SOMMARIO: 1. Premessa – 2. Il quadro normativo e l’interpretazione dell’Agenzia delle entrate sull’obbligatorietà della transazione fiscale – 3. La contraria tesi della obbligatorietà della transazione fiscale – 4. La pregressa giurisprudenza e il successivo intervento della Corte di Cassazione nel 2011 – 5. L’intervento della Corte Costituzionale.
1. Premessa
L’esclusione dall’istituto della transazione fiscale, previsto nell’ambito del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito legge fallimentare), del credito relativo all’IVA non lede il principio di uguaglianza, né quello del buon andamento della pubblica Amministrazione, trattandosi di un tributo indisponibile in quanto risorsa dell’Unione europea.
È giunta a questa conclusione la Corte Costituzionale (1) affermando che non vi è lesione dell’art. 97 Cost. stante il fatto che non può ipotizzarsi, al riguardo, alcun contrasto con la disciplina della transazione fiscale, in quanto la previsione della sola dilazione di pagamento del credito IVA rappresenta il limite compatibile con il principio di indisponibilità del tributo. Detta decisione ha altresì svilito la sospetta lesione dell’art. 3 Cost., non essendo il credito IVA riconducibile a nessuna delle categorie dei crediti privilegiati e chirografari.
2. Il quadro normativo e l’interpretazione dell’Agenzia delle entrate sull’obbligatorietà della transazione fiscale
La decisione, meglio commentata nella parte finale del presente scritto, si contestualizza in un quadro normativo piuttosto complesso.
Da un lato, il comma 2 dell’art. 160 della legge fallimentare ammette la possibilità di prevedere, con la proposta di concordato preventivo, il pagamento in percentuale dei creditori privilegiati – tra i quali rientra anche l’erario – a condizione di non sovvertire l’ordine delle cause legittime di prelazione che, ai sensi dell’art. 2778 c.c., collocherebbe le ritenute alla fonte e l’IVA, rispettivamente, al diciottesimo e al diciannovesimo grado e quindi in una posizione di assoluto sfavore il relativo credito erariale.
Dall’altro, l’art. 182-ter della legge fallimentare – nel contemplare la fattispecie della “transazione fiscale” – esclude la falcidia dei debiti per IVA e ritenute non versate, ammettendone solo la dilazione; quest’ultima espressione normativa ha indotto alcuni orientamenti dottrinari a disconoscere la portanza della norma di cui all’art. 160 citato in quanto poco satisfattiva degli interessi dell’erario ed incompatibile sia nei confronti del principio di indisponibilità del credito erariale sia con il carattere di specialità della disposizione prevista dall’art. 182-ter della legge fallimentare nella parte in cui, appunto, esclude dalla falcidia l’IVA e le ritenute alla fonte (nonché i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea) (2). L’Agenzia delle entrate aveva egualmente respinto l’ipotesi della parificazione del credito fiscale a tutti gli altri (e, con essa, l’idea di una riduzione del credito erariale susseguente all’approvazione di una proposta concordataria contenente la falcidia del credito erariale da parte della maggioranza dei creditori del contribuente); infatti, il rappresentante erariale, con la circolare 18 aprile 2008, n. 40/E (3), aveva indicato come non fosse possibile pervenire ad una soddisfazione parziale dello stesso credito tributario al di fuori della specifica disciplina di cui all’art. 182-ter della legge fallimentare, restando pertanto falcidiabile o dilazionabile detto credito pubblico soltanto in tale ultimo ambito e, ovviamente, tramite un puntuale adeguamento, da parte del debitore (4); esclusa così la possibilità di operare le falcidie o le dilazioni di cui sopra – attraverso un piano ex art. 160 della legge fallimentare ai fini del concordato preventivo, non conforme ai contenuti dell’art. 182-ter (5) – tale tesi veniva ulteriormente suffragata dalla considerazione che la disciplina normativa relativa alla transazione fiscale, in quanto derogatoria delle regole generali civilistiche ex art. 1965 c.c., è di stretta interpretazione ovvero non è suscettibile di interpretazione analogica o estensiva (e questo a mente dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale); pertanto, l’impossibilità di ricorrere a tali forme d’interpretazione e l’effetto del suindicato principio di indisponibilità venivano (e vengono) considerate dall’Agenzia delle entrate circostanze impeditive a una soddisfazione (parziale) del credito al di fuori della specifica disciplina di cui all’art. 182-ter della legge fallimentare, in ragione poi del fatto che tale norma – evidentemente speciale rispetto all’art. 160 della legge fallimentare – corrisponderebbe all’invalicabile confine in cui il legislatore avrebbe ammesso la deroga al principio citato, con possibilità di falcidia.
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Tale prospettiva finiva inoltre per indicare, conseguentemente, la piena autonomia della transazione fiscale rispetto al concordato, stante la necessità – onde pervenire alla falcidia dei crediti privilegiati fiscali – di ottenere l’assenso del fisco sulla proposta attraverso il voto favorevole, creandosi così un assetto secondo cui la procedura esoconcordataria si perfezionerebbe con l’accordo tra debitore e Amministrazione finanziaria, mentre nella sede concordataria l’Amministrazione finanziaria, nelle vesti di creditore, farebbe valere le proprie determinazioni volitive di accettazione o di diniego della proposta di transazione (6), inteso così il fatto che, se dissenziente, il soggetto pubblico non soggiace, come gli altri creditori, al voto favorevole della maggioranza né tanto meno al cram down power (7), ma prevale sulla massa, con l’effetto che il concordato preventivo non può certo essere omologato.
3. La contraria tesi della facoltatività della transazione fiscale
Altrettanto nutrito è stato poi il fronte degli studiosi che ha invece ritenuto il contenuto dell’art. 182-ter della legge fallimentare indirizzato a prevedere esclusivamente una disciplina procedurale che ammette al voto gli Uffici finanziari al pari degli altri creditori, senza poteri di veto e con eguali vincoli all’esito di votazioni ed all’eventuale omologazione del concordato, cosicché – secondo tale ultima ottica – la transazione assumerebbe natura di subprocedimento (8) e conseguente facoltatività, producendosi l’effetto, tipico del concordato preventivo, di imporre il piano concordatario, tramite l’omologazione, anche ai dissenzienti (9).
Invero la tesi della facoltatività della transazione fiscale è stata abbracciata, in via maggioritaria dalla giurisprudenza (10) e dalla dottrina (11); quest’ultima – rappresentando, generalmente, l’asistematicità di una norma che, in un complesso normativo siffatto, prevedesse il soddisfacimento integrale del credito erariale in maniera antergata rispetto a crediti assistiti da un grado di privilegio superiore – è giunta talvolta a contestare i richiami dell’Amministrazione finanziaria al principio della indisponibilità del credito tributario (12) perché (secondo alcune tesi) privo di effettiva copertura costituzionale e, in quanto contenuto nell’art. 49 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, oggi superato dalle norme di pari rango successivamente emanate (13); altri hanno argomentato che, nonostante la denominazione “transazione fiscale”, in realtà in tale procedimento non vi sarebbe (almeno nell’ambito del concordato, poiché diverso discorso è da farsi in relazione agli accordi di ristrutturazione) la natura negoziale transattiva (14) che si ricollega, invece, a reciproche concessioni al fine di dirimere una lite attuale o quantomeno potenziale (15).
4. La pregressa giurisprudenza di merito e il successivo intervento della Corte di Cassazione nel 2011
Intorno a questo quadro normativo e dottrinario era quasi inevitabile la formazione di un fenomeno di contrasto, poi puntualmente verificatosi, in seno alla giurisprudenza di merito; la posizione minoritaria, pur comunque numericamente significativa, si è attestata intorno alle conclusioni indicate dall’Agenzia delle entrate (16); in effetti la maggioranza dei Tribunali, tuttavia, ha ritenuto non obbligatoria la transazione fiscale ed ammissibile la proposta che prevede la falcidia dell’IVA (nonostante il diverso disposto dell’art. 182-ter della legge fallimentare) (17), così cristallizzandosi il (predominante) indirizzo favorevole alla non obbligatorietà della presentazione della proposta di transazione fiscale (18).
Perveniva però – agli operatori del diritto tributario – il pensiero, in materia, della Corte di Cassazione che – con le pronunce n. 22931 e 22932 del 4 novembre 2011 (19) – statuiva, da un lato, la facoltatività della transazione fiscale nell’ambito del concordato preventivo e, dall’altro, la necessità dell’integrale soddisfacimento del credito relativo all’IVA stante la natura eccezionale ed inderogabile della disposizione di cui al primo comma dell’art. 182-ter della legge fallimentare «in quanto non si tratta di norma processuale come tale connessa allo specifico procedimento di transazione fiscale, ma di norma sostanziale in quanto attiene al trattamento dei crediti nell’ambito dell’esecuzione concorsuale dettata da motivazioni che attengono alla peculiarità del credito e prescindono dalle particolari modalità con cui si svolge la procedura di crisi». Con i suindicati responsi la Suprema Corte, sostanzialmente, sosteneva che l’art. 182-ter costituisce una generale deroga all’art. 160, comma 2, ultimo periodo, della legge fallimentare (e ciò non soltanto in caso di presentazione della proposta di transazione fiscale), precisandosi altresì che l’obbligo dell’integrale (anche se dilazionato) pagamento dell’IVA riguarda unicamente l’imposta definitivamente accertata e questo in ragione del fatto che la disciplina ordinaria del concordato preventivo non prevede tra gli effetti dell’omologazione l’estinzione dei contenziosi aventi ad oggetto la sussistenza del diritto di credito, cosicché, a differenza di quanto accade nel concordato con transazione fiscale (la cui chiusura determina l’effetto della cessazione della materia del contendere e la definitività della pretesa tributaria ex art. 182-ter, quinto comma, della legge fallimentare), resterebbe ferma la possibilità di proseguire l’eventuale contenzioso in corso.
Non a caso, la dottrina – commentando, pur criticamente, detto insegnamento – non ha tardato a sottolineare che il credito relativo all’IVA assumerebbe quindi sostanzialmente la natura di credito “quasi prededucibile” o, più propriamente, “superprivilegiato”, rientrando nelle prerogative del legislatore stabilire, per cause discrezionalmente individuate, un trattamento di favore per alcuni crediti senza per questo incidere sul trattamento della generalità degli altri (20).
Sostanzialmente, la Corte di Cassazione ha così consentito la presentazione di una domanda di ammissione al concordato che preveda il pagamento non integrale dei crediti tributari e contributivi senza la necessità di attivare il complesso procedimento della transazione fiscale ex art. 182-ter della legge fallimentare, purché la falcidia sia conforme alla generale disciplina del pagamento parziale dei crediti privilegiati prevista dall’art. 160, comma 2, della legge fallimentare. In tali termini, il carattere di facoltatività della transazione con riflessi però non incondizionati (proprio in relazione all’impossibilità di falcidia indicata dalla Suprema Corte) consente comunque al debitore di vincolarsi al pagamento integrale dell’IVA e delle ritenute operate e non versate e dei contributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea ritenendo l’opzione comunque conveniente anche per la definizione di tutte le controversie in corso.
5. L’intervento della Corte Costituzionale
La decisione della Consulta giunge in un momento in cui, salvo il persistere di qualche eccezione (21), si era assistito ad un certo consolidamento della giurisprudenza di merito intorno al solco tracciato dalle decisioni della Suprema Corte dinanzi ripercorse (22).
Come anticipato in premessa, con la sentenza n. 225/2014, la Corte Costituzionale ha rigettato la richiesta di declaratoria di incostituzionalità – con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. – avanzata dal Tribunale di Verona, poiché fondata su una erronea premessa ermeneutica, cioè che sussisterebbe il potere di rinunciare, in casi singoli, all’accertamento e alla riscossione dell’IVA, e questo in base all’osservazione – interposta dal giudice veneto – che tale rinuncia sarebbe stata riconosciuta dal giudice comunitario nel caso della chiusura delle liti fiscali pendenti, prevista dall’art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289. La Consulta ha ritenuto invece di non potersi discostare dall’articolato quadro normativo delineato, relativamente all’IVA, dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (23); riferendosi a tale giurisprudenza, la decisione de qua ha affermato che l’IVA deve essere pagata per intero e ciò che può essere oggetto di transazione è al massimo costituito semplicemente dalla dilazione dei tempi di pagamento di tale tributo.
Invero la Corte di Giustizia europea, proprio nella citata sentenza del 17 luglio 2008, causa C-132/06, che ha condannato l’Italia per i condoni fiscali del 2002, ha osservato che la discrezionalità della quale gli stati membri dispongono, nell’individuare i mezzi per accertare la corretta osservanza, da parte dei soggetti passivi degli obblighi in materia di IVA, «è limitata dall’obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie della Comunità e da quelle di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti». Il Giudice delle leggi ha individuato così l’infondatezza del richiamo del giudice remittente all’art. 16 della legge n. 289/2002 rimarcando come in altra pronuncia della giurisprudenza comunitaria (del 29 marzo 2012) era stato già sottolineato come una «disposizione nazionale eccezionale» emanata al fine di assicurare il rispetto del principio della ragionevole durata del giudizio (con l’estinzione automatica dei procedimenti ultradecennali pendenti dinanzi al giudice tributario di terzo grado, nei quali l’Amministrazione finanziaria era risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio) fosse una misura compatibile con il principio di neutralità fiscale in ragione del carattere contestato, e dunque incerto, del credito di imposta. La motivazione del verdetto dei giudici costituzionali si rafforza con il richiamo a quanto contenuto nella relazione illustrativa al D.L. 29 novembre 2008, n. 185 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2), introduttiva dell’infalcidiabilità dell’IVA, laddove si escludeva il pagamento parziale dell’IVA in sede di concordato preventivo in funzione della necessità di non contravvenire alla normativa comunitaria che vieta allo Stato membro di disporre una rinuncia generale, indiscriminata e preventiva al diritto di procedere ad accertamento e verifica, tant’è che la previsione legislativa della sola modalità dilatoria – con riguardo alla transazione fiscale avente ad oggetto il credito IVA – costituisce il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo.
Quest’ultima osservazione, sempre secondo la decisione n. 225/2014 della Corte Costituzionale, consente un confronto con la disposizione ex art. 16 citato che – come affermato anche dalla Corte di Cassazione (24) – non ha assunto la finalità di attuare la definizione dell’imposta bensì la definizione di una lite in corso tra contribuente e Amministrazione finanziaria, in funzione della riduzione del contenzioso in atto, secondo parametri rapportati allo stato della lite stessa al momento della domanda di definizione, garantendo la riscossione di un credito tributario incerto sulla base di un trattamento paritario tra i contribuenti.
Il credito IVA sarebbe assegnatario di una disciplina «attributiva di un trattamento peculiare ed inderogabile», essa finalizzata ad assicurare il pagamento di un tributo in realtà assistito da un privilegio di grado postergato, in deroga al principio dell’ordine legale delle prelazioni. Nel contempo deve ritenersi così confermato l’orientamento della stessa Corte Costituzionale, secondo cui non costituisce fonte di discriminazione costituzionalmente rilevante il fatto che il legislatore abbia delimitato l’ambito di applicazione della norma, in quanto «non è fonte di legittimità costituzionale il limite alla estensione di norme che, come quella in esame, costituiscono deroghe ai principi generali» (25).
Va infine segnalato che la Consulta ha colto l’occasione per chiarire che concordato preventivo e procedura fallimentare hanno diverse finalità, rispettivamente individuabili nello scopo di:
– consentire all’impresa di continuare la propria attività previa approvazione di un piano di ristrutturazione dei debiti da parte dei creditori, senza possibilità che l’erario sia soggetto all’arbitrio dei creditori e questo proprio grazie all’indisponibilità del credito IVA;
– preordinare la liquidazione dell’impresa e il soddisfacimento dei creditori con l’attivo residuo.
Avv. Antonino Russo
(1) Così Corte Cost. 25 luglio 2014, n. 225, in Boll. Trib., 2014, 1344, con nota di S. La Rocca, Il concordato preventivo e la transazione fiscale: la Corte Costituzionale conferma l’inammissibilità della falcidia IVA.
(2) Secondo C. Attardi, Inammissibilità del concordato preventivo in assenza di transazione fiscale, in il fisco, 2009, 6435, «la transazione fiscale, in quanto istituto eccezionale, si giustifica soltanto all’interno dei limiti posti dal procedimento delineato dall’art. 182-ter della l. fall. Pertanto, nell’ambito di tale procedimento, è l’Agenzia l’unico organo deputato a compiere quelle valutazioni (in punto di bilanciamento di interessi) che permettono di arrivare o meno alla riduzione del debito fiscale». Conseguentemente, secondo tale autore, la necessarietà del procedimento endoconcorsuale de quo comporta l’inammissibilità del concordato preventivo in caso di mancata proposizione della proposta di transazione. Hanno ritenuto facoltativa la transazione fiscale anche G. La Croce, Latransazione fiscale nell’intreccio di norme generali, norme speciali e norme costituzionali: è possibile uscire dal labirinto?, in Fall., 2008, 1408; ed E. Stasi,
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La transazione fiscale, ibidem, 734.
(3) In Boll. Trib., 2008, 748.
(4) Cfr. anche ris. 5 gennaio 2009, n. 3/E, in Boll. Trib., 2009, 117; e circ. 10 aprile 2009, n. 14/E, ibidem, 621.
(5) Ved. anche circ. n. 14/E/2009, cit.
(6) Sull’argomento F. Marengo, La remissione dell’Iva nell’ambito del Concordato preventivo con o senza transazione fiscale, in Giust. trib., 2010, 193.
(7) Come ricordato da B. Santacroce – D. Pezzella, Il ruolo della transazione fiscale nel concordato preventivo, in Corr. trib., 2010, 2785, il cram down è un istituto giuridico di origine statunitense previsto nell’ambito della riorganizzazione delle imprese in crisi secondo un programma proposto dal debitore. sulla base di tale istituto il giudice può dichiarare il programma proposto vincolante per tutti i creditori, anche se una parte di questi non lo abbia approvato, qualora ritenga lo stesso equo.
(8) In particolare, secondo M. Zanni – G. Rebecca, La disciplina della transazione fiscale: un cantiere sempre aperto, in il fisco, 2010, 6299, dalla mancanza di autonomia della transazione fiscale rispetto al concordato preventivo deriverebbe, fra l’altro, l’inefficacia della transazione stessa in caso di mancata omologazione del concordato, anche qualora il fisco abbia aderito alla proposta di transazione formulata dal debitore.
(9) Secondo G. Lo Cascio, La disciplina della transazione fiscale: orientamenti interpretativi innovativi, in Fall., 2008, 338, «l’Amministrazione finanziaria, può manifestare il proprio diniego alla proposta di transazione, esprimere voto contrario, può opporsi al concordato, ma gli effetti saranno quelli del rigetto della proposta o della sua omologazione con l’eventuale giudizio di convenienza espresso dal tribunale ed il vincolo obbligatorio e remissorio sulle obbligazioni accertate». Sul fronte dottrinario conforme a questa tesi ved. A. Taglioni, La transazione fiscale in sede fallimentare, in Boll. Trib., 2009, 294; ed E. Santoro Cayro, Considerazioni in tema di ‘autonomia’ della transazione fiscale, in Giur. comm., 2010, 531.
(10) Cfr. Trib. Mantova 26 febbraio 2009, in Giur. comm., 2010, II, 525; e Trib. Venezia, sez. fall., 27 febbraio 2007, in Fall., 2007, 1464.
(11) Cfr. B. Santacroce – D. Pezzella, op. cit.; L. Del Federico, Profili processuali della transazione fiscale, in Corr. trib., 2007, 3662; ed E. Santoro Cayro, op. cit.
(12) Ved. anche l’intervento nel 2010 anche il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti contabili, che, dopo aver osservato come «il principio di indisponibilità della pretesa tributaria trovi applicazione esclusivamente quando si opera al di fuori delle regole del concorso», ha poi aggiunto che il ricorso alla transazione fiscale non è obbligatorio, quanto meno in due precise ipotesi: qualora la proposta concordataria preveda il soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati, nonché la ristrutturazione del debito chirografario, e nel caso in cui, pur essendo previsto un pagamento in percentuale anche dei crediti privilegiati, tale pagamento è tuttavia reso possibile grazie all’apporto di “nuova finanza”.
(13) A favore della natura endoconcorsuale della transazione fiscale, la dottrina maggioritaria ha inoltre sottolineato che il legislatore adottando – nell’ambito dell’art. 182-ter, primo comma, della legge fallimentare – la locuzione “può” (anziché “deve”) avrebbe consentito al debitore la valutazione sull’opportunità di fare ricorso a tale strumento ai fini di sortire gli effetti positivi del consolidamento della pretesa impositiva e della non rettificabilità della stessa. Su tale posizione cfr. P. Puri, La transazione fiscale al vaglio della Suprema Corte, in Corr. trib., 2010, 1992; G. Marini, La transazione fiscale, in Rass. trib., 2010, 1208; B. Santacroce – D. Pezzella, op. cit.; L. Del Federico, La nuova transazione fiscale secondo il Tribunale di Milano: dal particolarismo tributario alla collocazione endoconcorsuale, in Il fall. e le altre proc. conc., 2008, 342.
(14) Cfr. le articolate argomentazioni di L. Del Federico, La transazione fiscale, in A. Jorio – M. Fabiani (a cura di), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2006, 2564; e di S. Loconte, La transazione fiscale, in Il dir. fall. e delle soc. comm., 2008, 187.
(15) Secondo la dottrina di cui alla nota precedente, l’art. 182-ter «non prevede un vero e proprio autonomo accordo tra il proponente ed il Fisco, volto a definire l’obbligazione tributaria, ma – sulla base di un piano diretto alla definizione universale dei crediti e previsto dall’art. 160 – disciplina uno strumento di carattere schiettamente procedurale, volto a dar luogo al voto del creditore-Fisco». Secondo A. La Malfa, Rapporti tra la transazione fiscale e il concordato preventivo, in Corr. trib., 2009, 709, esso si apre con il deposito della domanda (rectius, della proposta) nella cancelleria, presso gli Uffici fiscali e del concessionario per la riscossione, e si conclude con l’espressione del voto favorevole o contrario.
(16) Cfr. Trib. Roma 16 dicembre 2009, in Dir. fall., 2011, II, 369; Trib. Piacenza 1° luglio 2008, ivi, 2009, II, 66; e Trib. Milano 13 dicembre 2007, in Giur. it., 2008, 1968.
(17) Cfr. App. Genova 19 dicembre 2009, in Giur. it., 2010, 1090. In particolare, la prevalente giurisprudenza di merito qualifica la transazione fiscale come un sub-procedimento eventuale ed accessorio al concordato preventivo: sul punto ex multis ved. Trib. Salerno 9 novembre 2010, in Giur. it., 2011, 347.
(18) Sulla qualificazione della transazione fiscale come procedura opzionale e alternativa all’applicazione delle regole ordinarie del concorso, in dottrina si veda G. La Croce, Autonomia endoconcorsuale e non obbligatorietà della transazione fiscale nel concordato preventivo, in Il fall. e le altre proc. conc., 2010, 142; e G. Fauceglia, La transazione fiscale e la domanda di concordato preventivo, in Dir. fall., 2009, 491.
(19) Cfr. Cass., sez. I, 4 novembre 2011, n. 22931, in Boll. Trib., 2012, 619, e Cass., sez. I, 4 novembre 2011, n. 22932, in Boll. Trib. On-line.
(20) Così sostanzialmente G. Andreani, L’infalcidiabilità del credito iva nel concordato preventivo senza transazione fiscale, in Corr. trib., 2014, 2795.
(21) Ne è un esempio il decreto del Tribunale di La Spezia del 24 ottobre 2013; in tale responso, il giudice ligure ha argomentato che il divieto di falcidia del credito relativo all’IVA costituisce un limite imposto esclusivamente alla proposta di transazione fiscale, finalizzata a regolare in modo definitivo i rapporti con il fisco nell’ambito del concordato, onde evitare che i possibili mutamenti del carico fiscale possano compromettere l’esito della procedura; secondo la predetta pronuncia, tale divieto non può, pertanto, essere esteso in via analogica alla disciplina generale del concordato di cui all’art. 160 della legge fallimentare.
(22) Cfr., ex multis, Trib. Padova, sez. I, 30 maggio 2013, in Fall., 2014, 445; Trib. Cosenza, sez. fall., 29 maggio 2013, in Foro it., 2013, I, 2947; Trib. Brescia 11 giugno 2013, ibidem; Trib. Milano 29 maggio 2013, ibidem, 2948, e Trib. Vicenza 18 aprile 2013, ibidem, si sono attestati nel medesimo solco tracciato dal giudice di legittimità.
(23) In particolare Corte Giust. CE, sez. III, 28 settembre 2006, causa C-128/05; Corte Giust. CE, sez. V, 11 dicembre 2008, causa C-174/07; e Corte Giust. CE, sez. grande, 17 luglio 2008, causa C-132/06; tutte in Boll. Trib. On-line.
(24) Cfr. Cass., sez. un., 17 febbraio 2010, ord. n. 3675; e, nello stesso senso, Cass., sez. un., 17 febbraio 2010, ord. nn. 3676 e 3677; tutte in Boll. Trib. On-line.
(25) Cfr. Corte Cost. 29 maggio 2013, ord. n. 112; e Corte Cost. 20 marzo 2013, ord. n. 49; entrambe in Boll. Trib. On-line.