Circolare 1 aprile 2016, n. 9/E, dell’Agenzia delle entrate
INDICE:
PREMESSA
1. IL DIRITTO DI INTERPELLO NELLO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE
1.1 L’interpello ordinario puro e l’interpello qualificatorio
1.2 L’interpello probatorio
1.3 L’interpello anti-abuso
1.4 L’interpello disapplicativo
2. LE NUOVE REGOLE COMUNI ALLE ISTANZE DI INTERPELLO
2.1 La presentazione delle istanze
2.1.1 Legittimazione degli istanti
2.1.2 Competenza degli uffici
2.1.3 Modalità di presentazione delle istanze
3. LE ISTANZE DI INTERPELLO
3.1.1 Preventività delle istanze e non interferenza con le attività di controllo
3.1.2 Obiettive condizioni di incertezza
3.1.3 Contenuto delle istanze
4. IL PROCEDIMENTO DI ISTRUTTORIA DELL’INTERPELLO
4.1 La richiesta di regolarizzazione
4.2 La richiesta di documentazione integrativa
4.3 La risposta dell’amministrazione
4.3.1 Le risposte ad istanze inammissibili
4.4 La rettifica della risposta
4.5 La rinuncia
4.6 GLI EFFETTI DELLA RISPOSTA ALL’INTERPELLO SULL’ATTIVITÀ DI ACCERTAMENTO
6. GLI EFFETTI DELLA RISPOSTA ALL’INTERPELLO SUL CONTENZIOSO
7. SEGNALAZIONI
- TRATTAMENTO SANZIONATORIO.
“PREMESSA
La legge 11 marzo 2014, n. 23 rubricata “Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita” (d’ora in avanti legge delega) nel contesto dell’articolo 6 dedicato anche alla gestione del rischio fiscale, governance aziendale ed al sistema del tutoraggio, ha dettato importanti linee guida per la revisione dell’istituto dell’interpello, essenzialmente incentrate su tre distinte esigenze:
- garantire una maggiore omogeneità nel contesto della disciplina, sia per quanto attiene alla classificazione delle diverse tipologie sia, principalmente, per quanto riguarda la regolamentazione degli effetti e della procedura applicabile;
- ridurre i tempi complessivi di lavorazione delle istanze per assicurare una maggiore tempestività nella redazione dei pareri;
- procedere ad una razionalizzazione dell’istituto anche attraverso la tendenziale eliminazione delle forme di interpello “obbligatorio”, attraverso un bilanciamento del peso degli oneri posti a carico dei contribuenti rispetto ai benefici, valutabili essenzialmente in termini di monitoraggio preventivo, per l’amministrazione finanziaria.
Il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 (d’ora in avanti decreto), pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 233 del 7 ottobre 2015, al Titolo I, rubricato Revisione della disciplina degli interpelli, in attuazione delle indicazioni di principio contenute nella legge delega, ha provveduto ad un riordino complessivo del sistema:
- intervenendo sull’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante Statuto dei diritti del contribuente (d’ora in avanti Statuto) modificando, fin dalla rubrica, la precedente formulazione della norma al fine di sostituire il riferimento all’interpello ordinario col riferimento all’istituto dell’interpello in tutte le sue articolazioni (articolo 1);
- declinando espressamente i requisiti, estrinseci ed intrinseci, per la valida presentazione dell’istanza (articolo 2, titolato “Legittimazione e presupposti” ed articolo 3 “Contenuto dell’istanza”);
- disciplinando l’istruttoria ed i tempi di lavorazione delle istanze (in parte contenuti nel nuovo articolo 11 dello Statuto ed in parte disciplinati dalle nuove regole di “Istruttoria dell’interpello” di cui all’articolo 4);
- codificando espressamente le cause di inammissibilità delle istanze secondo un approccio contrassegnato da una esigenza di tipicità a garanzia del contribuente.
Il decreto, all’articolo 7, contiene una serie di interventi di modifica alle norme sostanziali vigenti finalizzati a renderle compatibili con la nuova disciplina, mediante l’aggiornamento dei riferimenti normativi e la ristrutturazione delle disposizioni che facevano riferimento ad interpelli considerati, secondo la previgente disciplina, obbligatori.
L’articolo 8, infine, per quanto di interesse ai fini della presente circolare, rinvia ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, da emanare entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto, che individui le modalità di presentazione delle istanze, gli uffici competenti ai fini della presentazione ed ai fini delle risposte, le modalità di comunicazione delle medesime, nonché ogni altra regola concernente la procedura. Per espressa previsione di legge, alle istanze presentate fino alla data di pubblicazione del provvedimento, si applicano le disposizioni procedurali previgenti, in vigore, appunto, al momento della presentazione.
La disposizione è stata dettata al fine di dare una più compiuta attuazione alla esigenza di omogeneità della disciplina, in quanto, attraverso il rinvio al provvedimento, il decreto ha inteso individuare un nuovo corpus di regole procedurali che non hanno trovato posto nelle fonti primarie, con l’obiettivo di sostituire la disciplina procedurale attualmente contenuta in varie fonti secondarie. È, infatti, evidente che non risulta compatibile con le indicazioni della legge delega un sistema caratterizzato dalla presenza di diversi decreti attuativi, tendenzialmente diversificati per le singole tipologie di interpello e contemplanti regole non omogenee sotto vari profili (a titolo di esempio, cfr. decreto ministeriale 13 giugno 1997, n. 195; decreto ministeriale 19 giugno 1998, n. 259; decreto ministeriale 26 aprile 2001, n. 209; decreto ministeriale 21 novembre 2001, n. 429).
In attuazione dell’articolo 8, il 4 gennaio 2016 è stato pubblicato il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate (d’ora in avanti Provvedimento) contenente le nuove disposizioni procedurali applicabili alle istanze validamente presentate a partire dalla predetta data.
Ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 156 del 2015, la novella è entrata in vigore il 1° gennaio 2016.
Ai sensi dell’articolo 8, comma 4, del medesimo decreto, come appena chiarito, le nuove disposizioni procedurali sono applicabili alle istanze presentate a partire dalla emanazione del provvedimento.
Per effetto di entrambe le previsioni sopra riportate:
- per le istanze presentate all’ufficio competente fino al 31 dicembre 2015 restano valide le disposizioni di legge previgenti e le disposizioni procedurali contenute nel decreto attuativo di riferimento per la specifica tipologia di interpello presentato;
- per le istanze presentate all’ufficio competente a partire dal 1 gennaio 2016 trovano applicazione le regole del decreto, con l’ulteriore distinzione tra istanze validamente presentate fino al 3 gennaio 2016 (che restano assoggettate alle regole procedurali previgenti) e per quelle presentate dal 4 gennaio 2016 cui si applicano le nuove disposizioni procedurali contenute nel Provvedimento.
La presente circolare fornisce chiarimenti in ordine alla disciplina sostanziale e procedurale dell’interpello del contribuente con riferimento alle istanze relative ai tributi amministrati dall’Agenzia delle Entrate.
In considerazione della specialità del rapporto nel cui contesto si inseriscono e di alcune peculiarità che caratterizzano anche l’istruttoria delle istanze, non da ultimo la contrazione del tempi di risposta, restano fuori dalla disciplina in argomento quelle presentate dai soggetti che accedono al regime dell’adempimento collaborativo di cui al Titolo III del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128
Dall’area degli interpelli in esame, inoltre, devono intendersi escluse:
- le ipotesi rientranti nell’ambito applicativo dei nuovi accordi preventivi per le imprese con attività internazionale di cui all’articolo 31 ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600;
- le ipotesi costituenti “nuovo investimento” nell’accezione prevista dall’articolo 2 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 per le quali è possibile attivare la procedura di interpello speciale “dedicata” ivi prevista.
Con specifico riferimento a questa seconda tipologia, ancorché l’esclusione sia declinata espressamente dall’articolo 11 dello Statuto con riguardo alla figura dell’interpello ordinario (comma 1, lettera a)), la stessa deve intendersi riferita ad ogni tipo di richiesta formulata dal contribuente, essendo evidente che l’area dell’interpello “nuovi investimenti” copre – per espressa previsione dell’articolo 2, comma 1, del citato decreto 147 del 2015 – ogni quesito formulabile dal contribuente in sede di interpello ai sensi dei commi 1 e 2 dell’articolo 11 dello Statuto (anche “la valutazione preventiva circa l’eventuale assenza di abuso del diritto fiscale o di elusione”, “la sussistenza delle condizioni per la disapplicazione di disposizioni antielusive” e “l’accesso ad eventuali regimi o istituti previsti dall’ordinamento tributario”).
1. IL DIRITTO DI INTERPELLO NELLO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE
Con l’articolo 1 del decreto, come anticipato, sono state apportate significative modifiche alla disciplina contenuta nell’articolo 11 dello Statuto, essenzialmente dirette, come premesso, a sostituire il riferimento all’interpello concernente “l’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni medesime” (interpello cd. ordinario) con l’interpello in quanto tale nelle sue varie forme che lo stesso nuovo articolo 11, ai commi 1 e 2, declina e specifica.
Ai sensi del comma 1 dell’articolo 11, infatti, il contribuente può interpellare l’amministrazione finanziaria al fine di ottenere un parere relativamente ad un caso concreto e personale con riferimento:
- all’applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di tali disposizioni (d’ora in avanti cd. interpello ordinario “puro”) ed alla corretta qualificazione (d’ora in avanti interpello qualificatorio) di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime, ove ricorrano condizioni di obiettiva incertezza (lettera a));
- alla sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti (interpello probatorio) (lettera b));
- all’applicazione della disciplina sull’abuso del diritto ad una specifica fattispecie (interpello antiabuso) (lettera c)).
Ai sensi del comma 2, invece, il contribuente interpella l’amministrazione finanziaria per la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi.
L’autonoma collocazione di questa tipologia di interpello rispetto alle fattispecie di cui al comma 1 e la differente locuzione utilizzata (“il contribuente interpella” in luogo de “il contribuente può interpellare”) confermano che, attraverso la nuova formulazione dello Statuto, il legislatore ha inteso delimitare l’area dei cosiddetti “interpelli obbligatori” a quelli previsti al comma 2.
1.1 L’interpello ordinario puro e l’interpello qualificatorio. L’interpello ordinario “puro” si pone in linea di assoluta continuità con le previgenti disposizioni statutarie; attraverso l’utilizzo delle medesime locuzioni contenute nella vecchia formulazione dell’articolo 11 viene, infatti, confermata la struttura dell’interpello come strumento “generale” di dialogo, attivabile in relazione a qualsiasi disposizione di legge che si presenti obiettivamente incerta nella sua applicazione alla fattispecie concreta e personale.
Come è agevole ricordare, tuttavia, sulla base della previgente normativa (salvo ipotesi specificamente contemplate come, ad esempio, la qualificazione di una spesa tra quelle di “pubblicità” o “rappresentanza”) risultavano precluse in sede di lavorazione degli interpelli ordinari tutte quelle valutazioni caratterizzate da una spiccata prevalenza degli elementi fattuali rispetto a quelli giuridici, ossia tutti i casi in cui, di fatto, il dubbio del contribuente – più che vertere sulla interpretazione delle norme – aveva ad oggetto la qualificazione del fatto, determinate ai fini dell’applicazione di una disposizione in luogo di un’altra.
Al fine di superare questo limite, il legislatore del decreto ha inteso arricchire la categoria in esame di un profilo nuovo, maggiormente incentrato sulla qualificazione normativa della fattispecie concreta. In questo senso si può dire che con il nuovo interpello “ordinario” l’obiettiva incertezza che legittima la proposizione di un’istanza di interpello viene declinata in due modi, tra loro complementari:
- obiettiva incertezza interpretativa;
- obiettiva incertezza qualificatoria.
Con la previsione di un interpello ordinario di tipo “qualificatorio” il legislatore, in altre parole, ha riconosciuto la vocazione espansiva dell’interpello ordinario, esplicitando l’applicabilità dell’istituto anche ai casi in cui oggetto di obiettiva incertezza non è la norma tributaria in quanto tale, ma la qualificazione giuridico-tributaria della fattispecie prospettata dal contribuente, quando cioè quest’ultimo ha dubbi sulla qualificazione del fatto e, dunque, sull’applicazione della norma, più che sull’interpretazione della medesima.
La relazione illustrativa al decreto menziona, a titolo esemplificativo, le seguenti ipotesi:
- la valutazione della sussistenza di un’azienda;
- la valutazione della sussistenza di una stabile organizzazione all’estero ai fini dell’esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti di cui al nuovo articolo 168-ter del TUIR;
- la riconducibilità di una determinata spesa alla categoria delle spese di pubblicità ovvero a quelle di rappresentanza (che non costituisce una fattispecie nuova di interpello in quanto la qualificazione della spesa era oggetto, prima delle modifiche, dell’interpello antielusivo di cui all’articolo 21, comma 9, della legge 413 del 1991).
L’esempio appena indicato consente di confermare che nell’ambito dell’interpello qualificatorio rientrano tanto ipotesi che già costituivano oggetto di interpello (come, ad esempio, i già ricordati casi di qualificazione delle spese come “di pubblicità” o “rappresentanza”) quanto ipotesi che prima del decreto non potevano rientrare nel perimetro dell’interpello.
Quest’ultimo è il caso (menzionato dalla relazione illustrativa) della valutazione dell’esistenza di una stabile organizzazione estera ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 168-ter del TUIR.
La previsione espressa della facoltà di presentazione di un’istanza di interpello in relazione a detta ipotesi, nel contesto di una tipologia di interpello a struttura “aperta” come quella in esame, porta ad escludere che il tema della stabile organizzazione, in fattispecie diverse da quella di cui al richiamato articolo 168-ter del TUIR, possa essere oggetto di istanze di interpello presentate ai sensi dell’articolo 11 dello Statuto.
Di conseguenza, tenuto conto peraltro che tale attività, ai fini delle imposte sui redditi, è ricompresa nell’ambito applicativo dell’articolo 31-ter del d.P.R. 600 del 1973 e, come tale, esclusa dagli interpelli in esame, devono considerarsi non validamente presentabili le istanze di interpello qualificatorio aventi ad oggetto l’esistenza di una stabile organizzazione ai fini IVA.
Al fine di definire meglio l’ambito applicativo del nuovo interpello – che mutua da quello ordinario “puro” la portata generale e la sua riferibilità, in astratto, a qualsiasi fattispecie – giova, tuttavia, richiamare due passaggi fondamentali della relazione illustrativa al decreto.
In un primo passaggio si legge che “La facoltà di presentazione delle istanze di interpello presuppone in ogni caso l’esistenza di un’obiettiva incertezza sulla qualificazione delle fattispecie, con la conseguenza che quelle ricorrenti, se non caratterizzate da elementi di peculiarità o, comunque, di complessità, non possono costituire oggetto dell’istanza“.
Con questa precisazione il legislatore ha inteso conferire all’obiettiva incertezza quale presupposto applicativo dell’interpello una connotazione particolare o in termini di “peculiarità” e non ricorrenza delle fattispecie o in termini di complessità.
Così, ad esempio, nel caso in cui l’istanza abbia ad oggetto la determinazione del periodo di corretta imputazione temporale di un costo (che costituisce in sé fattispecie ricorrente nelle dinamiche dell’impresa) ovvero il parere in ordine all’inerenza di un determinato componente di reddito ai sensi dell’articolo 109 del TUIR, il contribuente può legittimamente presentare un’istanza solo se il dubbio qualificatorio nasca dalla peculiarità del componente può accadere, ad esempio, in relazione a componenti generati da operazioni riferite a rapporti commerciali non riconducibili a figure contrattuali conosciute dal nostro ordinamento, come accade di frequente per quelle di derivazione estera. In assenza di dette caratteristiche, l’interpello si trasformerebbe in uno strumento di accertamento preventivo. Va da sé, infatti, che la mancanza di una obiettiva incertezza, in assenza di un dubbio che legittimi la presentazione di un interpello, si traduce – come si ricorderà di seguito (par. 4.3.1.) – in un vizio dell’istanza tale da determinarne l’inammissibilità.
In questa direzione, giova ricordare il secondo passaggio della relazione illustrativa nel quale si legge che “l’interpello qualificatorio, al pari dell’interpello ordinario, non può comunque avere ad oggetto accertamenti di tipo tecnico. Non potrà quindi correttamente qualificarsi istanza di interpello quella tesa ad ottenere accertamenti di fatto (ad esempio, le operazioni di classamento, di calcolo della consistenza e l’estimo catastale ovvero l’accertamento della natura illecita di un provento ai fini dell’applicazione della relativa disciplina) esperibili esclusivamente nelle sedi proprie“.
Attraverso questo passaggio, il legislatore ha inteso escludere dall’area dell’interpello, oltre che le fattispecie esemplificativamente menzionate, tutte quelle ipotesi che, coerentemente alla natura, alle finalità dell’istituto ed alle regole istruttorie di lavorazione delle istanze, sono caratterizzate, alternativamente:
a) da una spiccata ed ineliminabile rilevanza dei profili fattuali riscontrabili dalla stessa amministrazione finanziaria ma solo in sede di accertamento; si tratta, in altre parole, di tutte quelle fattispecie in cui, più che rilevare l’aspetto qualificatorio, rileva il mero appuramento del fatto (cd. accertamenti di fatto);
b) dalla necessità di espletare attività istituzionalmente di competenza di altre amministrazioni, enti o altri soggetti che presuppongono specifiche competenze tecniche non di carattere fiscale (cd. accertamenti di tipo tecnico).
Per quanto concerne le ipotesi sub a), si pensi anche ai problemi collegati alla residenza delle persone fisiche (art. 2 TUIR) e dei soggetti diversi (art. 73) rispetto ai quali operano nel sistema sia disposizioni che stabiliscono i requisiti per la qualificazione del soggetto come residente nel territorio dello Stato (art. 2, comma 2, TUIR e articolo 73, comma 3, primo periodo, TUIR), sia disposizioni che introducono specifiche presunzioni di residenza, suscettibili di prova contraria (art. 2, comma 2 bis, e art. 73, comma 3, secondo periodo e comma 5 bis).
Data la stretta connessione delle une con le altre e la rilevanza che assumono – ai fini della determinazione della residenza – elementi meramente fattuali di cui è essenziale verificare la veridicità e completezza (possibili solo in sede di accertamento) si ritiene che entrambe le ipotesi siano escluse dall’area degli interpelli in esame.
Depone per questa conclusione altresì il fatto che – come si risulterà più chiaro per effetto dei chiarimenti contenuti nel paragrafo successivo- in presenza di disposizioni (espressamente individuate dal legislatore) che riconoscono al contribuente la possibilità di fornire elementi probatori idonei ad ottenere un determinato effetto fiscale, il decreto ha introdotto una particolare tipologia di interpello (denominato “probatorio”) che consente all’istante, appunto, di ottenere un parere dell’amministrazione in ordine alla idoneità delle prove a sua disposizione in un momento anteriore rispetto a quello dell’accertamento.
Poiché le disposizioni sopra richiamate, specialmente quelle fondate su presunzioni, sono costruite come norme che demandano all’amministrazione, in sede di accertamento, il potere di valutare l’idoneità della prova contraria offerta dal contribuente rispetto alla operatività delle presunzioni di legge ed appaiono, in questo senso, strutturalmente affini alle disposizioni ricomprese nel perimetro applicativo dell’interpello di cui all’articolo 11, comma 1, lettera b) (vedi infra), è ragionevole ritenere che, qualora il legislatore avesse voluto attrarre nell’area degli interpelli anche le questioni collegate alle presunzioni di residenza, le avrebbe dovute collocare, più correttamente, nella predetta area.
Per quanto riguarda, infine, le attività sub b), si pensi, ad esempio, alla qualificazione alla stregua di opere di urbanizzazione primaria o secondaria di un determinato bene rilevante ai fini IVA, alla possibilità di ricondurre un determinato bene strumentale ad una determinata divisione della Tabella ATECO rilevante ai fini dell’agevolazione prevista dall’articolo 18 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116) o ancora alla possibilità di qualificare una determinata attività di ricerca e sviluppo come agevolabile ai sensi dell’articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9).
In tutti questi casi, posto che il contribuente non può presentare un’istanza di interpello qualificatorio volta ad ottenere un parere in ordine a questioni chiaramente non di competenza dell’Agenzia delle entrate (quali quelle volte, nell’esempio sopra riportato, a stabilire la qualificazione tecnica di un determinato bene), lo stesso potrà comunque ottenere una risposta in relazione alla spettanza del credito d’imposta, in linea di principio, allegando all’istanza di interpello il parere del competente organo (nell’esempio il MISE) in ordine all’inquadramento tecnico-giuridico dell’attività espletata.
Al riguardo si fa presente che, in presenza di disposizioni di rilevanza pluridisciplinare (come accade, ad esempio, per molte disposizioni agevolative), nell’ambito delle ordinarie relazioni istituzionali tra l’Agenzia delle entrate e le altre Amministrazioni dello Stato (o soggetti diversi istituzionalmente interessati), potranno essere raggiunti specifici accordi alla luce dei quali, in caso di presentazione di un’istanza di interpello che presupponga un accertamento tecnico nel senso sopra illustrato, sarà l’Agenzia ad attivarsi per ottenere il parere, sgravando in tal modo il contribuente del relativo onere.
Resta fermo che l’amministrazione finanziaria, attraverso la pubblicazione di circolari o risoluzioni, darà adeguata informazione ai contribuenti in ordine alle ipotesi per le quali l’acquisizione del parere tecnico è onere della stessa Agenzia destinataria dell’istanza anziché gravare, secondo la regola generale, in capo al contribuente istante.
Detto accordo, come si avrà modo di chiarire anche in sede di illustrazione della relativa disciplina, è operante in relazione alle istanze di interpello aventi ad oggetto il credito d’imposta per la ricerca e sviluppo di cui all’articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9.
Si fa presente, infine, con riferimento all’interpello qualificatorio che, come dimostrano in particolare gli esempi sopra illustrati, le medesime questioni che, per effetto delle novità del decreto, sono oggetto dell’interpello qualificatorio possono costituire, al ricorrere delle condizioni richieste, presupposto per la risposta dell’amministrazione nell’ambito della stessa o di una diversa tipologia di interpello presentato dal contribuente. Si pensi, ad esempio, ad un interpello ordinario o ancora ad un interpello antiabuso relativi ad un’operazione di conferimento di azienda rispetto ai quali – seppur ai diversi fini – può risultare preliminare stabilire se trova applicazione il regime di neutralità previsto per il conferimento di azienda o di rami di essa. Rispetto a tali ipotesi, pur non essendo necessario presentare due distinte istanze – l’una qualificatoria (relativamente alla sussistenza di un’azienda) e l’altra antiabuso – è onere del contribuente fornire nell’istanza antiabuso presentata elementi sufficienti a consentire all’amministrazione di esprimere un parere (anche) sulla sussistenza dell’azienda, sempre che ricorrano, rispetto a questo profilo, le obiettive condizioni di incertezza richieste dall’articolo 11 dello Statuto. In assenza di qualsiasi elemento, la risposta sarà fornita assumendo acriticamente l’esistenza dell’azienda e produrrà effetti esclusivamente laddove, in sede di accertamento, non risulti appurato che oggetto del conferimento non è un’azienda o un ramo di essa.
Resta inteso che, in queste ipotesi e più in generale in presenza di un’istanza contenente richieste riconducibili a diverse tipologie di interpello (si veda anche dopo par 3.1.3.), la risposta fornita dall’amministrazione è unica e viene resa entro il più lungo termine (120 giorni) previsto in relazione ad uno o più dei quesiti esposti.
1.2 L’interpello probatorio. La categoria dell’interpello “probatorio” raggruppa tutte quelle istanze – fino ad oggi disciplinate in maniera eterogenea – volte a ottenere un parere sulla sussistenza delle condizioni o sulla idoneità degli elementi probatori richiesti dalla norma ai fini dell’accesso a un determinato regime fiscale, nei casi espressamente previsti (secondo un approccio di tassatività delle ipotesi riconducibili a questa categoria).
Con la locuzione “nei casi espressamente previsti” il legislatore, scegliendo un approccio fondato sulla tassatività dei casi, ha chiarito che l’interpello probatorio, a differenza di quello ordinario, non è attivabile in relazione a qualsiasi fattispecie per la quale il contribuente ritenga utile una valutazione dell’amministrazione finanziaria in ordine alla idoneità degli elementi in suo possesso a più diversi fini, ma solo nelle ipotesi in cui detta facoltà sia esplicitamente prevista nelle disposizioni sostanziali di riferimento attraverso l’espresso richiamo dell’articolo 11, comma 1, lettera b) dello Statuto.
Come risulterà chiaro analizzando le fattispecie oggetto di questa categoria, il riferimento all'”accesso a un determinato regime fiscale” va interpretato in senso ampio, come comprensivo non solo delle ipotesi di accesso propriamente inteso (si vedano, ad esempio, le istanze per l’accesso al regime del consolidato mondiale di cui all’articolo 132 TUIR), ma anche dei casi in cui si discute della non operatività di determinate limitazioni o della applicabilità di regole speciali rispetto a quelle ordinariamente applicabili (così accade, ad esempio, per gli interpelli relativi alle cosiddette C.F.C. per le quali oggetto dell’istanza é la non operatività della tassazione per trasparenza o per gli interpelli di cui all’art. 113 TUIR attraverso i quali, nell’ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria, gli enti creditizi e finanziari richiedono l’applicazione delle regole fiscali dettate per i crediti in luogo di quelle previste per le partecipazioni acquisite).
L’unificazione di diverse ipotesi di istanze in una categoria unitaria denominata, appunto, istanze “probatorie” facilita la distinzione tra questo tipo di interpelli e le altre categorie, tanto con riferimento agli interpelli qualificatori (si veda il paragrafo precedente in ordine alle questioni concernenti le presunzioni relative alla residenza) quanto con riferimento alla categoria degli interpelli disapplicativi di cui al comma 2 dell’articolo 11.
Una delle principali novità del decreto, attuativa della esigenza di razionalizzazione della disciplina secondo le indicazioni della legge delega, risiede, infatti, nella definizione della categoria degli interpelli probatori rispetto a quella degli interpelli disapplicativi alla quale la prima risulta storicamente affine, tenuto conto che alcune ipotesi, considerate “disapplicative” in senso stretto o in senso lato secondo la disciplina previgente (cfr. da ultimo, Circ. 32/E del 14 giugno 20101), sono oggi ricomprese nel perimetro applicativo degli interpelli probatori (nella successiva elencazione sarà dato conto delle istanze che costituivano oggetto di un obbligo di presentazione dell’istanza secondo le regole previgenti mediante l’uso della locuzione “interpello ex obbligatorio”).
Detta distinzione assume particolare rilievo non solo in ragione della facoltatività delle prime istanze rispetto alle seconde, ma anche in ragione della previsione, da parte del decreto:
- di veri e propri obblighi di segnalazione in dichiarazione, diversamente costruiti a seconda che l’istanza sia stata o meno presentata ed in funzione della risposta ricevuta, introdotto per le ipotesi che costituivano oggetto di un obbligo di presentazione dell’interpello prima delle modifiche del decreto (si veda dopo il par. 7);
- del conseguente diverso trattamento sanzionatorio previsto nelle differenti ipotesi (per il quale si rinvia al successivo par. 8).
Prima di elencare le ipotesi riconducibili alla categoria degli interpelli probatori, giova preliminarmente richiamare l’attenzione sulla circostanza che detta tipologia, unificando una serie di fattispecie eterogenee sulla base della comune finalità di sollecitare un parere dell’Agenzia in ordine alla idoneità degli elementi probatori a disposizione del contribuente, addossa in capo a quest’ultimo l’onere di fornire nell’istanza ogni elemento di valutazione utile ai fini della risposta. Va da sé, infatti, che in presenza di istanze corredate di un numero di elementi probatori non sufficiente ad ingenerare un seppur embrionale convincimento dell’amministrazione in ordine alla idoneità del quadro probatorio rappresentato, l’Agenzia non sarà tenuta ad inviare una richiesta di documentazione integrativa atta a ricercare nuovi e diversi elementi probatori a favore della richiesta del contribuente (si veda dopo par. 4.2), dovendosi, invece, considerare “non idonea” la prova fornita ai fini dell’accesso al regime richiesto.
Ciò premesso, la categoria degli interpelli probatori comprende, allo stato, le seguenti ipotesi tassativamente individuate dal legislatore:
a) Istanze di interpello previste dall’articolo 110, comma 11, TUIR (la disciplina delle predette istanze, prima delle modifiche, era contenuta nell’articolo 11, comma 13, della legge 30 dicembre 1991, n. 413. In considerazione del richiamo all’interpello introdotto nell’articolo 110 TUIR e della portata generale dell’articolo 11 dello Statuto, per esigenze di omogeneità della disciplina e di razionalizzazione, l’articolo 7, comma 6, del decreto ha abrogato il citato articolo 11, comma 13).
Al riguardo giova ricordare che per effetto delle modifiche apportate dall’articolo 5, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del citato decreto, ai sensi del comma 10, in luogo della pregressa indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi, è stata introdotta la regola secondo cui “Le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni, che hanno avuto concreta esecuzione, intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati sono ammessi in deduzione nei limiti del loro valore normale, determinato ai sensi dell’articolo 9″. Tuttavia, per effetto delle novità introdotte dall’articolo 1, comma 142, lettera a) della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016), le disposizioni dei commi da 10 a 12 bis del citato articolo 110 sono state abrogate a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015.
Per quanto attiene alle istanze di interpello in esame, in definitiva, i contribuenti che intendano ottenere il parere dell’amministrazione in ordine alla idoneità delle prove in loro possesso ai fini del superamento dell’indeducibilità (o dei limiti di deducibilità) previsti dal comma 10 possono presentare le istanze in esame con riferimento ai periodi di imposta per i quali non siano scaduti ancora i termini di presentazione della dichiarazione. Per i periodi di imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2015, in considerazione dell’abrogazione delle disposizioni di riferimento, deve considerarsi altresì abrogata la tipologie di interpello in esame.
b) Istanze di interpello c.d. Controlled Foreign Companies (d’ora in avanti CFC) di cui all’articolo 167 del TUIR, attraverso le quali il contribuente può fornire anticipatamente la dimostrazione delle condizioni previste dal comma 5 e dal comma 8-ter del medesimo articolo al fine di acquisire il parere dell’amministrazione (interpello ex obbligatorio);
c) Istanze presentate ai sensi dell’articolo 113 del TUIR dagli enti creditizi concernenti la non applicazione del regime di participation exemption di cui all’articolo 87 del TUIR con riferimento alle partecipazioni acquisite nell’ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti derivanti dall’acquisizione di partecipazioni o dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria (interpello ex obbligatorio);
d) Istanze di interpello per la continuazione del consolidato, ai sensi dell’articolo 124, comma 5, del TUIR, presentate in occasione della effettuazione di alcune operazioni di riorganizzazione altrimenti interruttive del medesimo (si veda anche l’articolo 13, comma 2, del DM 9 giugno 2004), tese a verificare che, anche dopo l’effettuazione di tali operazioni, permangono tutti i requisiti previsti dalle disposizioni di cui agli articolo 117 e seguenti previste ai fini dell’accesso al regime (interpello ex obbligatorio) ;
e) Istanze di interpello per l’accesso al consolidato mondiale che, da condizione di accesso al regime (articolo 132, comma 2, lettera d bis) oggi abrogata), per effetto delle modifiche apportate dal decreto, diviene strumento teso a palesare la sussistenza delle condizioni previste dalla legge per la valida adesione al regime (interpello ex obbligatorio);
f) Istanze presentate dalle società che presentano i requisiti per essere considerate “non operative” nonché le istanze delle società in perdita sistematica ai sensi e per gli effetti della disciplina prevista dall’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (interpello ex obbligatorio); al riguardo, si fa presente che per effetto della riformulazione del comma 4 bis del citato articolo 30, la possibilità di non applicare la disciplina in esame sulla base di un’autovalutazione della sussistenza delle condizioni, collegata alla eliminazione di una forma di interpello obbligatorio, esplica i suoi effetti sul complesso della disciplina de qua, ivi compresa la previsione del comma 4 secondo cui “l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non è ammessa al rimborso né può costituire oggetto di compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, o di cessione ai sensi dell’articolo 5, comma 4-ter, del decreto-legge 14 marzo 1988, n. 70
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, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 154“.
Ciò comporta che le società che ritengano sussistenti le “oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito ..”, di cui al comma 4-bis, e intendano richiedere il rimborso IVA annuale, possono acclarare la sussistenza delle “oggettive situazioni” presentando una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ai sensi degli articoli 47 e 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, mediante sottoscrizione dell’apposito campo del quadro VX della dichiarazione IVA.
Sul punto si chiarisce che con la sottoscrizione della citata dichiarazione sostitutiva, la società attesta di essere una “start-up innovativa”, di cui agli artt. 25, comma 2, e 26 comma 4, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, oppure di essere una società operativa “ex lege”, in quanto:
- supera il test di operatività previsto dall’articolo 30, comma 1, della legge n. 724 del 1994 e non è in perdita sistematica ai sensi dell’articolo 2, commi da 36-decies a 36-duodecies del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138;
- sussistono i motivi di esclusione dalla disciplina sulle società di comodo, di cui all’articolo 30, comma 1, della legge n. 724 del 1994;
- sussistono le situazioni oggettive di disapplicazione della disciplina sulle società non operative e sulle società in perdita sistematica stabilite nei provvedimenti del Direttore dell’Agenzia emanati ai sensi del comma 4-ter dell’articolo 30;
- sussistono le condizioni oggettive di cui al comma 4-bis del citato articolo 30 e non è stata presentata istanza di interpello.
In presenza di dichiarazione sostitutiva sottoscritta e in assenza di ulteriori cause ostative, l’ufficio consente l’erogazione del rimborso.
In alternativa alla dichiarazione sostitutiva, le società hanno facoltà di presentare preventivamente un’istanza di interpello ai fini della disapplicazione della disciplina delle società non operative e/o della disciplina delle società in perdita sistematica (cfr. Circ. n. 23/E dell’11 giugno 20122) secondo quanto previsto dal comma 4-bis del citato articolo 30;
g) Istanze previste ai fini del riconoscimento del beneficio ACE di cui all’articolo 1 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con la legge 22 dicembre 2011, n. 214, in presenza di operazioni potenzialmente suscettibili di comportare indebite duplicazioni di benefici, ai sensi dell’articolo 10 del decreto ministeriale 14 marzo 2012 (interpello ex obbligatorio).
Si fa presente, per completezza e per quanto di interesse ai fini della presente circolare, che l’articolo 7 del decreto ha modificato le disposizioni sostanziali richiamate dalle lettere da a) a g) essenzialmente al fine di ristrutturare le norme di riferimento nella parte in cui presupponevano l’obbligatorietà della presentazione dell’interpello come condizione di accesso, fruizione, applicazione o non applicazione di un determinato regime. Dette modifiche incidono, in altre parole, non sul regime sostanziale di riferimento o sulle condizioni previste dalle medesime disposizioni – che restano immutate rispetto al passato – ma solo sulle condizioni estrinseche di fruizione del regime medesimo.
Fermo restando quanto precisato sopra alla lettera e) per il consolidato mondiale ed alla lettera f) con riferimento alle SNOP e alle SPS, a titolo di esempio, la riscrittura dell’articolo 113 del TUIR si è resa necessaria nella misura in cui la precedente formulazione della disposizione (comma 1: “Gli enti creditizi possono chiedere all’Agenzia delle entrate, secondo la procedura …, che il regime di cui all’articolo 87 non si applichi …“; comma 2: “L’istanza all’Agenzia delle entrate deve contenere …“; comma 3: “l’accoglimento dell’istanza … comporta … l’equiparazione ai crediti estinti ) era incentrata sull’istanza di interpello come condizione imprescindibile di applicazione del regime dei crediti (estinti) in luogo del regime delle partecipazioni acquisite; la nuova formulazione – senza modificare, come anticipato, le condizioni che rendono possibile ottenere l’applicazione di un regime in luogo di un altro, descritte al nuovo comma 2 – è tesa a meglio valorizzare detti presupposti sostanziali, a prescindere dalla loro confluenza in un’istanza probatoria che diviene, appunto, facoltativa.
1.3 L’interpello anti-abuso. La lettera c) del comma 1 dell’articolo 11 ha introdotto – in linea di continuità rispetto alle previsioni del comma 5 dell’articolo 10 bis dello Statuto introdotto dal decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128 – la figura dell’ interpello “anti abuso” con l’intento di sostituire l’interpello antielusivo di cui all’articolo 21, comma 9, della legge 413 del 1991 (che viene, pertanto espressamente abrogato, dall’articolo 7, comma 6, del decreto) al quale il nuovo interpello si sovrappone limitatamente a quelle fattispecie ricomprese nel campo di applicazione della vecchia disposizione che si connotavano per una spiccata ed evidente ratio antielusiva.
Giova, infatti, segnalare che, rispetto al perimetro applicativo dell’articolo 21 della legge 413 del 1991:
a) da un lato non sono ricomprese nel nuovo interpello “antiabuso” né le istanze aventi ad oggetto ipotesi di interposizione ai sensi dell’articolo 37, comma 3, del d.P.R. 600 del 1973 (in relazione alle quali è presentabile un’istanza di interpello ordinario) né le istanze concernenti la qualificazione di una determinata spesa tra quelle di pubblicità e di propaganda ovvero tra quelle di rappresentanza, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 108 TUIR che, come anticipato, rientrano tra le ipotesi di interpello ordinario “qualificatorio”;
b) dall’altro, per effetto dell’abrogazione dell’articolo 37 bis del d.P.R. 600 del 1973 e della sua sostituzione con il nuovo articolo 10 bis dello Statuto, il tema dell’abuso del diritto è diventato tema “generale”, declinabile per qualunque fattispecie ed in relazione a qualunque settore impositivo.
La circostanza di cui alla lettera b) incide significativamente sulla struttura delle istanze di interpello antiabuso e sull’istruttoria delle medesime da parte degli uffici.
Come risulterà più chiaro nel par. 3.1.3, in considerazione della portata generale dell’abuso – riferibile, rispetto al passato, a qualsivoglia operazione (fatti, atti e contratti) e soprattutto a qualsiasi profilo impositivo – le istanze presentate non potranno genericamente limitarsi a chiedere il parere dell’Agenzia in ordine alla abusività di una determinata operazione o fattispecie, ma dovranno declinare, nel dettaglio:
- gli elementi qualificanti l’operazione o le operazioni;
- il settore impositivo rispetto al quale l’operazione pone il dubbio applicativo;
- le puntuali norme di riferimento, comprese quelle passibili di una contestazione in termini di abuso del diritto con riferimento all’operazione rappresentata;
- le “valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente“.
Restano fermi i chiarimenti forniti con la risoluzione 104/E del 15 dicembre 20153, con riferimento alle problematiche di diritto intertemporale collegate alla successione tra l’articolo 37 bis del d.P.R. 600 del 1973 e l’articolo 10 bis dello Statuto per quanto attiene alla presentazione e all’istruttoria delle istanze di interpello.
1.4 L’interpello disapplicativo. L’interpello c.d. “disapplicativo”, infine, costituisce l’unica categoria di interpello obbligatorio rimasta nel sistema. Si tratta, di fatto, dell’interpello già previsto dall’articolo 37 bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 – il quale consente al contribuente di richiedere un parere in ordine alla sussistenza delle condizioni che legittimano la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo.
Come risulta evidente dalla autonoma collocazione delle fattispecie in esame nel contesto dello Statuto, il legislatore delegato ha lasciato un’area- molto più ristretta rispetto al passato – di ipotesi presidiate da un vincolo di preventiva “disclosure” del contribuente, caratterizzate dalla obbligatorietà della presentazione dell’istanza, ma dalla non vincolatività della risposta per il contribuente.
La peculiarità delle istanze di interpello disapplicativo risiede, infatti, nella imprescindibilità della segnalazione da parte del contribuente, mediante la presentazione di un’istanza di interpello, di trovarsi nella situazione descritta dalla norma di cui si chiede la disapplicazione (presidiata da un’autonoma sanzione, come si vedrà di seguito al par. 8), ma non dalla cogenza della risposta, circostanza che risulta pienamente coerente con la funzione, la natura e le regole istruttorie dell’interpello. La stessa disposizione dell’articolo 11, comma 2, che nella prima parte mutua integralmente le previsioni del vecchio articolo 8 dell’articolo 37 bis del d.P.R. 600 del 1973, prevede ormai espressamente che la presentazione dell’istanza di interpello (in caso di risposta negativa) o la mancata presentazione (pur punita attraverso l’irrogazione di una sanzione “propria”) non pregiudicano, in alcun caso, la possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione della spettanza della disapplicazione anche nelle successive fasi dell’accertamento amministrativo e del contenzioso.
Al fine di delimitare il campo di applicazione della disposizione in esame, tenuto conto che, a differenza delle ipotesi di interpello “probatorio”, le istanze di interpello disapplicativo non sono “tipiche” e quindi possono essere presentate dai contribuenti ogni qualvolta si sia in presenza di “norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive” assume importanza fondamentale definire i caratteri essenziali delle disposizioni suscettibili di disapplicazione, anche sulla base di un’analisi dettagliata delle istanze presentate in vigore della vecchia disciplina.
Caratteristica indefettibile della norma è che la limitazione prevista dalla disposizione risponda ad una finalità antielusiva di tipo sostanziale, frutto di una valutazione preliminare da parte del legislatore di tendenziale ma non sistematica offensività del fatto. In tali casi appare del tutto ovvio che il contribuente possa non incorrere nella penalizzazione prevista dalla legge dimostrando che l’effetto elusivo (temuto dal legislatore) non si produce nel caso di specie.
Diverso è il caso delle norme, non infrequenti nel sistema, fondate su predeterminazioni e forfetizzazioni dotate di valenza sistematica e, come tali, insensibili ad eventuali dimostrazioni da parte del contribuente.
Ad esempio, la ratio sottostante alla previsione di una deducibilità a forfait di taluni costi, come accade emblematicamente per le spese e gli altri componenti negativi relativi a taluni mezzi di trasporto a motore, utilizzati nell’esercizio di imprese, arti e professioni (art. 164 TUIR) è riconducibile alla volontà del legislatore di evitare un evasivo utilizzo privatistico del bene, alla difficoltà di verifica dell’eventuale uso promiscuo e all’impossibilità di una esatta quantificazione del reale utilizzo del bene ai fini imprenditoriali.
Ciò premesso sotto il profilo generale, a titolo esemplificativo e senza pretesa di esaustività:
– al netto delle disposizioni che sono state attratte nell’area dell’interpello probatorio (di cui al par. 1.2.) rientrano nella prima categoria (e sono, come tali, suscettibili di disapplicazione) l’articolo 84 e l’art. 172 del TUIR ed, in generale, le disposizioni che limitano l’utilizzo delle perdite anche in caso di operazioni straordinarie, l’articolo 109 TUIR per i fenomeni di dividend washing (come risulta peraltro pacificamente confermato dall’espresso riferimento all’interpello di cui all’articolo 11, comma 2, in seno alle citate disposizioni per effetto delle modifiche introdotte dall’articolo 7 del decreto), la disposizione di cui all’articolo 10, comma 6, lettera e) del decreto legislativo 460 del 1997.
– non sono ricomprese nel campo di applicazione della categoria in esame, oltre alle disposizioni strutturalmente analoghe all’articolo 164 TUIR sopra menzionato, le norme che regolano la residenza delle persone fisiche (art. 2 del TUIR) o dei soggetti diversi (art. 73 TUIR) in quanto le disposizioni in esame, anche nella parte in cui prevedono specifiche presunzioni, non hanno la struttura di norme antielusive specifiche essendo preordinate a presidiare fenomeni di fittizio (quindi evasivo) trasferimento di residenza (cfr. Risoluzione 312/E del 5 novembre 20074);
- non è, infine, ricompresa nel campo di applicazione dell’interpello obbligatorio la disposizione di cui all’articolo 35, comma 10-quater, del decreto legge 223 del 2006 in quanto – pur trattandosi di una disposizione di carattere antielusivo, come rilevato già con Circolare 27/E del 20065, la disposizione non è suscettibile di disapplicazione.
2. LE NUOVE REGOLE COMUNI ALLE ISTANZE DI INTERPELLO
Come anticipato in premessa, la ricomprensione di tutte le tipologie di istanze nell’ambito dell’articolo 11 dello Statuto ha consentito anche di realizzare una omogeneizzazione della disciplina applicabile che si ritrova in parte nei commi 3 e seguenti del citato articolo 11, in parte nelle disposizioni di cui agli articoli da 2 a 5 del decreto ed in parte, per gli aspetti eminentemente procedurali, nel Provvedimento citato in premessa.
Di seguito si forniscono chiarimenti in ordine alle novità che sono intervenute con riferimento a tutto il procedimento di lavorazione degli interpelli, dalla presentazione dell’istanza fino alla comunicazione della risposta ai contribuenti ed ai suoi effetti, avendo riguardo- come anticipato- all’intersecarsi delle regole del decreto con quelle del provvedimento.
2.1 La presentazione delle istanze
2.1.1 Legittimazione degli istanti. Con riferimento ai soggetti legittimati alla presentazione dell’istanza, il comma 1 dell’articolo 2 del decreto chiarisce, recependo indicazioni consolidate nella prassi, che possono presentare istanze di interpello i “contribuenti”, anche non residenti (sia direttamente sia per il tramite di propri rappresentanti o incaricati, presso cui gli stessi eleggono domicilio), nonché “coloro che in base alla legge sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti” e coloro che rivestono il ruolo di “sostituti” e “responsabili” d’imposta.
Giova precisare, al riguardo, che per questioni attinenti l’applicazione dell’IVA, non sono legittimati a presentare istanze d’interpello i cessionari o i committenti considerati “consumatori privati” ai fini di questo tributo. Questi soggetti non possono essere, infatti, qualificati in termini di “contribuenti” (né tanto meno di soggetti che in base alla legge sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti) in quanto su detti soggetti non incombono obblighi in ordine all’attuazione del rapporto tributario.
Tale precisazione è collegata anche alla circostanza secondo cui per tutti, in ogni caso, resta fermo il requisito della riferibilità dell’istanza a casi concreti e personali. Tale condizione, prevista espressamente come fattore comune a tutte le istanze indicate all’articolo 11, comma 1, è infatti espressione di un principio generale ed è connessa alla natura dell’interpello come strumento finalizzato a conoscere il trattamento tributario di atti, operazioni o iniziative riconducibili direttamente alla sfera di interessi del soggetto istante.
Ciò comporta che in caso di presentazione di istanze da parte di coloro che in base alla legge sono obbligati a porre in essere gli adempimenti tributari per conto dei contribuenti e di coloro che rivestono il ruolo di sostituti e responsabili d’imposta, è sempre necessario che nell’istanza siano indicate le generalità delle parti cui si riferisce il rapporto oggetto dell’interpello, anche per consentire una corretta parametrazione, nelle diverse sedi, degli effetti della risposta (si veda par. 4.3).
Sulla scorta di quanto rappresentato resta, pertanto, confermata l’impossibilità di ricondurre all’ambito dell’interpello le istanze presentate da professionisti e associazioni di categoria in relazione a fattispecie riconducibili alla sfera di interessi dei propri assistiti o associati, in assenza di specifico mandato; in tali casi, l’istanza continuerà a essere trattata, se ricorrono gli altri presupposti, nell’ambito della generale attività di consulenza giuridica fornita dall’Agenzia (cfr. Circolare 42/E del 20116).
Le medesime considerazioni valgono, più in generale, con riferimento a tutte le istanze caratterizzate da un difetto di “personalità” del quesito. Dette istanze, infatti, salvo che la carenza non sia regolarizzabile attraverso la produzione tardiva della procura necessaria a conferire la legittimazione al soggetto che presenta l’interpello (si veda dopo par. 4.1.), non potranno essere inserite nell’ambito della procedura e sono del tutto improduttive degli effetti tipici dell’interpello; nei casi in cui non sussistano i presupposti per la trattazione delle istanze nell’ambito della consulenza giuridica, pertanto, l’amministrazione comunicherà al contribuente l’impossibilità di acquisire le predette istanze nell’ambito dell’interpello, rappresentando eventualmente quale (diverso) soggetto, nel caso concreto, è titolato alla presentazione di un’istanza di interpello.
2.1.2 Competenza degli uffici. Il provvedimento è intervenuto a meglio delineare la disciplina applicativa dell’interpello, integrando le previsioni contenute nella legge primaria al fine, prima di tutto, di individuare puntualmente gli uffici competenti alla trattazione delle istanze di interpello.
In omaggio alla esigenza di garantire una maggiore uniformità della disciplina, la competenza, indipendentemente dalla tipologia di istanza presentata, è essenzialmente attribuita alle Direzioni regionali, salve le ipotesi espressamente attribuite alla competenza delle Direzioni centrali dal provvedimento.
Dette novità, oltre che realizzare un indiscutibile vantaggio in termini di economia procedimentale per i contribuenti attraverso l’omogeneizzazione delle regole applicabili a tutti i tipi di istanza, realizzano anche una maggiore semplificazione per l’amministrazione, nella misura in cui, attraverso l’eliminazione della presentazione “per il tramite” le istanze possono essere immediatamente istruite dal soggetto competente per la risposta. Si ricorda che la presentazione alla Direzione Centrale per il tramite della Direzione regionale era prevista, in passato, per gli interpelli antielusivi di cui all’articolo 21, comma 9, della legge 413 del 1991 e per le istanze CFC ex art. 167 TUIR mentre la presentazione alla Direzione Regionale per il tramite della Direzione provinciale territorialmente competente era prevista per le istanze di disapplicazione ed in particolare per quelle presentate dalle SNOP e dalle SPS.
Eventuali esigenze informative che emergano nel corso della lavorazione dell’istanza da parte delle Direzioni centrali – stante le strette relazioni tra istanze di interpello ed attività accertativa- potranno pertanto essere soddisfatte mediante richieste interne da inoltrare alle strutture competenti per il controllo, senza che ciò interferisca con gli ordinari termini di risposta al contribuente.
Più nel dettaglio, ai sensi del punto 2.1. del Provvedimento, la competenza degli uffici è diversamente articolata a seconda che le istanze concernenti i tributi amministrati dall’Agenzia abbiano ad oggetto i tributi erariali (quesiti che rientrano nelle attribuzioni del ramo Entrate) o l’imposta ipotecaria dovuta in relazione agli atti diversi da quelli di natura traslativa, le tasse ipotecarie e i tributi speciali catastali nonché i casi in cui, più generalmente, le istanze hanno ad oggetto disposizioni o fattispecie di natura catastale (quesiti che rientrano nelle attribuzioni del ramo Territorio).
Per quanto attiene alle prime, infatti, l’interpello è presentato alla Direzione regionale competente in base al domicilio fiscale dell’istante (la medesima regola si applica, ai sensi del punto 2.3 del Provvedimento anche alle stabili organizzazioni di soggetti esteri che, per questioni concernenti la propria posizione, sono equiparate ai contribuenti residenti). Le seconde, invece, sono validamente presentate alla Direzione regionale nel cui ambito opera l’ufficio competente ad applicare la norma tributaria oggetto di interpello.
Lo stesso Provvedimento (punto 2.2.) come anticipato, prevede, in deroga alla tendenziale competenza delle Direzioni Regionali, che sono inoltrate alla Direzione Centrale Normativa (per i quesiti che rientrano nelle attribuzioni del ramo Entrate) ed alla Direzione Centrale Catasto, Cartografia e Pubblicità immobiliare (per i quesiti che rientrano nelle attribuzioni del ramo Territorio) le istanze presentate da:
- Amministrazioni centrali dello Stato ed enti pubblici a rilevanza nazionale, comprese le articolazioni territoriali e le sedi prive di rilevanza fiscale munite di procura del legale rappresentante dell’amministrazione e dell’ente (punto 1.1. lettera b) del Provvedimento)
- Soggetti non residenti nel territorio dello Stato, anche qualora i medesimi abbiano nominato un rappresentante fiscale in Italia ovvero assolvano gli obblighi o esercitino i diritti in materia di imposta sul valore aggiunto direttamente ai sensi dell’articolo 35 ter, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Al riguardo, si fa presente che, secondo le definizioni contenute nel Provvedimento, per “non residenti” si intendono i soggetti diversi da quelli di cui al comma 2 dell’articolo 2 (per le persone fisiche) e del comma 3 dell’articolo 73 (per le società e gli altri enti diversi) del TUIR. Ciò comporta che sono considerate non residenti, ad esempio, le persone fisiche diverse da quelle che “per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile” ovvero i soggetti diversi che “per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato“. Il mancato richiamo da parte del Provvedimento anche alle presunzioni di residenza previste dai citati articoli 2 e 73 (rispettivamente ai commi 2 bis ed ai commi 5 bis e seguenti) comporta che i contribuenti per i quali dette presunzioni sono applicabili presentano le istanze di interpello secondo il loro status, ancorché “apparente”, di soggetti esteri.
- Soggetti di più rilevante dimensione, per tali intendendosi coloro che conseguono un volume d’affari o ricavi non inferiore a cento milioni di euro con riferimento all’ultima dichiarazione presentata (articolo 27, comma 10, decreto legge 29 novembre 2008, n. 185). Al riguardo giova precisare che il predetto requisito dimensionale deve essere valutato anche dalle stabili organizzazioni che intendono presentare un’istanza di interpello concernente la propria posizione fiscale al fine di stabilire se quest’ultima debba essere presentata alla Direzione regionale competente in base al domicilio fiscale della stabile o alla Direzione Centrale.
Un’ulteriore deroga alla generale competenza regionale per la trattazione delle istanze, a carattere transitorio, è stata stabilita dal punto 2.3. del Provvedimento per le istanze di interpello antiabuso presentate fino al 31 dicembre 2017, le quali, al fine di garantire la formazione di un indirizzo uniforme in ordine alle previsioni dell’articolo 10 bis dello Statuto, sono presentate alla Direzione centrale Normativa. Si fa presente che la regola della temporanea competenza della Direzione centrale vale anche nell’ipotesi in cui l’istanza antiabuso contenga anche un quesito di tipo diverso, strettamente correlato alla richiesta della parte (si vedano gli esempi indicati al par. 1.1. e si veda anche dopo par. 3.1.3.), anche quando detto quesito, se autonomamente presentato, dovrebbe essere indirizzato alla Direzione Regionale.
Il Provvedimento, infine, sempre in ordine alla competenza degli uffici, conferma alcune regole già dettate dai decreti ministeriali di attuazione del diritto di interpello, ossia che:
a) in caso di presentazione dell’istanza ad un ufficio diverso da quello competente, il primo provvede a trasmettere al secondo l’istanza. In tal caso, i termini per la risposta decorrono dalla data di ricezione del quesito da parte dell’ufficio competente, data di cui viene data puntualmente informazione al contribuente (punto 2.4 del Provvedimento).
Al riguardo giova precisare che, affinché operi la previsione del Provvedimento secondo cui “nel caso di presentazione attraverso il servizio telematico di cui al punto 1.1 lettera c) ovvero agli indirizzi di posta elettronica indicati nell’allegato A, le istanze di interpello si intendono comunque presentate alle strutture dell’agenzia competenti in base a quanto previsto nei punti 2.1., 2.2. e 2.3″, è necessario che il contribuente abbia presentato l’interpello all’indirizzo (di PEC o, se ne ricorrono i presupposti, di posta elettronica libera) della Direzione regionale o Centrale competente in base al suo domicilio fiscale;
b) anche per le istanze validamente presentate alla Direzione regionale, la risposta al contribuente può essere fornita direttamente dalla Direzione centrale di riferimento.
Con riferimento al punto b), il Provvedimento prevede infatti che, senza effetti sui termini di risposta al contribuente, le Direzioni regionali:
- possono inoltrare l’istanza alla Direzione centrale di riferimento nei casi di maggiore incertezza della soluzione o di complessità della fattispecie;
- inoltrano l’istanza alla Direzione centrale di riferimento per le ipotesi in relazione alle quali la risposta è soggetta a pubblicazione ai sensi dell’articolo 11, comma 6, dello Statuto (si veda dopo par. 4.6.).
2.1.3 Modalità di presentazione delle istanze. Il Provvedimento ha individuato altresì le modalità di presentazione delle istanze, razionalizzando gli strumenti attualmente a disposizione del contribuente.
Le istanze (al pari, come si vedrà, della documentazione integrativa ovvero dei dati e dei documenti ulteriori richiesti al contribuente per effetto della regolarizzazione) sono presentate mediante:
- consegna a mano;
- spedizione a mezzo plico raccomandato con avviso di ricevimento;
- presentazione per via telematica attraverso l’impiego della posta elettronica certificata di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68.
Il provvedimento prevede altresì una diversa modalità di presentazione attraverso l’utilizzo di un servizio telematico erogato in rete dall’Agenzia delle Entrate con modalità di accesso disciplinate dall’articolo 64, comma 2 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 che non è al momento operativo e sul quale, pertanto, si rinvia a futuri chiarimenti.
È, infine, prevista una modalità di presentazione estremamente semplificata per le sole istanze presentate dai contribuenti non residenti che non si avvalgono di un domiciliatario nel territorio dello Stato, i quali possono inoltrare l’istanza mediante la posta elettronica libera agli indirizzi [email protected] (se si tratta di istanze relative a quesiti attribuiti al ramo Territorio) e [email protected] (se si tratta di istanze relative a quesiti attribuiti al ramo Entrate).
Il riferimento puntuale ai “soggetti non residenti che non si avvalgono di un domiciliatario nel territorio dello Stato” comporta che coloro che provvedano invece alla nomina di quest’ultimo inoltrano le istanze di interpello attraverso le modalità di presentazione previste per tutti gli altri contribuenti.
Giova sottolineare, da ultimo, che l’utilizzo della posta elettronica libera, in quanto consentito ai soli soggetti espressamente indicati al punto 1.1. lettera c) ultimo periodo del provvedimento, non costituisce modalità generale. Le istanze dei contribuenti diversi da soggetti non residenti privi di un domiciliatario nel territorio dello Stato presentate mediante la posta elettronica libera ai suddetti indirizzi devono considerarsi, pertanto, non presentate e quindi sono del tutto improduttive degli effetti dell’interpello. Di detta circostanza viene comunque data informazione al contribuente istante.
3. LE ISTANZE DI INTERPELLO
Diverse disposizioni del decreto e del provvedimento disciplinano i requisiti estrinseci (preventività e non interferenza con le attività di controllo) ed intrinseci (sussistenza delle condizioni di obiettiva incertezza e definizione del contenuto delle istanze) delle istanze di interpello, delineando una compiuta disciplina di riferimento.
3.1.1 Preventività delle istanze e non interferenza con le attività di controllo. Il decreto, all’articolo 2, comma 2, con riferimento al requisito temporale, conferma il carattere della preventività delle istanze, di cui declina una definizione generale valevole per tutte le tipologie di istanze.
Ancorché anche nel sistema antecedente alle modifiche in discorso le istanze dovessero essere preventive, detta preventività si articolava diversamente per le istanze di interpello “ordinario” rispetto alle istanze di interpello latu sensu disapplicative in quanto mentre per le prime valevano gli ordinari termini di presentazione della dichiarazione dei redditi, per le seconde vigeva la regola del “tempo utile”, dovendo le stesse essere presentate 90 o 120 giorni (a seconda dei tempi di istruttoria diversi previsti per le singole tipologie) prima del termine di scadenza di presentazione della medesima dichiarazione (cfr. Circ. 32/E del 20107).
Per effetto delle novità del decreto, le istanze (indipendentemente dalla tipologia di appartenenza) devono essere presentata:
- prima della scadenza dei termini ordinari di presentazione della dichiarazione (come evidenziato espressamente nella relazione illustrativa al decreto) se dette istanze sottendono comportamenti che trovano attuazione mediante la presentazione della dichiarazione. Per effetto della regola, come chiarito dalla relazione illustrativa, non assumono rilievo i termini entro cui i contribuenti possono sanare l’omissione o correggere la dichiarazione presentata, né tanto meno i termini previsti dal comma 8-bis dell’articolo 2 del D.P.R. 322 del 1998 (come nel tipico caso delle istanze relative alle imposte sui redditi). Giova altresì evidenziare che il riferimento alla dichiarazione come momento rilevante ai fini dell’attuazione del comportamento vale tanto per le istanze relative alle imposte sui redditi quanto per le istanze relative all’IVA in quanto – ancorchè detto tributo si caratterizzi per l’effettuazione di una serie di adempimenti preliminari rispetto alla dichiarazione – è comunque con la presentazione di quest’ultima che il contribuente dà definitiva attuazione al proprio comportamento. Si precisa, infine, che quando le istanze di interpello riguardano questioni che hanno impatto su dichiarazioni relative a più periodi di imposta (come accade, ad esempio, nei casi in cui oggetto dell’istanza sia la rilevanza delle spese di ristrutturazione di cui all’articolo 16-bis del TUIR), in presenza di istanze presentate oltre il termine di presentazione di una dichiarazione interessata dal quesito (di norma la prima), dovrà comunque essere apprezzato l’interesse del contribuente a conoscere la risposta dell’amministrazione anche al fine di determinare il comportamento da tenere in sede di presentazione delle dichiarazioni relative ai periodi di imposta successivi;
- prima dell’assolvimento dell’obbligo fiscale oggetto dell’istanza o comunque connesso alla fattispecie (come nel caso degli interpelli in materia di imposta di registro, per i quali occorre far riferimento, ad esempio, alla presentazione dell’atto per la registrazione).
Corollario della preventività è che le istanze presentate non interferiscano con attività di controllo già poste in essere dall’amministrazione riferite o che comunque possano produrre effetti sul contribuente e di cui quest’ultimo sia formalmente a conoscenza se vertenti sulla questione oggetto di interpello (circostanza che può ricorrere tanto se l’istanza viene presentata dopo aver dato attuazione al comportamento tanto se trattasi di comportamenti ripetuti nel tempo, qualora siano in corso attività di accertamento per periodi di imposta antecedenti a quello cui si riferisce l’istanza). Sul punto si rinvia al par. 4.3.1.
3.1.2 Obiettive condizioni di incertezza. Presupposto per la presentazione delle istanze di interpello ordinario è la sussistenza di “obiettive condizioni di incertezza” mutuata dalla disciplina previgente (in quanto prevista anche nella vecchia formulazione dell’articolo 11 dello Statuto) ed oggi enucleata espressamente nel comma 4 del nuovo articolo 11.
Tale condizione deve ricorrere tanto per l’interpello ordinario “puro” quanto per quello “qualificatorio” per il quale, come chiarito al par 1.1., l’obiettiva incertezza assume una connotazione particolare o in termini di “peculiarità” e non ricorrenza delle fattispecie o in termini di complessità.
Tale previsione, in realtà, non è nuova, essendo già contenuta nel decreto ministeriale 26 aprile 2001, n. 209, emanato ai sensi del previgente comma 5 dell’articolo 11 dello Statuto; essa è stata, tuttavia, generalizzata e portata nella sede della regolamentazione statutaria. Se ne mantiene, in ogni caso, la connotazione in negativo: la norma, anziché fornire una definizione positiva, indica quando non sussistono obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo delle disposizioni e, cioè, quando l’amministrazione ha compiutamente fornito la soluzione di fattispecie corrispondenti a quella rappresentata dall’istante mediante atti resi pubblici nelle forme previste dall’articolo 5 dello Statuto.
3.1.3 Contenuto delle istanze. Il comma 1 dell’articolo 3 del decreto disciplina il contenuto delle istanze di interpello chiarendo che l’istanza deve contenere i seguenti elementi:
- dati identificativi dell’istante ed eventualmente del suo legale rappresentante, comprensivi del codice fiscale;
- l’indicazione del tipo di istanza secondo la classificazione prevista dalle lettere da a) a c) del comma 1 dell’articolo 11, dello Statuto ovvero ai sensi del comma 2 della medesima disposizione, cui si correla la regola, prevista nel comma 1 dell’articolo 3, secondo cui le istanze devono sempre contenere l’esplicito riferimento alle disposizioni che disciplinano il diritto di interpello al fine di consentire una loro agevole individuazione nel più generale contesto dell’attività di consulenza e assistenza dell’amministrazione;
- la circostanziata e specifica descrizione della fattispecie, da valutarsi alla luce della possibilità di rendere una risposta al quesito prospettato;
- le specifiche disposizioni di cui si richiede l’interpretazione, l’applicazione o la disapplicazione (si veda soprattutto quanto sottolineato sopra al paragrafo 1.3. per le istanze di interpello antiabuso);
- l’esposizione, in modo chiaro ed univoco, della soluzione proposta (senza la quale, peraltro, è difficile valutare in sede di accertamento gli effetti dell’eventuale silenzio assenso formatosi sull’istanza);
- l’indicazione del domicilio e dei recapiti anche telematici dell’istante o dell’eventuale domiciliatario presso il quale devono essere effettuate le comunicazioni dell’amministrazione finanziaria e deve essere comunicata la risposta;
- la sottoscrizione dell’istante o del suo legale rappresentante, ovvero del procuratore generale o speciale incaricato ai sensi dell’articolo 63 del D.P.R. 600/73 o comunque del diverso soggetto legittimato alla presentazione con la relativa procura. Se, in quest’ultimo caso, la procura non e’ contenuta in calce o a margine dell’atto, essa deve essere allegata all’istanza. Si ricorda che, ai sensi del punto 1.1. lettera d) del Provvedimento, l’istanza va “sottoscritta con firma autografa, ovvero, nei casi in cui il documento è trasmesso via posta elettronica certificata o, ove consentito, posta elettronica libera, con firma digitale o con le modalità di cui all’articolo 38, comma 3, del Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445“.
Si coglie l’occasione per precisare, con riferimento al requisito consistente nell’indicazione della tipologia di istanza presentata, che, come anche ricordato nel par. 1.1., può accadere che un determinato profilo della fattispecie descritta dal contribuente imponga all’amministrazione di effettuare – nella più generale istruttoria finalizzata a rendere la risposta – ulteriori valutazioni ex se riconducibili ad una diversa tipologia di interpello (si ricorda, nell’esempio rappresentato nel richiamato par. 1.1., il caso della valutazione della esistenza di una azienda, essenziale per definire se l’operazione realizzata integra o meno un abuso del diritto o, più in generale, i casi di istanze che impongono altresì valutazioni riconducibili ad un interpello ordinario “puro”, prodromiche rispetto alla diversa richiesta presentata). In tali circostanze, indipendentemente dal fatto che il contribuente, nell’indicare il tipo di istanza, valorizzi la presenza di due o più quesiti, strettamente consequenziali (l’uno riconducibile, negli esempi prospettati, alla lettera a) e l’altro alla lettera c) del comma 1 dell’articolo 11 dello Statuto), la risposta dell’amministrazione sarà unica e verrà resa nel più ampio termine di 120 giorni relativo ad una o più delle richieste formulate, senza che si determini, decorso il termine di 90 giorni, silenzio assenso rispetto agli eventuali quesiti “interpretativi” contenuti nell’istanza. Resta inteso che, ove il contribuente intenda presentare più quesiti che non presentano carattere di consequenzialità o alcun tipo di collegamento tra loro, è onere del medesimo presentare diverse istanze di interpello, ciascuna riferita alla peculiare richiesta formulata, anche in considerazione della possibile non coincidenza dei termini di risposta e/o della competenza degli uffici. In presenza di istanze così mal formulate, l’amministrazione attiverà la procedura di regolarizzazione (par. 4.1.) per consentire di sanare detta irregolarità.
I dati indicati dall’articolo 3 del decreto e sopra elencati non assumono tutti la stessa rilevanza nel contesto della disciplina.
Mentre alcuni di essi (in particolare i dati identificativi dell’istante ed eventualmente del legale rappresentante e la circostanziata e specifica descrizione della fattispecie) costituiscono il contenuto minimo necessario delle istanze, la cui assenza è causa di inammissibilità ai sensi dell’articolo 5 del decreto, tutti gli altri requisiti, invece, possono essere regolarizzati ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 3 (si veda dopo, par. 4.1.).
Il medesimo decreto prevede, inoltre, che le istanze devono essere corredate:
- della documentazione, non in possesso dell’amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche indicate dall’istante, rilevante ai fini della risposta;
- dei pareri tecnici resi dall’ufficio o dalla struttura competente, qualora la risposta dell’Agenzia delle entrate presuppone l’espletamento di accertamenti di natura tecnica, non di sua competenza, secondo quanto più dettagliatamente esplicitato al par. 1.1.
4. IL PROCEDIMENTO DI ISTRUTTORIA DELL’INTERPELLO
Nel corso dell’istruttoria dell’interpello, il decreto ha previsto alcune significative novità rispetto al passato.
4.1 La richiesta di regolarizzazione. Una significativa novità del decreto, introdotta nell’ottica di generale favor verso l’istituto dell’interpello, concerne la regolamentazione di una fase nuova – appunto quella di regolarizzazione – che nasce dalla disciplina previgente (ove era contemplata solo per il vizio di sottoscrizione) ma che assume rispetto al passato portata generale e che, per tale motivo, viene compiutamente disciplinata tanto dal decreto quanto dal provvedimento.
Come anticipato al par. 3.1.3. non tutti i requisiti previsti per le istanze assumono lo stesso peso, differenziandosi in requisiti di ammissibilità dell’istanza e requisiti suscettibili di regolarizzazione.
Qualora, infatti, l’amministrazione riscontri che l’istanza è priva di uno dei requisiti del secondo tipo (che, si ricorda, sono (i) l’indicazione del tipo di istanza secondo la classificazione prevista dall’articolo 11 dello Statuto, (ii) le disposizioni di cui si richiede l’interpretazione, l’applicazione o la disapplicazione, (iii) l’esposizione della soluzione proposta, (iv) l’indicazione del domicilio e dei recapiti anche telematici dell’istante o dell’eventuale domiciliatario e (v) la sottoscrizione dell’istante o del suo legale rappresentante, ovvero del procuratore generale o speciale incaricato nonché, in quest’ultimo caso, la produzione della procura), essa è tenuta ad invitare il contribuente a regolarizzare gli elementi carenti dell’istanza.
Interpretando lo spirito di favore sotteso all’istituto della regolarizzazione, si ritiene che è facoltà dell’amministrazione attivare la procedura non per effetto del mero riscontro della carenza, ma solamente nelle ipotesi in cui la mancanza di alcuni dati pregiudichi la possibilità di istruire l’istanza e di rendere una risposta nel merito.
Questa precisazione assume particolare rilevanza con riferimento ai dati sub (i) (l’indicazione del tipo di istanza secondo la classificazione prevista dall’articolo 11 dello Statuto) ed (ii) (indicazione delle disposizioni di cui si richiede l’interpretazione, l’applicazione o la disapplicazione).
Di seguito alcuni esempi.
La regolarizzazione può non essere richiesta nei casi di omessa indicazione del riferimento all’articolo 11, comma 1, lettera b) dello Statuto in relazione ad un’istanza relativa alla disciplina delle CFC, se dal contenuto della medesima emerge chiaramente che essa è tesa ad ottenere un parere sull’idoneità degli elementi indicati nell’istanza ai sensi e per gli effetti di cui al comma 5 e del comma 8-ter dell’articolo 167 TUIR.
Viceversa, la regolarizzazione appare necessaria quando dal contenuto dell’istanza e dalla formulazione della richiesta del contribuente non appare agevole desumere se, rispetto alle disposizioni invocate, il contribuente intenda chiedere un parere di tipo strettamente interpretativo o di tipo diverso (ad esempio probatorio o disapplicativo).
Sempre nella stessa direzione, si ritiene non necessario richiedere la regolarizzazione per assenza della mancata espressa indicazione delle norme di cui si chiede l’interpretazione, l’applicazione o la disapplicazione qualora risulti inequivocabile, nella descrizione della fattispecie e nella esposizione della soluzione, la norma o le norme di riferimento. Viceversa, come ricordato nel par. 1.3., quando la mancata indicazione delle norme (o per lo meno del settore impositivo di riferimento) si traduce nella impossibilità di istruire le istanze, come accade principalmente per le nuove istanze antiabuso stante l’ampiezza del perimetro applicativo dell’articolo 10 bis dello Statuto, la procedura di regolarizzazione deve essere necessariamente attivata.
Si ritiene infine che, in un’ottica di favore per i contribuenti, la procedura di regolarizzazione può essere avviata non solo dove i dati sopra indicati siano carenti, ma anche qualora le indicazioni fornite nell’istanza appaiano tra loro contraddittorie e non consentano una trattazione dell’istanza. Si pensi al caso in cui il contribuente abbia erroneamente indicato, come riferimento normativo, l’articolo 11, comma 1, lettera a) dello Statuto, ma la richiesta – sia nella parte esplicativa del fatto che nella illustrazione della soluzione – appaia essenzialmente tesa ad ottenere un parere in ordine alla idoneità delle prove addotte ai fini dell’accesso ad un determinato regime. In dette ipotesi, l’amministrazione, invitando il contribuente alla regolarizzazione, può chiedere di correggere il riferimento normativo inesatto o, al contrario, offrire la possibilità di meglio articolare la richiesta coerentemente alla tipologia di interpello richiamata.
Resta inteso che, in tutti i casi sopra indicati, la scelta dell’amministrazione di attivare o meno la regolarizzazione, da compiersi in funzione della possibilità o meno di istruire l’istanza nel merito nonostante la carenza o l’irregolarità riscontrata, non è in alcun modo sindacabile dall’istante il quale, pertanto, a seguito della ricezione dell’invito dovrà attivarsi a sanare l’istanza presentata nel termine previsto, pena l’inammissibilità dell’interpello presentato.
Il provvedimento ha, inoltre, espressamente disciplinato il procedimento di regolarizzazione prevedendo che:
- l’ufficio competente alla trattazione dell’istanza, entro trenta giorni dalla consegna o dalla ricezione della medesima, invita l’istante alla regolarizzazione segnalando il dato o i dati carenti;
- il contribuente, nei trenta giorni successivi alla ricezione dell’invito dell’ufficio, provvede a regolarizzare l’istanza carente.
Qualora la regolarizzazione sia correttamente effettuata, per espressa previsione, i termini per la risposta decorrono dalla consegna o ricezione non dell’istanza originaria, bensì di quella regolarizzata.
Resta fermo che l’amministrazione, decorsi i trenta giorni previsti dal provvedimento per la regolarizzazione, nei casi in cui la procedura non sia stata attivata o sia stata attivata solo in relazione ad alcune carenze riscontrate, può comunque richiedere al contribuente, anche dopo il predetto termine, i dati di cui all’articolo 3 del decreto che eventualmente si fossero rilevati, nel prosieguo della lavorazione, carenti; la richiesta, tuttavia, non determina alcun differimento del dies a quo dei termini per la risposta, che restano collegati alla presentazione dell’originale istanza all’ufficio competente.
Qualora l’istanza integrata dal contribuente non pervenga nei termini fissati dal provvedimento, l’istanza è dichiarata inammissibile (cfr. par. 4.3.1.). A tal proposito, giova richiamare l’attenzione sulla circostanza che l’istanza regolare deve essere trasmessa con le stesse modalità previste per la presentazione dell’interpello (consegna a mano, raccomandata a/r, PEC o posta elettronica libera per i soli contribuenti cui ne è consentito l’uso); non potranno essere considerate come utilmente presentate le istanze che siano trasmesse con canali diversi da quelli ammessi.
Si precisa, da ultimo, che coerentemente alle finalità della procedura in esame, che è quella di consentire all’amministrazione di pronunciarsi nel merito in presenza di vizi di forma più minimali dell’istanza, la regolarizzazione non deve essere richiesta tutte le volte in cui l’Agenzia sia in grado di riscontrare, entro i 30 giorni dalla ricezione, sulla base dei dati contenuti nell’istanza, l’inammissibilità della medesima (ad esempio, nel caso di difetto di preventività o in caso di difetto dei requisiti essenziali non suscettibili di regolarizzazione) in quanto, pur in presenza di istanza formalmente regolare, non sarebbe comunque possibile istruire nel merito il quesito presentato.
4.2 La richiesta di documentazione integrativa. L’articolo 4 del decreto stabilisce che quando non è possibile fornire risposta sulla base della documentazione allegata all’istanza, l’amministrazione può richiedere al contribuente di fornire ulteriore documentazione. La disciplina si pone, in parte, in linea di continuità rispetto al passato dove la possibilità di richiedere documentazione integrativa con effetti sui tempi di risposta era prevista solo per gli interpelli ordinari di cui all’articolo 11 dello Statuto nonché per quelli che, pur con finalità diverse, contenevano un espresso richiamo alla procedura di cui al citato articolo 11 (ad esempio gli interpelli ex art. 113 TUIR).
In omaggio alle esigenze tracciate dalla legge delega di omogeneizzazione della disciplina e di riduzione dei tempi complessivi di risposta, il decreto ha previsto che:
– la richiesta di documentazione integrativa è attivabile per qualunque tipologia di interpello (divenendo, quindi, possibile anche per gli interpelli per i quali tale facoltà non era espressamente prevista);
– per effetto della richiesta i termini della risposta sono sospesi; tuttavia, rispetto al passato, il decreto ha innovato sui tempi complessivi di risposta prevedendo che questa debba essere resa dall’amministrazione entro 60 giorni dalla ricezione della documentazione. Il termine è unico e, a differenza di quanto previsto per i termini “ordinari” di lavorazione delle istanze, differenziati in base alla tipologia di interpello presentato (cfr. par. 4.3.), vale per qualsiasi tipologia di istanza.
Ai sensi del punto 4.3. del provvedimento, il contribuente è tenuto a fornire tutta la documentazione richiesta, trasmettendola con le stesse modalità di presentazione dell’istanza (consegna a mano, raccomandata a/r, PEC e posta elettronica libera solo per i soggetti cui ne è consentito l’utilizzo), preferibilmente su supporto informatico. Qualora una parte o tutta la documentazione richiesta non possa essere esibita, il contribuente è tenuto ad esplicitare i motivi della mancata trasmissione. Tale circostanza rileva ai fini della risposta in quanto – fermo restando che la mancata presentazione della documentazione integrativa entro un anno integra un’ipotesi di rinuncia implicita all’interpello (cfr. successivo par. 4.5) – in mancanza di alcuni documenti richiesti, nel rispetto dei principi di trasparenza e collaborazione che informano il rapporto, l’amministrazione potrà comunque non essere nelle condizioni di fornire una puntuale risposta alla richiesta del contribuente.
Coerentemente alla natura non provvedimentale della risposta all’interpello e come peraltro espressamente confermato dall’articolo 6, comma 3, del decreto, la documentazione non fornita in occasione dell’istruttoria dell’interpello, non integra il disposto degli articoli 32, comma 4, del d.P.R. 600 del 1973 e 52, comma 5, del d.P.R. 633 del 1972 nella parte cui pongono preclusioni alla utilizzabilità a favore del contribuente della notizie e dei dati non addotti, nonché, più in generale, degli atti, dei documenti, dei libri e dei registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell’ufficio.
Da ultimo, come precisato nel par. 1.2 con riferimento all’interpello probatorio, si ricorda che nell’istruttoria di questa particolare categoria di istanze, la richiesta di documentazione integrativa è preordinata a rimuovere eventuali dubbi dell’amministrazione tutte le volte in cui la stessa, ai fini della risposta, ritenga necessari ulteriori elementi non forniti in sede di presentazione dell’istanza, mentre non può essere attivata al solo fine di compensare una significativa carenza di elementi probatori nell’originaria istanza.
4.3 La risposta dell’amministrazione. In ordine alla risposta del contribuente, il decreto ha previsto significative novità concernenti essenzialmente i tempi. Il nuovo comma 3 dell’articolo 11 dello Statuto, in attuazione dell’esigenza di ridurre la tempistica di lavorazione delle istanze, ha previsto che l’amministrazione debba fornire il parere:
– entro 90 giorni dalla ricezione dell’istanza da parte dell’ufficio competente per gli interpelli ordinari, sia “puri” che “qualificatori”;
– entro 120 giorni per tutte le altre tipologie di istanze.
La riduzione dei tempi prevista dalla legge delega viene realizzata non solo attraverso la contrazione dei tempi a disposizione per la risposta (ben misurabile per gli interpelli “ordinari”, per i quali il termine previgente di 120 giorni viene ridotto a 90), ma anche attraverso l’attribuzione a tutti i termini previsti di quel carattere di perentorietà che non era previsto per tutte le tipologie di istanze dalla precedente disciplina (a titolo di esempio, per gli interpelli disapplicativi obbligatori e per gli interpelli delle S.N.O.P. e delle S.P.S.).
Viene, inoltre, confermata la regola del silenzio assenso, già prevista nella precedente formulazione dell’articolo 11 dello Statuto, nella parte in cui il nuovo comma 3 della citata disposizione recita che “Quando la risposta non è comunicata al contribuente entro il termine previsto, il silenzio equivale a condivisione, da parte dell’amministrazione, della soluzione prospettata dal contribuente“.
Giova in questa sede evidenziare la portata significativamente innovativa della disposizione nella parte in cui essa estende ad ogni tipologia di interpello un effetto che prima caratterizzava solo le istanze di interpello ordinario (comprese le ipotesi, come gli interpelli ex art. 113 TUIR, caratterizzate da un rinvio esplicito alla procedura dell’articolo 11 dello Statuto).
Tale previsione – oltre a conferire carattere di perentorietà ai termini di risposta per tutte le tipologie di istanza – offre al contribuente l’ulteriore garanzia legata alla significatività del silenzio, declinabile anche in relazione alle richieste che nel vecchio sistema si caratterizzavano per la previsione di termini ordinatori (come, ad esempio, le istanze di disapplicazione della normativa antielusiva previste dall’abrogato articolo 37 bis, comma 8, del d.P.R. 600 del 1973) o per le quali la perentorietà del termine era collegata ad un atto ulteriore di parte – la “diffida” (come, per le istanze antielusive di cui all’articolo 21 della legge 413 del 1991).
4.3.1 Le risposte ad istanze inammissibili. Un’altra significativa novità del decreto risiede nella nuova disciplina relativa alle ipotesi di inammissibilità per le quali il legislatore ha ipotizzato, in omaggio alle esigenze di tutela del contribuente e di maggiore certezza del diritto, il carattere della tassatività.
L’articolo 5 del decreto individua le seguenti ipotesi:
a) carenza dei dati identificativi dell’istante e mancanza della descrizione puntuale e specifica della fattispecie (si ricorda, come già anticipato, che detti requisiti non sono previsti tra quelli regolarizzabili, costituendo il nucleo minimo indispensabile dell’istanza);
b) mancanza di preventività;
c) mancanza delle condizioni di obiettiva incertezza;
d) reiterazione di istanze per le quali il contribuente abbia già ottenuto un parere. Si tratta, in particolare, dei casi in cui il contribuente si limita a richiedere una revisione delle risposte ricevute senza rappresentare circostanze di fatto o di diritto nuove rispetto a quelle evidenziate nella precedente istanza che risultino idonee a giustificare una revisione del parere;
e) presentazione di istanze che vertono su materie oggetto delle procedure espressamente escluse dalla disciplina comune degli interpelli e, cioè, gli accordi preventivi di cui all’articolo 31 ter del DPR 600/1973 (che costituiscono una figura autonoma e distinta da quella dell’interpello) e l’interpello sui nuovi investimenti (che, pur condividendo con quelli in esame la stessa natura di interpello, presenta delle peculiarità, anche nell’istruttoria, tali da suggerirne una totale autonomia); come accennato in premessa, analoga esclusione vale, con riguardo a qualsiasi tipologia di interpello, per le istanze dei contribuenti che hanno avuto accesso al regime dell’adempimento collaborativo;
f) istanze che interferiscono con l’esercizio dei poteri accertativi, perché vertenti su questioni per le quali sono state già avviate attività di controllo alla data di presentazione dell’istanza; l’interferenza coi poteri di controllo è preordinata ad evitare che, attraverso l’attività svolta in sede di lavorazione delle istanze di interpello, il contribuente possa ottenere l’effetto di una “revisione” degli esiti delle attività che si svolgono in sede di accertamento, caratterizzati – non da ultimo- da poteri istruttori pieni idonei a verificare anche la completezza, veridicità ed esaustività delle informazioni fornite in sede di interpello. Giova evidenziare che l’inammissibilità, stante il tenore letterale del decreto che riferisce le attività di controllo non all’istante ma alle questioni oggetto dell’istanza, ricorre non solo per le attività riferite direttamente al contribuente (quindi anche a terzi) purché l’istante ne sia formalmente a conoscenza e opera anche nel caso in cui oggetto di accertamento non siano direttamente i comportamenti oggetto dell’istanza ma altri, riferiti a precedenti periodi di imposta, comunque strettamente correlati alla richiesta di interpello, perché, tra l’altro, perfettamente sovrapponibili. Si pensi, a titolo di esempio, a fattispecie suscettibili di ripetizione nel tempo come quelle che ricorrono per effetto della detenzione di una partecipazione in una CFC e per i quali, per le diverse annualità di detenzione della partecipazione, si pone il tema dell’imputazione per trasparenza di cui all’articolo 167 TUIR. Qualora il contribuente abbia subito, per una determinata annualità, un controllo, ciò preclude la possibilità di presentazione di un’istanza, pur preventiva, relativa ad una successiva annualità qualora la situazione di fatto e di diritto non sia mutata rispetto a quella che caratterizza l’annualità oggetto del controllo. È evidente, infatti, che in tali ipotesi la risposta dell’amministrazione potrebbe produrre effetti non irrilevanti sul controllo in corso e potrebbe costituire strumento di “revisione” degli esiti del controllo stesso. Si ricorda, infine, come chiarito nella relazione al decreto, che il riferimento alle “attività di controllo” va interpretato in senso ampio e comprende anche l’avvenuta presentazione di istanze di rimborso o istanze di annullamento, anche parziale, in autotutela, nonché le attività di accertamento tecnico di competenza dell’amministrazione procedente;
g) istanze non regolarizzate nel termine di 30 giorni stabilito dal decreto.
Con riferimento al tema in esame giova altresì richiamare l’attenzione sulla circostanza che, nei casi in cui l’interpello sia dichiarato inammissibile per mancanza delle condizioni di obiettiva incertezza legate, in particolare, al fatto che l’amministrazione ha già fornito la soluzione di fattispecie corrispondenti a quella rappresentata dall’istante mediante atti resi pubblici nelle forme previste dalla legge, è onere dell’Agenzia fornire al contribuente l’indicazione dell’atto nel quale quest’ultimo può trovare risposta al quesito presentato nonché fornire una sintetica descrizione della risposta, per la parte che rileva ai fini del quesito presentato.
Resta confermato, in ogni caso, che alle istanze inammissibili non viene fornito riscontro nemmeno a titolo di consulenza giuridica (cfr. Circ. 32/E del 20108).
4.4 La rettifica della risposta. Il nuovo comma 3 dell’articolo 11 dello Statuto contiene un espresso riferimento alla possibilità di rettifica della risposta resa dall’amministrazione, in linea di continuità con quanto espressamente previsto al riguardo dal decreto attuativo della disciplina dell’interpello (DM 209 del 2001).
La nuova disposizione prevede, infatti, che l’amministrazione – stante l’immanenza del generale potere di autotutela – ha sempre la possibilità di comunicare al contribuente istante un cambio di orientamento rispetto alla precedente risposta fornita espressamente (risposta rettificativa vera e propria) o consolidatasi per effetto del silenzio (risposta cd. tardiva). Lo Statuto si preoccupa di regolamentare la rettifica essenzialmente al fine di coordinare la nuova risposta con quella precedente sotto il profilo degli effetti. Il citato comma 3 dell’articolo 11 prevede, infatti, che gli effetti della risposta all’istanza (su cui si veda il successivo par. 5) siano in qualche modo interrotti dalla comunicazione da parte dell’amministrazione di un nuovo parere che integra e/o corregge quello precedentemente reso.
Lo Statuto specifica, evidentemente in relazione alle fattispecie suscettibili di ripetersi nel tempo e con riguardo alle ipotesi in cui l’amministrazione fornisca una nuova risposta sfavorevole all’istante, che per effetto della comunicazione di una nuova risposta, il contribuente non potrà beneficiare degli effetti del primo parere per i comportamenti da lui posti in essere dopo la comunicazione della risposta rettificativa.
Più in generale, al di là delle ipotesi aventi ad oggetto fattispecie ripetitive, resta confermata la regola secondo cui occorre aver riguardo al momento in cui la rettifica della risposta viene notificata o comunicata al contribuente.
Ove, infatti, al momento della ricezione della risposta rettificativa, quest’ultimo abbia già posto in essere il comportamento prospettato nell’istanza o dato attuazione alla norma oggetto dell’interpello, comportandosi in senso conforme al parere dell’Agenzia (anche formatosi per effetto del silenzio) resta confermata la regola della nullità degli eventuali atti impositivi o sanzionatori fondati sul diverso parere contenuto nella risposta rettificativa.
Qualora, invece, la nuova risposta sia notificata o comunicata prima che l’istante abbia tenuto il comportamento prospettato o dato attuazione alla norma oggetto dell’interpello, l’Amministrazione finanziaria, in applicazione del parere contenuto nella nuova risposta e disatteso dal contribuente, può recuperare le imposte eventualmente dovute ed i relativi interessi, senza tuttavia, in omaggio al generale principio di tutela dell’affidamento, irrogare le sanzioni.
4.5 La rinuncia. Una vera e propria novità della nuova disciplina è rappresentata dall’espressa regolamentazione della rinuncia all’interpello.
Mentre il decreto ha disciplinato la sola rinuncia implicita all’interpello (rappresentata dalla mancata presentazione della documentazione integrativa entro un anno dalla richiesta), il provvedimento ha correttamente disciplinato l’istituto anche con riferimento alla rinuncia espressa.
Il punto 4.5. del provvedimento prevede, infatti, che “in pendenza dei termini di istruttoria dell’interpello, resta ferma la possibilità per i contribuenti di presentare con le modalità consentite la rinuncia espressa all’interpello all’ufficio competente”.
La rinuncia è trasmessa con le consuete modalità rituali e, come per l’istanza, si ritiene che debba essere sottoscritta dall’istante o dal suo legale rappresentante o dal procuratore generale o speciale con l’avvertenza che anche in questo caso la procura alla rinuncia – se non contenuta in calce o a margine dell’atto – deve essere a quest’ultimo allegata.
Per effetto della presentazione della rinuncia espressa, si determina una anticipata chiusura del procedimento senza che la risposta venga resa e senza che – evidentemente – il silenzio assuma significato.
Il punto 4.4. del medesimo provvedimento – con riferimento alla rinuncia implicita, cioè quando la documentazione richiesta non è trasmessa entro un anno dalla data della relativa richiesta – per esigenze di certezza, statuisce che l’ufficio procedente prenda atto della rinuncia all’interpello effettuando la relativa notificazione o comunicazione tempestivamente.
Le medesime esigenze di certezza depongono nel senso di ritenere che anche in caso di rinuncia espressa l’ufficio effettui la medesima comunicazione o notificazione al contribuente.
4.6 La pubblicità delle risposte. Un’importante novità dello Statuto consiste nella codificazione delle ipotesi in cui l’amministrazione provvede a dare pubblicità – in omaggio alle esigenze di trasparenza dell’azione amministrativa, correttamente temperate dall’esigenza di assicurare la certezza del diritto – alle risposte fornite in sede di interpello.
Il nuovo comma 6 dell’articolo 11 dello Statuto detta, infatti, una norma programmatica che rispetto alla pregressa regola contenuta nel precedente comma 4 amplia le ipotesi di pubblicazione delle risposte, individuando più che una mera facoltà una regola di comportamento, quando:
a) la medesima questione o questioni analoghe sono presentate da un numero elevato di contribuenti;
b) sia stata fornita l’interpretazione di norme di recente approvazione o di disposizioni per le quali manchino indicazioni ufficiali della stessa amministrazione;
c) sulla questione oggetto dell’istanza l’amministrazione sia a conoscenza di comportamenti non uniformi da parte degli uffici;
d) più in generale, in ogni altro caso in cui l’amministrazione ritenga di interesse generale il chiarimento fornito.
Si ricorda che la pubblicazione delle risposte costituisce attività soggetta a valutazione da parte della Direzione Centrale, restando sostanzialmente preclusa alle Direzioni regionali. Ciò al fine di garantire un costante monitoraggio – istituzionalmente assegnato alle Direzioni centrali – sulla uniforme interpretazione ed applicazione delle norme sul territorio nazionale.
Proprio in questa prospettiva, infatti, il provvedimento, al punto 2.6, stabilisce che le Direzioni regionali inoltrino l’istanza per la lavorazione da parte della Direzione centrale tutte le volte in cui ritengano che la risposta potrebbe essere soggetta a pubblicità ai sensi dell’articolo 11, comma 6, dello Statuto.
Nella riformulazione del comma 6, infine, giova sottolineare che – uniformandosi ad una prassi costantemente seguita dall’amministrazione anche in passato – la pubblicazione della risposta non esime l’amministrazione dal provvedere alla ordinaria comunicazione della medesima a ciascuno dei contribuenti istanti; ciò anche al fine di consentire che rispetto questi ultimi, individualmente, si producano gli effetti propri della risposta all’interpello (come si chiarirà più nel dettaglio, al par. 5).
5. GLI EFFETTI DELLA RISPOSTA ALL’INTERPELLO SULL’ATTIVITÀ DI ACCERTAMENTO
Sulla falsariga della precedente formulazione, il nuovo testo dell’articolo 11 dello Statuto conferma che la risposta, scritta e motivata, vincola “ogni organo” dell’amministrazione “con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza” “e limitatamente al richiedente”.
Il vincolo si sostanzia nella previsione della nullità di eventuali atti a contenuto impositivo e/o sanzionatorio difformi dalla risposta (ivi compreso il “silenzio” che, come anticipato, assume significato nel contesto della disciplina) e si estende, salva la possibilità di rettifica, ai “comportamenti successivi del contribuente” purché “riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello”, coma accade soprattutto con riferimento alle fattispecie suscettibili di ripetersi nel tempo.
Per effetto della nuova formulazione resta, quindi, confermato che:
- ferma restando l’attività di controllo in ordine alla corrispondenza tra la fattispecie astrattamente descritta dal contribuente nell’istanza e quella concreta riscontrabile in sede di verifica, i principi contenuti nella risposta inibiscono la possibilità di sollevare rilievi già in sede ispettiva, sia da parte dell’Agenzia che da parte della Guardia di finanzia;
- la risposta produce gli effetti sopra menzionati solo nei limiti tracciati dalla richiesta della parte e dal tenore della risposta fornita. Questo chiarimento assume particolare importanza con riferimento ai nuovi interpelli antiabuso per i quali, come sopra ricordato, sarà onere del contribuente individuare puntualmente, oltre che le norme di riferimento, più in generale anche il settore impositivo o i settori rispetto ai quali l’operazione pone dubbi. Risulta del tutto evidente che la risposta dell’amministrazione, anche con riferimento alla rilevanza dell’esimente in presenza di operazioni che integrano i presupposti per l’abuso, produce effetto esclusivamente in relazione alle questioni sollevate dal contribuente con riferimento ad uno specifico comparto ed a determinate disposizioni di legge, con la conseguenza che non saranno precluse possibili contestazioni della medesima operazione a diversi fini impositivi;
- la risposta produce gli effetti tipici solo per il contribuente istante. Detta precisazione appare di fondamentale importanza nelle ipotesi in cui la risposta all’istanza di interpello sia resa pubblica mediante risoluzione o circolare (si veda par. 4.6) in quanto mentre per il destinatario della risposta i chiarimenti ivi contenuti determinano la nullità degli impositivi e/o sanzionatori difformi, per la generalità dei contribuenti si configura l’ipotesi di cui all’articolo 10, comma 2, dello Statuto secondo cui, ferma restando la debenza del tributo, “Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima ”.
Un’altra significativa novità in tema di rapporti tra istanze di interpello ed attività di accertamento dell’amministrazione è stata introdotta dal legislatore all’articolo 6, comma 2, del decreto, con esclusivo riferimento alle ipotesi in cui sia stata presentata istanza di interpello disapplicativo (obbligatorio) ai sensi dell’articolo 11, comma 2, dello Statuto.
Il decreto prevede, in particolare, ai fini della contestazione, una procedura di accertamento “aggravata”, costruita secondo il modello delle contestazioni di abuso del diritto (articolo 10 bis dello Statuto).
Qualora il contribuente abbia presentato istanza di interpello disapplicativo obbligatorio, salvi i casi in cui l’istanza non sia stata istruita nel merito in quanto dichiarata inammissibile, l’amministrazione è tenuta a seguire una procedura che si sostanzia:
1) in un obbligo di contestazione “separata” dell’indebita fruizione del componente negativo di reddito (deduzione, detrazione, credito d’imposta) o di altra posizione soggettiva, senza pregiudizio dell’ulteriore azione di accertamento;
2) nella necessità di notificare, ai sensi dell’articolo 60 del d.P.R. 600 del 1973 ed entro il termine ordinario di decadenza previsto per l’emanazione dell’atto impositivo, una richiesta di chiarimenti volta ad attivare un contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio (“a pena di nullità” dell’atto impositivo);
3) nella concessione al contribuente di un termine (60 giorni) entro cui fornire eventuali deduzioni difensive;
4) nella proroga del termine ordinario di decadenza dell’azione di accertamento collegato tanto alla facoltà di contraddittorio endoprocedimentale tanto al tempo considerato fisiologico per l’analisi, da parte dell’amministrazione, delle eventuali deduzioni difensive addotte (la proroga, in particolare, opera sia nel caso in cui i chiarimenti siano forniti, sia nell’ipotesi in cui sia scaduto inutilmente il termine a disposizione del contribuente);
- nell’obbligo di motivare, a pena di nullità, l’eventuale atto impositivo anche alla luce dei chiarimenti forniti dalla parte (cd. motivazione “rafforzata”).
6. GLI EFFETTI DELLA RISPOSTA ALL’INTERPELLO SUL CONTENZIOSO
L’articolo 6 del decreto, oltre che occuparsi del coordinamento della disciplina dell’interpello con la fase di accertamento, al comma 1 contiene un’importante regola di raccordo con le norme sul contenzioso.
Come evidenziato dalla relazione illustrativa al decreto, uno dei punti nodali cui la legge delega ha cercato di porre rimedio è quello che concerne l’impugnabilità diretta delle risposte rese dall’amministrazione in sede di interpello alla luce del criterio guida di “assicurare maggiore omogeneità (alla disciplina), anche ai fini della tutela giurisdizionale“.
La regola contenuta nel citato comma 1 (nel quale si legge espressamente che “la risposta alle istanze di interpello di cui all’articolo 11” dello Statuto “non sono impugnabili“) è sostanzialmente confermativa del consolidato orientamento dell’amministrazione (cfr, da ultimo, Circolare 32/E del 20109) teso a negare tutela giurisdizionale (sia dinanzi al giudice tributario che davanti a quello amministrativo) avverso le risposte ad istanze di interpello, conformemente alla loro natura di “pareri” (e quindi di atti privi dei caratteri necessari per la loro immediata ricorribilità in giudizio) ed alle regole di istruttoria che non attribuiscono mai all’amministrazione poteri in ordine alla verifica della completezza e veridicità delle informazioni fornite dall’istante.
Ferma restando la non espressa inclusione delle risposte all’interpello nel novero degli atti impugnabili ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, appare determinante rispetto al tema in esame che la risposta resa in sede di interpello non presenta i requisiti minimi per l’impugnabilità, dal momento che non è esercizio di un potere autoritativo con il quale si esercita una pretesa fiscale, ma ha natura meramente consultiva. L’Amministrazione finanziaria invero esprime il proprio parere esclusivamente sulla base dei documenti prodotti dal contribuente in sede di presentazione dell’istanza. Trattasi quindi di monitoraggio preventivo, che, a differenza di quanto avviene in sede di accertamento, non comporta attività tese a riscontrare la veridicità di quanto affermato nei documenti prodotti. Il carattere non vincolante del parere reso in questa fase, direttamente desumibile dalla natura consultiva dell’attività svolta dall’Amministrazione, qualifica la risposta all’interpello come atto amministrativo non provvedimentale che, in quanto privo dei requisiti di esecutività (non produce automaticamente ed immediatamente effetti) ed esecutorietà (non impone coattivamente l’adempimento di alcun obbligo), risulta carente delle caratteristiche che potrebbero determinare una lesione dei diritti dell’istante, suscettibile di immediata tutela giurisdizionale.
Giova ricordare che sulla questione della autonoma impugnabilità delle risposte rese in sede di interpello, si è espressa anche la Corte costituzionale, la quale ha affermato, ancorché sulla base della precedente formulazione dell’articolo 11 dello Statuto, che “… deve rilevarsi che l’efficacia vincolante della risposta, prevista dal primo periodo del comma 2 («con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza di interpello, e limitatamente al richiedente»), riguarda solo l’amministrazione finanziaria, in quanto il terzo periodo dello stesso comma stabilisce che «Qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emanato in difformità dalla risposta […] è nullo» e in quanto il comma 2 dell’art. 10 della medesima legge n. 212 del 2000 dispone che «non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima. Coerentemente con la natura consultiva dell’attività demandata all’Agenzia delle entrate nella procedura di interpello, l’art. 11 non prevede, invece, alcun obbligo per il contribuente di conformarsi alla risposta dell’amministrazione finanziaria, né statuisce l’autonoma impugnabilità di detta risposta davanti alle commissioni tributarie (oggetto di impugnazione può essere, eventualmente, solo l’atto con il quale l’amministrazione esercita la potestà impositiva in conformità all’interpretazione data dall’agenzia fiscale nella risposta all’interpello)” (Corte costituzionale, sentenza 14 giugno 2007, n. 191).
Lo stesso orientamento è stato espresso dal Consiglio di Stato, che ha escluso espressamente la possibilità di assimilare il parere negativo alla disapplicazione della norma ad un provvedimento di diniego di agevolazione (e quindi direttamente impugnabile innanzi al giudice tributario a norma dell’art. 19, D. Lgs. 546/1992), aggiungendo inoltre che “in nulla è pregiudicato il diritto (…) di impugnare, tempestivamente e a tempo debito, gli eventuali atti rientranti nella previsione dell’art. 19 d.lgs. nr. 546 del 1992, nei quali dovesse farsi applicazione delle disposizioni antielusive il cui esonero è stato negato (…)“. (Consiglio di Stato, decisione 26 gennaio 2009, n. 414).
Le conclusioni sopra riportate, riferite alle istanze di disapplicazione previste dalla previgente disciplina, valgono anche in relazione alle risposte alle nuove istanze di cui al comma 2 dell’articolo 11 (istanze disapplicative obbligatorie) per le quali il comma 2 dell’articolo 6 del decreto prevede la possibilità di proposizione del ricorso solo in via successiva, “unitamente all’atto impositivo” che costituisce il primo atto lesivo della posizione giuridica del contribuente, suscettibile di tutela giurisdizionale immediata e diretta.
In ordine alla natura delle risposte alle istanze di disapplicazione di norme antielusive (per la cui autonoma impugnabilità era stata più volte sostenuta dai contribuenti la tesi della assimilazione a veri e propri dinieghi di agevolazioni fiscali), illuminante appare la posizione espressa dalla Corte di Cassazione con la sentenza 5 ottobre 2012, n. 17010 nella parte in cui viene chiarita la differenza tra le due figure. Nella sentenza si legge, infatti, che l’agevolazione fiscale “costituisce un trattamento derogatorio di favore riconosciuto in generale nella ricorrenza di determinate condizioni, pur in presenza del presupposto del tributo, per finalità di realizzazione di interessi diversi da quello fiscale, ritenuti meritevoli di tutela“, mentre la disapplicazione di norma antielusiva “consiste nel rimuovere l’operatività di norme limitative – per fini antielusivi – di vantaggi fiscali di regola spettanti, in relazione a singole fattispecie, il cui esame abbia portato ad escludere il realizzarsi dello scopo elusivo, così ripristinando, per finalità pur sempre di ordine fiscale, il regime tributario applicabile nel caso specifico a quello previsto dall’ordinamento in assenza di un fine di elusione, cioè quello ritenuto “giusto” dal legislatore in relazione alla capacità contributiva manifesta”.
La diversità delle regole dettate dal decreto per queste tipologie di istanze rispetto alle altre sotto il profilo della tutela giurisdizionale è, in verità, solo apparente e si giustifica prevalentemente in ragione del timore che per le istanze di disapplicazione – che conservano anche nel nuovo sistema delle evidenti peculiarità – il contribuente che avesse correttamente atteso la notifica dell’atto impositivo per proporre ricorso sarebbe potuto incorrere in preclusioni di ordine processuale in ordine ai vizi contestabili (ai sensi, in particolare, dell’articolo 19, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546).
La regola dettata dal decreto, infatti, nel confermare che il solo atto suscettibile di impugnazione è l’atto impositivo, elimina del tutto il rischio che, in sede di giudizio instaurato avverso quest’ultimo, il contribuente non possa contestare eventuali vizi della risposta all’interpello, sempre nel presupposto che questi abbiano influenzato la legittimità dell’atto impositivo.
In omaggio ai principi che reggono il sistema della tutela giurisdizionale, è del tutto evidente, infatti, che il contribuente avrà interesse a far valere dinanzi al giudice doglianze riferite alla risposta all’interpello se detti vizi si sono trasformati in vizi dell’atto impositivo (ad esempio, qualora quest’ultimo sia motivato per relationem al primo), restando del tutto irrilevanti, anche ai fini della tutela giurisdizionale, percorsi argomentativi del parere dell’amministrazione che non siano poi confluiti nell’atto di accertamento.
Per effetto dei chiarimenti contenuti nel decreto, resta a maggior ragione confermata la non impugnabilità delle risposte che, contestando vizi di inammissibilità dell’istanza di interpello, non contengono alcun chiarimento di merito in ordine alla fattispecie rappresentata dal contribuente.
7. SEGNALAZIONI
Come più volte ricordato nei paragrafi precedenti, una delle più significative novità del decreto – in linea con le indicazioni della legge delega – consiste nella eliminazione di diverse forme di interpello obbligatorio, in ragione dell’eccessiva onerosità dell’adempimento del contribuente in relazione ai benefici garantiti all’amministrazione, e nella conservazione di detto carattere solo per le istanze descritte al par. 1.4.
Vero è, tuttavia, che la previsione dell’obbligo di presentare un interpello in relazione a determinate fattispecie era strumentale ad assicurare un monitoraggio preventivo dell’amministrazione in dette ipotesi, considerate particolarmente rischiose dallo stesso legislatore (si pensi, ad esempio alle istanze CFC o alle istanze presentate dalle società che non superano i test di operatività stabiliti dalla legge).
L’eliminazione di una forma di interpello obbligatorio e la conseguente facoltà del contribuente di accertare autonomamente la sussistenza dei presupposti che giustificano l’applicazione di un regime diverso da quello ordinariamente stabilito determinava il rischio – evidenziato dalle Commissioni parlamentari che hanno esaminato lo schema di decreto delegato anche in relazione ai possibili effetti negativi sui saldi della finanza pubblica – di un generale affievolimento del presidio dell’amministrazione su talune situazioni che restano comunque connotate da profili di peculiare pericolosità.
Proprio al fine di evitare questo rischio, in contropartita alla eliminazione dell’obbligo di presentazione dell’interpello, in relazione a dette situazioni, il legislatore ha introdotto un obbligo di segnalazione in dichiarazione, finalizzato a consentire comunque la “disclosure” del contribuente che non abbia presentato istanza di interpello o che, pur avendola presentata, non si sia adeguato alla risposta negativa fornita dall’amministrazione.
La segnalazione riguarda:
a) in alcuni casi, la semplice circostanza della avvenuta presentazione dell’istanza o meno; così è per le istanze ex artt. 124, comma 5, TUIR per la prosecuzione del consolidato nazionale, per le istanze ex art. 132 TUIR di accesso al consolidato mondiale e per le istanze delle società non operative ed in perdita sistematica, sia ai fini delle imposte sui redditi, che ai fini IRAP e IVA;
b) in altri casi più puntuali indicazioni previste direttamente dalla norma; così, per le istanze collegate alla detenzione di partecipazioni in Paesi a fiscalità privilegiata, è prevista l’indicazione della percezione di utili (articolo 47, comma 4 TUIR ed 89, comma 3, TUIR), della percezione di plusvalenze derivanti dalla cessione delle predette partecipazioni (articolo 68, comma 4, del TUIR 87, comma 1, lettera c) del TUIR) e della mera detenzione di partecipazioni; è altresì prevista l’indicazione della detenzione della partecipazione in Stati o territori diversi da quelli a fiscalità privilegiata o in Stati appartenenti all’Unione europea o aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni al ricorrere delle condizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 8 bis dell’articolo 167;
- in altri ancora, oltre alla circostanza che sia stata o meno presentata l’istanza di interpello, una serie di ulteriori elementi informativi individuati dal provvedimento di approvazione del Modello UNICO SC 2016 (per le istanze di cui all’articolo 113 TUIR, devono essere indicati nel rigo RF 122, anche l’ammontare dei componenti negativi dedotti e l’ammontare dei crediti convertiti, specificando se trattasi di azioni e/o strumenti partecipativi; per le istanze relative alla disciplina ACE, al rigo RS115, l’ammontare totale dei conferimenti in denaro ex art. 10, comma 2, del decreto 14 marzo 2012 e l’ammontare di quelli hanno comportato una sterilizzazione dell’incremento di capitale proprio; l’ammontare totale dei corrispettivi per l’acquisizione o l’incremento di partecipazioni ex art. 10, comma 3, lett. a), del decreto 14 marzo 2012 e quello dei corrispettivi che hanno comportato una sterilizzazione dell’incremento di capitale proprio; l’ammontare totale dei corrispettivi per l’acquisizione di aziende o di rami d’aziende ex art. 10, comma 3, lett. b), del decreto 14 marzo 2012 e quello dei corrispettivi che hanno comportato una sterilizzazione dell’incremento di capitale proprio; l’ammontare totale dei conferimenti in denaro ex art. 10, comma 3, lett. c), del decreto 14 marzo 2012 e quello dei conferimenti che hanno comportato una sterilizzazione dell’incremento di capitale proprio; l’ammontare totale dei conferimenti in denaro ex art. 10, comma 3, lett. d), del decreto 14 marzo 2012 e quello dei relativi conferimenti che hanno comportato una sterilizzazione dell’incremento di capitale proprio).
8. TRATTAMENTO SANZIONATORIO
A garanzia dell’effettività del quadro tracciato dal decreto, il legislatore è intervenuto in sede di modifica del sistema sanzionatorio amministrativo (decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158) al fine di individuare fattispecie sanzionatorie specificamente correlate alle novità introdotte in sede di interpello.
Dette fattispecie riguardano, nello specifico:
- l’obbligo di presentazione dell’istanza, ai sensi del comma 2 dell’articolo 11 dello Statuto;
- gli obblighi di segnalazione introdotti dall’articolo 7 del decreto nelle disposizioni sostanziali oggetto delle singole tipologie di interpello.
Il nuovo comma 7 ter dell’articolo 11 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 prevede che la mancata presentazione dell’istanza, ove obbligatoria, è punita con una sanzione amministrativa ricompresa tra 2.000 e 21.000 euro; la medesima sanzione e’ applicata in misura raddoppiata qualora l’amministrazione, in sede di accertamento, disconosca la spettanza della disapplicazione.
Pur in assenza di un’espressa previsione in tal senso, va esclusa la possibilità di applicare l’istituto del ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Tale conclusione discende, in particolare, dal carattere obbligatorio e preventivo dell’interpello de qua che rende del tutto irrilevante la presentazione di un’istanza da parte di un contribuente che abbia già autonomamente provveduto a disapplicare la disposizione.
Con riferimento alla mancata segnalazione degli elementi richiesti, come delineati nel paragrafo precedente, i nuovi commi 3-ter, 3-quater e 3-quinquies dell’articolo 8 del decreto 471 del 1997 prevedono:
- l’irrogazione di una sanzione amministrativa pari al dieci per cento dei dividendi e delle plusvalenze conseguiti dal soggetto residente e non indicati, con un minimo di 1.000 euro ed un massimo di 50.000 euro, quando l’omissione o l’incompletezza della segnalazione riguarda le componenti di cui all’articolo 47, comma 4, 68, comma 4, 87, comma 1, lettera c) e 89, comma 3, del TUIR;
- l’irrogazione di una sanzione amministrativa pari al dieci per cento del reddito conseguito dal soggetto estero partecipato e imputabile nel periodo d’imposta, anche solo teoricamente, al soggetto residente in proporzione alla partecipazione detenuta, con un minimo di 1.000 euro ed un massimo di 50.000 euro (per espressa previsione di legge, la sanzione nella misura minima si applica anche nel caso in cui il reddito della controllata estera sia negativo) quando l’omissione o l’incompletezza della segnalazione riguarda la detenzione di partecipazione di cui all’articolo 167 del TUIR;
- l’irrogazione di una sanzione fissa di importo compreso tra 2.000 e 21.000 euro per tutte le altre segnalazioni elencate al paragrafo precedente.
A differenza di quanto previsto per la sanzione di cui al comma 7-ter dell’articolo 11 del decreto legislativo 471 del 1997, per le sanzioni di cui ai commi 3-ter e seguenti dell’articolo 8 il contribuente può invece attivarsi per la correzione dell’errore e/o dell’omissione attivando l’istituto del ravvedimento operoso già entro 90 giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera a-bis) del decreto legislativo 472 del 1997”.