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ABUSO DEL DIRITTO E RIPENSAMENTI DELLA CORTE DI CASSAZIONE:
I PRIMI EFFETTI DELL’ATTUAZIONE DELLA DELEGA FISCALE?
1. Premessa
L’annotata pronuncia segna senza dubbio un primo passo verso un netto cambiamento di rotta della Suprema Corte sull’abuso del diritto, rispetto ad alcuni precedenti in termini che avevano determinato una vera e propria deriva giurisprudenziale sul tema. Non è escluso peraltro che il mutato atteggiamento che pare trasparire dalla lettura della sentenza annotata possa essere stato indotto anche dal dibattito e dai testi che hanno accompagnato i lavori di redazione del decreto attuativo della disciplina dell’abuso del diritto, appena pubblicato con il D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128. Se così fosse si tratterebbe della ennesima conferma della portata non innovativa della novella citata. Ma procediamo con ordine.
2. Il parziale revirement sulla nozione di abuso del diritto
Il grande merito della sentenza in esame è quello di avere rimesso al centro dell’attenzione nello scrutinio delle questioni attinenti l’abuso del diritto il vantaggio fiscale indebito, in luogo della mera assenza di ragioni economiche extra fiscali a supporto delle operazioni accertate. In effetti, una delle principali criticità dell’istituto in esame (1), per come è stato interpretato e applicato in numerose occasioni dai giudici di vertice, è rappresentata dalla rilevanza attribuita alle motivazioni economiche della sequenza negoziale adottata che, secondo la tesi qui criticata, in linea di principio non avrebbero potuto rinvenirsi unicamente o prevalentemente nella scelta del regime fiscale meno oneroso. Il contribuente avrebbe dovuto quindi sempre dimostrare che dietro le decisioni gestionali facenti parte del programma imprenditoriale vi sono anche e soprattutto ragioni diverse dal mero risparmio fiscale (2).
Si tratta, con ogni evidenza, di un’impostazione completamente fuorviante ed erronea. Restando nel campo del diritto positivo, ivi incluse le fonti c.d. di “soft law”, è sufficiente richiamare a supporto il chiaro dettato dell’art. 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, considerato dalla medesima Suprema Corte espressione seppure “speciale” del principio di carattere generale del divieto di abuso del diritto, a mente del quale le operazioni elusive si caratterizzano per lo scopo di ottenere vantaggi fiscali “altrimenti indebiti”, anche sotto forma di aggiramento di obblighi o divieti stabiliti nell’ordinamento tributario. È del tutto evidente, quindi, che la semplice opzione per una delle fattispecie o dei regimi previsti dalla normativa fiscale non realizza mai, per definizione, né un aggiramento della legge né tantomeno un vantaggio disapprovato dal sistema. In questo stesso senso si pone la giurisprudenza comunitaria, assai più equilibrata di quella nazionale che, nella materia armonizzata, ha più volte rilevato come il comportamento abusivo si concretizzi nel «procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni» (3).
Dal lato delle fonti di “soft law” (4), il riferimento obbligato è la raccomandazione n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012 della Commissione europea, che è stata peraltro recepita tra i criteri di delegazione di cui all’art. 5 della legge 11 marzo 2015, n. 23, in forza della quale lo scopo preminente delle “costruzioni abusive” è quello di contrastare «l’obiettivo, lo spirito e la finalità delle disposizioni fiscali che sarebbero altrimenti applicabili». Anche in questo caso, quindi, la scelta del regime tributario più favorevole di per sé non può mai essere contrastata dalle prassi amministrative giurisprudenziali.
Venendo al merito della vicenda scrutinata nella pronuncia annotata, è palese come i giudici di primo e secondo grado siano stati vittima di tale abbaglio interpretativo. Si era infatti in presenza di una società che, dopo aver acquistato un bene immobile, ne aveva fatto oggetto di un’operazione di lease back, al fine principale, desunto anche expressis verbis dai carteggi rinvenuti dai verificatori, di dedurre il costo d’acquisto del bene in un periodo di tempo più limitato rispetto a quello dell’ammortamento.
A fronte di tale operazione, per vero del tutto lineare, la Commissione tributaria di secondo grado aveva confermato la pretesa erariale, osservando come nella specie non fossero ravvisabili altre motivazioni, al di fuori di quelle fiscali, nella scelta del lease back, poiché la società interessata non aveva tra l’altro alcuna esigenza di liquidità, versando, sotto questo aspetto, in una situazione di apparente solidità.
La Corte di Cassazione ha correttamente riformato la sentenza appellata, enunciando alcuni principi che, si spera, costituiranno altrettanti punti fermi per i futuri pronunciamenti e per gli operatori del settore.
In primo luogo, la Suprema Corte stigmatizza l’equiparazione sottesa alle argomentazioni dell’Ufficio finanziario (5) tra abuso del diritto ed evasione fiscale o fattispecie illecita. Si tratta di una confusione nella quale è caduta la stessa Corte di Cassazione, in alcuni precedenti in termini (6), che tuttavia appare palesemente infondata (7). Ed invero l’abuso si connota proprio per il fatto che il comportamento tenuto non può essere tipizzato in alcuna fattispecie evasiva e dunque non può essere contrastato con i tradizionali strumenti dell’accertamento, poiché esso non si sostanzia nella violazione di specifiche disposizioni di legge. A tale riguardo, occorre porre attenzione anche alla valorizzazione dei profili di antieconomicità delle operazioni in funzione antiabuso, poiché si tratta di aspetti che, se riferiti a componenti negativi ovvero a componenti positivi del reddito d’impresa, in una parola alle transazioni dell’imprenditore, ben potrebbero essere apprezzati in un ambito più tipicamente accertativo, sub specie di difetto di inerenza, qualitativa o quantitativa che sia (8), ovvero di ricavi in nero (9).
Quanto alla nozione di abuso del diritto i giudici di legittimità, riprendendo l’origine comunitaria dell’istituto (10), affermano che i presupposti di riferimento sono due, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea: a) la sequenza negoziale critica procura un vantaggio fiscale contrario ai principi dell’ordinamento; b) tale vantaggio costituisce lo scopo preminente del comportamento posto in essere dal contribuente. Secondo la Suprema Corte, la natura “indebita” del trattamento fiscale applicato deve potersi desumere «dalla causa concreta della operazione negoziale sottesa al meccanismo giuridico contorto … volto ad aggirare la normativa tributaria e posto in atto per raggiungere lo scopo essenziale del risparmio d’imposta che in altro modo non sarebbe possibile conseguire».
Più oltre si legge in sentenza, condivisibilmente, che non necessariamente il contrasto ai comportamenti abusivi si traduce in una comparazione tra diverse operazioni negoziali a disposizione dell’impresa, poiché appare essenziale allo scopo accertare i “risultati” che la stessa ha conseguito, che ben potrebbero essere stati perseguiti attraverso una nuova atipica attività negoziale, insuscettibile per ciò stesso di comparazioni di sorta. Nel contempo la Suprema Corte delinea con precisione e linearità i diritti garantiti al contribuente dall’ordinamento che costituiscono altrettanti limiti all’illegittima espansione del concetto di abuso del diritto. Tali sono il diritto di scegliere il trattamento fiscale meno oneroso, laddove ciò sia consentito dalla normativa di riferimento, e la libertà delle scelte imprenditoriali, che sono espressione della libertà d’impresa, ex art. 41 Cost.
Stanti le suddette premesse argomentative, la Corte di Cassazione rileva ulteriormente come, nel caso di specie, la Commissione tributaria regionale abbia individuato il vantaggio indebito nella deduzione accelerata del costo di acquisizione del bene immobile, ottenuta attraverso l’imputazione a conto economico dei canoni di leasing anziché delle quote di ammortamento. Tali argomentazioni sono state tuttavia rigettate attraverso il ricorso ad un duplice ordine di considerazioni: a) la disciplina del TUIR pone sullo stesso piano, sotto il profilo dell’astratta ammissibilità, tanto l’acquisizione di un bene in proprietà quanto l’acquisizione a mezzo di un contratto di locazione finanziaria, seppure differenziandone gli effetti in termini di determinazione del reddito d’impresa, proprio in doverosa attuazione del suddetto principio della libertà d’impresa; b) nel caso di specie, non emergevano elementi sintomatici dell’anomalia del comportamento del contribuente, atteso che «l’ottima situazione economica, patrimoniale e finanziaria di una società non impedisce per ciò stesso alla stessa di attingere al credito al fine di procurarsi liquidità non necessariamente da destinare ad investimenti produttivi ma anche soltanto per riorganizzare la propria esposizione debitoria verso i fornitori e rinegoziare le passività verso la banca finanziatrice». Ma proprio qui sta l’unico aspetto a nostro avviso opinabile dell’intera costruzione interpretativa della Suprema Corte, per molti versi, equilibrata e apprezzabile, in punto di ponderazione degli interessi in gioco.
Invero, una volta acclarata la natura non indebita del vantaggio fiscale conseguito (11), l’indagine del giudice avrebbe dovuto fermarsi lì, senza ulteriormente indugiare sulla verifica di indizi espressivi di comportamenti anomali. Detto in altri termini, il trattamento tributario più favorevole, se comunque pienamente ammesso dall’ordinamento, è legittimamente perseguibile sia con sequenze comportamentali anomale sia attraverso negozi giuridici per così dire “ordinari”. L’anomalia della condotta del contribuente, di per sé, può solo essere sintomatica della volontà di aggirare divieti od obblighi della disciplina fiscale, ma se l’aggiramento è stato escluso, attraverso una corretta esegesi della norme o dei principi di riferimento, l’anomalia diventa irrilevante, salva ovviamente l’ipotesi di comportamenti propriamente evasivi (12). Nel caso deciso in sentenza non occorreva quindi dilungarsi nella confutazione delle argomentazioni dei giudici di merito, relativamente al fabbisogno di liquidità della società contribuente, poiché è palese che l’ordinamento accetta senza condizioni di sorta l’alternativa tra l’acquisto in proprietà e l’acquisizione in leasing. Queste considerazioni, come di seguito evidenziato, trovano oggi una inequivoca conferma nel testo del D.Lgs. n. 128/2015.
3. La nozione di abuso del diritto nell’attuazione della delega
Sotto il profilo strettamente definitorio, il già citato D.Lgs. n. 128/2015 fornisce un indubbio contributo di chiarezza. Nel nuovo art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), si legge che «configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti». Si precisa altresì che sono «indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato» (13). Si afferma inoltre, con formulazione chiaramente interpretativa, che «resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale».
Dalla vigente disciplina di legge (14) emerge con nitore che il vantaggio fiscale indebito rappresenta un elemento costitutivo dell’abuso del diritto e che la sua assenza, pertanto, ne inibisce all’origine la configurazione, quand’anche si realizzassero “operazioni prive di sostanza economica” ovverosia dinamiche negoziali anomale, anche sotto il profilo della rispondenza alle ordinarie logiche di mercato.
Vale peraltro subito confutare l’osservazione secondo cui la novella troverebbe applicazione solo pro futuro, in particolare, con riguardo anche alle «operazioni poste in essere in data anteriore alla loro [riferita al nuovo art. 10-bis, n.d.a.] efficacia per le quali, alla stessa data, non sia stato notificato il relativo atto impositivo» (15). Ostano a tale conclusione due ordini di considerazioni: in primo luogo, non va dimenticata la nozione di riferimento dell’abuso del diritto adottata dalla legge delega, ben tratteggiata nella relazione illustrativa allo schema di decreto attuativo. I criteri di delegazione sono infatti ispirati, da un lato, dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che nell’esperienza nazionale ha rappresentato la genesi dell’istituto, e, dall’altro, con riguardo alla materia armonizzata, dai pronunciamenti della Corte di Giustizia europea.
È quindi del tutto evidente che poiché lo scopo del legislatore era quello di tradurre in norme di diritto positivo le interpretazioni e le questioni già desumibili dal diritto vivente, l’esito del lavoro svolto non può che avere una portata sostanzialmente confermativa dell’esistente e semmai, si spera, correttiva di talune deviazioni della giurisprudenza di vertice.
Si aggiunga a ciò che, come già evidenziato a proposito della enunciata libertà di scelta tra regimi fiscali portanti un carico differente, in taluni punti è lo stesso tenore letterale utilizzato dal legislatore delegato ad avvalorare la natura non innovativa del provvedimento attuativo. Ecco quindi che la previsione recante l’efficacia differita della novella non può che essere rivolta a talune modalità procedurali introdotte con la disciplina in esame, quali ad esempio l’obbligo della richiesta di chiarimenti preventiva rispetto all’emanazione dell’atto di accertamento (16) o la proroga dei termini decadenziali dell’accertamento laddove l’esigenza di rispettare il termine di 60 giorni per la proposizione delle osservazioni del contribuente comporti il superamento del limite di legge. Si pensi ancora alla facoltà di presentazione dell’istanza di interpello, che in precedenza appariva gravemente pregiudicata dall’impossibilità di individuare una specifica disposizione di dubbia interpretazione.
L’auspicio è che la giurisprudenza di vertice si adegui prontamente allo spirito e alla lettera dell’intervento delegato, evitando “deragliamenti” che già tanti danni hanno prodotto alla tenuta e alla credibilità dell’intero sistema tributario.
Dott. Luigi Lovecchio
(1) A parte la circostanza, tutt’altro che irrilevante, della sua origine esclusivamente giurisprudenziale, in forte contrasto con il principio democratico della riserva di legge, scolpito nell’art. 23 Cost. Si rinvia in termini a M. BEGHIN, L’elusione fiscale e il principio del divieto di abuso del diritto, Padova, 2013, spec. 323 ss.
(2) Tra i precedenti in termini della Suprema Corte, si vedano Cass., sez. VI, 26 giugno 2013, ord. n. 15968, in Boll. Trib., 2014, 539; Cass., sez. VI, 20 maggio 2013, n. 12282, in Boll. Trib. On-line; e Cass., sez. trib., 8 aprile 2009, n. 8487, in Boll. Trib., 2009, 887.
(3) Cfr. Corte Giust. CE, grande sez., 21 febbraio 2006, causa C-255/02, in Boll. Trib. On-line.
(4) Sul processo di armonizzazione in corso in ambito UE per il tramite del recepimento anche delle fonti di soft law si veda, da ultimo, F. AMATUCCI, L’adeguamento dell’ordinamento tributario nazionale alle linee guida dell’Ocse e dell’UE in materia di lotta alla pianificazione fiscale aggressiva, in Riv. trim. dir. trib., 2015, 3 ss.; sull’argomento dell’integrazione giuridica si rinvia amplius a L. DEL FEDERICO, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010.
(5) Che aveva tra l’altro eccepito la nullità del contratto di lease back per illiceità della causa.
(6) Si veda ad esempio Cass. n. 15968/2013, cit.
(7) Sotto il profilo del trattamento sanzionatorio delle due fattispecie, la differenziazione è oggi marcata, a chiare lettere, nell’art. 8 della legge 23 marzo 2015, n. 23; sull’argomento, da ultimo, si veda S. SAMMARTINO, Sanzionabilità dell’elusione fiscale. Atti del convegno “Diritto tributario e diritto penale”, in Rass. trib., 2015, 403 ss.
(8) Sulla riconducibilità del comportamento antieconomico dell’imprenditore sempre e comunque a profili di inerenza qualitativa, si veda A. BALLANCIN, Inerenza, congruità ed onere della prova, in Rass. trib., 2013, 590 ss.
(9) Non è un caso che, come evidenziato più oltre, la contrarietà alle normali logiche di mercato è riferita, nel nuovo art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, all’utilizzo degli strumenti giuridici” e non alle transazioni effettuate dall’impresa.
(10) E apparentemente obliterando la matrice costituzionale dello stesso, desunta come noto dall’art. 53 Cost., con riferimento alla materia non armonizzata.
(11) Ammesso che tale sia anche in un’ottica sistematica, poiché è del tutto evidente che, in caso di cessione del bene immobile, la plusvalenza sarà verosimilmente maggiore nell’ipotesi dell’acquisizione del bene in leasing, stante la ridotta entità del costo fiscalmente riconosciuto allo stesso.
(12) Che, come osservato in sentenza, costituisce tuttavia fattispecie del tutto differente.
(13) Che costituisce fattispecie tutt’affatto diversa rispetto all’antieconomicità delle transazioni d’impresa, sintomatica dell’evasione vera e propria.
(14) Come per vero già dal tenore dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973.
(15) Così l’ultimo comma dell’art. 1 del D.Lgs. n. 128/2015.
(16) Ferma restando l’esigenza che il contraddittorio tra le parti sia comunque garantito, al più tardi, nella sede processuale, nelle forme di cui all’art. 101 c.p.c.; così, da ultimo, Corte Cost. 7 luglio 2015, n. 132, in Boll. Trib., 2015, 1272, con nota di V. AZZONI, Elusione fiscale e tutela del contribuente nell’accertamento ex art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973.
Accertamento imposte sui redditi e IVA – Abuso del diritto – Operazione abusiva – Condizioni – Ottenimento di un indebito vantaggio fiscale quale scopo essenziale dell’operazione – Necessità.
Accertamento imposte sui redditi e IVA – Abuso del diritto – Indebito vantaggio fiscale per contrarietà allo scopo perseguito dalle norme tributarie eluse – Individuazione nella causa concreta dell’operazione negoziale – Necessità.
Accertamento imposte sui redditi e IVA – Abuso del diritto – Scelta dell’operazione fiscalmente meno onerosa da parte del contribuente – Legittimità – Assoggettamento al regime fiscale proprio dell’operazione compiuta – Consegue – Conseguimento dei benefici fiscali propri di una determinata operazione negoziale mediante l’uso di strumenti diversi contemplanti regimi fiscali differenti – Esclusione.
Accertamento imposte sui redditi e IVA – Stipulazione di un contratto di sale and lease back – Abuso del diritto – Esclusione.
Accertamento imposte sui redditi e IVA – Acquisto di un bene immobile strumentale da parte dell’impresa – Successiva stipulazione di un contratto di sale and lease back – Abuso del diritto – Non sussiste – Impiego di qualunque strumento negoziale diretto a conseguire lo stesso risultato dell’utilizzo del bene immobile strumentale – Legittimità – Scelta dell’operazione negoziale fiscalmente meno onerosa – Non configura abuso del diritto.
Accertamento imposte sui redditi e IVA – Stipulazione di un contratto di sale and lease back – Assenza di attuali esigenze di liquidità da parte dell’impresa e/o previsione di una maxi-rata iniziale – Rientra nella libera determinazione negoziale delle parti – Abuso del diritto – Esclusione.
Accertamento imposte sui redditi e IVA – Stipulazione di un contratto di sale and lease back – Rientra nel libero esercizio dell’attività economica dell’impresa, sindacabile solo sotto il profilo della manifesta illogicità o antieconomicità dell’operazione – Prova dell’eventuale uso distorto degli strumenti negoziali da parte del contribuente – Incombe sull’Amministrazione finanziaria – In assenza di indizi sintomatici di anomalia dello schema negoziale utilizzato, l’opzione effettuata dall’impresa per un regime fiscale più favorevole non costituisce abuso del diritto.
In tema di abuso del diritto ai fini tributari, perché si possa parlare di pratica abusiva occorre che si verifichino due condizioni, ossia da un lato le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni comunitarie e nazionali, procurare un vantaggio fiscale la cui attribuzione sia contraria all’obiettivo perseguito da tali disposizioni e, dall’altro lato, deve risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo scopo essenziale delle operazioni controverse è l’ottenimento di detto vantaggio fiscale.
In tema di abuso del diritto ai fini tributari, l’elemento integrante l’indebito vantaggio fiscale per contrarietà allo scopo perseguito dalle norme tributarie eluse va ricercato nella causa concreta dell’operazione negoziale sottesa al meccanismo giuridico contorto volto ad aggirare la normativa tributaria, e posto in atto per raggiungere lo scopo essenziale del risparmio d’imposta che in altro modo non sarebbe possibile conseguire, rimanendo precluso l’utilizzo di strumenti o combinazioni negoziali, pur se esenti da vizi di nullità ex art. 1418 c.c., volti a realizzare un risultato fiscale non conforme a quello “normale” e cioè non conforme allo scopo voluto dalla norma tributaria elusa, avuto riguardo alla realtà effettuale dell’operazione economica e non al suo mero rivestimento giuridico.
In tema di abuso del diritto ai fini tributari, l’opzione del soggetto passivo per l’operazione negoziale che risulti fiscalmente meno gravosa non costituisce ex se condotta contraria allo scopo della disciplina normativa tributaria, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà di scelta, ma una volta esercitata tale facoltà di scelta l’operatore economico rimane soggetto al regime fiscale previsto in relazione ai presupposti impositivi od agevolativi considerati dalla norma fiscale che regola l’operazione compiuta, non essendo invece consentito all’operatore medesimo di conseguire i benefici fiscali, attribuiti in relazione all’effettuazione di una determinata operazione giuridico-economica, utilizzando strumenti negoziali diversi per i quali l’ordinamento tributario preveda un regime fiscale differente, anche se, in ipotesi, in entrambi i casi le operazioni realizzate pervengano allo stesso risultato economico finale.
In tema di abuso del diritto ai fini tributari, se non è dubitabile che il costo concernente un immobile strumentale costituisce componente negativo di reddito deducibile con il sistema delle quote di ammortamento, non è dato tuttavia rinvenire nell’ordinamento tributario alcun obbligo giuridico del soggetto che ha acquistato la proprietà del bene immobile strumentale di rimanere necessariamente vincolato a tale regime fiscale, atteso che, come rientra nella libera determinazione del soggetto-imprenditore la facoltà di optare tra l’acquisto della proprietà dell’immobile, versando immediatamente l’intero prezzo della compravendita, od invece l’utilizzazione del medesimo bene in leasing con clausola di riscatto finale della proprietà (leasing traslativo), modulando in tal modo il relativo impegno finanziario, o ancora il semplice utilizzo in godimento dell’immobile da rilasciare alla scadenza al concedente-proprietario (leasing finanziario puro), così non può ritenersi impedito all’operatore economico l’impiego di qualsiasi altro strumento negoziale diretto a conseguire il medesimo risultato dell’utilizzo del bene immobile strumentale, tra cui anche il contratto di sale and lease back (assunto ormai da tempo a contratto d’impresa socialmente tipico) in forza del quale l’impresa titolare della proprietà aliena il bene strumentale ad una società finanziaria, la quale ne paga il prezzo e contestualmente lo concede in locazione finanziaria alla stessa impresa venditrice, verso il pagamento di un canone e con possibilità di riacquisto del bene al termine del contratto, per un prezzo normalmente molto inferiore al suo valore; ciascuno dei casi indicati, infatti, comporta un proprio differente regime fiscale e la relativa applicazione, in quanto conseguenza diretta della scelta operata dall’impresa, non può evidentemente integrare “abuso del diritto” solo perché il soggetto si determina a compiere l’operazione negoziale fiscalmente meno onerosa.
In tema di abuso del diritto ai fini tributari, l’ottima situazione economica, patrimoniale e finanziaria di un’impresa non le impedisce per ciò stesso di attingere al credito a mezzo della stipulazione di un contratto di sale and lease back al fine di procurarsi liquidità non necessariamente da destinare ad investimenti produttivi, ma anche soltanto per riorganizzare la propria esposizione debitoria verso i fornitori e rinegoziare le passività verso la banca finanziatrice, di talché l’assenza di attuali esigenze di liquidità si risolve in un indizio meramente generico e non espressivo ex se di una “anomala” condotta imprenditoriale, al pari della pattuizione delle condizioni del contratto di sale and lease back, tra cui la previsione di una maxi-rata iniziale, che rientra nella libera determinazione negoziale delle parti e nella valutazione della convenienza economica dell’affare in relazione al costo di accesso al finanziamento offerto sul mercato dalle società di leasing; ne segue che nei suddetti elementi indiziari non può essere rinvenuta alcuna espressione di anomalia od irragionevolezza rispetto alle ordinarie logiche d’impresa, ben essendo rimessa all’esercizio dell’autonomia privata, di cui è espressione la libera iniziativa economica ex art. 41 Cost., la ricerca della forma di finanziamento ritenuta più opportuna, assolvendo ad uno specifico e concreto interesse economico dell’impresa l’estinzione di pregressi debiti o passività bancarie mediante l’acquisizione di nuova liquidità a condizioni di finanziamento ritenute convenienti a giudizio della stessa impresa.
In tema di abuso del diritto ai fini tributari, l’opzione tra l’acquisto in proprietà di un bene strumentale e la sua locazione finanziaria rientra nel libero esercizio dell’attività economica, non sindacabile sotto il profilo dell’opportunità ma solo sotto il profilo della manifesta illogicità o antieconomicità dell’operazione, e se non emergano elementi di alterazione della causa concreta del negozio di sale and lease back posto in essere dall’impresa contribuente ne segue che difetta del tutto l’elemento obiettivo di un uso “distorto” degli strumenti negoziali o di una “anomalia” nella condotta economica del soggetto-contribuente, sintomatici della pratica abusiva, la cui prova deve essere fornita dall’Amministrazione finanziaria, con le ulteriori conseguenze che: a) l’opzione effettuata dall’impresa per un regime fiscale più favorevole è del tutto conforme al principio affermato dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale secondo cui il soggetto passivo ha diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale; b) l’operazione effettuata dall’impresa, in assenza di indizi sintomatici di anomalia riferiti allo schema negoziale, in quanto volta a modificare la situazione proprietaria del bene immobile ed a procurarsi un nuovo finanziamento, non può per ciò stesso ritenersi abusiva, atteso che il regime fiscale applicabile concernente la “anticipata” deducibilità del componente negativo di reddito (canoni di leasing) costituisce la naturale conseguenza del fenomeno economico-giuridico che le parti hanno voluto realizzare, per cui all’effetto traslativo del diritto di proprietà sull’immobile ed alla concessione in locazione del medesimo bene corrispondono differenti regimi fiscali in ordine alla deducibilità dei costi; c) la scelta dell’impresa volta a realizzare un determinato assetto aziendale funzionale al suo esercizio, attuato sostituendo il regime della proprietà sul bene strumentale con il diritto di godimento sul medesimo bene, ben può essere determinata, anche prevalentemente, dall’obiettivo di conseguire un risparmio d’imposta, non comportando tale scelta alcun aggiramento delle norme fiscali sull’ammortamento, quanto piuttosto l’individuazione ex ante del regime giuridico dei beni aziendali più conveniente in relazione al regime fiscale meno gravoso, rendendosi pertanto del tutto irrilevante, ai fini dell’accertamento della pratica abusiva, l’elemento fondato sulla “intenzione” dell’impresa contribuente.
[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Piccininni, rel. Olivieri), 26 agosto 2015, sent. n. 17175, ric. Agenzia delle entrate c. Planungsbuero Pohl Der Focus Gmbh e Co kg]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con sentenza 28.1.2013 n. 6, la Commissione di II° grado di Bolzano, in parziale riforma della decisione di prime cure:
– dichiarava estinto il giudizio per intervenuta cessazione della materia del contendere nei confronti di B.H., quale socia di PPF GmbH e Co. KG, essendo stata definita la lite ai sensi dell’art. 39, comma 12, del D.L. n. 98/2011 conv. in legge n. 111/2011:
– rigettava l’appello incidentale proposto dalla società;
– accoglieva l’appello principale dell’Ufficio di Bolzano della Agenzia della Entrate, dichiarando legittimi gli avvisi di accertamento notificati alla predetta società ed al socio PSM, quanto alla prima, limitatamente alla maggiore IRAP dovuta per l’anno 2004, quanto al secondo, in relazione alla maggiore IRPEF dovuta per lo stesso anno d’imposta.
I Giudici territoriali ritenevano provata la fattispecie di “abuso di diritto” contestata dall’Ufficio, non ravvisando ragioni economiche diverse dal mero risparmio d’imposta nella condotta negoziale della società, che aveva stipulato con Centro Leasing Banca s.p.a. un contratto di “sale & lease back” avente ad oggetto un bene immobile, al solo scopo di realizzare il vantaggio fiscale derivante dal più favorevole regime di deduzione dei canoni di leasing, rispetto a quello previsto per le quote di ammortamento del costo di acquisto del bene, deducibili per un minore importo e scaglionate in un più lungo periodo. A tale conclusione i Giudici di merito pervenivano in base alla insussistenza della prova di concrete esigenze che giustificassero la necessità per la società di acquisire nuova liquidità, nonché in base alla corrispondenza intercorsa con la società di leasing dalla quale emergeva che i motivi della operazione erano di natura esclusivamente fiscale.
I Giudici di appello confermavano, invece, la decisione di prime cure relativamente alla statuizione di annullamento dell’avviso limitatamente alla pretesa della maggiore IVA, non essendo stato conseguito dalla società, in ordine a tale imposta, alcun vantaggio fiscale, nonché relativamente alla statuizione di annullamento della irrogazione delle sanzioni pecuniarie, in quanto non applicabili a fattispecie di abuso di diritto diverse da quelle contemplate nell’art. 37-bis Dpr n. 600/73.
La sentenza di appello è stata ritualmente impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Entrate che ha dedotto con due motivi, vizi di violazione di norme di diritto e, con nota depositata in Cancelleria in data 24.2.2014, ha chiesto rinvio della udienza fissata il 10.3.2014 avendo proposto la società contribuente, avverso la medesima sentenza di appello, ricorso per revocazione ed essendo stata disposta dalla Commissione tributaria di II° grado di Bolzano, con ordinanza 10.7.2013, prodotta in atti, la sospensione del termine per proporre la impugnazione per cassazione, ai sensi dell’art. 398 co.3 c.p.c.
Definito il giudizio di revocazione, la società ed il socio hanno ritualmente notificato alla Agenzia fiscale controricorso, proponendo avverso la medesima sentenza di appello contestuale ricorso incidentale, affidato a sei motivi.
La Agenzia ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. Con il primo motivo del ricorso principale la Agenzia fiscale deduce la violazione del principio [ndr. del divieto] dell’abuso diritto e dell’art. 19 Dpr n. 633/72, sostenendo che la CTR aveva errato a riconoscere il diritto alla detrazione della imposta versata in rivalsa dalla società sull’importo dei canoni di leasing liquidati nelle fatture emesse da Centro Leasing Banca s.p.a., in quanto la operazione commerciale “abusiva” era inopponibile alla Amministrazione finanziaria “senza distinzione alcuna tra le diverse tipologie di imposta”: pertanto una volta accertato l’abuso del diritto la CTR avrebbe dovuto ritenere la nullità del contratto di sale & lease back, per illiceità della causa (almeno così sembra interpretarsi l’argomento svolto a pag. 9 ricorso), costituendo il negozio in questione “uno schermo formale concordato per celare una operazione di finanziamento” e quindi “in realtà un contratto simulato”, con la conseguenza che doveva essere ritenuto inesistente anche il diritto alla detrazione IVA ex art. 19 D.P.R. n. 633/72.
1.1 Il motivo, che rispetta i requisiti minimi di autosufficienza ex art. 366 co.1 n. 4 c.p.c. (è individuata la statuizione impugnata; la critica si articola su di una interpretazione sistematica del principio di estrazione comunitaria del divieto di abuso del diritto in materia fiscale con la disciplina normativa che riconosce il diritto alla detrazione dell’IVA versata a monte), deve ritenersi infondato.
1.2 Il tentativo della Agenzia ricorrente di istituire una equiparazione tra fattispecie illecita e fattispecie abusiva in materia tributaria va incontro ad una evidente confusione di nozioni giuridiche distinte – non sovrapponibili, né complementari – che transitano dalla mancanza di causa del contratto, “non potendo le parti trasferire beni solo per trasferirli, e cioè senza perseguire uno scopo economico” (ricorso pag. 8), alla condotta illecita per frode fiscale, al vizio di nullità del contratto ed alla simulazione contrattuale (“appare evidente come il contratto di lease back costituisca in realtà uno schermo formale concordato per celare una operazione di finanziamento”: ricorso pag. 10 e 11), venendo ad individuare la ricorrente quale operazione dissimulata la stipula di contratto con causa di finanziamento, ipotesi che non era stata affatto considerata nel giudizio di merito in cui erano stati posti in comparazione, ai fini della dimostrazione dell’abuso, il regime di deducibilità fiscale del contratto di sale & lease back (che assolve tipicamente anche ad una causa di finanziamento – che non può, quindi, evidentemente ritenersi dissimulata, come afferma l’Agenzia ricorrente –) con il regime di deducibilità delle quote di ammortamento dei cespiti immobiliari, che la CTR aveva preso a riferimento come parametro della conformità fiscale.
1.3 La statuizione della sentenza della CTR, investita dal motivo, era incentrata, peraltro, sul fatto che la condotta abusiva non aveva generato perdite fiscali per l’Erario (né, corrispondentemente, “vantaggi fiscali” per la società) che aveva incassato l’IVA sia sul corrispettivo della vendita, che sui canoni di leasing. Ne segue che se non è dato individuare un indebito vantaggio fiscale, in ordine alla debenza IVA, conseguito dalla società stipulando il contratto di sale & lease back, non soltanto rispetto alla ipotesi (considerata dalla CTR) in cui la società avesse portato in deduzione le quote di ammortamento del valore degli immobili in proprietà (atteso che in tal caso non sussisterebbe proprio il presupposto impositivo ex art. 1 Dpr n. 633/72), ma neppure rispetto all’ipotizzato contratto di finanziamento (“dissimulato”), nulla in proposito essendo stato allegato dalla ricorrente, osserva il Collegio che l’errore di diritto contestato alla CTR si risolve in una mera astratta postulazione, non essendo dato comprendere in che modo sia stata realizzata la elusione dell’IVA, atteso che la Agenzia ricorrente ha omesso del tutto di indicare quale sia la perdita di gettito fiscale subita a causa nel negozio abusivo, e quindi quale sia la “maggiore” IVA che l’Erario avrebbe incassato qualora le operazioni di sale & lease back non fossero state compiute e la società contribuente avesse realizzato la diversa operazione negoziale da ritenersi fiscalmente corretta.
1.4 La oggettiva diversità dei presupposti impositivi riconducibili ai differenti tributi (nella specie IVA ed imposte dirette), tale che non può operare la interpretazione analogica o sistematica tra norme che appartengono alle diverse discipline delle singole imposte (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 22165 del 27/9/2013, con riferimento a norme di agevolazione fiscale previste ai fini IRPEG ed ILOR; id. Sez. 5, Sentenza n. 235 del 9/1/2014 secondo cui “nel processo tributaria l’efficacia espansiva del giudicato esterno non ricorre quando i separati giudizi riguardino tributi diversi (nella specie, IVA ed IRPEG – ILOR), stante la diversità strutturale delle suddette imposte, oggettivamente differenti, ancorché la pretesa impositiva sia fondata sui medesimi presupposti di fatto”), destituisce inoltre di qualsiasi pregio la tesi della Agenzia fiscale secondo cui l’abuso del diritto accertato in materia di imposte dirette comporterebbe automaticamente la eliminazione della operazione negoziale che sarebbe inidonea ad integrare qualsiasi altro presupposto d’imposta e, conseguentemente, a costituire la società contribuente titolare di debiti e crediti IVA in relazione alle fatture emesse e ricevute in dipendenza di detta operazione negoziale.
L’inopponibilità del negozio abusivo nei confronti della Amministrazione finanziaria deve, infatti, intendersi come inopponibilità relativa allo specifico tributo per il quale è stato accertato il conseguimento dell’indebito vantaggio fiscale, diversamente opinando – seguendo la tesi della ricorrente – si perverrebbe addirittura ad un risultato contrastante con l’ordinamento comunitario, determinandosi una perdita di entrate relative al tributo armonizzato nonostante si sia verificato il relativo presupposto d’imposta (nella specie infatti la operazione conclusa tra la società contribuente e la società di leasing non da luogo ad operazione oggettivamente nè soggettivamente inesistente), dovendo aggiungersi, al riguardo che, se non viene in contestazione la effettività dell’attività economica sottesa alla operazione negoziale, la perdita del diritto alla detrazione IVA, può verificarsi soltanto nel caso in cui si accerti la condotta fraudolenta o il tentativo di frode (e dunque in presenza di condotte illecite) ovvero che “che l’operazione controversa, nonostante il rispetto delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la recepisce, abbia il risultato di procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sia contraria all’obiettivo perseguito da queste disposizioni e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione controversa è il conseguimento di un vantaggio fiscale” (cfr. Corte di Giustizia CE sentenza in data 21.2.2006, causa C-255/02, Halifax pie, punto 74-75; id. sentenza in data 17.7.2014, causa C-272/13, Equoland soc. coop. a r.l., punto 39).
Nella specie difetta del tutto la prova del danno al bilancio dello Stato per mancato introito dell’IVA, palesandosi infondata la censura essendo conforme a diritto la statuizione della CTR che ha escluso, in difetto di un indebito vantaggio fiscale, l’abuso del diritto in relazione al rapporto tributario concernente l’IVA, riconoscendo alla società contribuente il diritto alla detrazione d’imposta versata in rivalsa sulle fatture emesse da Centro Leasing Banca s.p.a. per canoni di leasing.
2. L’esame del secondo motivo del ricorso principale deve essere rimandato dopo quello dei motivi del ricorso incidentale, vertendo su questione (irrogabilità di sanzioni pecuniarie in caso di condotta fiscale “abusiva”) dipendente dalla previa verifica di legittimità della statuizione della sentenza della CTR che accerta la sussistenza dell’abuso di potere in materia di imposte sui redditi.
3. Il primo motivo del ricorso incidentale, con il quale si censura la sentenza di appello per vizio di omessa motivazione ex art. 360co1 n. 5 c.p.c. non avendo la CTR esaminato il motivo di gravame incidentale concernente la nullità dell’avviso di accertamento in quanto privo di sottoscrizione del funzionario competente, deve essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse e per difetto di autosufficienza ex art. 360co1 n. 6 c.p.c., indipendentemente dalla erronea individuazione del parametro del sindacato di legittimità, atteso che attraverso l’errore di fatto i ricorrenti incidentali intendono piuttosto far valere il diverso vizio di nullità processuale, ex art. 360co1 n. 4 c.p.c., per omessa pronuncia su uno specifico motivo di gravame, in violazione dell’art. 112 c.p.c..
3.1 Emerge dalla stessa esposizione del motivo che la società, con il ricorso introduttivo e con l’appello incidentale, aveva contestato la invalidità degli avvisi di accertamento in quanto sottoscritti anziché dal Direttore dell’Ufficio emittente, da un funzionario amministrativo, e che, a fronte di tale contestazione, l’Ufficio finanziario aveva prodotto, in grado di appello, l’atto di delega di firma al funzionario “dirigente” GD, come previsto dall’art. 42 Dpr n. 600/73, (ricorso incid. pag. 35-36).
Non risulta che dopo la indicata produzione documentale la società abbia insistito nella eccezione o contestato anche la validità dell’“atto di delega”, con la conseguenza che, se da un lato, difetta uno specifico interesse a censurare il mancato esame di tale documento da parte della CTR, dall’altro, avendo i ricorrenti incidentali omesso di trascrivere il contenuto o gli elementi essenziali dell’atto di delega – e di allegare eventuali difformità nella riferibilità della sottoscrizione dell’avviso di accertamento al funzionario dirigente delegato alla firma –, il motivo di ricorso si palesa anche privo di autosufficienza.
4. Con il secondo motivo del ricorso incidentale la sentenza di appello viene impugnata per violazione degli artt. 37-bis, commi 4 e 5, e 42, comma 2, del Dpr n. 600/73, in relazione all’art. 360co1 n. 3 c.p.c. in quanto la CTR avrebbe erroneamente affermato che gli avvisi erano validamente motivati, sebbene non contenessero specifiche controdeduzioni ai chiarimenti forniti dal contribuente, come richiesto a pena di nullità dall’art. 37-bis Dpr n. 600/73.
4.1 Con il terzo motivo i ricorrenti incidentali deducono il vizio di violazione degli artt. 7 e 12, comma 7, della legge 212/2000, nonché dell’art. 42, comma 2, Dpr n. 600/73, in relazione all’art. 360co1 n. 3 c.p.c., essendo stati gli avvisi riconosciuti dalla CTR esenti da vizi motivazionali, sebbene la società all’esito della verifica avesse presentato proprie osservazioni e l’Ufficio accertatore non avesse svolto alcuna considerazione per disattenderle.
4.2 Entrambi i motivi debbono ritenersi inammissibili per difetto di autosufficienza ex art. 366co1, nn. 4 e 6 c.p.c..
Osserva il Collegio che l’atto impositivo prende in considerazione tanto i “chiarimenti”, quanto le “osservazioni” fornite dalla società contribuente, sia pure con laconica motivazione, affermando che gli stessi “non appaiono sufficienti a rideterminare la pretesa tributaria”. Ne segue che i ricorrenti incidentali per censurare la genericità e dunque la inidoneità di tale sintetica proposizione ad assolvere al requisito di validità della motivazione dell’avviso di accertamento avrebbero dovuto specificare e indicare i fatti, documenti, elementi di valutazione, nuovi e diversi da quelli già valutati dai verbalizzanti e riportati nel PVC, offerti all’esame dell’Ufficio con i chiarimenti e le osservazioni e tali da richiedere, pertanto, una puntuale controdeduzione nella motivazione dell’avviso da parte dell’Amministrazione fiscale.
A tale onere di autosufficienza non hanno adempiuto la società ed il socio in quanto:
– nel motivo non viene riportato il contenuto dei “chiarimenti” trasmessi alla Amministrazione finanziaria con nota 4.12.2009, sicché non è dato verificare se il contribuente avesse fornito all’Ufficio nuovi documenti od avesse prospettato nuove questioni od ulteriori ambiti di indagine rispetto a quelli già riportati ed esaminati dai verbalizzanti nel PVC, in tal caso rimanendo avvalorata la carenza motivazionale degli avvisi, o se, invece, il contribuente si fosse limitato semplicemente a ribadire genericamente la regolarità della operazione negoziale, apparendo evidente in quest’ultimo caso che, in difetto di nuovi elementi di fatto o di nuovi chiarimenti, la PA non era tenuta a contestare con gli avvisi, in modo specifico, la nota del 4.12.2009, non rispondendo alla “ratio legis” delle norme tributarie indicate in rubrica – volta a garantire la effettività del contraddittorio nella fase amministrativa – sanzionare con la nullità un adempimento meramente formalistico (autonoma motivazione) in quanto meramente riproduttivo della esposizione dei presupposti di fatto e delle ragioni in diritto che sorreggono la pretesa impositiva;
– non sono riportate nel motivo di ricorso le “osservazioni” che la società avrebbe formulato ai verbalizzanti il 21.4.2009, ai sensi dell’art. 12 legge n. 212/2000, all’esito della verifica fiscale (ric. incid. pag. 46), rimanendo in tal modo impedita alla Corte la necessaria verifica preliminare di coerenza della censura al vizio di legittimità denunciato, non essendo dato accertare se le questioni prospettate con dette “osservazioni” rivestissero il carattere della novità e specificità cui va ricollegata la insorgenza dell’obbligo di specifica controdeduzione da parte dell’Ufficio finanziario al fine di realizzare la effettività della garanzia del contraddittorio.
5. Il quarto motivo (vizio di omessa motivazione ex art. 360co1 n. 5 c.p.c.) è infondato.
5.1 I ricorrenti incidentali contestato la statuizione della CTR secondo cui “il provvedimento autorizzatorio all’accesso da parte dei verificatori contiene gli elementi fondamentali per esplicare i propri effetti”, sostenendo che l’atto amministrativo risulta privo di data, numero di protocollo e timbro dell’ufficio e le sigle illeggibili, in calce, del Tenente della Guardia di Finanza C.L., appaiono differenti potendo quindi “ragionevolmente dubitarsi che le stesse siano state apposte dalla medesima persona”.
5.2 Orbene per giurisprudenza consolidata di questa Corte la esistenza in concreto del potere amministrativo, che deve essere esercitato secondo forme procedimentali tipiche ed è – di regola – veicolato da provvedimenti formali, e la riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere, anche in presenza di lacune od irregolarità di taluni elementi, bene possono essere desunte dal contesto complessivo dell’atto stesso, essendo stato ritenuto esente da vizi di validità anche il provvedimento privo di sottoscrizione (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4923 del 2/3/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 4757 del 27/2/2009; id. Sez. 5, Sentenza n. 4283 del 23/2/2010; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11458 del 6/7/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 13461 del 27/7/2012).
5.3 Nella specie i ricorrenti incidentali si sono limitati a trascrivere soltanto la parte del documento relativa alle sigle sottoscritte, ma dallo stesso motivo di ricorso incidentale e dal controricorso al ricorso incidentale emerge in modo chiaro come l’ordine di servizio concerneva l’autorizzazione all’accesso nei locali della impresa per svolgere specifici accertamenti, indicando i militari autorizzati, il periodo della durata della verifica e gli anni d’imposta oggetto di indagine, e recando in calce sigle illeggibili del Comandante della Tenenza (Tenente LC).
I ricorrenti incidentali non contestano che il provvedimento autorizzatorio, allegato al PVC, fosse in possesso dei verbalizzanti al momento dell’accesso, rendendosi quindi del tutto irrilevante la mancanza della data nel provvedimento, atteso che l’elemento temporale di emissione dell’atto rileva esclusivamente ai fini della prova della necessaria anteriorità della autorizzazione (atto presupposto) rispetto all’accesso nei locali d’impresa ai fini della esecuzione delle operazioni di verifica.
Quanto alla assenza degli altri elementi formali, la riconducibilità del provvedimento autorizzatorio al Comandante della Tenenza competente per territorio, attestata dalla indicazione nell’atto della identità del sottoscrittore, consente di escludere qualsiasi incertezza in ordine alla provenienza della autorizzazione dall’organo titolare del relativo potere, e dunque rimane escluso l’effetto invalidante ipotizzato dai ricorrenti incidentali, tenuto conto che l’atto pubblico fa fede fino a querela di falso, ai sensi dell’art. 2700 c.c., della sua provenienza dal sottoscrittore, ed eventuali dubbi circa la effettiva paternità delle sigle illeggibili apposte in calce al provvedimento (difetto di genuinità) avrebbero dovuto essere fatti valere attraverso il rimedio appropriato della impugnazione per querela di falso materiale.
6. Anche il quinto motivo del ricorso incidentale, con il quale si deduce la nullità della sentenza di appello per carenza assoluta di motivazione (in punto di mancato accertamento delle valide ragioni economiche che giustificavano la operazione negoziale ed in punto di prova dell’indebito vantaggio fiscale conseguito attraverso detta operazione) ex artt. 132co2 n. 4, 118 disp. att. c.p.c.; art. 36co2, n. 4 D.lgs n. 546/1992, in relazione all’art. 360co1 n. 4 c.p.c., è infondato.
6.1 La motivazione svolta dalla CTR a sostegno della decisione impugnata è articolata su tre elementi indiziari ritenuti dai Giudici di appello dimostrativi della condotta “abusiva”: 1 – mancanza di immediate esigenze di liquidità per la società contribuente; 2 – inesistenza di altre concrete ragioni economiche della operazione di sale & lease back; 3 – illustrazione della convenienza fiscale della operazione, contenuta nel prospetto informativo fornito da Centro Leasing Banca s.p.a.
6.2 Nel motivo in esame i ricorrenti incidentali contestano i singoli elementi indiziari, allegando che la società non disponeva al tempo di liquidità sufficiente per acquistare gli immobili; che la operazione era diretta al procacciamento del finanziamento necessario per mantenere il possesso degli immobili da condurre in locazione (ric. incident. pag. 60 e 61).
Orbene la critica svolta nella esposizione del motivo non si attaglia affatto al denunciato vizio di nullità processuale per mancanza di un requisito formale di validità della sentenza, ma viene piuttosto a censurare la motivazione della sentenza per errori di fatto nella rilevazione e valutazione del materiale probatorio, e dunque in relazione a diverso parametro normativo del sindacato di legittimità (art. 360co1 n. 5 c.p.c.), circostanza questa antinomica rispetto alla dedotta nullità, in quanto presuppone, al contrario di quella, che la sentenza sia dotata di una motivazione (ove pure affetta da illogicità) e quindi presuppone la esistenza di quel requisito formale di validità di cui la sentenza, con il motivo in esame, si assume priva.
7. Con il sesto motivo del ricorso incidentale la sentenza di appello è impugnata per violazione dell’art. 53 Cost., dell’art. 37-bis Dpr n. 600/73, dell’art. 67, comma 8 (attuale art. 102) Dpr n. 917/1986 TUIR.
Sostengono i ricorrenti incidentali che i contratti di sale & lease back stipulati con Centro Leasing Banca s.p.a. non potevano ritenersi elusivi in quanto conclusi successivamente alla modifica legislativa del regime di deducibilità dei canoni di leasing immobiliare (per cui era previsto l’obbligo minimo di durata contrattuale di otto anni), costituendo tale disciplina una specifica misura antielusiva volta a rendere equivalente, sul piano fiscale, la scelta effettuata dall’operatore tra l’acquisto in proprietà dell’immobile – con deduzione dei costi per quote annuali secondo il piano di ammortamento – e la stipula di un contratto di leasing immobiliare – con deducibilità dei canoni per la durata minima di otto anni –, equivalenza riconosciuta dalla stessa Amministrazione finanziaria nelle risoluzioni 23.2.2004 n. 19/E, 10.5.2004 n. 69/E e 25.2.2005 n. 27/E, e che veniva ad escludere la astratta configurabilità di un indebito vantaggio fiscale.
Il motivo è fondato, dovendo risolversi la questione controversa alla stregua delle considerazioni svolte nel precedente di questa Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25758 del 5/12/2014 (cui adde Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 405 del 14/01/2015), alle quali il Collegio intende aderire.
Secondo la giurisprudenza comunitaria (la cui elaborazione della figura dell’abuso del diritto tributario in ambito di tributi armonizzati è stata recepita dalla giurisprudenza di legittimità ed estesa anche ai tributi non armonizzati) perché si possa parlare di pratica abusiva, occorre che si verifichino due condizioni. Da un lato, le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della direttiva IVA e della legislazione nazionale che la traspone, procurare un “vantaggio fiscale” la cui attribuzione sia contraria all’obiettivo perseguito da queste disposizioni. Dall’altro, deve risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo “scopo essenziale” dell’operazione controversa è l’ottenimento di detto vantaggio fiscale (v., in tal senso, Corte Giustizia sentenza 21.2.2006, causa C-255/02, Halifax pie, punti 74 e 75; id. sentenza in data 21.2.2008, causa C-425/06, Part Service s.r.l., punto 58; id. sentenza in data 27.10.2011, causa C-504/10, Tanoarch s.r.o., punto 52; id. sentenza in data 22.3.2012, causa C-153/11, Klub OOD; id. sentenza in data 20.6.2013, causa C-653/11, Newey, punto 46).
Orbene l’elemento integrante l’“indebito” vantaggio fiscale per “contrarietà” allo scopo perseguito dalle norme tributarie eluse, va ricercato nella causa concreta della operazione negoziale sottesa al “meccanismo giuridico contorto” (cfr. Corte Cass. 5 sez. 8.4.2009 n. 8487, id. 5 sez. 10.6.2011 n. 12788 che fanno riferimento ad un “uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico” id. 5 sez. 21.1.2011 n. 1372, id. 5 sez. 20.5.2011 n. 11236, id. 5 sez. 20.10.2011 n. 21782, id. 5 sez. 15.1.2014 n. 653 che fanno riferimento a “vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione od un risparmio d’imposta”; id. 5 sez. 30.11.2012 n. 21390 che si riferisce a “modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato”), volto ad aggirare la normativa tributaria, e posto in atto per raggiungere lo scopo essenziale del risparmio d’imposta che in altro modo non sarebbe possibile conseguire (cfr. Corte giustizia, Newey, cit. “il principio del divieto dell’abuso del diritto comporta il divieto delle costruzioni meramente artificiose”), rimanendo precluso l’utilizzo di strumenti o combinazioni negoziali, pur se esenti da vizi di nullità ex art. 1418 c.c., volti a realizzare un risultato fiscale non conforme a quello “normale” e cioè non conforme allo scopo voluto dalla norma tributaria elusa, avuto riguardo alla realtà effettuale della operazione economica e non al suo mero rivestimento giuridico (cfr. Corte Cass. 5 sez. 29.9.2006 n. 21221, che richiede di valutare l’operazione “nella sua essenza”; id. 5 sez. 21.11.2008 n. 27646 secondo cui occorre “cogliere la vera natura della prestazione ed assoggettarla ad imposizione per il suo effettivo contenuto”; id. 5 sez. 21.1.2009 n. 1465 ed id. 5 sez. 22.9.2010 n. 20029, per cui l’operazione economica deve essere valutata “tenuto conto sia della volontà delle parti implicate, che del contenuto fattuale e giuridico”; id. Sez. 6-5, Ordinanza n. 6835 del 19/03/2013 secondo cui la verifica della condotta abusiva “impone di privilegiare l’intrinseca natura e gli effetti giuridici, rispetto al titolo e alla forma apparente degli stessi, con la conseguenza che i concetti privatistici relativi all’autonomia negoziale regrediscono, di fronte alle esigenze antielusive poste dalla norma, a semplici elementi della fattispecie tributaria, per ricostruire la quale dovrà, dunque, darsi preminenza alla causa reale e complessiva dell’operazione economica, rispetto alle forme dei singoli negozi giuridici”; id. Sez. 5, Sentenza n. 17965 del 24/7/2013).
Nella specie il vantaggio fiscale “indebito” è stato individuato dalla Commissione tributaria nella forma “accelerata” di deducibilità del costo del bene materiale strumentale all’esercizio della impresa (rispetto alla ordinaria previsione di ammortamento del costo dei fabbricati industriali) della quale la società contribuente si è avvalsa utilizzando il regime fiscale più favorevole previsto dall’art. 67, comma 8 (vecchio) TUIR applicabile ratione temporis.
La indicata norma tributaria, infatti, in relazione ai contratti di leasing finanziario aventi ad oggetto beni immobili, consentiva alla impresa utilizzatrice la intera deducibilità dei canoni alla sola condizione che il contratto non avesse durata inferiore ad otto anni (le successive modifiche introdotte dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 5-ter, comma 1 conv. in L. 2 dicembre 2005, n. 248, non rilevano ai fini del presente giudizio in quanto trovano applicazione ai contratti di locazione finanziaria stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione, giusta il disposto dell’art. 5-ter, comma 2, della legge), e pertanto, adottando lo schema negoziale del contratto di “sale & lease back”, in assenza di valide ragioni apprezzabili sotto il profilo dei criteri di gestione della impresa (i Giudici di merito hanno fondato la decisione sulle seguenti rationes decidendi: 1 – non emergevano esigenze di acquisizione di liquidità da parte della società; 2 – il pagamento di una maxi-rata iniziale consentiva la pronta deducibilità dal reddito di un importo elevato; 3 – dai documenti della società di leasing acquisiti dai verbalizzanti, risultava che la operazione era stata eseguita eminentemente per fruire di un regime fiscale più favorevole), la società contribuente avrebbe inteso esclusivamente aggirare le norme tributarie che, in relazione ai costi di costruzione od acquisto di beni immobili strumentali, prevedevano una diluizione temporale maggiore della deducibilità delle quote di ammortamento.
7.1 Orbene osserva il Collegio che lo scopo delle norme che, in materia di imposte sui redditi, disciplinano l’ammortamento dei costi per beni strumentali è quello di evitare una scorretta rappresentazione del reddito d’impresa (tanto in relazione al principio di competenza ex art. 109 TUIR, quanto in considerazione del principio di autonomia delle obbligazioni tributarie relative a “ciascun periodo di imposta”, corrispondente, in difetto di diverse indicazioni legislative o statutarie, all’anno solare: art. 76 TUIR) e quindi una inesatta determinazione della base imponibile nel caso di deduzione di spese afferenti beni materiali strumentali il cui impiego e sfruttamento sia durevole nel tempo, venendo a riverberare la “abusiva” utilizzazione del differente regime di ammortamento previsto per i contratti di leasing, volta ad anticipare “indebitamente” la deducibilità del componente negativo di reddito, sul principio costituzionale di capacità contributiva del soggetto passivo. Pertanto, in astratta ipotesi, non può essere escluso a priori che il contribuente, attraverso un uso “distorto” di schemi negoziali, persegua uno scopo contrario a quello affidato alle norme tributarie che mirano alla corretta rappresentazione della effettiva capacità contributiva, venendo a fruire di un regime fiscale più favorevole, che – se pure previsto da specifiche norme tributarie – non è tuttavia corrispondente a quello – meno vantaggioso – che avrebbe dovuto essere applicato in quanto espressamente riservato, dalle norme tributarie eluse, alla “operazione economica sostanziale” che il contribuente ha inteso effettivamente realizzare, ottenendo in tal modo, abusando del diritto tributario, un “indebito” vantaggio fiscale.
7.2 La comparazione richiesta dalla norma tributaria non deve essere compiuta con riferimento alla scelta tra diverse operazioni negoziali che avrebbero potuto essere realizzate dalla impresa (non potendo l’Amministrazione finanziaria sindacare la preferenza per la acquisizione di liquidità mediante accesso al credito bancario, piuttosto che mediante contrazione di obbligazioni con i soci, o stipula di un mutuo, ovvero mediante lo schema negoziale del “sale & lease back”), quanto piuttosto con riferimento ai “risultati” che la impresa viene a conseguire con l’attività negoziale in concreto svolta (cfr. Corte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 12249 del 19/5/2010, che esamina un caso in cui non si pone alcuna necessità di individuare una operazione negoziale alternativa, ma si ravvisa l’abuso di diritto nella operazione negoziale intesa a sostituire mediante un rapporto di comodato da una società di capitali a soggetto non imprenditore – associazione sportiva composta dagli stessi soci della società di capitali – un complesso di beni organizzati in forma di azienda, venendo quindi in comparazione non la scelta di differenti ed alternative operazioni negoziali, ma la differente situazione fiscale in cui verserebbe la società di capitali ove non avesse realizzato l’atto elusivo), ben potendo – in ipotesi – non sussistere affatto una opzione alternativa tra schemi negoziali diversi ma egualmente idonei a realizzare il medesimo risultato economico-giuridico, come nel caso in cui emerga (all’esito di un accertamento in fatto, condotto in base alle specifiche circostanze concrete, e che deve essere comprovato dalle risultanze istruttorie) che l’impresa si sia determinata ad intraprendere una nuova attività negoziale – caratterizzata dall’abnorme o distorto utilizzo degli strumenti giuridici impiegati, o dalla manifesta incompatibilità od incoerenza rispetto alle logiche di mercato – al solo scopo di fornire una qualificazione giuridica diversa alla medesima situazione iniziale (acquisto di bene immobile, che consente l’ammortamento della spesa in quote annuali per un lungo periodo: art. 102, comma 2 TUIR – già art. 67, comma 2 TUIR –) manifestando la volontà di non realizzare – o di realizzare solo in misura trascurabile – il fine di finanziamento, qual è caratteristico del contratto di sale & lease back, per perseguire invece esclusivamente – od “essenzialmente” – l’obiettivo del vantaggio fiscale connesso alla deducibilità in notevole minore tempo (pari alla durata di otto anni del contratto) dell’originario costo di acquisto dell’immobile.
7.3 La ricostruzione della vicenda negoziale operata dalla Commissione tributaria viene dunque a fondarsi, da un lato, sull’assunto per cui, l’acquisto o la costruzione di un bene immobile strumentale all’esercizio della impresa (nella specie fabbricato industriale) determina “come conseguenza ineludibile” l’assoggettamento del contribuente allo specifico regime della deducibilità del relativo costo mediante quote annuali di ammortamento (secondo la disciplina ordinaria prevista dall’art. 67, commi 1-7, attuale art. 102, commi 1-6, TUIR) e, dall’altro, specularmente, sulla implicita negazione della facoltà del soggetto contribuente, che ha acquisito la proprietà del bene strumentale, di sottrarsi all’indicato regime fiscale mediante atti di disposizione del bene immobile in questione – non giustificati da puntuali esigenze di liquidità – al fine di ottenere, attraverso la stipula del contratto di “sale & lease back”, un finanziamento ed evitare gli oneri connessi all’appostamento in bilancio del bene come immobilizzazione materiale: secondo la CTR, pertanto, la società contribuente, avrebbe potuto egualmente ottenere nuova liquidità, anziché effettuando tale complessa operazione, limitandosi a stipulare un nuovo contratto di finanziamento bancario e continuando a dedurre annualmente le quote di ammortamento sul bene strumentale acquisito in proprietà.
7.4 Entrambi i postulati su cui poggia il ragionamento svolto dai Giudici tributari per qualificare abusiva la operazione economica non rivestono affatto la natura assiomatica che la Commissione tributaria ha inteso loro riconoscere.
7.5 Come più volte ribadito dalla giurisprudenza comunitaria e di legittimità la opzione del soggetto passivo per la operazione negoziale che risulti fiscalmente meno gravosa non costituisce ex se condotta “contraria” allo scopo della disciplina normativa tributaria, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà di scelta (cfr. Corte di Giustizia, sentenza Halifax, punto 73, cit., la 6^ direttiva in materia di IVA consente all’imprenditore la scelta tra operazioni esenti ed operazioni soggette ad imposta e pertanto non impone a tale soggetto “di scegliere quella che implica un maggior pagamento IVA. AI contrario … il soggetto passivo ha diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale”; conf. Corte di Giustizia, sentenza Part Service s.r.l., cit., punto 47. La legittimità dell’opzione fiscale più favorevole da parte del soggetto contribuente trova conferma anche nella giurisprudenza di questa Corte: Corte Cass. 5 sez. 29.9.2006 n. 21221; id. 5 sez. 12.5.2011 n. 10383, secondo cui non può mai integrare abuso del diritto la scelta dell’imprenditore di istallare stabilimenti industriali – costituendosi in forma societaria – nei territori del Mezzogiorno, così da fruire delle previste agevolazioni fiscali, atteso che “i detti risparmi fiscali … rappresentano la contropartita fissata dallo stesso legislatore ad incentivazione di tale costituzione e non una finalità antigiuridica”).
7.6 Esercitata tale facoltà di scelta l’operatore rimane soggetto al regime fiscale previsto in relazione ai presupposti impositivi od agevolativi considerati dalla norma tributaria che regola la operazione compiuta, non essendo invece consentito all’operatore economico conseguire i benefici fiscali, attribuiti in relazione alla effettuazione di una determinata operazione giuridico – economica, utilizzando strumenti negoziali diversi per i quali l’ordinamento tributario prevede un regime fiscale differente, anche se – in ipotesi – in entrambi i casi le operazioni realizzate pervengano allo stesso risultato economico finale (è l’ipotesi considerata da Corte di Giustizia, sentenza 9.10.2001, causa C-108/99, Cantor Fitzgerald International, punti 31 e 32, richiamata anche nella sentenza Halifax: il Giudice di Lussemburgo chiamato a pronunciarsi sulla questione pregiudiziale se l’art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva – che dispone la esenzione IVA per le prestazioni di servizi concernenti la locazione di beni immobili – fosse applicabile alla operazione negoziale che prevedeva il subentro di un terzo – CFI – nel contratto di locazione relativo ad immobile di proprietà del locatore, con assunzione dei debiti insoluti, dietro pagamento di un corrispettivo da parte dell’originario conduttore – Wako – che intendeva in tal modo evitare la prosecuzione del contratto locativo, ha statuito chiaramente che: “57. È vero che la Wako avrebbe potuto rimanere locatario e sublocare l’immobile alla CFI ad un prezzo meno elevato di quello che doveva pagare al proprietario o ch’essa avrebbe potuto versare un’indennità al proprietario affinché questi accettasse lo scioglimento anticipato del contratto. In tali due ipotesi l’effetto economico sarebbe stato analogo a quello dell’operazione di cui alla causa principale senza che gli interessati dovessero corrispondere l’IVA. 32. Una circostanza siffatta non autorizza però ad interpretare l’art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva nel senso che sarebbe del pari applicabile ad una prestazione di servizi non implicante la cessione del diritto di occupazione di un immobile …”).
7.7 Tanto premesso osserva il Collegio che, se non è dubitabile che il costo concernente un immobile strumentale costituisce componente negativo di reddito deducibile con il sistema delle quote di ammortamento, non è dato tuttavia rinvenire nell’ordinamento tributario alcun obbligo giuridico del soggetto che ha acquistato la proprietà del bene immobile strumentale di rimanere necessariamente vincolato a tale regime fiscale, atteso che, come rientra nella libera determinazione del soggetto-imprenditore la facoltà di optare tra l’acquisto della proprietà dell’immobile, versando immediatamente l’intero prezzo della compravendita, od invece la utilizzazione del medesimo bene in leasing con clausola di riscatto finale della proprietà (leasing traslativo), modulando in tal modo il relativo impegno finanziario, o ancora il semplice utilizzo in godimento del bene immobile da rilasciare alla scadenza al concedente-proprietario (leasing finanziario puro), così non può ritenersi impedito all’operatore economico l’impiego di qualsiasi altro strumento negoziale – diretto a conseguire il medesimo risultato dell’utilizzo del bene immobile strumentale – tra cui anche, per quanto interessa la presente fattispecie, il contratto di “sale & lease back” (assunto ormai da tempo a “contratto d’impresa socialmente tipico” – Corte Cass. 3 sez. 16.10.1995 n. 10805; id. 3 sez. 6.8.2004 n. 15178; id. 3 sez. 21.7.2004 n. 13580; id. 3 sez. 21.1.2005 n. 1273; id. 3 sez. 14.3.2006 n. 5438; id. 5 sez. 25.5.2009 n. 12044 – e che ha ricevuto anche espresso riconoscimento normativo nell’art. 2425-bis c.c., in tema di iscrizione a bilancio delle plusvalenze derivanti appunto da “operazioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore”) in forza del quale l’impresa titolare della proprietà aliena il bene strumentale ad una società finanziaria, la quale ne paga il prezzo e contestualmente lo concede in locazione finanziaria alla stessa impresa venditrice, verso il pagamento di un canone e con possibilità di riacquisto del bene al termine del contratto, per un prezzo normalmente molto inferiore al suo valore. Ciascuno dei casi indicati, infatti, comporta un proprio differente regime fiscale (prezzo di vendita; canone di leasing; plusvalenza), e la relativa applicazione – in quanto conseguenza diretta della scelta operata dall’impresa – non può, evidentemente, integrare “abuso del diritto” solo perché il soggetto si determina a compiere la operazione negoziale fiscalmente meno onerosa.
7.8 Occorre, infatti, che ulteriori elementi circostanziali emergano dalla fattispecie concreta sottoposta all’esame del Giudice affinché la operazione possa connotarsi come pratica abusiva non consentita.
Orbene gli elementi fattuali caratterizzanti la peculiare fattispecie, valorizzati a tal fine dalla Commissione tributaria, vengono individuati: 1 – nella solidità e buona liquidità della impresa che non giustificava il negozio di finanziamento con la cessione dell’immobile; 2 – nel rilevante importo della maxi-rata iniziale del leasing; 3 – nei documenti raccolti presso Centro Leasing, dai quali emergeva che la operazione veniva condotta solo per motivi fiscali. Tali elementi vengono considerati dai Giudici di merito sintomatici dell’abuso di diritto tributario.
7.9 La conclusione raggiunta dai Giudici territoriali non appare conforme ai principi di diritto enunciati in tema di “abuso del diritto”, sopra richiamati.
7.10 Rileva il Collegio, quanto al primo elemento, che l’ottima situazione economica, patrimoniale e finanziaria di una società, non impedisce per ciò stesso alla stessa di attingere al credito al fine di procurarsi liquidità non necessariamente da destinare ad investimenti produttivi ma anche soltanto per riorganizzare la propria esposizione debitoria verso i fornitori e rinegoziare, come nel caso di specie, le passività verso la banca finanziatrice: la assenza di attuali esigenze di liquidità si risolve dunque in un indizio meramente generico e non espressivo ex se di una “anomala” condotta imprenditoriale.
La pattuizione delle condizioni del contratto di “sale & lease back”, tra cui la previsione di una maxi-rata iniziale, rientra nella libera determinazione negoziale delle parti e nella valutazione della convenienza economica dell’affare in relazione al costo di accesso al finanziamento offerto sul mercato dalle società di leasing: difetta la prova – nulla, al riguardo, avendo accertato la CTR – che la previsione di tale condizione integri un elemento difforme od abnorme rispetto alla attuazione dello schema del contratto di “sale & lease back” affermatosi nella prassi commerciale, è dunque viene meno anche la efficacia indiziaria di tale circostanza.
7.11 Ne segue che alcuna espressione di anomalia od irragionevolezza rispetto alle ordinarie logiche d’impresa può essere rinvenuta negli elementi indiziari sopra indicati, bene essendo rimessa all’esercizio della autonomia privata, di cui la libera iniziativa economica ex art. 41 Cost., comma 1, è espressione, la ricerca della forma di finanziamento ritenuta più opportuna (accesso al credito bancario nelle diverse forme negoziali previste; investimento in strumenti finanziari; delibera di nuovi conferimenti da parte dei soci; emissione di obbligazioni; stipula di contratti di leasing o di lease back, ecc), assolvendo ad uno specifico e concreto interesse economico della impresa la estinzione di pregressi debiti o passività bancarie mediante l’acquisizione di nuova liquidità a condizioni di finanziamento ritenute convenienti a giudizio della stessa impresa (quanto a tasso di interesse e scadenze previste per la restituzione dei canoni). E tale libertà d’impresa non solo non è – né potrebbe essere – disconosciuta dall’ordinamento tributario, ma trova invece diretto riscontro in quest’ultime (come esattamente rilevato dalla difesa della ricorrente), avendo espressamente considerato il Legislatore, accanto alla disciplina ordinaria dell’ammortamento del costo degli immobili strumentali, anche la ipotesi alternativa della deduzione dei costi di finanziamento diretti all’acquisto del bene immobile strumentale ovvero dei canoni di leasing, considerando tendenzialmente equivalente “nel lungo periodo” – avuto riguardo alla natura durevole del bene ed alla sua funzione strumentale – la incidenza sul reddito d’impresa della spesa sostenuta dal proprietario del bene e dall’utilizzatore del bene in leasing (tale equiparazione può trovare, evidentemente, giustificazione soltanto nel caso in cui la deduzione dei canoni della locazione finanziaria sia distribuita su un lungo periodo: in tal senso gli interventi legislativi di modifica dell’art. 102 TUIR hanno progressivamente incrementato la durata del periodo di deducibilità dei canoni dei beni immobili strumentali: D.L. 30 settembre 2005, n. 203, conv. in L. 2 dicembre 2005, n. 248; da ultimo D.L. 2 marzo 2012, n. 16, conv. in L. 26 aprile 2012, n. 44).
7.12 Pertanto, se la opzione tra l’acquisto in proprietà [di, n.d.r.] un bene strumentale e la locazione finanziaria avente ad oggetto il medesimo bene, rientra nel libero esercizio della attività economica, non sindacabile sotto il profilo della opportunità ma soltanto sotto il profilo della “manifesta illogicità” od “antieconomicità” della operazione, e se nella specie non sono emerse, alla stregua dell’accertamento condotto dalla CTR, elementi di “alterazione” della causa concreta del negozio di “sale & lease back”, ne segue che difetta del tutto, nella fattispecie in esame, l’elemento obiettivo di un uso “distorto” degli strumenti negoziali o di una “anomalia” nella condotta economica del soggetto-contribuente, sintomatici della pratica abusiva (la prova del quale deve essere fornita dall’Amministrazione finanziaria: Corte Cass. 5 sez. 21.1.2009 n. 1465; id. 5 sez. 22.9.2010 n. 20029), con la ulteriore conseguenza:
a) che la opzione effettuata dalla società contribuente per un regime fiscale più favorevole, è del tutto conforme al principio affermato dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale secondo cui “il soggetto passivo ha diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli permette di limitare la sua contribuzione fiscale”;
b) che la operazione effettuata dalla società contribuente – in assenza di indizi sintomatici di anomalia riferiti allo schema negoziale –, in quanto volta a modificare la situazione proprietaria del bene immobile ed a procurarsi un nuovo finanziamento, non può per ciò stesso ritenersi abusiva, atteso che il regime fiscale applicabile, concernente la “anticipata” deducibilità del componente negativo di reddito (canoni di leasing), costituisce la naturale conseguenza del fenomeno economico-giuridico che le parti hanno voluto realizzare, per cui all’effetto traslativo del diritto di proprietà sul bene immobile ed alla concessione in locazione del medesime bene corrispondono differenti regimi fiscali in ordine alla deducibilità dei costi;
c) che la scelta dell’operatore rivolta a realizzare un determinato assetto aziendale funzionale all’esercizio della impresa – attuato sostituendo il regime della proprietà sul bene strumentale, con il diritto di godimento sul medesimo bene – bene può essere determinata, anche prevalentemente, dall’obiettivo di conseguire un risparmio d’imposta, non comportando tale scelta alcun “aggiramento” delle norme fiscali sull’ammortamento, quanto piuttosto la individuazione ex ante del regime giuridico dei beni aziendali più conveniente in relazione al regime fiscale meno gravoso, rendendosi pertanto del tutto irrilevante, ai fini dell’accertamento della pratica abusiva, l’elemento fondato sulla “intenzione” della società contribuente che, dalla documentazione rivenuta presso la società di leasing, risultava essersi determinata ad optare tra il mantenimento in proprietà e la concessione in godimento del bene immobile eminentemente in relazione al più favorevole regime fiscale.
7.13 Il fatto che tale operazione comportasse anche un più favorevole regime fiscale della deducibilità dei costi, non è “ex se” sufficiente ad integrare la figura dell’abuso di diritto, non essendo giuridicamente sostenibile la tesi della Commissione tributaria secondo cui la società, con lo schema negoziale in questione, avrebbe aggirato le norme sulle imposte sui redditi che sarebbero state applicate laddove, rimanendo proprietaria dell’immobile, avesse stipulato con la banca un nuovo finanziamento: è appena il caso di rilevare come tale argomento confligge palesemente con il diritto d’impresa costituzionalmente tutelato, ed implica una indebita invasione nella sfera delle scelte imprenditoriali che non possono essere sindacate dagli Uffici finanziari alla stregua dei criteri di opportunità e convenienza, ma soltanto ove le operazioni evidenzino caratteri di antieconomicità ed irrazionalità tali da richiedere una specifica giustificazione della condotta tenuta dalla impresa, non essendo dato rinvenire nell’ordinamento tributario norme che vincolino il soggetto imprenditore a ricorrere a determinate modalità di finanziamento piuttosto che ad altre.
7.14 Conseguentemente il sesto motivo del ricorso incidentale è fondato e la sentenza di appello deve, pertanto, essere cassata, rimanendo assorbito l’esame del settimo motivo del ricorso incidentale, nonché l’esame del secondo motivo del ricorso principale, con il quale l’Agenzia fiscale ha dedotto la violazione dell’art. 37-bis, comma 6, Dpr n. 600/73, e dell’art. 1, comma 2, Dlgs n. 546/1997 (recte: n. 471/1997), sul presupposto che i Giudici territoriali avevano errato nel ritenere non sanzionabili le fattispecie di abuso non tipizzate nell’art. 36-bis Dpr n. 600/73, in quanto l’illecito tributario doveva ravvisarsi, comunque, “per il solo fatto che la dichiarazione del contribuente sia difforme rispetto all’accertamento”, venendo ad essere privata di rilevanza la questione dipendente concernente la irrogabilità delle sanzioni pecuniarie in difetto di accertamento di una operazione negoziale integrante abuso del diritto.
8. In conclusione il ricorso principale deve essere rigettato (primo motivo infondato; secondo motivo assorbito), il ricorso incidentale deve essere accolto (fondato il sesto motivo, assorbito il settimo, infondati il quarto ed il quinto, inammissibili gli altri), la sentenza impugnata deve essere cassata e, non occorrendo disporre ulteriori accertamenti istruttori la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384co2 c.p.c. con l’accoglimento dei ricorsi introduttivi proposti dalla società e dal socio e la condanna dell’Amministrazione fiscale alla rifusione delle spese di lite che si liquidano in dispositivo, non sussistendo a carico della parte ricorrente principale i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo dovuto a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-bis, del Dpr n. 115/2002, trattandosi di parte pubblica istituzionalmente esonerata, per valutazione normativa della sua qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/3/2014; id. Sez. 6 – L, Sentenza n. 23514 del 5/11/2014).
P.Q.M. – La Corte:
– rigetta il ricorso principale (infondato il primo motivo, assorbito il secondo); accoglie il ricorso incidentale, quanto al sesto motivo (infondati il quarto ed il quinto motivo; assorbito il settimo; inammissibili il primo, secondo e terzo motivo); cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie i ricorsi introduttivi proposti dalla società e dal socio e condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite che liquida a favore dei ricorrenti in solido in Euro 8.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi oltre agli accessori di legge, dichiarando compensate tra le parti le spese relative ai gradi merito.