Ris. 8 maggio 2018, n. 36/E, dell’Agenzia delle entrate
“Quesito. L’Ufficio Accertamento della Direzione Regionale … (di seguito “l’Ufficio
Accertamento”) ha formulato all’Ufficio Consulenza della medesima struttura (di
seguito “l’Ufficio Consulenza”) un quesito in merito al trattamento sanzionatorio da
adottare a seguito dell’utilizzo in compensazione di crediti IVA inesistenti, già
recuperati in ambito accertativo e sanzionati per illegittima detrazione e infedele
dichiarazione, ai sensi degli articoli 6, comma 6, e 5, comma 4, del decreto legislativo
del 18 dicembre 1997, n. 471. In particolare, l’Ufficio Accertamento ha chiesto di
chiarire se, nell’ipotesi prospettata, debba essere irrogata anche l’ulteriore sanzione di
cui all’articolo, 13 comma 5, del decreto legislativo n. 471 del 1997.
Soluzione interpretativa prospettata. In caso di operazioni inesistenti, qualora sia stata recuperata e sanzionata l’illegittima detrazione dell’IVA addebitata in fattura, l’Ufficio Accertamento manifesta dubbi circa la possibilità di punire, oltre all’infedeltà dichiarativa, anche il successivo utilizzo del credito inesistente in compensazione.
Parere dell’Agenzia delle entrate. In via preliminare è opportuno ricordare che l’articolo 27, commi da 16 a 20, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28
gennaio 2009, n. 2, al fine di contrastare il fenomeno dell’evasione da riscossione
mediante indebite compensazioni, aveva introdotto specifiche misure in materia di
utilizzo in compensazione di crediti inesistenti, modificando il regime sanzionatorio
nonché le modalità ed i termini applicabili sia per il controllo che per l’azione di
recupero. Come chiarito dalla relazione illustrativa al citato decreto, dette misure erano
volte a colpire le ipotesi in cui “dai riscontri sui dati contenuti nei modelli di pagamento
unificato relativi alle compensazioni esposte” vi fossero “crediti d’imposta non esposti,
come obbligatoriamente previsto, nelle dichiarazioni presentate, nonché relativi a periodi
di formazione per i quali le dichiarazioni risultano omesse, o nei quali l’attività
economica esercitata dai contribuenti risulta essere cessata”. La sanzione applicabile in
tali ipotesi era fissata nella misura compresa tra il 100 e il 200 per cento dell’importo dei
crediti utilizzati, salva l’applicazione della misura del 200 per cento quando il credito
inesistente fosse stato utilizzato per un ammontare superiore a cinquantamila euro per
anno solare. Come precisato dalla citata relazione illustrativa, le condotte sanzionate
erano quelle connotate “da aspetti fraudolenti in quanto, solo a seguito di specifici
riscontri di coerenza contabile tra quanto analiticamente indicato nei modelli di
versamento (relativamente ai crediti utilizzati in compensazione) e le dichiarazioni (in
molti casi omesse) in cui risulterebbe essersi formata “la provvista”, emerge
l’inesistenza dei crediti stessi, non essendo, nella maggior parte dei casi, riscontrabili
partendo dal controllo delle dichiarazioni fiscali”. La sanzione introdotta all’articolo 27
del decreto legge n. 185 del 2008 era, pertanto, diretta a colpire condotte fraudolente, da
intendersi come quelle idonee a indurre in errore l’Amministrazione finanziaria, in
quanto rilevabili solamente a seguito di un controllo del modello di versamento, nel
presupposto che la condotta illecita si fosse realizzata mediante artifici o raggiri capaci
di trarre in inganno, con la consapevolezza di tale idoneità (c.d. scientia fraudis).
L’insidiosità di tali condotte, non emergenti ictu oculi dalle dichiarazioni presentate o
dal raffronto con i relativi modelli di versamento, ha indotto a prevedere:
– un più ampio termine per il controllo giustificato, come chiarito dalla relazione
illustrativa al decreto legge n. 185 del 2008, “dalle difficoltà operative provocate
dall’artificiosa rappresentazione contabile dei crediti in sede di autoliquidazione
del debito, circostanza che configura comportamenti fraudolenti finalizzati a
rendere infruttuosa l’azione di controllo ai danni dell’Erario”;
– una decorrenza del suddetto termine legata non alla data di presentazione della
dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui il credito inesistente è sorto (o
da quella in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, nel caso di
dichiarazione omessa), ma alla data di effettuazione dell’illegittima
compensazione, nel presupposto che è da tale momento che l’illecito può dirsi
configurato.
Con il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158, di riforma del sistema
sanzionatorio amministrativo, è stata introdotta, all’articolo 13 del decreto legislativo n.
471 del 1997, una definizione normativa di credito inesistente – da cui, a contrario, far
derivare la definizione di credito non spettante – e uno specifico regime sanzionatorio
nell’ambito della disposizione dedicata agli omessi versamenti. Contestualmente, è stato
abrogato l’articolo 27, comma 18, del decreto legge n. 185 del 2008. Allo stato, quindi,
si definisce inesistente “il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il
presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui
agli artt. 36-bis e 36-ter del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,
n. 600, e all’art. 54-bis del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n.
633.”. Tale definizione consente, tra le altre, di tenere conto della molteplicità dei crediti
agevolativi presenti in ambito fiscale, così diversamente configurati dalle singole leggi
istitutive, evitando che possa essere irrogata al contribuente una sanzione
particolarmente grave nel caso in cui sussistano i requisiti sostanziali previsti dalla
norma istitutiva del credito, ma non siano stati posti in essere esclusivamente gli
adempimenti di natura formale (e sempreché l’effettuazione di detti adempimenti non sia
considerata elemento costitutivo di maturazione del credito dalle stesse norme). Il
riferimento operato al riscontro dell’esistenza del credito da utilizzare in compensazione
mediante procedure automatizzate rappresenta, peraltro, una condizione ulteriore
rispetto a quella dell’esistenza sostanziale del credito ed è volta a evitare che si
applichino le sanzioni più gravi quando il credito, fruito in compensazione
indebitamente, possa comunque essere “intercettato” mediante controlli automatizzati
(circostanza, questa, che priva la condotta del contribuente di quella lesività idonea a
giustificare la più grave misura sanzionatoria).
Dal quadro normativo delineato emerge chiaramente la volontà legislativa di
dettare, prima nel decreto legge n. 185 del 2008 e ora nel decreto legislativo n. 471 del
1997, una disciplina speciale per sanzionare e recuperare il credito che, artatamente
creato, è stato utilizzato in compensazione nei modelli F24. In tal caso, poiché
l’inesistenza del credito non è riscontrabile partendo dal controllo delle dichiarazioni
fiscali, le modalità di recupero dello stesso non possono che essere quelle previste
dall’articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e cioè la notifica di
apposito atto di recupero. Viceversa, laddove il credito inesistente da eccedenze
d’imposta sia stato esposto in dichiarazione e successivamente utilizzato, si deve
procedere unicamente con l’emissione degli atti tipici di accertamento in rettifica della
dichiarazione, da notificarsi entro gli ordinari termini di decadenza, con applicazione
della sanzione per infedele dichiarazione. Detta sanzione:
– a seguito delle modifiche operate dal decreto legislativo n. 158 del 2015 è stata
anche “aggravata” qualora la violazione venga realizzata mediante l’utilizzo di
fatture o altra documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici
o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente;
– assorbe sia quella dell’omesso versamento del tributo che quella per la
compensazione di crediti inesistenti.
Qualora si proceda al recupero di un credito inesistente da agevolazioni si
notificherà l’apposito atto di cui al citato articolo 1, comma 421, della legge n. 311 del
2004, fatto salvo che l’assenza di presupposti per l’esistenza del credito può comportare
ulteriori rettifiche da notificare tramite l’emissione di atti di accertamento (come, ad
esempio, in caso di mancato riconoscimento di costi rilevati in contabilità ma non
effettivamente sostenuti relativi all’agevolazione).
Pertanto, alla luce delle considerazioni che precedono, si ritiene che, nella
fattispecie prospettata dall’Ufficio Consulenza della Direzione Regionale X, non debba
essere sanzionato, in aggiunta a quanto recuperato in ambito accertativo e sanzionato
quale infedele dichiarazione ed illegittima detrazione, anche il successivo utilizzo in
compensazione del credito inesistente.
Una diversa soluzione, peraltro, avrebbe l’effetto di punire la medesima
violazione:
– una prima volta, sanzionando la contabilizzazione delle fatture inesistenti e la
riduzione del debito d’imposta (o l’indicazione di un maggior credito) ex articoli
5, comma 4, e 6, comma 6, del decreto legislativo n. 471 del 1997 (sanzioni tra
loro cumulabili in progressione), oltre al recupero del minor credito spettante;
– una seconda volta, contestando le indebite compensazioni effettuate negli anni
successivi, applicando la sanzione di cui all’articolo 13, comma 5, del decreto
legislativo n. 471 del 1997, e recuperando il credito utilizzato in compensazione.
Fermo restando, quindi, il recupero del minor credito nell’ambito della
contestazione per infedele dichiarazione, le compensazioni eseguite negli anni
successivi assumono legittimità e non possono essere più contestate, ai sensi
dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, né recuperate”.