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LA RIFORMA DELLA RISCOSSIONE DOPO L’ATTUAZIONE
DELLA LEGGE DELEGA N. 23/2014
SOMMARIO: 1. Modifiche in tema di sospensione legale della riscossione – 2. Novità in materia di accertamento esecutivo – 3. La dilazione degli avvisi bonari e degli atti di accertamento – 4. La dilazione dei ruoli – 5. La disciplina della ripresa di dilazioni sospese – 6. Autotutela parziale e sanzioni – 7. Le modifiche in tema di aggio di riscossione.
Con il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159, è stata attuata la riforma della riscossione prevista nella legge delega 11 marzo 2014, n. 23. In linea con l’impostazione generale della delega si è trattato di interventi di carattere puntuale, di mero aggiornamento delle disposizioni di riferimento. Le modifiche sono state tuttavia numerose e presentano profili di indubbio interesse pratico.
Va d’altro canto osservato da subito che, dopo le ultime variazioni legislative e di prassi, il comparto della riscossione è stato già ampiamente connotato da innovazioni di favore per il contribuente, di talché, quantomeno sotto il profilo della disciplina della riscossione coattiva, appariva difficile migliorare l’assetto previgente, in termini ad esempio di semplificazione degli adempimenti e di periodi massimi di dilazione.
Vale al riguardo ricordare infatti che già le direttive di Equitalia avevano indicato che, per debiti non superiori a 50.000 euro, era sufficiente la sola istanza del contribuente, ai fini della rateazione, senza necessità di allegare documenti di sorta. In punto di durata della dilazione, si ricorda ancora la maxi rateazione di 10 anni, introdotta con il D.L. 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98), ed attuata con il D.M. 6 novembre 2013.
In tema di attività propriamente esecutive si segnalano infine le nuove condizioni di procedibilità del pignoramento immobiliare (1) che hanno notevolmente limitato i poteri dell’agente della riscossione.
Vi era spazio invece per adottare dei miglioramenti nella fase della riscossione antecedente il coinvolgimento dell’agente della riscossione e qui semmai il limite della riforma risiede nei criteri di delegazione che sono rimasti parzialmente inattuati.
Di seguito sono pertanto esaminate le principali novità della riforma, evidenziando i profili di criticità anche rispetto ai principi della delega.
1. Modifiche in tema di sospensione legale della riscossione
L’art. 1, commi 537 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (2), ha introdotto, come è noto, una disciplina speciale, volta a consentire al contribuente di ottenere il blocco immediato delle attività esecutive e cautelari delle società di Equitalia (3), con la mera presentazione di una istanza documentata. La condizione essenziale per l’attivazione della procedura è la maturazione di un titolo, nei rapporti tra l’ente creditore e il debitore, senza la partecipazione dunque del riscossore, idoneo a palesare la temporanea o definitiva improcedibilità delle attività di recupero coattivo. Poteva trattarsi di provvedimenti di sospensione giudiziale o amministrativa, di sentenze di annullamento del titolo di credito, di provvedimenti di sgravio nonché di prescrizione o decadenza maturata prima della formazione del ruolo. La formulazione originaria inoltre prevedeva una causa di attivazione di natura residuale, allo scopo di non lasciare il debitore privo di tutela, in situazioni non tipizzate nella norma di legge. Fine evidente della disciplina in esame è quello di rimediare alle difficoltà di comunicazione tra l’ente creditore e l’agente della riscossione. Ne deriva che se il debitore intende lamentare questioni imputabili direttamente al riscossore, egli non potrà avvalersi di questo istituto.
La novella in esame ha innanzitutto eliminato la causa residuale, lasciando in vita solo i casi tassativamente indicati nella norma di legge. Dalla lettura della relazione di accompagnamento al decreto si apprende che la modifica ha la funzione di prevenire istanze strumentali, magari fondate su vizi veri o presunti del credito vantato dall’ente impositore, volte a paralizzare, almeno temporaneamente, l’attività di riscossione e, in casi estremi, ad ottenere l’annullamento della pretesa (4). Si è tuttavia dell’avviso che le suddette istanze strumentali avrebbero ben potuto essere rigettate subito, a seguito di una delibazione sommaria del riscossore, pur in assenza di esplicita condizione di rigetto delle medesime. La disciplina della legge finanziaria 2013, infatti, non può essere considerata una sorta di succedaneo della sospensione giudiziale, che si fonda sulla valutazione del fumus della domanda del contribuente. Essa è invece imperniata sul mero riscontro dell’esistenza di un titolo cui la legge riconnetta la legittimazione a presentare la domanda di blocco degli atti esecutivi, senza che residuino spazi in ordine alla ponderazione del merito delle eccezioni mosse dal debitore avverso l’atto con cui il credito pubblico è stato esternato. In questo senso, la sospensione legale può essere accostata a un’istanza di sollecitazione di autotutela, seppur con una sfera di operatività assai più ristretta rispetto all’istituto generale.
Si riduce inoltre da 90 a 60 giorni il termine per la proposizione dell’istanza di sospensione, termine che la novella qualifica espressamente come decadenziale. La riforma, inoltre, a ulteriore conferma di tale irrigidimento normativo, prevede che l’istanza non possa essere reiterata nei riguardi di atti successivi dell’agente della riscossione. La precisazione, anch’essa innovativa (5), si comprende meglio se si considera che l’accesso alla procedura è individuato dalla legge solo con un momento iniziale, fissato nel primo atto ricevuto dall’agente della riscossione, senza però stabilire un termine finale. A legislazione previgente quindi il contribuente che aveva ricevuto una cartella di pagamento e non si era avvalso della facoltà qui esaminata avrebbe potuto accedere alla sospensione legale in occasione del primo atto successivo (6). Anche nel mutato assetto della riforma deve però essere chiaro che nulla vieta al debitore di reiterare l’istanza nei confronti di Equitalia allo scopo di far valere un nuovo titolo che legittimi la richiesta e che sia maturato dopo la proposizione della prima istanza (7).
Un’altra novità di rilievo consiste nella delimitazione delle ipotesi che danno luogo all’annullamento della pretesa creditoria, in presenza di silenzio serbato per almeno 220 giorni dalla proposizione dell’istanza. Si dispone quindi che l’annullamento non opera in tutti i casi in cui il credito sia ancora sub iudice nonché nelle ipotesi di sospensione giudiziale o amministrativa. Ne consegue che la caducazione della pretesa si verifica solo se il debitore fa valere cause potenzialmente estintive della stessa (8).
Da ultimo, si prevede che il periodo di durata di efficacia del pignoramento “esattoriale”, pari a 200 giorni, resti sospeso durante il periodo di pendenza della sospensione legale.
Le nuove disposizioni entrano in vigore a partire dalle istanze di sospensione presentate dal 22 ottobre 2015 (9).
2. Novità in materia di accertamento esecutivo
La riforma è intervenuta anche sulla disciplina dell’accertamento esecutivo, recata nell’art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122), anche in questo caso con variazioni di carattere puntuale. È stato innanzitutto corretto l’anomalo termine di esecutività dell’accertamento, inizialmente fissato in 60 giorni dalla notifica dell’atto. È noto che il termine per pagare le somme pretese con l’atto in esame è invece quello della proposizione del ricorso, di talché appariva piuttosto singolare disporre di un provvedimento già idoneo ad attivare la procedura di recupero coattivo senza che il contribuente fosse ancora incorso in morosità (10). In effetti, l’unico caso in cui l’anticipata esecutività dell’accertamento poteva avere un senso era la configurazione del fondato rischio di riscossione del credito erariale, in analogia con quanto previsto nell’art. 15-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in presenza del quale l’intero importo accertato si rende da subito esigibile.
La riforma ha quindi allineato il momento di esecutività dell’accertamento a quello di scadenza del termine per il pagamento ovverosia il termine di proposizione del ricorso.
Un’altra correzione ha riguardato l’indirizzo di spedizione della raccomandata informativa che l’agente della riscossione deve inviare al contribuente una volta ricevuto l’affidamento del credito tributario. Nella formulazione iniziale era previsto che la raccomandata dovesse essere spedita all’indirizzo di notifica dell’atto di accertamento, risultando così irragionevolmente ignorate le eventuali variazioni intervenute nel frattempo. L’effetto della novella è che l’indirizzo di trasmissione debba essere correttamente individuato in base alle regole ordinarie, ovverosia attraverso la consultazione dei dati dell’Anagrafe tributaria. È stata tuttavia persa l’occasione per rendere più cogente la procedura di notifica della comunicazione in esame, alla quale si ritiene non possa essere attribuita una mera funzione informativa. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui l’atto di accertamento non sia stato ricevuto dal soggetto passivo, per il quale dunque il primo atto con cui viene messo a conoscenza dell’esistenza della pretesa erariale è per l’appunto la raccomandata dell’agente della riscossione. In tale eventualità sussiste senz’altro il diritto del contribuente a contestare immediatamente il credito tributario, senza dover attendere il primo atto della procedura di riscossione coattiva. Allo scopo possono senz’altro essere valorizzate le recenti affermazioni delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione rese in merito all’impugnabilità del ruolo venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo, configurata in termini di impugnazione del contenuto della cartella di pagamento ivi riprodotta (11). A prescindere dalla considerazione che nel caso sopra ipotizzato l’atto impugnato sia rappresentato dall’informativa di Equitalia ovvero, come più correttamente sostenuto da autorevole dottrina, dal ruolo vero e proprio (12) o, infine, dall’accertamento esecutivo contestato “al buio” (13), resta comunque l’esigenza che la procedura di notifica della comunicazione in esame garantisca la conoscibilità della stessa da parte del destinatario. Esigenza che non può in alcun modo ritenersi rispettata da una raccomandata semplice spedita per di più entro termini non precisati.
Ma vi è di più. Si pensi ancora alla situazione in cui il contribuente, dopo aver impugnato l’accertamento esecutivo, si veda raggiungere dalla raccomandata con cui Equitalia comunica di aver ricevuto in affidamento l’intero carico tributario, sussistendo le condizioni di applicazione del sopra ricordato art. 15-bis del D.P.R. n. 602/1973. Se il contribuente intende opporsi a tale modus operandi è evidente che egli deve contestare un vizio attinente non già all’atto di accertamento ma all’affidamento del carico tributario. Non resta allora che impugnare la raccomandata “informativa”, nel presupposto che questa sia l’unico documento che manifesta all’esterno la sussistenza del rischio di esazione del credito.
Tornando alla riforma, l’altra modifica ha riguardato l’ambito di applicazione del periodo di moratoria degli atti esecutivi di 180 giorni dall’affidamento del carico tributario. Il periodo di moratoria era stato inizialmente pensato allo scopo di dare tempo al contribuente di ottenere la sospensione giudiziale o amministrativa dell’accertamento, in pendenza di ricorso. La formulazione originaria della norma, però, imponeva tale fase di stallo anche in presenza di accertamenti divenuti definitivi, perché non impugnati o perché definiti con sentenza passata in giudicato. La riforma elimina, per l’appunto, la moratoria per tali situazioni. Il blocco di 180 giorni resta quindi in vita unicamente in presenza di accertamenti in contestazione.
È stato infine eliminato il termine decadenziale per l’inizio della procedura esecutiva, inizialmente fissato al 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo. La relazione illustrativa motiva tale soppressione con l’osservazione secondo cui, vertendosi della fase di recupero coattivo del credito, troverebbero applicazione i termini di prescrizione ordinaria. L’osservazione coglie tuttavia solo una parte di verità. In realtà, l’apposizione del suddetto termine decadenziale ha la funzione di conservare l’equipollenza con la procedura dell’iscrizione a ruolo, nell’ambito della quale l’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973 stabilisce la scadenza del 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di definitività dell’atto di accertamento, ai fini della notifica della cartella di pagamento. Va altresì ricordato come l’esigenza di prescrivere termini decadenziali in materia riviene dalla nota sentenza n. 280/2005 (14) con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità delle disposizioni tributarie che lasciano il contribuente indefinitamente esposto alle azioni di recupero del fisco. Ne consegue che la soppressione adottata determina una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla posizione del contribuente destinatario di avvisi di accertamento ordinari.
Non è stata invece modificata la disciplina della dilazione in pendenza di ricorso avverso l’atto esecutivo. A tale scopo, dunque, occorre ancora attendere l’affidamento del carico tributario all’agente della riscossione, con l’effetto che la rateazione successiva dovrà essere maggiorata dell’intero aggio di riscossione. Si ritiene tuttavia che in questo modo si sia disatteso un criterio direttivo recato nell’art. 6, quinto comma, lett. b), della legge delega n. 23/2014, a mente del quale si sarebbero dovuti introdurre meccanismi automatici di rateazione del carico tributario, da attivare prima dell’affidamento all’agente della riscossione. Tanto, allo scopo per l’appunto di evitare l’addebito dell’aggio di riscossione.
Il decreto di riforma non prevede una specifica data di efficacia delle modifiche sopra commentate. Secondo un’interpretazione sistematica della novella le stesse dovrebbero tuttavia entrare in vigore a decorrere dagli atti notificati dal 22 ottobre 2015.
3. La dilazione degli avvisi bonari e degli atti di accertamento
Il “piatto forte” della riforma è tuttavia rappresentato dalle nuove regole in materia di rateazione. Gli interventi hanno riguardato in primo luogo la dilazione degli avvisi bonari, derivanti dalle liquidazioni delle dichiarazioni, eseguite ex art. 36-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e art. 54-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e dai controlli formali di cui all’art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973. Si dispone pertanto che la dilazione per somme non superiori a 5.000 euro possa giungere sino a otto rate trimestrali, in luogo delle precedenti sei. Resta invece invariata la dilazione massima di venti rate trimestrali, per somme superiori a 5.000 euro.
Relativamente alla dilazione relativa agli accertamenti definiti con adesione ovvero per acquiescenza, la dilazione relativa a importi non superiori a 50.000 euro è rimasta ferma a 8 rate trimestrali, mentre quella afferente a importi maggiori è stata elevata da 12 a 16 rate trimestrali.
Anche in questo caso, tuttavia, si registra un parziale scostamento dai criteri di delega, atteso che il sopra citato art. 6 della legge n. 23/2014 dispone l’allineamento delle rateazioni degli avvisi bonari a quelle degli atti di accertamento. La riforma ha reso omogenee le dilazioni minime, portandole a 8 rate trimestrali, ma ha conservato le differenze su quelle massime (15).
Le novità maggiormente significative hanno tuttavia riguardato la disciplina della decadenza dalle rateazioni. Da un lato, si è confermato il principio secondo cui si perde il beneficio del termine qualora non si versi una delle rate successive alla prima entro la scadenza di quella immediatamente conseguente. Come pure resta la condizione a mente della quale, ai fini del conseguimento del diritto alla dilazione, occorre il tempestivo pagamento della prima rata. Il contribuente, inoltre, conserva il diritto a regolarizzare l’omissione entro la rata successiva avvalendosi del ravvedimento ed evitando così la comminatoria della sanzione del 30%, di cui all’art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
Una prima novità è rappresentata dalla sanzione prevista in caso di decadenza dalla dilazione. In precedenza, il contribuente subiva l’irrogazione di una penalità pari al 60% degli importi ancora dovuti a titolo di imposta. Ora questa sanzione è stata ridotta al 45%. In virtù del principio del favor rei (16), tuttavia, la nuova misura dovrebbe essere applicata anche per le violazioni pregresse.
È stato inoltre introdotto l’art. 15-ter nell’ambito del D.P.R. n. 602/1973, che regola il nuovo istituto del lieve inadempimento. Si tratta di lievi omissioni o ritardi che non pregiudicano la permanenza della dilazione. L’istituto trova applicazione per la dilazione degli avvisi bonari e degli atti di accertamento.
Il lieve inadempimento si verifica dunque nelle seguenti situazioni: a) ritardato versamento della prima rata o unica rata non superiore a 7 giorni dalla scadenza; b) omesso pagamento di una rata in misura non superiore al 3% del valore della rata e comunque a 10.000 euro.
Non sembrano esservi ostacoli a che la sanatoria dell’omissione di pagamento possa riguardare una pluralità di rate. Va inoltre evidenziato che le violazioni da lieve inadempimento sono regolarmente sanzionate (17), se non regolarizzate con il ravvedimento, pur se non determinano la perdita del beneficio del termine. Non è chiaro invece se la sanatoria relativa all’omesso pagamento della quota di rata non superiore al 3% valga anche per il versamento della prima o unica rata. La lettera del nuovo art. 15-ter sembra consentirlo. Se così fosse, nei riguardi di tale rata troverebbero applicazione entrambe le ipotesi di scusabilità dell’errore (18).
L’efficacia delle modifiche in materia di dilazione di avvisi bonari è collegata ai controlli delle dichiarazioni annuali. Per i controlli di cui all’art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 le nuove regole si applicano a partire dalle dichiarazioni 2014, mentre per i controlli formali, ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973, si inizia dalle dichiarazioni 2013. Relativamente alle dilazioni degli atti di accertamento, l’efficacia della disciplina opera a decorrere dalle definizioni perfezionate dal 22 ottobre 2015.
La norma dell’art. 15 del D.Lgs. n. 159/2015, contenente le regole sulla entrata in vigore delle diverse disposizioni della riforma, prevede che le innovazioni sulle dilazioni si applichino anche nei riguardi delle conciliazioni giudiziali e dei reclami perfezionati a decorrere dalla medesima data. Per effetto di un cattivo coordinamento tra la riforma della riscossione e la riforma del contenzioso tributario non sembra però che ciò sia corretto.
Invero, in ordine alle modalità di versamento delle somme, i nuovi artt. 48-ter e 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, come novellati dalla riforma di cui al D.Lgs. n. 156/2015, richiamano le previsioni dell’art. 8 del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, in materia di dilazione dell’accertamento con adesione.
Nel novellato art. 8 del D.Lgs. n. 218/1997 è inoltre contenuto il richiamo all’art. 15-ter del D.P.R. n. 602/1973, in materia di lieve inadempimento. La nuova disciplina del contenzioso tributario entra in vigore, però, a partire dal prossimo anno. Quest’ultimo differimento, dunque, porta con sé anche il richiamo alle disposizioni sulla dilazione dell’accertamento con adesione contenuto nella nuova disciplina della conciliazione e del reclamo.
Sembra quindi corretto affermare che, sebbene il decreto delegato sulla riscossione disponga l’applicazione delle disposizioni in materia di dilazione anche alle conciliazioni e ai reclami conclusi negli ultimi due mesi del 2015, l’aggancio normativo necessario per tale collegamento è invece collocato all’interno della riforma del contenzioso che è operativa solo dal 2016.
Per l’effetto, dovrebbe ritenersi rinviato al 2016 tutto il blocco di modifiche afferenti tanto il reclamo che la conciliazione, incluse le regole della dilazione.
4. La dilazione dei ruoli
Come anticipato in apertura, la normativa sulla dilazione dei ruoli, di cui all’art. 19 del D.P.R. n. 602/1973, era già caratterizzata da un regime piuttosto favorevole al contribuente. Sotto il profilo della durata massima delle rateazioni dell’agente della riscossione, la riforma non ha innovato alcunché, tenuto conto per l’appunto che la legislazione precedente consentiva (e consente) già il rientro sino a 10 anni di tempo. Il decreto in esame ha inoltre recepito a livello normativo quanto già espresso nelle prassi di Equitalia, in ordine alla sufficienza della sola istanza del contribuente per ottenere rateazioni relative a somme complessivamente non superiori a 50.000 euro.
La principale novità riguarda invece la disciplina della decadenza dalla rateazione. Si dispone pertanto che il contribuente possa sempre rientrare in piani di rientro scaduti pagando l’importo corrispondente alla morosità maturata. Va ricordato che nella formulazione originaria del sopra citato art. 19 una volta scaduta la dilazione il carico a ruolo non poteva essere più rateizzato. A compensazione di tale facoltà a regime di rimessione in termini, la novella ha stabilito che la decadenza dalla rateazione consegua al mancato pagamento di cinque, anziché otto, rate, anche non consecutive.
La riforma interviene anche sugli effetti della presentazione della domanda di dilazione, adottando una normativa più rigorosa per il contribuente. In ordine agli strumenti cautelari, si conferma quindi l’inibizione a iscrivere ipoteca e si precisa espressamente che tale inibitoria vale anche per il fermo amministrativo. Restano però salvi i provvedimenti già adottati. Rispetto al pregresso, si registra un irragionevole irrigidimento delle regole in materia di fermo amministrativo, se solo si pone mente al fatto che, in precedenza, il fermo già adottato veniva cancellato con il pagamento della prima rata della dilazione. Appare dunque eccessivo disporre l’inutilizzabilità del veicolo del contribuente per un periodo di tempo che potrebbe anche durare anni.
Quanto agli effetti sulle azioni propriamente esecutive, si stabilisce che, in caso di accoglimento dell’istanza, non possano essere avviate nuove attività di recupero coattivo, mentre per quelle già in corso la sospensione delle procedure opera con il pagamento della prima rata. Ciò a condizione però che il recupero coattivo non sia giunto già nella fase terminale, e cioè che non si sia tenuta la vendita all’incanto del bene espropriato con esito positivo o che non sia pervenuta istanza di assegnazione del bene ovvero ancora che, in caso di pignoramento presso terzi, il terzo non abbia già reso la dichiarazione di essere debitore nei confronti del soggetto iscritto a ruolo.
Inoltre, non possono mai essere dilazionate le somme oggetto delle segnalazioni delle pubbliche Amministrazioni, eseguite ai sensi dell’art. 48-bis del D.P.R. n. 602/1973. In forza di questa disposizione, si ricorda, tutte le pubbliche Amministrazioni che devono procedere al pagamento, a qualsiasi titolo (onorari, forniture, appalti, eccetera), di somme superiori a 10.000 euro devono interrogare il sistema di Equitalia per verificare se il beneficiario ha morosità almeno pari a tale cifra. In caso di riscontro positivo, la segnalazione ad Equitalia comporta il blocco del pagamento e la notifica di un pignoramento presso terzi, con l’ordine di versare le somme dovute, fino a concorrenza del debito a ruolo, direttamente nelle casse dell’agente della riscossione. In conseguenza del decreto di riforma, dunque, se Equitalia ha già ricevuto la segnalazione dell’ente pubblico, l’importo corrispondente non potrà essere dilazionato e dovrà essere versato in unica soluzione, all’esito del pignoramento presso terzi.
Le modifiche si applicano a partire dalle dilazioni concesse dal 22 ottobre 2015. Con disposizione di diritto transitorio, è stata tuttavia consentita la rimessione in termini nei riguardi di tutti i debitori decaduti da una precedente dilazione nel periodo compreso tra il 22 ottobre 2013 e il 22 ottobre 2015. A tale scopo, era sufficiente presentare un’apposita domanda ad Equitalia entro il 23 novembre scorso. Le regole di questa dilazione “straordinaria” sono un misto di quelle a regime e di quelle speciali della disciplina di riferimento. In particolare: a) la durata massima non può superare le 72 rate mensili; b) gli effetti sulle procedure in corso sono analoghi a quelli delle dilazioni ordinarie; c) la decadenza si verifica con il mancato pagamento di due rate, anche non consecutive; d) dovrebbe essere anche in questo caso consentito il rientro nel piano di rateazione decaduto, con il versamento del debito scaduto.
5. La disciplina della ripresa di dilazioni sospese
Del tutto innovativa ed ampiamente condivisibile è la normativa introdotta a proposito delle dilazioni interessate da provvedimenti amministrativi o giudiziari di sospensione a tempo, introdotta nell’art. 19, comma 3-bis, del D.P.R. n. 602/1973.
Il caso più diffuso riguarda le somme dovute in pendenza di ricorso. Si pensi a un contribuente che abbia impugnato un atto di accertamento esecutivo, chiedendo la sospensiva giudiziale alla Commissione tributaria provinciale, ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 546/1992, e che, nelle more del giudizio cautelare, abbia richiesto la rateazione delle somme dovute a titolo di riscossione provvisoria all’agente della riscossione. Si ipotizzi ancora che il giudice abbia concesso la sospensiva ma, all’esito del giudizio di merito, abbia rigettato il ricorso. A legislazione previgente, il contribuente si ritrovava ad essere moroso per le rate non pagate durante il periodo di sospensione. Se poi le rate impagate risultavano almeno pari a 8 (oggi 5), la dilazione decadeva, con tutte le conseguenze di legge.
Per effetto della modifica apportata, si dispone che, al termine del periodo di efficacia della sospensione, il contribuente possa riprendere il piano di dilazione a suo tempo accordato, pagando le rate residue nel medesimo numero di rate non versate del piano iniziale ovvero con una nuova dilazione, sino a un massimo di 72 rate. Devono essere comunque calcolati gli interessi dovuti durante il periodo di sospensione dei pagamenti. Si evita in questo modo che il debitore venga considerato inadempiente, nonostante abbia sospeso i pagamenti in conformità a un provvedimento giurisdizionale o amministrativo.
Questa nuova disciplina è retroattiva, poiché si applica sia ai piani di rateazione concessi dalla data di entrata in vigore del decreto sia a quelli già in essere alla medesima data. Nulla osta pertanto che la stessa esplichi efficacia anche nei riguardi di dilazioni già interessate da provvedimenti di sospensione.
6. Autotutela parziale e sanzioni
Il decreto attuativo della riforma della riscossione interviene anche sull’autotutela parziale sugli avvisi di accertamento, prevedendo, a determinate condizioni, la rimessione in termini del contribuente ai fini dell’acquiescenza all’accertamento. Si tratta di una condivisibile correzione di un’evidente ingiustizia legislativa.
Va in proposito ricordato che il contribuente può definire l’avviso di accertamento per acquiescenza, con il pagamento della sanzione pari ad un terzo dell’importo irrogato, entro il termine per la proposizione del ricorso, ai sensi dell’art. 15 del D.Lgs. n. 218/1997. Fino alla fine del 2015, inoltre, se l’atto di accertamento non è stato preceduto da processo verbale di constatazione o da inviti a comparire, la riduzione della sanzione è ad un sesto. A partire dagli atti notificati dal 1° gennaio 2016, la riduzione ad un sesto dovrebbe scomparire, a causa della entrata a regime della disciplina del nuovo ravvedimento.
Se invece il contribuente proponeva ricorso, egli perdeva per sempre tale facoltà, fatta salva la riduzione della sanzione, conseguente alla mediazione tributaria ovvero alla conciliazione giudiziaria. A legislazione previgente, poteva dunque accadere che anche se l’ente impositore accoglieva in parte le ragioni del contribuente, con un provvedimento di autotutela parziale, quest’ultimo non poteva comunque ottenere la riduzione delle sanzioni, avendo proposto ricorso avverso l’accertamento.
La novella prevede quindi che qualora, in pendenza di ricorso, il fisco emetta un atto di revoca parziale dell’avviso già notificato, viene data al contribuente la facoltà di prestare acquiescenza all’atto di accertamento, fruendo della facoltà di definire l’aspetto sanzionatorio alle stesse condizioni esistenti alla data di notifica del provvedimento iniziale. Si tratta quindi di una sorta di rimessione in termini, sulla base però delle sanzioni che residuano dopo l’autotutela esercitata dall’ente impositore.
La condizione posta per avvalersi di tale facoltà è la rinuncia al ricorso, di tal che emerge la finalità deflativa della nuova misura legislativa. Il contribuente quindi deve abbandonare tutte le sue ragioni di lite. In questa eventualità, le spese processuali restano compensate tra le parti.
Si prevede inoltre espressamente che l’atto di autotutela parziale non sia impugnabile autonomamente, trattandosi di una revoca pro contribuente del provvedimento inizialmente impugnato.
La norma stabilisce infine l’inapplicabilità della novella alla definizione agevolata delle sole sanzioni. La previsione si spiega con la circostanza che se ci si avvale della rimessione in termini si definisce tutto e non solo le sanzioni.
Nulla è disposto in ordine all’entrata in vigore della novella. La stessa dovrebbe trovare applicazione dagli atti di autotutela parziale emessi dal 22 ottobre scorso, a meno che l’Amministrazione finanziaria non ne consenta l’accesso anche ai contribuenti già destinatari di revoche in passato. In ogni caso, occorre a evidenza che gli Uffici notifichino un apposito atto di rideterminazione delle sanzioni, comunicando al contribuente tale nuova facoltà, condizionata alla duplice condizione del pagamento delle somme residue e della rinuncia al contenzioso. Non è chiaro peraltro se trovino applicazione in questa sede le regole di dilazione degli accertamenti definiti per acquiescenza. Trattandosi peraltro di una sorta di rimessione in termini la risposta dovrebbe essere positiva.
7. Le modifiche in tema di aggio di riscossione
La novella riduce l’importo dell’aggio dovuto all’agente della riscossione dall’8% al 6%. In precedenza, e in realtà sino alla fine di quest’anno, come di seguito evidenziato, l’aggio esattoriale era addebitato per il 51%, pari al 4,08%, al debitore, se questi paga la cartella di pagamento entro 60 giorni dalla notifica, e per la differenza all’ente impositore. In caso di versamento delle somme dovute oltre il suddetto termine, l’intero importo dell’8% era (è) addebitato al contribuente.
A decorrere dai ruoli consegnati all’agente della riscossione dal 1° gennaio 2016, l’aggio viene ridotto per l’appunto al 6%, con la seguente scansione:
→ in caso di pagamento entro sessanta giorni dalla cartella, il debitore versa il 3% e la restante quota del 3% è pagata dall’ente impositore;
→ in caso di pagamento oltre tale termine, il debitore paga l’intero importo dell’aggio del 6%.
Per le riscossioni volontarie eseguite tramite ruolo (tassa rifiuti, contributi di bonifica e altro), l’aggio di riscossione è l’1%, posto a totale carico del debitore.
In ipotesi di riscossione coattiva, al debitore faranno carico, come sempre, anche le eventuali spese per procedure esecutive o cautelari attivate dall’agente della riscossione (fermo amministrativo, pignoramento, ipoteche, eccetera).
La riforma prevede altresì la riformulazione delle modalità di determinazione dell’aggio, maggiormente ancorata ai costi di riscossione subiti da Equitalia. L’attuazione di tale previsione è demandata ad un futuro decreto del Ministero delle finanze.
Dott. Luigi Lovecchio
(1) A partire dal divieto di pignorare l’abitazione principale, se unico immobile posseduto dal debitore.
(2) Per un primo commento della suddetta normativa, sia consentito rinviare a Lovecchio, La legge di stabilità 2013 e le novità in materia di riscossione, in Boll. Trib., 2013, 7 ss.
(3) Ma anche di qualsiasi altro soggetto incaricato della riscossione coattiva, come ad esempio i soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 446/1997, abilitati alla gestione delle entrate comunali.
(4) Annullamento della pretesa che si realizzava sempre con il decorso di 220 giorni dalla presentazione dell’istanza, senza alcuna risposta dell’ente creditore.
(5) Nonostante il contrario avviso della relazione illustrativa che la considera una conferma dell’assetto precedente.
(6) Ad esempio, un fermo amministrativo o una intimazione di pagamento.
(7) Si pensi ad esempio ad un soggetto al quale sia stato inizialmente notificato l’atto di intimazione che, ai sensi dell’art. 77, comma 2-bis, del D.P.R. n. 602/1973, deve precedere l’iscrizione di ipoteca, nei riguardi del quale sia stata fatta valere una sospensione amministrativa temporanea e successivamente l’avviso di iscrizione di ipoteca, in relazione al quale è maturata una sospensione giudiziale.
(8) E cioè l’avvenuto pagamento, lo sgravio ovvero la prescrizione o la decadenza.
(9) Data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 159/2015.
(10) Si pensi infatti ai termini di sospensione feriale o all’accertamento con adesione che determinano un evidente “scollamento” della scadenza di 60 giorni rispetto a quella del pagamento delle somme accertate.
(11) Cass., sez. un., 2 ottobre 2015, n. 19704, in Boll. Trib., 2015, 1568, con nota di D. CARNIMEO, Gli “atti tributari”, ancorché invalidamente notificati, sono sempre impugnabili dal contribuente che sia venuto “comunque” a conoscenza della loro esistenza.
(12) M. CICALA, Gli atti impugnabili e i presupposti dell’impugnazione: considerazioni sparse alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 19704/2015 sulla impugnabilità del ruolo, in Boll. Trib., 2015, 1525; D. CARNIMEO, Gli “atti tributari”, ancorché invalidamente notificati, sono sempre impugnabili dal contribuente che sia venuto “comunque” a conoscenza della loro esistenza, cit.
(13) GLENDI, L’oscuro transito dall’Agenzia delle entrate ad Equitalia nella riscossione degli atti impoesattivi, in Corr. trib., 2012, 1011; CARINCI, Comunicazione al contribuente della presa a carico delle somme da riscuotere con atto impoesattivo, ibidem, 967 ss., nonché ID., Considerazioni intorno all’avviso di presa a carico dell’accertamento esecutivo ed alla sua impugnabilità”, in Riv. giur. trib., 2015, 807 ss., in nota a Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. III, 12 maggio 2015, n. 214.
(14) Corte Cost. 15 luglio 2005, n. 280, in Boll. Trib., 2005, 1160, con nota di BRIGHENTI, Balla con le faine.
(15) Rispettivamente pari a 20 rate per gli avvisi bonari e a 16 rate per gli avvisi di accertamento.
(16) Di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997.
(17) Ex citato art. 13 del D.Lgs. n. 471/1997.
(18) Sia quella attinente al ritardo sia quella afferente alla contenuta omissione di versamento.
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