Passando, infine, al tema della potenziale applicazione di sanzioni amministrative nei confronti di comportamenti elusivi posti in essere prima della entrata in vigore della nuova normativa, si può osservare come, in ossequio, al sopra citato principio di legalità, i comportamenti pregressi non dovrebbero essere oggetto di sanzioni amministrative. Non si può tuttavia escludere che gli organi accertatori, in assenza di un’indicazione normativa chiara, possano orientarsi nel senso di applicare, comunque, le sanzioni amministrative.
Quanto alla retroattività della irrilevanza penale (tributaria) dell’abuso del diritto, essa appare pacifica (21).

1. Profili procedimentali, in sintesi (art. 10-bis, commi da 5 a 12)
– Interpello preventivo in tema di abuso del diritto – Art. 10-bis, comma 5

Il quinto comma dell’art. 10-bis in esame prevede la possibilità, per il contribuente, di proporre interpello (ai sensi dell’art. 11 della legge n. 212/2000) al fine di conoscere se le operazioni che intende realizzare costituiscano o meno fattispecie di abuso del diritto. L’istanza deve essere presentata prima della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione dei redditi o per l’assolvimento di altri obblighi tributari connessi alla fattispecie cui si riferisce l’istanza medesima.

– Procedura di accertamento dell’abuso del diritto – Art. 10-bis, commi 6, 7 e 8

Qualora l’Amministrazione finanziaria riscontri profili di abuso o elusività, procede con apposito atto di accertamento, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di 60 giorni (sesto comma dell’art. 10-bis). Durante tale periodo il contribuente potrà esporre le proprie ragioni, oggetto di valutazione da parte dell’Ufficio finanziario. La predetta notifica deve avvenire entro gli ordinari termini di accertamento previsti per i singoli tributi accertati.
Trattasi di un contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio, tra l’altro già codificato per gli accertamenti antielusivi ex art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973: la contestazione dell’abuso deve essere portata a conoscenza del contribuente in modo motivato e circostanziato fin dall’avvio della fase amministrativa.
Nella suddetta richiesta di chiarimenti, l’Amministrazione finanziaria deve indicare quali siano i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto. La richiesta di chiarimenti è notificata dall’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’art. 60 del D.P.R. n. 600/1973 entro il termine previsto per la notificazione dell’atto impositivo (settimo comma).
L’ottavo comma del nuovo art. 10-bis prevede, poi, che il successivo avviso di accertamento debba essere motivato sulle ragioni espresse dal contribuente: in particolare, l’atto deve indicare (i) la condotta abusiva, (ii) l’indebito vantaggio fiscale, (iii) le norme e i principi abusivi elusi, (iv) le ragioni del superamento dei chiarimenti eventualmente offerti dal contribuente.
Al riguardo, in ragione della complessità della materia in esame, si dovrebbe ritenere – in assenza di una specifica indicazione – che il termine di 60 giorni concesso al contribuente per l’esposizione delle proprie ragioni sia da intendersi ordinatorio, e non perentorio.
In termini più generali, l’impressione è che il procedimento in esame potrebbe non proteggere a pieno il contribuente dal rischio di contestazioni non pienamente fondate. Alzi la mano il contribuente (o il consulente) che abbia ottenuto risultati tangibili attraverso, ad esempio, la presentazione delle osservazioni al processo verbale di constatazione, nei 60 giorni successivi alla sua notifica, o, più in generale, nel contesto dei procedimenti c.d. endo-procedimentali. Si tratta oggettivamente di casi rari ed eccezionali.
Ma il punto davvero cruciale è un altro. L’applicazione della norma antielusiva, per le ragioni suesposte, richiede capacità interpretative e sensibilità giuridica di elevato livello: al tempo stesso, è innegabile che la formulazione della norma si presti ad approcci – più o meno aggressivi – in cui gli elementi oggettivi lasciano piuttosto il campo a ragionamenti e valutazioni di ordine soggettivo. L’applicazione della norma richiede inoltre una approfondita conoscenza delle dinamiche aziendali, ai massimi livelli, in primis nel contesto dei gruppi di società, anche multinazionali. Sarebbe quindi opportuna l’istituzione di un’“unità di lavoro” specializzata presso ciascuna Direzione regionale (se non provinciale dell’Agenzia delle entrate), chiamata a gestire la fase del contraddittorio in sede amministrativa e/o, prima ancora, a fungere da filtro prima della notifica della richiesta di chiarimenti. Lo stesso varrebbe, evidentemente, anche per il giudice tributario (ma il tema si inserisce in una discussione di più ampia portata che esula dall’oggetto della presente nota).
Soltanto in tale modo, a ben vedere, il contribuente potrebbe sentirsi tutelato dalla eventualità di interpretazioni affrettate che possano creare disagi di non poco momento.

– Onere della prova – Art. 10-bis, comma 9

Ai sensi del nono comma dell’art. 10-bis, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di dimostrare la sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d’ufficio, in relazione agli elementi costitutivi dell’abuso (di cui al primo e secondo comma). La dimostrazione della sussistenza dell’abuso del diritto incombe dunque sull’Amministrazione finanziaria, potendo il contribuente anche limitarsi a “giocare di rimessa” e negare, con argomenti adeguati, la sussistenza degli elementi costitutivi medesimi. L’Amministrazione finanziaria – oltre ad indicare in motivazione gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto – dovrà specificare le ragioni per le quali i chiarimenti forniti dal contribuente non sono stati ritenuti idonei a superare le contestazioni dell’Ufficio fiscale. Purtroppo, l’esperienza sul campo relativa alla efficacia delle osservazioni scritte a seguito di notifica dei verbali di constatazione ha dimostrato come al riguardo assai raramente gli organi accertatori rivedano la propria posizione.
Il contribuente ha invece l’onere di dimostrare l’esistenza delle valide ragioni extrafiscali (di cui al terzo comma). Tale onere subentra soltanto qualora l’Amministrazione finanziaria abbia dimostrato la presenza degli elementi costitutivi dell’abuso (operazioni prive di sostanza economica, vantaggio fiscale indebito ed essenziale), senza tuttavia tenere conto – magari non per propria colpa – di circostanze qualificabili in termini di validi motivi extrafiscali, non marginali.
Anche con riferimento al tema dell’onere della prova, valgono considerazioni analoghe a quelle svolte nel paragrafo precedente. Il tema è molto elegante, ma piuttosto “leggero” sia ai fini sostanziali che procedurali: la casistica relativa, ad esempio, al colpevole/incolpevole coinvolgimento del contribuente nel contesto delle frodi IVA, del tipo “Carosello”, dimostra come difficilmente il tema dell’onere della prova si riveli argomento difensivo efficace, per il contribuente o, per converso, argomento offensivo efficace per il fisco. Si tratta di una petizione di principio, se non di un vero e proprio refrain, che le contrapposte parti frequentemente invocano – entrambe – a supporto della propria posizione, senza tuttavia che ciò costituisca elemento decisivo o rilevante dell’esito della controversia.
Rimarcabile, infine, la non rilevabilità d’ufficio – in corso di giudizio – della fattispecie di cui all’art. 10-bis in esame. Il che è a dire che il giudice, chiamato a decidere su una contestazione di diversa natura – si pensi ad esempio ad una contestazione circa la sussistenza del requisito di inerenza di un determinato componente negativo –, possa decidere il giudizio applicando la nuova normativa sull’abuso del diritto.

– Riscossione frazionata posticipata – Art. 10-bis, comma 10

Per quanto concerne i riflessi della nuova normativa sull’area della riscossione, si evidenzia come l’Ufficio finanziario, nella quantificazione della propria pretesa, dovrà in primo luogo tenere conto “di quanto versato dal contribuente per effetto” delle operazioni elusive poste in essere. Sembra quindi che l’Ufficio fiscale sia chiamato a compensare le imposte dovute per effetto del disconoscimento dei vantaggi fiscali, con quanto frattanto versato dal contribuente nel quadro dell’operazione elusiva.
E ancora, per quanto concerne la riscossione in pendenza di giudizio, il decimo comma prevede che in caso di ricorso i tributi o i maggiori tributi accertati, unitamente ai relativi interessi, siano posti in riscossione, soltanto a seguito della decisione di primo grado, nella misura prevista della normativa in tema di riscossione frazionata.
La norma in parola dispone quindi una opportuna deroga al principio della esecutività immediata degli avvisi di accertamento.

Avv. Arnaldo Salvatore

(1) Si segnalano, in merito alla nuova normativa di cui all’art. 10-bis della legge n. 212/2000, i seguenti contributi: F. GALLO, Brevi considerazioni sulla definizione di abuso del diritto e sul nuovo regime del c.d. adempimento collaborativo, in Dir. prat. trib., 2014, I, 947; M. ACRI, UE: la norma generale anti-abuso, un argine alle costruzioni elusive, in FiscoOggi del 15 luglio 2014; I. VACCA, L’abuso e la certezza del diritto, in Corr. trib., 2014, 1127; V. MASTROIACOVO, L’abuso del diritto o elusione in materia tributaria: prime note nella prospettiva della funzione notarile, in Studio n. 151/2015/T del Consiglio Nazionale del Notariato; M.V. SERRANÒ, Abuso del diritto ed elusione fiscale, in Boll. Trib., 2015, 485; M. BEGHIN, Elusione fiscale, abuso del diritto e profili sanzionatori, ibidem, 805; P. SCARIONI – P. ANGELUCCI, I pregiudizi dell’Agenzia delle entrate in tema di abuso del diritto, ibidem, 896; A. CONTRINO – A. MARCHESELLI, Luci e ombre nella struttura dell’abuso fiscale riformato, in Corr. trib., 2015, 3787; G. FRANSONI, La multiforme efficacia nel tempo dell’art. 10-bis dello Statuto su abuso ed elusione fiscale, ibidem, 4362; G. ZIZZO, La nuova nozione di abuso del diritto e le raccomandazioni della Commissione europea, ibidem, 4577; M. LEO, L’abuso del diritto: elementi costitutivi e confini applicativi, in il fisco, 2015, 915; M. BEGHIN, La clausola generale antiabuso tra certezza e profili sanzionatori, ibidem, 2207; A. CARINCI – D. DEOTTO, Abuso del diritto ed effettiva utilità della novella: Much ado about nothing?, ibidem, 3107; V. AZZONI, Sull’abuso del diritto e le sanzioni penal-tributarie, in Boll. Trib., 2016, 150; M. BASILAVECCHIA, L’art. 10-bis dello Statuto: the day after, in Riv. giur. trib., 2016, 5; e A. CONTRINO – A. MARCHESELLI, L’obbligo di motivazione rinforzata e il riassetto degli oneri probatori nel “nuovo” abuso del diritto, in Corr. trib., 2016, 15. Si segnalano inoltre le due recentissime monografie: R. MICHELUTTI – E. IASCONE, Rilevanza transnazionale degli elementi costitutivi dell’abuso del diritto di cui all’art. 10-bis della L. 27.7.2000 n. 212, in L. MIELE (a cura di), Il nuovo abuso del diritto. Analisi normativa e casi pratici, Torino, 2016; e C. GLENDI – C. CONSOLO – A. CONTRINO, Abuso del diritto e novità sul processo tributario, Milano, 2016.
(2) Cfr. Cass., sez. III pen., 7 ottobre 2015, n. 40272, in Boll. Trib., 2016, 153, con nota di V. AZZONI, Sull’abuso del diritto e le sanzioni penal-tributarie.
(3) A giudizio di taluni Autori (in primis M. BEGHIN, Elusione fiscale, abuso del diritto e profili sanzionatori, cit., 805) la nuova normativa sull’abuso del diritto, qui in esame, avrebbe unicamente natura procedimentale. Fermo restando la nostra preferenza per la diversa tesi secondo cui la clausola definitoria ha invece natura sostanziale, quel che più conta è che in questa sede la distinzione non assume particolare rilevanza, ai fini delle conclusioni raggiunte.
(4) Per tutti cfr. F. GALLO, Brevi spunti in tema di elusione e frode alla legge (nel reddito d’impresa), in Rass. trib., 1989, I, 11; e A. TRIVOLI, Contro l’introduzione di una clausola generale antielusiva nell’ordinamento tributario vigente, in Dir. prat. trib., 1992, I, 1337.
(5) In estrema sintesi, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, il tributo è una prestazione patrimoniale imposta, di fonte legale, il cui gettito è destinato alla realizzazione di un interesse pubblico (cfr. Corte Cost. 10 febbraio 1982, n. 26, in Giust. civ., 1982, I, 868; Corte Cost. 2 febbraio 1990, n. 63, ivi, 1990, I, 1173; e Corte Cost. 21 marzo 2002, ord. n. 84, in Giur. costit., 2002, 771, in relazione al canone RAI; Corte Cost. 10 aprile 2002, ord. n. 95, in Boll. Trib. On-line, in relazione ai contributi al Servizio Sanitario Nazionale; e Corte Cost. 24 febbraio 2010, ord. n. 64, ivi, in tema di TIA.
(6) L’informazione sul numero dei tributi in vigore in Italia è tratta da uno Studio della Camera di Commercio di Mestre.
(7) Espressamente abrogato dal secondo comma dell’art. 1 del D.Lgs. n. 128/2015.
(8) Tale superata impostazione – contestata in dottrina – è ricordata in Cass. n. 40272/2015, cit.
(9) Art. 13, terzo comma, del D.P.R. n. 633/1972.
(10) Ricordiamo, ad esempio, il rafforzamento del contraddittorio endo-procedimentale, la posticipazione della riscossione frazionata, e, soprattutto, l’esclusione di implicazioni di natura penale.
(11) Cfr. A. CONTRINO – A. MARCHESELLI, Luce ed ombre nella struttura dell’abuso fiscale riformato, cit., 3790; e M. BEGHIN, Elusione fiscale, abuso del diritto e profili sanzionatori, cit., 809.
(12) Il riferimento all’uso distorto di strumenti giuridici si rinviene, ad esempio, nelle tre sentenze “gemelle” di Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30055, in Boll. Trib., 2009, 484; Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30056, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. un., 23 dicembre 2008, n. 30057, in Boll. Trib., 2009, 481.
(13) Art. 13 della Proposta della Commissione Europea no. COM (2013) 71 final, del 14 febbraio 2013. Il tema è stato esaminato da F. DEBELVA – J. LUTS, Anti-Abuse under the Financial Transaction TAx Proposal, in Derivatives and Financial Instruments, May/June 2014, 126.
(14) Tale modifica è affrontata da F. DEBELVA – J. LUTS, The general Anti-Abuse Rule of the Parent-Subsidiary Directive, in European taxation, June 2015, 223.
(15) Di contrario avviso I. VACCA nella prefazione a L. MIELE (a cura di), Il nuovo abuso del diritto. Analisi normativa e casi pratici, cit., 27, secondo il quale la nozione di abuso tracciata dal legislatore nazionale è in linea con quella indicata dalle istituzioni comunitarie. Secondo l’Autore l’indice di abuso costituito dalla non coerenza tra qualificazione giuridica dell’operazione e fondamento giuridico della stessa, completa e meglio chiarisce il concetto di assenza di sostanza economica, conformemente alla nozione di “non genuinità” dell’operazione recata, in particolare, dalla novellata Direttiva Madre-Figlia 96/2011 (come modificata dalla recente Direttiva 121/2015). L’Autore sembra per altro verso convenire sulla scarsa efficacia – nella definizione di assenza di sostanza economica – del (solo) riferimento all’assenza di produzione di “effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”. In ogni modo, a giudizio dell’Autore il punto fondamentale, ai fini della corretta interpretazione della nuova norma, è quello della verifica che i benefici fiscali conseguiti dall’operazione siano in contrasto (o meno) con la ratio legis della norma fiscale.
(16) Più di un Autore ha espresso apprezzamento per il “balzo in avanti” compiuto nella versione finale della clausola definitoria. Tra questi A. CONTRINO – A. MARCHESELLI, Luci ed ombre nella struttura dell’abuso fiscale riformato, cit., 3790-3793
(17) Cfr. D. STEVANATO, Elusione fiscale e abuso del diritto, in L. MIELE (a cura di), Il nuovo abuso del diritto. Analisi normativa e casi pratici, cit., 64.
(18) La questione è affrontata, tra gli altri da C. CONSOLO, La sanzionabilità amministrativa dell’abuso del diritto fiscale, in C. GLENDI – C. CONSOLO – A. CONTRINO (a cura di), Abuso del diritto e novità sul processo tributario, cit., 59.
(19) Ai sensi del quale «Nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione».
(20) Impostazione che sembrerebbe accolta nel contributo di G. FRANSONI, La multiforme efficacia nel tempo dell’art. 10-bis dello Statuto su abuso ed elusione fiscale, cit., 4369.
(21) Cfr. Cass. n. 40272/2015, cit.

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