10 Maggio, 2017

I Comuni che applicano l’IMU e la TASI sugli immobili possono ricorrere alle Commissioni tributarie contro atti catastali (sul classamento delle unità immobiliari, sulla rendita catastale attribuita, etc.) che ritengono incongrui rispetto alla realtà di mercato o ad atti già adottati per immobili affini?
Questo è il quesito di fondo che viene (nuovamente) posto alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella veste di giudice sul regolamento della giurisdizione (artt. 37 e 41 c.p.c.), da un Comune interessato al problema.
Quesito non semplice perché la stessa Corte di Cassazione, in sede di giudizi simili, aveva deciso in questo senso: i Comuni possono, sì, ricorrere direttamente contro il Catasto, ma non alle Commissioni tributarie, bensì, in via amministrativa, al TAR (1). La questione, peraltro, già risulta portata al vaglio delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in sede di regolamento di giurisdizione e decisa in senso diametralmente opposto all’annotata (2).
La soluzione adottata non solo non trovò l’acquiescenza degli enti locali interessati ma fu addirittura disattesa dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (3), il quale si dichiarò incompetente (recte, carente di giurisdizione) a decidere su controversia inerente a rapporto tributario, richiamando all’uopo il disposto di cui all’art. 74 della legge 21 novembre 2000, n. 342, che impone, dall’anno 2000, la comunicazione anche ai Comuni delle determinazioni adottate sulle rendite catastali. Il ricorso al giudice amministrativo da parte dei Comuni produce l’evidente alea, fra l’altro, di giudicati diversi sulla medesima fattispecie, nel caso di concorrente impugnazione dinanzi alle Commissioni tributarie da parte del contribuente controinteressato.
E la clamorosa presa di posizione dei giudici amministrativi di massimo livello sulla contrastata questione deve avere indubbiamente indotto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione a una più approfondita valutazione dei termini logico-giuridici del problema.
Una sostanziale “mea culpa”, tradotta nella dotta asserzione che «la giurisprudenza di questo giudice di legittimità in materia è in rapida e continua evoluzione e, senza esitazioni, comincia a mostrare la consapevolezza» delle indubbie incongruità derivanti dalla soluzione assunta in materia dalle stesse Sezioni Unite in sede di regolamento di giurisdizione (4): negare ai Comuni la legittimazione a ricorrere o a resistere contro le determinazioni “catastali” propedeutiche agli atti impositivi in tema di ICI e, ora, di IMU e di TASI davanti alle Commissioni tributarie è soluzione che, da un lato, viola i principi costituzionali sull’accesso delle persone fisiche o giuridiche alla giustizia (art. 24 Cost.) e, dall’altro lato, crea le premesse per contrasti di giudicato fra giudici tributari e giudici amministrativi sulla medesima controversia.
Alla base di questa complessa situazione di contrastanti soluzioni giurisprudenziali in tema di giurisdizione sta indubbiamente la formulazione equivoca della legge: l’art. 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella sua versione modificata e vigente, individua i soli «singoli possessori» quali soggetti legittimati a promuovere controversie innanzi alle Commissioni tributarie contro le determinazioni concernenti «la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale».
L’individuazione, da parte della legge, dei soli possessori degli immobili quali soggetti attivi delle contestazioni dei classamenti e delle rendite catastali stabiliti dagli ex U.T.E. ha per anni precluso ai Comuni la via della contestazione nella stessa sede (giurisdizione tributaria) delle determinazioni catastali ritenute incongrue o errate; un primo, faticoso passo per il riconoscimento di un interesse diretto, e giuridicamente meritevole di tutela, dei Comuni impositori fu quello di consentire loro la via delle impugnazioni degli stessi atti davanti ai giudici amministrativi, ma – a ben vedere – una soluzione del genere non solo veniva a creare gli inconvenienti sopra accennati, ma costringeva il contribuente a difendere su due fronti (uno dei quali costoso) i propri interessi “catastali”.
Il revirement d’indirizzo delle Sezioni Unite ha dunque risolto questi ultimi problemi, ma – a nostro parere – da un lato imporrebbe una rettifica del disposto del richiamato art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992 sul punto specifico oggetto di disputa e, dall’altro lato, non dovrebbe consentire ai Comuni di rimettere in discussione, fuori da ogni scadenza, determinazioni catastali da ritenere ormai definitive; quest’ultima eventualità è invero già prevista a favore degli enti locali dall’art. 3, comma 58, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e dall’art. 1, comma 335, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.

Dott. Eugenio Righi

(1) Cfr. Cass., sez. trib., 14 novembre 2012, n. 19872, in Boll. Trib. On-line.
(2) Ved. Cass., sez. un., 19 gennaio 2010, ord. n. 675, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2014, n. 1903, in Boll. Trib. On-line.
(4) Così Cass. n. 675/2010, cit.

Procedimento – Commissioni – Giurisdizione delle Commissioni – Controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale – Giurisdizione del giudice tributario – Sussiste – Impugnazione della rendita catastale o del classamento da parte del Comune anziché del singolo possessore dell’immobile – Ammissibilità – Consegue.

Imposte e tasse – Catasto – Classamento e rendita catastale degli immobili – Impugnazione della rendita catastale o del classamento – Proponibilità da parte dei Comuni anziché dei singoli possessori degli immobili – Sussiste.

Alla luce del dettato del secondo comma dell’art. 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice tributario sulle controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale anche nelle ipotesi in cui la rendita o l’atto di classamento siano impugnate dal Comune e non (o non solo) dai singoli contribuenti possessori degli immobili.

[Corte di Cassazione, sez. un. (Pres. Rovelli, rel. Di Iasi), 21 luglio 2015, ord. n. 15203, ric. Provincia autonoma di Trento c. Comune di Trambileno e altri]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – (Omissis)

MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. Il secondo comma dell’art. 2 d.lgs. n. 546 del 1992 prevede che “appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo tra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale”.
Il legislatore ha pertanto individuato in maniera oggettiva ed univoca il giudice tributario come il giudice al quale appartiene la giurisdizione sulle controversie concernenti (per quanto nella specie rileva) il classamento degli immobili e l’attribuzione della rendita catastale.
È vero che la disposizione fa riferimento a “controversie promosse dai singoli possessori”, tuttavia la precisazione è da ritenersi irrilevante nell’economia della norma in questione ai fini dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione, essendo da escludere che la precisazione in ordine al soggetto “promotore” della controversia concorra, unitamente all’oggetto della medesima, ad individuare il giudice munito di giurisdizione (e quindi a circoscrivere l’ampiezza di quest’ultima). E ciò per un triplice ordine di considerazioni.
1a) Sul piano logico, prima che giuridico, è agevole osservare che, ove l’oggetto della controversia fosse tale che solo un determinato soggetto può avere interesse a promuoverla, la delimitazione della giurisdizione di un determinato giudice non solo sotto il profilo oggettivo ma anche sotto il profilo soggettivo (nel senso di dare rilievo, ai fini della individuazione della giurisdizione, ad eventuali caratteristiche del soggetto “promotore” della controversia) sarebbe superflua.
Ove invece fosse ravvisabile (come nella specie è da ritenere) in capo a più soggetti l’interesse a promuovere le controversie oggettivamente individuate nella disposizione in esame, la norma che, ai fini della individuazione del giudice munito di giurisdizione, individuasse un limite non solo di tipo oggettivo ma anche di tipo soggettivo (segnatamente in relazione al soggetto che in concreto promuove la controversia) condurrebbe ad effetti di dubbia costituzionalità ed in ogni caso, a tacer d’altro, negativamente incidenti sulla funzionalità del sistema, ancor prima che sulla effettività della tutela giurisdizionale, posto che una norma siffatta potrebbe essere interpretata soltanto in due modi: a) nel senso che solo ai soggetti individuati nella norma medesima è dato adire il giudice in relazione a quel tipo di controversie, con evidente ed inammissibile sacrificio del diritto di azione (presidiato dal primo comma dell’art. 24 Cost.) degli altri soggetti non menzionati nella norma ma titolari anch’essi di un interesse proprio ad agire in giudizio; b) nel senso che non è escluso che altri soggetti portatori del relativo interesse possano agire in giudizio, ma ciò non potrà avvenire dinanzi al quel giudice, con l’effetto che su di una medesima questione (nella specie, la congruità della rendita catastale di un immobile) sarebbe possibile la formazione di decisioni contrastanti provenienti da giudici appartenenti a giurisdizioni diverse.
1b) Sul piano della tecnica di redazione degli atti legislativi, occorre osservare che il legislatore identifica sempre il giudice munito di giurisdizione (e i limiti della giurisdizione a detto giudice attribuita) sulla base di criteri di tipo oggettivo, ricorrendo (anche) a criteri di tipo soggettivo solo in relazione a particolari giudizi e, pure in questo caso, giammai con riferimento alle precipuità del soggetto che “promuove” la controversia (come accadrebbe se si interpretasse in tal senso il citato comma due dell’art. 2 d.lgs. n. 546 del 1992) bensì solo con riguardo alle particolari caratteristiche del soggetto che “subisce” l’azione promossa da altri.
Nel nostro ordinamento infatti le uniche ipotesi in cui il giudice munito di giurisdizione viene individuato (anche) sulla base di elementi soggettivi sono ravvisabili nei giudizi di responsabilità (contabile, con riguardo alla giurisdizione della Corte dei conti, disciplinare, con riguardo alla giurisdizione del Consiglio Superiore della Magistratura, penale, con riguardo alla giurisdizione dei Tribunali Militari), in cui vi è un soggetto che promuove l’azione di responsabilità ed un soggetto (con la caratteristica soggettiva di essere militare, magistrato ecc.) che la subisce.
Per contro, con riguardo alla giurisdizione ordinaria (civile), ma anche a quella amministrativa e tributaria (nonostante il carattere impugnatorio dei relativi processi) non risulta invece giammai previsto un criterio (anche) di tipo soggettivo per l’individuazione del giudice munito di giurisdizione, tanto meno con riferimento alle particolari caratteristiche del soggetto che promuove l’azione.
1c) Infine, sul piano della interpretazione sistematica e letterale della norma in esame, occorre evidenziare che, anche alla luce di quanto sopra precisato in ordine alle opzioni del legislatore circa i “criteri” di delimitazione della giurisdizione, il fatto che il giudice tributario sia il giudice adito dal contribuente non è l’effetto di una generale, precisa ed inequivoca opzione del legislatore in proposito bensì solo la conseguenza in fatto della previsione di appartenenza alla giurisdizione tributaria delle controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie (comma 1 art. 2 citato) e della previsione, tra gli atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie, innanzitutto degli atti impositivi e di quelli ad essi equiparati (nonché dei rifiuti di restituzioni e dinieghi o revoche di agevolazioni o benefici), essendo ulteriormente da sottolineare che il fatto che il giudice tributario sia di norma il giudice adito dal contribuente non esclude perciò solo che, quando ne ricorrano le condizioni, possa essere anche legittimamente adito da altri soggetti.
È infatti opportuno precisare che non risulta in alcun modo affermata, nella norma in esame complessivamente considerata (o in altra precedente, successiva o coeva) la necessità che siano devolute alla giurisdizione del giudice tributario tutte le controversie aventi ad oggetto le questioni e le materie specificate, sempre che (e solo se) siano introdotte dal contribuente, e non pare superfluo evidenziare che una simile disposizione, assai inusuale (per quanto riferito sub 1b), nonché limitante e foriera delle “problematiche” conseguenze di cui si dirà in seguito, non potrebbe essere prevista se non in maniera espressa, chiara ed univoca.
Nella specie l’inciso “promosse dai singoli possessori” di cui al secondo comma dell’art. 2 del citato d.lgs. n. 546 non sembra idoneo a rivestire le suddette caratteristiche di chiarezza ed univocità, non emergendone con evidenza l’intento di delimitare la giurisdizione del giudice tributario anche sotto il profilo soggettivo (in riferimento al soggetto che adisce il giudice) e risultandone più plausibile una funzione non ad escludendum (cioè per escludere la giurisdizione del giudice tributario tutte le volte che la controversia non sia introdotta da un contribuente-possessore) bensì di carattere esclusivamente “esplicativo-ricognitivo”, siccome intesa a considerare l’ipotesi “tipica” del ricorso dinanzi alle commissioni tributarie (peraltro in simmetria con le previsioni del primo comma della medesima norma), senza prendere in considerazione la possibilità che, rispetto alle controversie indicate nel secondo comma del citato art. 2, sia ipotizzabile la sussistenza di un interesse qualificato a promuovere la controversia anche in capo a soggetti diversi dal contribuente, ma, d’altro canto, come sarà più chiaro in prosieguo, anche la stessa giurisprudenza di questo giudice di legittimità solo recentemente (e non senza tentennamenti) ha riconosciuto in capo al Comune l’interesse ad impugnare il classamento o la rendita catastale attribuita ad un immobile sito nel territorio comunale.
2. In una lettura letterale, logica, e sistematica nonché (per quanto più precisamente ribadito in prosieguo) costituzionalmente orientata della norma in esame deve pertanto escludersi che l’inciso “promosse dai singoli possessori” di cui al secondo comma dell’art. 2 d.lgs. n. 546 del 1992 possa avere la funzione di contribuire (unitamente al profilo oggettivo) a delimitare la giurisdizione del giudice tributario in materia.
Diversamente opinando occorrerebbe ritenere, come sopra rilevato, che il Comune (che potrebbe vedere ridotte le proprie entrate tributarie dalla attribuzione di una determinata rendita ad un immobile situato nel proprio territorio ovvero dall’accoglimento del ricorso proposto dal contribuente avverso l’attribuzione di una nuova e maggiore rendita catastale) non abbia alcuna possibilità di agire in giudizio a tutela del proprio interesse, e ciò in contrasto con l’art. 24 comma primo Cost., oppure che, mentre il contribuente può impugnare la rendita catastale ricorrendo al giudice tributario, il Comune deve invece rivolgersi al giudice amministrativo, con l’effetto di dilapidare un bene prezioso come la giurisdizione (se della medesima questione debbono conoscere due diversi giudici), ma soprattutto con l’effetto di compromettere la certezza e la stabilità delle situazioni giuridiche nonché la stessa funzionalità del processo, valori che verrebbero tutti inevitabilmente frustrati dalla possibilità che sulla medesima questione intervengano decisioni contrastanti. E, soprattutto, decisioni irrimediabilmente contrastanti. Ciò in quanto la possibilità di giudicati contrastanti viene considerata e “risolta” dal sistema solo nell’ambito della medesima giurisdizione, mentre tra giurisdizioni diverse non è prevista alcuna “soluzione” del problema, non essendo contemplata la possibilità che si determini un effettivo contrasto tra decisioni di giudici appartenenti a giurisdizioni differenti, proprio perché non risulta neppure ipotizzata l’attribuzione della giurisdizione su di un medesimo oggetto a giudici appartenenti a diverse giurisdizioni solo sulla base delle diverse caratteristiche dei soggetti che adiscono il giudice.
Ed infatti, in via preventiva, non sarebbe possibile eccepire l’efficacia preclusiva del precedente giudicato, non foss’altro perché, a prescindere da ogni altra considerazione, non si tratterebbe di un giudicato “preclusivo” in senso tecnico, attesane la parziale non coincidenza soggettiva. Quanto ai “rimedi” esperibili ex post, è sufficiente, tra l’altro, osservare che la disciplina della revocazione presuppone (v. art. 395 c.p.c. e art. 106 c.p.a.) che le decisioni in contrasto siano state pronunciate da giudici appartenenti alla medesima giurisdizione, ed è infine appena il caso di sottolineare che il previsto rimedio del ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione non riguarda l’ipotesi di contrasto tra giudicati bensì la diversa ipotesi di conflitto fra giudici (che ritengano entrambi di dover conoscere di una determinata controversia o di dover declinare la propria giurisdizione rispetto ad essa), conflitto che viene risolto individuando quale sia il giudice munito di giurisdizione, nell’ovvio presupposto che tale giudice esista e sia uno soltanto, e che pertanto uno dei giudici in conflitto abbia male interpretato le norme attributive della giurisdizione.
3. È vero che, come sottolineato dalla ricorrente Provincia Autonoma di Trento e dal P.G. nella sua requisitoria scritta, le sezioni unite di questa Corte hanno tra l’altro avuto modo di affermare che la giurisdizione tributaria non ricorre quando non sia in discussione l’obbligazione tributaria né il potere impositivo sussumibile nello schema potestà – soggezione proprio del rapporto tributario (v. tra le altre, su n. 7526 del 2013 (1)); che il Comune, relativamente ai fabbricati iscritti in catasto, deve applicare l’imposta comunale sugli immobili attenendosi ai criteri fissati nell’art. 5 comma 2 d.lgs. n. 504 del 1992, senza essere autonomamente legittimato all’impugnativa della rendita (v. cass. n. 17054 del 2010 (2)); che legittimata a contraddire in merito all’impugnativa del classamento è solo l’Agenzia del territorio, non il Comune (v. cass. 19872 del 2012 (3)), ed inoltre che spetta alla giurisdizione del giudice amministrativo l’impugnazione proposta da un Comune avverso il provvedimento di classamento di un immobile e di attribuzione della rendita catastale emesso dall’Agenzia del Territorio, qualora si denuncino i vizi tipici previsti dagli artt. 2 e ss. della l. n. 1034 del 1971 (v. SU n. 675 del 2010 (4)).
Tuttavia occorre evidenziare che la giurisprudenza di questo giudice di legittimità in materia è in rapida e continua evoluzione e, non senza esitazioni, comincia a mostrare la consapevolezza sia del fatto che il Comune in relazione al classamento ed alla rendita catastale è portatore di un proprio interesse ad agire sia del fatto che l’impugnazione dell’atto di classamento ovvero della rendita catastale deve essere valutata nel medesimo processo ed in relazione a tutti i potenziali interessati, basti pensare in proposito alla già citata sentenza delle sezioni unite n. 675 del 2010 (che riconosce un interesse del Comune nelle controversie aventi ad oggetto il classamento ovvero la rendita catastale di un immobile, sia pure identificando nel giudice amministrativo quello munito di giurisdizione in proposito) nonché a SU n. 18565 del 2009 (5) ed a cass. n. 8845 del 2010 (6) (che riconoscono anch’esse la legittimazione del Comune ad impugnare la rendita catastale attribuita ad un immobile) oppure a cass. n. 15489 del 2010 (7) (che riconosce l’esigenza del simultaneus processus – sia pure in relazione ai diversi proprietari di un medesimo immobile – tra i legittimati ad impugnare il classamento, affermando che l’impugnazione dell’atto di classamento di un fondo di cui siano proprietari più soggetti da luogo ad un litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari, “non potendosi ammettere che tale accertamento – vincolante ai fini dell’esercizio del potere impositivo da parte del Comune in materia di imposta comunale sugli immobili –, possa condurre a valutazioni diverse in ordine alla natura dell’immobile medesimo”), o ancora a cass. n. 333 del 2014 (8), che ammette l’intervento adesivo dipendente del Comune nella controversia tra contribuente ed Agenzia relativa ad accertamenti catastali, ordinanza, quest’ultima, che si pone nel solco di cass. n. 9567 del 2013 (9) e n. 255 del 2012 (10) (le quali, con interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 14 comma 3 d.lgs. n. 546 del 1992 hanno ritenuto ammissibile nel processo tributario l’intervento adesivo dipendente di terzi pur non destinatari dell’atto impositivo impugnato) nonché di cass. n. 20803 del 2013 (11) (secondo la quale è legittima la partecipazione di una Regione alla controversia in materia di IRAP, ancorché la gestione del rapporto tributario sia devoluta esclusivamente all’Agenzia delle Entrate).
4. In conclusione, deve particolarmente ribadirsi che una lettura costituzionalmente orientata dell’inciso “promosse dai singoli possessori” di cui al secondo comma dell’art. 2 d.lgs. n. 546 del 1992 consente di affermare che esso non riveste nell’economia della norma citata la funzione di delimitare la giurisdizione del giudice tributario (oltre che sul piano oggettivo) anche in riferimento al soggetto che adisce il giudice, nel senso che eventuali altri soggetti portatori di interesse ad una decisione giurisdizionale in materia non potrebbero adire alcun giudice ovvero potrebbero adire solo un giudice appartenente ad altra giurisdizione, giacché una diversa interpretazione del suddetto inciso si porrebbe infatti (nella prima delle due possibili opzioni ermeneutiche) in contrasto, come sopra evidenziato, col diritto di azione costituzionalmente presidiato e (nella seconda) con alcuni dei valori fondanti del giusto processo, tra i quali vanno annoverati la stabilità delle decisioni, la funzionalità del processo e, innanzitutto, l’effettività della tutela giurisdizionale, che verrebbero di certo messi a repentaglio dalla concreta possibilità che sulla stessa questione intervengano decisioni contrastanti provenienti da giudici appartenenti alle diverse giurisdizioni alle quali il legislatore abbia (in ipotesi) riconosciuto la possibilità di conoscere del medesimo oggetto, con l’effetto che, ad esempio, le decisioni sulla congruità della rendita potrebbero essere legittimamente più di una e quindi la rendita di un medesimo immobile potrebbe essere congrua per il giudice amministrativo adito dal Comune e non congrua per il giudice tributario adito dal possessore-contribuente, senza che peraltro, come già rilevato, risulti previsto alcun rimedio per un simile “impasse”.
È infine da sottolineare (come di recente evidenziato da queste sezioni unite con sentenza n. 12310 del 2015 (12)) che la previsione costituzionale di un processo “giusto” impone al giudice nella esegesi delle norme di verificare sempre che l’interpretazione adottata sia necessaria e idonea ad assicurare le garanzie fondamentali in funzione delle quali le norme oggetto di interpretazione sono state poste, evitando che il rispetto di una ermeneutica sottratta alla suddetta imprescindibile verifica si traduca in concreto in uno spreco di tempi e/o di risorse e comunque in una riduzione o perdita di effettività della tutela giurisdizionale.
Pertanto, alla luce del dettato del secondo comma dell’art. 2 d.lgs. n. 546 del 1992, prevedente la giurisdizione del giudice tributario sulle controversie concernenti – tra l’altro – la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale, ed escluso che l’inciso “promosse dai singoli possessori” sia idoneo a condizionare i limiti della giurisdizione riconosciuta al suddetto giudice, deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice tributario anche nelle ipotesi in cui, come nella specie, la rendita o l’atto di classamento siano impugnate dal Comune e non (o non solo) dal contribuente.
In assenza di attività difensiva nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M. – La Corte a Sezioni Unite dichiara la giurisdizione del giudice tributario.

(1) Cass. 26 marzo 2013, n. 7526, in Boll. Trib. On-line.
(2) Cass. 21 luglio 2010, n. 17054, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cass. 14 novembre 2012, n. 19872, in Boll. Trib. On-line.
(4) Cass. 19 gennaio 2010, n. 675, in Boll. Trib. On-line.
(5) Cass. 21 agosto 2009, n. 18565, in Boll. Trib., 2010, 1080.
(6) Cass. 14 aprile 2010, n. 8845, in Boll. Trib. On-line.
(7) Cass. 30 giugno 2010, n. 15489, in Boll. Trib. On-line.
(8) Cass. 9 gennaio 2014, n. 333, in Boll. Trib. On-line.
(9) Cass. 19 aprile 2013, n. 9567, in Boll. Trib. On-line.
(10) Cass. 12 gennaio 2012, n. 255, in Boll. Trib., 2012, 859.
(11) Cass. 11 settembre 2013, n. 20803, in Boll. Trib. On-line.
(12) Cass. 15 giugno 2015, n. 12310, in Boll. Trib. On-line.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *