Ris. 10 ottobre 2017, n. 122/E, dell’Agenzia delle entrate
“Quesito. L’associazione X (di seguito l’associazione o l’istante) rappresenta le imprese e i parchi tecnologici e scientifici che operano in Italia nei diversi settori delle scienze della vita, promuovendo lo sviluppo e la tutela delle biotecnologie in tutte le loro aree di applicazione.
L’associazione, nel ruolo di portavoce degli interessi e delle problematiche avanzate dai propri associati, chiede chiarimenti interpretativi in materia di credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo di cui all’articolo 3 del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145 (convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9), come sostituito dall’articolo 1, comma 35, della legge 23 dicembre 2014 n. 190 in ordine a:
A) l’individuazione delle attività di ricerca agevolabili;
B) l’ammissibilità di alcune tipologie di investimenti.
Tali fattispecie saranno oggetto di una descrizione più dettagliata nella parte dedicata al parere dell’Agenzia delle Entrate.
Soluzione interpretativa prospettata dall’istante. Alla luce della complessità dei quesiti prospettati, l’illustrazione della soluzione prospettata dall’istante viene effettuata nella parte in cui è esposto il parere della scrivente.
Parere dell’Agenzia delle entrate. L’articolo 3, comma 1, del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145 (di seguito “l’articolo 3”) riconosce a tutte le imprese che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo, “a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2019”, un credito di imposta per investimenti in misura pari al 25 per cento “delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media dei medesimi investimenti realizzati nei tre periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015”.
Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello Sviluppo Economico del 27 maggio 2015 (di seguito “decreto attuativo”), sono state disciplinate le modalità attuative dell’agevolazione, rispetto alla quale la scrivente ha fornito i primi chiarimenti interpretativi con la circolare n. 5/E del 16 marzo 20161.
La menzionata disciplina di riferimento è stata modificata con la legge di bilancio 2017 (articolo 1, commi 15 e 16, della legge 11 dicembre 2016, n. 232), che ha prorogato di un anno il periodo di tempo nel quale possono essere effettuati gli investimenti ammissibili (i.e., fino al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2020) e ha potenziato il beneficio, prevedendo, in particolare, con decorrenza dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016:
– l’applicazione di un’aliquota unica del credito di imposta, pari al 50 per cento, a prescindere dalla tipologia di investimenti effettuati;
– l’ammissibilità delle spese relative a tutto il “personale impiegato nell’attività di ricerca e sviluppo”, non essendo più richiesto il requisito di specializzazione di cui al comma 6 lettera a) dell’articolo 3, secondo il quale detto personale doveva essere “altamente qualificato”;
– l’incremento a 20 milioni di euro (dagli originari 5 milioni di euro) dell’importo massimo annuale del credito di imposta spettante a ciascun beneficiario.
La scrivente, anche alla luce dell’intervenuta modifica normativa, ha fornito ulteriori chiarimenti in ordine all’agevolazione in esame con la circolare n. 13/E del 27 aprile 20172.
Il contenuto della presente risposta è stato oggetto di condivisione con il competente Ministero dello Sviluppo Economico (di seguito MISE) ed ha tenuto conto degli ulteriori elementi rappresentati dall’istante in sede di integrazione documentale.
A) Tipologia di ricerca agevolabile
Quesito in ordine alla riconducibilità tra le attività di ricerca e sviluppo di:
1) Studi clinici non interventistici (osservazionali), che sono definiti dall’articolo 2.1 della circolare 2 settembre 2002, n. 6, del Ministero della Salute quali studi centrati “su problemi o patologie nel cui ambito i medicinali sono prescritti nel modo consueto conformemente alle condizioni fissate nell’autorizzazione all’immissione in commercio”;
2) studi clinici di fase IV, che, ex allegato I-quater della circolare n. 8 del 10 luglio 1997 del Ministero della Sanità, rappresentano degli studi cd. post-registrativi, ossia condotti successivamente all’immissione in commercio del farmaco. Tali studi vengono condotti sulla base delle informazioni contenute nel riassunto delle caratteristiche del prodotto relativo all’autorizzazione all’immissione in commercio e consentono di confermare la validità del farmaco nella pratica clinica quotidiana, nonché di confrontarne il rapporto rischio/beneficio rispetto agli altri farmaci utilizzati nella patologia in questione. Inoltre, successivamente all’immissione del prodotto sul mercato, gli studi clinici miranti ad indagare, ad esempio, nuove indicazioni, nuove vie di somministrazione o nuove associazioni vanno considerati come studi su nuovi prodotti medicinali.
L’istante ritiene che entrambe le suddette attività di ricerca possano rientrare fra quelle agevolabili, stante la definizione in negativo di attività ammissibili prevista dal comma 5 dell’articolo 3, ai sensi del quale “non si considerano attività di ricerca e sviluppo le modifiche ordinarie o periodiche apportate a prodotti, linee di produzione, processi di fabbricazione, servizi esistenti e altre operazioni in corso, anche quando tali modifiche rappresentano miglioramenti”.
Risposta
Come sopra evidenziato, gli studi clinici non interventistici (osservazionali) sono studi centrati su problemi o patologie nel cui ambito i medicinali sono prescritti nel modo consueto, conformemente alle condizioni fissate nell’autorizzazione all’immissione in commercio.
Risulta dalle “Linee guida per la classificazione e conduzione degli studi osservazionali sui farmaci” dell’AIFA (determinazione del 20.3.2008), che mediante tali studi vengono svolte: (i) valutazioni epidemiologiche, farmacoepidemiologiche e di farmacosorveglianza; (ii) valutazioni del profilo di sicurezza di farmaci, nelle normali condizioni di uso, su grandi numeri di pazienti; (iii) stime economiche, di qualità, prescrittive e di carichi assistenziali.
In sostanza, gli studi clinici osservazionali vengono realizzati al fine di svolgere approfondimenti sull’efficacia dei farmaci nella pratica clinica e verificare l’appropriatezza prescrittiva degli stessi.
Riferisce l’istante che anche per tale tipologia di studi è necessario elaborare un “protocollo di ricerca”, che definisce gli obiettivi ed il disegno dello studio, nel quale “deve essere chiaramente valutabile l’ipotesi della ricerca, i risultati attesi, il tipo di studio osservazionale, la scelta della dimensione campionaria, le informazioni che saranno raccolte, l’eventuale coinvolgimento della struttura e/o degli operatori sanitari, le risorse richieste, l’origine del finanziamento, le modalità di partecipazione e di informazione rivolte al paziente” (art. 2, Linee guida AIFA cit.).
Inoltre, come precisato dall’istante, è necessario notificare l’avvio di ogni studio osservazionale al comitato etico locale per la sua approvazione formale o semplicemente per la sua presa d’atto, a seconda della tipologia di studio (art. 2.4 della circ. n. 6 del 2002 cit. e art. 10 delle Linee guida AIFA cit.).
Gli studi clinici di fase IV, ex allegato I-quater circolare n. 8 del 10 luglio 1997 del Ministero della Sanità, rappresentano degli studi cosiddetti post-registrativi, ossia condotti successivamente all’immissione in commercio del farmaco.
Detti studi, costituenti l’ultima fase della sperimentazione clinica (cfr. circolare n. 8 del 1997 del Ministero della Sanità), possono essere sia terapeutici che osservazionali e sono condotti su ampie casistiche di pazienti, così da poter verificare il valore terapeutico del farmaco in condizioni reali (cd. “real life”) e la tollerabilità dello stesso a lungo termine.
Nell’istanza si precisa che, a seconda degli esiti, tali studi possono condurre a nuove indicazioni terapeutiche o a nuove posologie fino, in caso di scoperta di effetti pericolosi, al ritiro dal commercio del farmaco o alla restrizione dello stesso in determinati casi.
Gli studi di fase IV, oltre a essere condotti su iniziativa delle case farmaceutiche, possono essere richiesti dalle autorità regolatrici (ad esempio, per l’ottenimento dell’autorizzazione in commercio da parte dell’Agenzia italiana del farmaco dopo aver ottenuto quella dell’omologa Agenzia europea oppure per la rimborsabilità del farmaco stesso da parte del Servizio Sanitario Nazionale).
In virtù degli elementi caratterizzanti gli studi clinici non interventistici e gli studi di fase IV, come rappresentati nell’istanza in esame, si ritiene che i primi siano sempre ammissibili, mentre che i secondi siano riconducibili tra le attività di ricerca e sviluppo ammissibili al credito d’imposta di cui al comma 4 dell’articolo 3, limitatamente agli studi di natura medico-scientifica, potendo essi rientrare nella “ricerca pianificata o indagini critiche miranti ad acquisire nuove conoscenze, da utilizzare per permettere un miglioramento dei prodotti, processi o servizi esistenti”, di cui alla lett. b), o nell’ambito della “acquisizione, combinazione, strutturazione e utilizzo delle conoscenze e capacità esistenti di natura scientifica, tecnologica e commerciale allo scopo di produrre piani, progetti o disegni per prodotti, processi o servizi nuovi, modificati o migliorati”, di cui alla lett. c).
Ovviamente, a livello documentale sarà onere del contribuente dare distinta evidenza delle spese ammissibili al credito d’imposta.
B.I) Quesiti in ordine alla tipologia di investimenti ammissibili
1) Acquisto di materiali per la realizzazione del prototipo di un macchinario.
Secondo l’istante sono ammissibili tutti i beni materiali ammortizzabili il cui impiego sia indispensabile per la realizzazione del prototipo, riconducibili all’articolo 3, comma 6, lettera b).
2) Lavorazioni speciali, che non possono essere svolte internamente in azienda e senza le quali sarebbe impossibile realizzare il prototipo stesso.
L’istante ritiene che le spese relative siano riconducibili all’acquisto di competenze tecniche presso soggetti terzi, ai sensi dell’articolo 3, comma 6, lettera d) ovvero, se collegate a contratti di ricerca, all’articolo 3, comma 6, lettera c).
3) Contratti di sviluppo sperimentale, con il seguente contenuto: studio di fattibilità tecnica, progettazione, ingegnerizzazione, realizzazione del prototipo di un nuovo macchinario e il suo test (quindi fino alla consegna del prototipo stesso).
Secondo l’istante rientrano tra i contratti di ricerca extra-muros di cui all’articolo 3, comma 6, lettera c).
Risposte
1) Acquisto di materiali per la realizzazione del prototipo di un macchinario.
La spesa per il mero acquisto di semplici materiali o componenti già disponibili su mercato, quand’anche impiegato per la realizzazione dei prototipi, non può ritenersi ammissibile all’agevolazione, non riscontrandosi nel disposto dell’articolo 3 e nel relativo decreto attuativo alcun margine per considerare ammissibili detti i costi.
La citata circolare n. 5/E del 2016 al paragrafo 2.2.2 ha precisato che “sono quindi eleggibili al credito d’imposta le quote di ammortamento dei beni, non necessariamente tipici di laboratorio, ma che sono solitamente utilizzati dall’impresa per svolgere una delle attività ammissibili elencate al comma 4 dell’articolo 3”. Si può quindi ritenere, in virtù di un’interpretazione estensiva dell’articolo 3, comma 6, lettera b), che siano ammissibili le quote di ammortamento tutti i beni materiali ammortizzabili, il cui impiego sia indispensabile per la realizzazione del prototipo, e non solo di “strumenti e attrezzature di laboratorio” in senso stretto.
2) Lavorazioni speciali, che non possono essere svolte internamente in azienda e senza le quali sarebbe impossibile realizzare il prototipo stesso.
I costi di esternalizzazione di attività non qualificabili come ricerca commissionata ai sensi della lett. c) del comma 4 dell’articolo 3 o che non abbiano ad esito un risultato o prodotto innovativo, ma che sono strumentali alla realizzazione del prototipo o a componenti dello stesso, possono ritenersi ammissibili ai sensi dell’articolo 3, comma 6, lett. d). Per quel che riguarda, in generale, le spese che possano essere ricondotte alla voce “competenze tecniche”, si rimanda al paragrafo 4.5 Spese per “competenze tecniche e privative industriali” di cui alla circolare della scrivente n. 13/E del 27 aprile 2017, in cui si è precisato che rientrano in tale categoria “le spese sostenute per conoscenze e informazioni tecniche (beni immateriali) – quali ad esempio le spese per conoscenze tecniche riservate, risultati di ricerche già effettuate da terzi, contratti di know how, licenza di know how, programmi per elaboratore tutelati da diritto di autore (software coperto da copyright) – diverse dalle privative industriali, comunque finalizzate alle attività di ricerca e sviluppo ammissibili”.
Qualora invece detti costi di esternalizzazione afferiscano ad attività riconducibili alla ricerca e sviluppo o abbiano ad esito un risultato o prodotto innovativo, rientrano nella ricerca commissionata di cui all’articolo 3, comma 6, lett. c).
3) Contratti di sviluppo sperimentale, con il seguente contenuto: studio di fattibilità tecnica, progettazione, ingegnerizzazione, realizzazione del prototipo di un nuovo macchinario e il suo test (quindi fino alla consegna del prototipo stesso).
I contratti di sviluppo sperimentale sui prototipi rientrano tra i contratti di ricerca extra-muros di cui all’articolo 3, comma 6, lett. c). In generale, i costi di esternalizzazione di attività riconducibili alla ricerca e sviluppo o che abbiano ad esito un risultato o prodotto innovativo rientrano tra i contratti di ricerca extra-muros di cui all’articolo 3, comma 6, lett. c). Tra di essi possono rientrare ad esempio: i contratti commissionati a terzi per la realizzazione di componenti originali o per l’adattamento, con carattere innovativo, di componenti non originali.
Al contrario, i costi di esternalizzazione necessari ai fini dell’attività di ricerca che non presentino carattere di innovazione, rientrano nell’articolo 3, comma 6, lett. d).
B.II) Quesito
Costi relativi a personale non altamente qualificato, che svolge la propria attività in totale autonomia di mezzi e organizzazione.
L’istante ritiene che il costo per l’attività di ricerca svolta da personale “non altamente qualificato”, in totale autonomia di mezzi e di organizzazione, e dotato di specifiche competenze tecniche possa farsi rientrare all’interno dei costi di cui alla lett. d), comma 6, dell’articolo 3.
Una simile soluzione interpretativa sarebbe a suo parere coerente con l’impianto normativo dell’articolo 3, dando pieno riconoscimento all’attività posta in essere da quei professionisti che, pur non in possesso di un titolo idoneo a consacrarne lo status di “personale altamente qualificato”, presentano comunque un elevato profilo di competenze tecniche.
Risposta
La circolare n. 13/E del 2017 al par. 4.1.2 ha chiarito che tra il “personale non altamente qualificato”, ricondotto nelle “competenze tecniche” possono essere ricompresi anche “soggetti non dipendenti dall’impresa, aventi con la stessa un rapporto di collaborazione”.
Tuttavia non può escludersi a priori che anche per il personale non altamente qualificato, come per quello altamente qualificato, possano sussistere circostanze tali da ricondurre i relativi costi a quelli attinenti la ricerca commissionata.
Infatti, con riferimento al personale altamente qualificato, la già citata circolare n. 5/E del 2016 al par. 2.2.1 ha chiarito che “i costi sostenuti per l’attività di ricerca svolta da professionisti in totale autonomia di mezzi e di organizzazione possono rientrare nella categoria di costi ammissibili ai sensi della lett. c) del comma 6, relativa alla c.d. ricerca extra-muros, alle condizioni previste dalla norma citata”.
In sostanza, i costi sostenuti per l’attività di ricerca svolta da personale non altamente qualificato dotato di specifiche competenze tecniche possono considerarsi ammissibili ai sensi della lett. d) del comma 6, sempreché non ricorrano i presupposti per qualificare la prestazione svolta come attività di ricerca “commissionata” ai sensi della lett. c) del medesimo comma.
Inoltre, se il contribuente non è in grado di provare l’esistenza di un contratto di ricerca deve prudenzialmente considerare la spesa eleggibile quale “competenza tecnica” piuttosto che “ricerca commissionata”.
Si fa comunque presente che, a seguito della novella introdotta all’articolo 3, comma 6, lettera a), dal comma 15 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2017, è stata eliminata, nell’ambito del personale addetto alle attività di ricerca e sviluppo, la distinzione tra “personale altamente qualificato” e “personale non altamente qualificato”. Come specificato al paragrafo 1.5 Spese per il personale della circolare n. 13/E del 2017, “venendo meno il requisito secondo cui il personale impiegato nelle suddette attività deve essere anche “altamente qualificato” – a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016 (dal 2017 per i soggetti con periodo di imposta coincidente con l’anno solare) – non occorre più distinguere, nell’ambito del personale addetto alle attività di ricerca e sviluppo, il costo sostenuto per il “personale altamente qualificato” da quello sostenuto per il “personale non altamente qualificato” (i.e., personale “tecnico”)””.
Ovviamente dall’inquadramento nella relativa tipologia di costo, nonostante l’intervenuta unificazione delle aliquote, discenderanno diversi oneri documentali a carico del beneficiario dell’agevolazione.
B.III) Quesito
Costi per personale altamente qualificato assunto con contratto di apprendistato.
L’istante ritiene che il personale altamente qualificato assunto con contratto di apprendistato, nella misura in cui l’apporto posto in essere dallo stesso sia direttamente connesso allo svolgimento delle attività di ricerca e sviluppo agevolabili, possa farsi rientrare tra i costi ammissibili al credito d’imposta, ai sensi dell’articolo 3, comma 6, lett. a).
Infatti, secondo l’istante la tipologia di rapporto contrattuale esistente tra impresa e lavoratore risulta essere un elemento secondario, stante la volontà del legislatore di agevolare il lavoro in tutte le sue forme.
Risposta
L’articolo 4, comma l, lett. a), del decreto attuativo specifica che possono essere considerati ammissibili al credito di imposta i costi riguardanti il personale altamente qualificato, in possesso dei titoli indicati all’articolo 3, comma 6, lett. a) (nella versione antecedente le modifiche apportate con la citata legge di bilancio 2017), dipendente dell’impresa o in rapporto di collaborazione con la stessa, impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo eleggibili.
Il contratto di apprendistato, che si configura come un rapporto di lavoro subordinato a “causa mista”, è definito dall’articolo 41 della legge 24 giugno 2015 n. 34 (cd. “Jobs Act”) come un contratto di lavoro a tempo indeterminato, finalizzato alla formazione e alla occupazione dei giovani.
La circolare n. 5/E del 2016, richiamandosi al disposto dell’articolo 4, comma 1, del decreto attuativo, ha sostenuto la rilevanza, nella categoria di “personale altamente qualificato”, del costo relativo a personale dipendente dell’impresa avente “un rapporto di lavoro da cui deriva un reddito di lavoro dipendente, ai sensi dell’articolo 49 del TUIR, o a questo assimilato, ai sensi del successivo articolo 50”. Pertanto, la tipologia contrattuale di cui si discute risulta in linea con i chiarimenti forniti in materia dalla circolare n. 5/E citata.
Peraltro, la circostanza che il contratto di apprendistato sia di tipo formativo non esclude che il personale impiegato con detta tipologia contrattuale possa apportare le proprie conoscenze e competenze tecnico-scientifiche all’attività di ricerca e sviluppo.
Conseguentemente, si ritiene che il costo relativo al personale altamente qualificato assunto con contratto di apprendistato (laddove tale rapporto sia validamente costituibile ai sensi della vigente disciplina sul lavoro), nella misura in cui l’apporto fornito da detto personale sia direttamente connesso allo svolgimento delle attività di ricerca e sviluppo agevolabili, possa rientrare all’interno dei costi ammissibili al credito d’imposta di cui all’articolo 3, comma 6, lett. a).
Tale conclusione appare peraltro conforme alla ratio della disposizione agevolativa, finalizzata ad incentivare il ricorso a personale “altamente qualificato”, ossia con un determinato livello d’istruzione, che sia effettivamente impiegato nell’attività di ricerca e sviluppo. Al riguardo, si richiamano i principi espressi dalla scrivente con la risoluzione n. 55/E del 19 luglio 20163, in relazione ai costi relativi a personale altamente qualificato acquisito dall’impresa attraverso un contratto di somministrazione.
B.IV) Quesito
Spese relative a contratti di ricerca dei costi riferibili a consulenze regolatorie.
L’istante chiarisce che, in ambito tecnico scientifico, per consulenza regolatoria si intende l’insieme di tutte quelle attività connesse e propedeutiche all’immissione sul mercato di un farmaco e/o alla brevettabilità dello stesso e/o di un processo e che, in sostanza, si tratta di servizi connessi allo sviluppo e alla realizzazione di uno specifico farmaco, sia nella fase antecedente alla sua messa in commercio, sia in quella successiva.
Tanto espresso, l’istante ritiene che i costi connessi alle attività di consulenze regolatorie, in quanto spese direttamente connesse allo svolgimento delle attività di ricerca e sviluppo possono rientrare tra le tipologie di costi di cui alle lett. c) e d) del comma 6 dell’articolo 3, ossia tra: “le spese relative a contratti di ricerca”, purché stipulati con università, enti di ricerca ed organismi equiparati e con altre imprese, comprese le start-up ex articolo 25 del decreto legge n. 179 del 2012 (lett. c) o “le competenze tecniche e le privative industriali relative ad un”invenzione industriale o biotecnologica a una topografia di prodotto “… anche acquisite da fonti esterne “(lett. d), acquisite anche da soggetti diversi di cui alla citata lett. c).
Risposta
Nell’istanza si precisa che, in ambito tecnico scientifico, per consulenza regolatoria si intende l’insieme di tutte quelle attività connesse e propedeutiche all’immissione sul mercato di un farmaco e/o alla brevettabilità dello stesso e/o di un processo.
In particolare, si tratterebbe di servizi cosiddetti di regulatory affairs offerti da soggetti terzi e finalizzati allo sviluppo, all’immissione in commercio e all’aggiornamento del dossier di prodotti farmaceutici e/o para-farmaceutici.
Tali servizi, avrebbero, quindi, il compito di valutare, a puro titolo semplificativo, la verifica delle sostanze ammesse da un determinato ordinamento, l’eventuale controllo e definizione dei requisiti richiesti in fase di predisposizione dei foglietti illustrativi di un farmaco, l’assistenza nella gestione delle procedure e dei contatti con le Autorità locali, la predisposizione di specifica documentazione destinata alle varie autorità preposte, il supporto nei vari processi autorizzativi, l’allestimento di eventuali variazioni amministrative ai fini della qualità e sicurezza.
In altri termini, si tratterebbe di servizi connessi allo sviluppo e alla realizzazione di uno specifico farmaco, sia nella fase antecedente alla sua messa in commercio, sia in quella successiva.
In merito si ritiene di poter considerare ammissibili le spese per consulenze regolatorie finalizzate alla definizione delle caratteristiche scientifiche e del disegno dello studio clinico; al contrario, si reputa che non possano essere ammissibili al credito d’imposta le spese attinenti attività regolatorie finalizzate alla preparazione della documentazione destinata all’ottenimento delle autorizzazioni ad eseguire lo studio (da parte di autorità regolatorie, comitati etici o altri organismi) e, più in generale, che non possano essere ammissibili al credito d’imposta le spese attinenti attività di natura meramente burocratica o assimilabili ai “lavori amministrativi e legali necessari per richiedere brevetti e licenze”, che il Manuale di Frascati 2015 dell’OCSE (tavola 2.3, pag. 61) considera non annoverabili tra le attività di ricerca e sviluppo e innovazione.
Analogo discorso vale per gli oneri detti “fees”, ossia il corrispettivo richiesto dalle autorità preposte per l’esame della richiesta di commercializzazione di nuovi prodotti o per permettere la prosecuzione della vendita degli stessi nei singoli stati dell’Unione europea o extra-europei: si ritengono ammissibili gli oneri, detti “fees”, finalizzati agli studi clinici; non si ritengono invece ammissibili quelli riconducibili ad adempimenti amministrativi.
Ovviamente, a livello documentale sarà onere del contribuente dare distinta evidenza delle spese ammissibili al credito d’imposta.
B.V) Quesito
Ammissibilità come spesa extra-muros dei costi relativi a commesse di ricerca tra imprese aventi il medesimo consiglio di amministrazione.
In sede di integrazione documentale l’associazione X ha specificato di fare riferimento all’ipotesi in cui il socio persona fisica comune a due società A e B, socio di maggioranza di A, sia al contempo membro dei due consigli di amministrazione, pur senza possedere quote di B in misura superiore al 49%.
L’istante conclude che nel caso prospettato, non disponendo il socio comune di un “pacchetto” di voti nell’assemblea ordinaria della società B sufficienti per esercitare un’influenza dominante (in quanto socio di minoranza) sarebbe eliminato alla radice qualsiasi rischio di conflitto d’interesse idoneo a falsare il valore della commessa e, quindi, i costi relativi a detta commessa sono a suo parere qualificabili come extra muros ex art. 3, comma 6, lett. c).
Risposta
Al riguardo si evidenzia che l’articolo 3 comma 6, lett. c) ha previsto che sono ammissibili, ai fini della determinazione del credito d’imposta, le “spese relative a contratti di ricerca stipulati con università, enti di ricerca e organismi equiparati, e con altre imprese comprese le star-up innovative di cui all’articolo 25 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertiti, con modificazioni , dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221″.
Su tale tipologia di costi la relazione illustrativa al decreto attuativo ha precisato che ” … dai costi extra-muros sono stati espressamente esclusi quelli sostenuti in base a contratti stipulati con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllale o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, in quanto si è ritenuto di allinearsi al dato letterale della norma primaria che, nel fare riferimento alla ricerca commissionata a terzi, non ha incluso la ricerca commissionata tra società dello stesso gruppo, maggiormente inquadrabile nell’ambito della ricerca intra muros”.
In riferimento al concetto di controllo, la circolare n. 5/E del 16 marzo 2016 ha chiarito che “quanto alla nozione di controllo rilevante ai fini della perimetrazione del gruppo, si ritiene applicabile la definizione di controllo contenuta nell’articolo 2359 commi l e 2 del codice civile. Si ritiene, altresì, che sono da escludere dalla presente categoria di spese anche i costi derivanti da commesse con imprese controllate dalla medesima persona fisica, tenendo conto a tal fine anche di partecipazioni, titoli o diritti posseduti dai familiari dell’imprenditore, individuati ai sensi dell’articolo 5, comma 5, del TUIR”.
La ratio di quanto appena evidenziato è di limitare possibili potenziali situazioni in cui il valore dell’attività di ricerca commissionata, e, quindi, il benefìcio ad essa collegato possa essere determinato non in base al reale costo di mercato della commessa, ma subisca un’alterazione in conseguenza dall’influenza di un’impresa sulle decisioni dell’altra, che può manifestarsi non solo in dipendenza di vincoli azionari o contrattuali, ma anche per effetto di fattori economici.
In ogni caso non si può escludere a priori che il possesso di un pacchetto del 49 per cento dei voti non attribuisca, nel caso concreto, una influenza dominante sui rapporti societari, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 2) del codice civile.
Quanto sopra affermato in via generale, si fa presente che in sede di consulenza giuridica non è possibile affrontare in linea teorica le molteplici ipotesi a tal fine rilevanti, per il corretto inquadramento delle quali non può prescindersi da una concreta verifica delle peculiari caratteristiche delle singole fattispecie.
Conseguentemente, in sede di controllo, nel procedere alla verifica della sussistenza delle condizioni richieste dalla disciplina agevolativa, occorrerà verificare caso per caso che nell’ambito dei rapporti tra le imprese non sussistano influenze dominanti idonee a incidere sul reale costo di mercato della commessa e, quindi, sul beneficio ad essa collegato.
B.VI) Quesito
Costi relativi a studi clinici per contratti di ricerca sui farmaci, relativi ad assicurazione e comitati etici, in quanto costi accessori alla ricerca stessa.
In merito all’ammissibilità al credito d’imposta, come spesa extra-muros, dei costi per studi clinici per contratti di ricerca sui farmaci relativi ad assicurazione e comitati etici, in quanto costi accessori alla ricerca principale, l’istante rileva che la citata circolare n. 5/E del 2016 non effettua una specifica distinzione tra ricerca principale e ricerca accessoria, limitandosi solamente a richiamare, quale unico requisito, la congruità dei costi della ricerca commissionata a terzi rispetto alle condizioni di libero mercato.
In tale ottica l’istante ritiene, quindi, che i costi relativi a studi clinici per contratti di ricerca sui farmaci, relativi ad assicurazione e comitati etici, in quanto costi accessori di una ricerca principale agevolabile, possano, qualora stipulati nel rispetto dei requisiti di congruità e di qualificazione dei soggetti richiesti per le spese extra-muros, rientrare all’interno dell’ambito agevolativo della norma sul credito d’imposta.
Risposta
In ordine all’ammissibilità, come spesa extra-muros di cui all’articolo 3 comma 6 lett. c), dei costi per studi clinici per contratti di ricerca sui farmaci relativi ad assicurazione e comitati etici, in quanto costi accessori alla ricerca principale, come criterio generale si rimanda alla risposta fornita al quesito B.IV) Ammissibilità tra le spese relative a contratti di ricerca dei costi riferibili a consulenze regolatorie.
In particolare, si specifica che non si riscontra, nel disposto dell’articolo 3 e nel relativo decreto attuativo, alcun margine per considerare ammissibili i costi di assicurazione”.