1. Premessa
Con l’annotata sentenza la Suprema Corte ha superato il rigore interpretativo che aveva caratterizzato le sue precedenti pronunce in tema di litisconsorzio facoltativo nel processo tributario e ha sancito la piena applicabilità in tale processo dell’art. 103 c.p.c.
Invero, fino a qualche tempo fa i Supremi giudici, se pure non escludessero tout court l’applicabilità dell’art. 103 c.p.c. nel rito tributario, la ritenevano sussistere soltanto «in linea di principio» e al ricorrere di specifiche quanto stringenti condizioni.
Secondo il nuovo approdo interpretativo del Supremo consesso, invece, affinché si configuri un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo nel processo tributario, e in particolare un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo improprio, è sufficiente che i diversi soggetti che agiscono «impugnando autonomi atti» deducano «identiche questioni».
Nella presente nota analizzeremo quali erano le condizioni e i presupposti al sussistere dei quali, in precedenza, era subordinata l’applicabilità dell’art. 103 c.p.c. nel processo tributario, per esaminare di seguito gli argomenti e le considerazioni che hanno indotto la Corte di Cassazione a rivedere il pregresso orientamento insubiecta materia.
2. Il litisconsorzio
È noto che il litisconsorzio si verifica quando in un processo vi sia una pluralità di parti.
In particolare, si verifica litisconsorzio attivo se vi sia una pluralità di attori, litisconsorzio passivo se vi sia una pluralità di convenuti, litisconsorzio misto se vi siano una pluralità di attori e di convenuti.
A seconda del momento in cui si verifica la pluralità delle parti, si distingue il litisconsorzio originario, ipotesi nella quale le parti in giudizio sono molteplici fin dall’inizio, dal litisconsorzio successivo, ipotesi nella quale le parti sono inizialmente due ma altre se ne aggiungono successivamente.
Di particolare rilievo, inoltre, è la distinzione tra litisconsorzio necessario (art. 102 c.p.c.) e litisconsorzio facoltativo (art. 103 c.p.c.).
Stabilisce l’art. 102 che «se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo. Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito».
In sintesi, il litisconsorzio necessario ricorre quando si è in presenza di una causa unica e inscindibile con più di due parti.
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Con specifico riferimento al processo civile, è stato sottolineato che l’art. 102 c.p.c. contiene una «norma in bianco, che non specifica quando si sia in presenza di un rapporto unico con pluralità di parti, ma avverte che queste ultime devono essere chiamate tutte in giudizio quando tale rapporto sia ravvisabile. E la sussistenza di tale rapporto è questione di diritto sostanziale, che viene risolta, di volta in volta, cercando di individuare quand’è che una sentenza sia inutiliter data, perché resa in assenza di alcune delle parti “in confronto” delle quali avrebbe dovuto essere pronunciata» (1).
Per quanto riguarda il rito tributario è l’art. 14 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, a disciplinare specificamente l’istituto processuale de quo.
A norma del primo e secondo comma della richiamata disposizione «se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi. Se il ricorso non è stato proposto da o nei confronti di tutti i soggetti indicati nel comma 1 è ordinata l’integrazione del contraddittorio mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza».
Si tratta, a ben vedere, di una fattispecie «autonoma» rispetto a quella prevista dal codice di procedura civile.
In tal senso, infatti, è stato precisato che «nel processo tributario la nozione di litisconsorzio necessario, quale emergente dalla norma dell’art. 14 del d.lgs. n. 546 del 1992, si configura come fattispecie autonoma rispetto a quella di cui all’art. 102 cod. proc. civ., poiché non detta, come quest’ultima, una “norma in bianco”, ma positivamente indica i presupposti nella inscindibilità della causa determinata dall’oggetto del ricorso, così che la citata fattispecie si configura ogni volta che, per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’amministrazione finanziaria, l’atto impositivo coinvolga, nell’unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione, una pluralità di soggetti ed il ricorso, pur proposto da uno o più obbligati, abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, cioè gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione» (2).
Passiamo al litisconsorzio facoltativo.
Ai sensi dell’art. 103 c.p.c. «più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni. Il giudice può disporre, nel corso della istruzione o nella decisione, la separazione delle cause, se vi è istanza di tutte le parti, ovvero quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo, e può rimettere al giudice inferiore le cause di sua competenza».
Come ha osservato autorevole dottrina, a differenza di quanto accade nel litisconsorzio necessario, in quello facoltativo la presenza di più parti, rispetto alle due indispensabili perché sorga un processo, è semplicemente eventuale. Esistendo ragioni di opportunità per la partecipazione congiunta di più soggetti al medesimo giudizio, la legge consente, senza imporlo, che costoro agiscano o siano convenuti contestualmente, per favorire soluzioni uniformi ed evitare giudicati contrastanti, rispondendo in tal modo anche ad esigenze di economia processuale (3).
L’art. 103 c.p.c., peraltro, «contempla non soltanto il litisconsorzio facoltativo cosiddetto proprio, cioè quando fra più cause proposte esista connessione per l’oggetto e per il titolo, ma anche quello cosiddetto improprio, cioè quando più cause presentino in comune, anche solo in parte, qualche questione, la cui soluzione sia necessaria per la decisione» (4).
Per quanto riguarda il processo tributario, come abbiamo visto, il D.Lgs. n. 546/1992 contiene un’autonoma e specifica disciplina concernente il litisconsorzio necessario, ma nulla invece dispone in ordine al litisconsorzio facoltativo.
Sappiamo, però, che a norma dell’art. 1, secondo comma, del predetto D.Lgs. n. 546/1992, «i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile» e, dunque, mancando in tale decreto una specifica disposizione che disciplini il litisconsorzio facoltativo, nulla osta a che l’art. 103 c.p.c. trovi applicazione nel processo tributario, se e nella misura in cui la disciplina codicistica dell’istituto risulti compatibile con le altre disposizioni dello stesso D.Lgs. n. 546/1992 (5).
3. Il litisconsorzio facoltativo nel processo tributario
Relativamente alle ipotesi di litisconsorzio facoltativo proprio, in dottrina come in giurisprudenza, nessun dubbio è stato sollevato sulla compatibilità della suddetta disciplina codicistica con le disposizioni proprie del processo tributario.
Tali ipotesi, come abbiamo visto, ricorrono quando tra le più cause proposte sussista «connessione per l’oggetto o per il titolo» e, vale ricordarlo, «si ha connessione per l’oggetto quando più persone perseguono in giudizio un identico risultato e connessione per il titolo quando più persone agiscono in base alla medesima causa petendi, o fattispecie acquisitiva, pur perseguendo ciascuna un diverso effetto giuridico; connessione, infine, per il titolo e per l’oggetto è riscontrabile nell’ipotesi in cui più persone agiscono in base alla stessa causa petendi perseguendo anche lo stesso risultato» (6).
Del resto, è stato opportunamente osservato che «la presenza dell’art. 29 del D.Lgs. n. 546, in tema di riunione dei ricorsi aventi lo stesso oggetto o fra di loro connessi, rappresenta l’indiscutibile conferma dell’operatività del litisconsorzio facoltativo» nel processo tributario (7).
Ad analoga conclusione, secondo la giurisprudenza di legittimità, si perviene anche nelle ipotesi di controversie tra le quali sussista un «mero vincolo di pregiudizialità logica e connessione impropria» – come, per esempio, tra l’impugnativa avverso il provvedimento di classamento catastale dell’immobile e quella avverso l’avviso di liquidazione del tributo determinato sulla base delle risultanze catastali – nelle quali pure può realizzarsi un simultaneus processus «in via di riunione successiva» in applicazione dell’art. 29 del D.Lgs. n. 546/1992, ovvero di «iniziale litisconsorzio facoltativo» ex art. 103 c.p.c. (8).
Naturalmente la possibilità che si realizzi nel processo tributario un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo iniziale implica, tra i principali risvolti di carattere processuale, l’ammissibilità in tale processo del c.d. ricorso cumulativo, ovvero dell’unico ricorso proposto avverso più atti impugnabili.
È stato infatti affermato che «in tema di contenzioso tributario, è ammissibile la proposizione di un unico ricorso cumulativo avverso più atti di accertamento, dovendo ritenersi applicabile nel processo tributario … l’art. 104 c.p.c., il quale consente la proposizione contro la stessa parte – e quindi la trattazione unitaria – di una pluralità di domande anche non connesse tra loro, con risultato, del resto, analogo a quello ottenuto nel caso di riunione di processi, anche soltanto soggettivamente connessi, già ammessa dall’art. 34 del d.P.R. n. 636/1972»(9) e ora dall’art. 29 del d.lgs. n. 546/1992 e considerato che, nell’ambito del processo tributario, non si pongono limitazioni riguardanti la competenza per valore.
Più complessa e dalla soluzione meno scontata, invece, è la questione dell’ammissibilità nel contenzioso tributario del c.d. ricorso cumulativo e collettivo.
Nel vigore della vecchia disciplina del processo tributario (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636), si riteneva che fosse «consentito a più contribuenti di ricorrere, con unico atto, alla Commissione tributaria di primo grado, al fine di impugnare provvedimenti distinti dell’Amministrazione finanziaria implicanti questioni in tutto od in parte identiche, considerato che l’art. 103 c.p.c., in tema di litisconsorzio facoltativo, è incluso fra le norme del rito civile cui rinvia l’art. 39 del citato decreto, e che tale litisconsorzio, “ex parte actoris”, è compatibile con la struttura impugnatoria del procedimento tributario, fermo restando il riscontro della tempestività dell’iniziativa di ciascun contribuente con riferimento al singolo atto dallo stesso contestato» (10).
Tale assunto, tuttavia, non ha convinto la totalità delle Commissioni tributarie, insediatesi dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 546/1992, parte delle quali ha giudicato ammissibile il suddetto ricorso solo in limitatissimi casi, ovvero se proposto avverso «atti oggettivamente connessi», ritenendolo invece inammissibile tutte le volte in cui fosse mancato il «presupposto della connessione oggettiva tra le domande proposte da più contribuenti, ancorché essi abbiano impugnato congiuntamente distinte cartelle di pagamento e relative iscrizioni a ruolo per il recupero di contributi consortili per i medesimi motivi» (11).
In tempi più recenti anche la Suprema Corte, chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla controversa questione, ha subordinato l’ammissibilità del ricorso cumulativo e collettivo al ricorrere di stringenti presupposti.
Decidendo una controversia nella quale una pluralità di professionisti aveva proposto un unico ricorso avverso il silenzio rifiuto formatosi sulle singole istanze di rimborso dell’IRAP, fondate sull’asserita assenza di un’attività «autonomamente organizzata», la Cassazione ha affermato che nel processo tributario non è ammissibile la proposizione di un ricorso collettivo (proposto da più parti) e cumulativo (proposto nei confronti di più atti impugnabili) da parte di una pluralità di contribuenti titolari di distinti rapporti giuridici d’imposta, ancorché gli stessi muovano identiche contestazioni, in quanto in tale giudizio, a natura precipuamente impugnatoria, la necessità di uno specifico e concreto nesso tra l’atto impositivo che forma oggetto del ricorso e la contestazione del ricorrente, così come richiesto dall’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, impone, indefettibilmente, che tra le cause intercorrano questioni comuni non solo in diritto ma anche in fatto e che esse non siano soltanto uguali in astratto, ma attengano altresì ad un identico fatto storico da cui siano determinate le impugnazioni dei contribuenti, con la conseguente virtuale possibilità di un contrasto di giudicati in caso di decisione non unitaria (12).
Occorre precisare che nella suddetta controversia i contribuenti avevano impugnato la sentenza di appello, con cui era stato dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo del giudizio, eccependo la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 18 e 29 del D.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 103 c.p.c., nella considerazione che «non sussisterebbe alcun impedimento alla possibilità, da parte di una pluralità di contribuenti, di proporre un unico ricorso cumulativo contro diversi atti tributari che conserverebbero la loro autonomia», ricorrendo nella specie «i presupposti richiesti dall’art. 103 c.p.c., sussistendo sia l’identità di petitum, in quanto tutti i provvedimenti richiedono la condanna dell’Amministrazione a rimborsare le somme versate a titolo di Irap, sia l’identità di causa petendi in quanto la richiesta di tutti i contribuenti è fondata sull’accertamento della sussistenza dei medesimi fatti costitutivi posti a fondamento della domanda. Senza considerare che il litisconsorzio facoltativo può essere anche improprio quando la decisione dipende dalla soluzione di identiche questioni» (13).
In sostanza, i ricorrenti invocavano l’applicabilità dell’art. 103 c.p.c. nell’assunto che ricorressero i presupposti per ravvisare un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo proprio e, in subordine, un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo improprio.
La Corte di Cassazione, come abbiamo visto, non ha condiviso tale impostazione.
I Supremi Giudici, preliminarmente, hanno osservato che il procedimento tributario, come delineato dal D.Lgs. n. 546/1992, non contiene alcuna norma in ordine al cumulo dei ricorsi prevedendo, solo all’art. 14, l’ipotesi del litisconsorzio necessario, se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, nonché l’intervento, volontario o per chiamata, dei soggetti che insieme al ricorrente sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso.
Il panorama normativo, perciò, si completa con la menzione dell’art. 1, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, che contiene il rinvio alle norme del codice di procedura civile per quanto non disposto dal predetto decreto e nei limiti della loro compatibilità con le norme dello stesso.
Chiarito questo primo aspetto, la Corte ha richiamato i principi stabiliti dalle sezioni unite con la citata sentenza n. 1052/2007 (14), ricordando che è la domanda a determinare l’oggetto del processo e, quindi, a costituire, in ultima analisi, il parametro per valutare la inscindibilità della causa tra più soggetti, in quanto il processo tributario è strutturato secondo le regole proprie del processo impugnatorio di provvedimenti autoritativi.
Ora, prosegue il Collegio, «il fatto che il giudizio tributario rivesta carattere impugnatorio di atti amministrativi, risolvendosi tale carattere nella indispensabilità di uno specifico, preciso e concreto, nesso tra il singolo atto autoritativo di imposizione e la contestazione del singolo contribuente, pur non ostando in linea di principio all’applicabilità dell’art. 103 c.p.c., invocato dai ricorrenti, soprattutto sub specie del litisconsorzio improprio, ne limita però, in buona sostanza, l’applicazione circoscrivendone irriducibilmente la portata e gli effetti al concreto atteggiarsi nel processo del rapporto tra atto autoritativo e relativa impugnazione. Ed invero, se nell’ipotesi del litisconsorzio facoltativo improprio, disciplinato dalla processualistica civile, le cause possono avere tra loro un rapporto di mera affinità derivante dalla comunanza anche parziale di una o più questioni, nel processo tributario, l’indispensabilità dello specifico e concreto nesso tra atto e/o oggetto di ricorso ex art. 19 D.Lgs. n. 546 del 1992, e la contestazione del contribuente, richiesta invece dalla peculiarità del relativo giudizio, postula necessariamente che intercorrano, tra le cause, questioni comuni non solo in diritto ma anche in fatto e che esse non siano soltanto uguali in astratto ma consistano altresì in un identico fatto storico da cui siano determinate le impugnazioni dei contribuenti» (15).
La riproposizione della lunga motivazione, in forma pressoché integrale, si è resa necessaria per porre bene in evidenza quale presupposto la Suprema Corte riteneva, all’epoca, che dovesse sussistere per ravvisare nel processo tributario un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo improprio, ovvero che tra le diverse cause proposte intercorressero questioni «comuni non solo in diritto, ma anche in fatto», poiché soltanto quando i provvedimenti impugnati, pur formalmente autonomi, si risolvano nel loro concreto articolarsi in un unico fatto storico nei confronti di più contribuenti, e questi versando in un’analoga situazione muovano anche solo in parte identiche contestazioni, può ritenersi che la definizione delle questioni comuni abbia carattere pregiudiziale rispetto alla decisione di tutte le cause, così da consentire l’ammissibilità, nel processo tributario, di un ricorso al tempo stesso collettivo (proposto da più contribuenti) e cumulativo (nei confronti di più atti impugnabili).
Ora, poiché per stabilire se sia fondata o meno un’istanza di rimborso dell’IRAP presentata da un professionista occorre accertare, in punto di fatto, se la relativa attività professionale sia o meno “autonomamente organizzata”, nel caso di specie non poteva ritenersi sussistere la «comunanza in punto di fatto» delle questioni intercorrenti tra le diverse cause proposte con l’unico ricorso introduttivo, «ostandovi la concreta diversità delle situazioni di fatto e di diritto in cui versavano i numerosi ricorrenti, ben diciassette, i quali non solo svolgevano professioni ed attività diverse, … ma avevano presentato le richieste di rimborso separatamente, in date diverse, con riferimento ad anni di imposta differenti, e soprattutto con riferimento a silenzi-rifiuti maturatisi in momenti e con modalità storicamente diversi nonché in ordine a situazioni dissimili» (16).
Il decisivo rilievo che assume(va) la comunanza «in fatto e in diritto» delle questioni proposte, al fine di riconoscere l’ammissibilità del ricorso tributario collettivo, è confermato da un’ulteriore sentenza della Corte di Cassazione (17), di poco successiva a quella innanzi esaminata, che pur vertendo sull’analoga fattispecie di ricorso unico avverso il diniego di più istanze di rimborso dell’IRAP presentate autonomamente da alcuni professionisti, ha concluso per l’ammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio.
La Suprema Corte, in questo secondo caso, pur dando atto dell’orientamento dalla stessa assunto con la precedente citata sentenza n. 10578/2010, che dichiara espressamente di non volere «porre in discussione», ha deciso per l’ammissibilità del ricorso introduttivo in quanto «la contestazione dell’Ufficio rispetto alle istanze di rimborso proposto dalle attrici si fonda su questioni di diritto, e non di fatto, comuni alle contribuenti, cosicché il richiamo alla necessaria identità in fatto delle questioni appare in concreto ultroneo».
Dobbiamo ritenere che l’Ufficio avesse negato alle suddette ricorrenti il rimborso dell’IRAP nella sola considerazione in diritto – assurda e pure in passato tante volte sostenuta in giudizio dall’Agenzia delle entrate – che ogni attività professionale debba ritenersi, per definizione, “autonomamente organizzata”.
Ergo, pur ribadendo il principio secondo cui perché ricorra un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo improprio nel processo tributario occorre che vi sia comunanza “in fatto e in diritto” delle questioni sottese alle diverse cause, il ricorso collettivo, nel caso da ultimo esaminato, era stato giudicato ammissibile dalla Corte di Cassazione perché nessuna «questione in punto di fatto» doveva pregiudizialmente essere risolta per decidere sulla fondatezza delle istanze di rimborso, occorrendo invece stabilire, esclusivamente, se fosse o meno fondata la tesi erariale secondo la quale tutte le attività professionali devono ritenersi autonomamente organizzate e, come tali, assoggettate ad IRAP.
4. L’inversione di rotta
Come abbiamo anticipato in premessa, riteniamo che con l’annotata sentenza n. 4490/2013 la Suprema Corte abbia optato per un’interpretazione meno restrittiva, rispetto al recente passato, delle disposizioni processuali che regolano il litisconsorzio facoltativo improprio nel processo tributario e, con essa, per una soluzione più garantista in merito all’ammissibilità del c.d. ricorso cumulativo e collettivo.
La controversia decisa con la suddetta sentenza traeva origine dalla proposizione di un unico ricorso, da parte di tre contribuenti, avverso tre distinte cartelle di pagamento notificate a ciascuno di essi. Il classico caso, appunto, di ricorso tributario cumulativo e collettivo.
I primi giudici avevano dichiarato inammissibile il gravame, con sentenza successivamente confermata dalla Commissione tributaria regionale della Campania che ha ritenuto di condividere «l’inapplicabilità al caso in specie dell’art. 103 c.p.c., già affermata dalla C.T.P., sul rilievo che nel processo tributario non viene espressamente disciplinato né il ricorso cumulativo né quello collettivo».
Il giudice di appello, in particolare, riteneva che l’art. 29 del D.Lgs. n. 546/1992, pur legittimando il ricorso cumulativo, è «applicabile nell’ipotesi in cui un soggetto propone un solo ricorso avverso più avvisi di accertamento relativi a più annualità o più imposte relative allo stesso periodo oppure quando più soggetti impugnino lo stesso atto ma non anche nel caso, come quello in esame, in cui a ciascun ricorrente era stata notificata una distinta cartella esattoriale riguardante immobili diversi ed ubicati in zone differenti del territorio comunale per cui si identificano interessi differenziati».
Nel decidere sul ricorso per cassazione proposto dai contribuenti, la Suprema Corte ha rilevato, preliminarmente, che il D.Lgs. n. 546/1992 non contiene alcuna norma in ordine al cumulo dei ricorsi, che il solo art. 14 disciplina l’ipotesi del litisconsorzio necessario e che a norma del successivo art. 29 il Presidente della Sezione può disporre la riunione dei ricorsi che hanno lo stesso oggetto o sono fra loro connessi.
Tale panorama normativo, come sappiamo, «si completa con la menzione dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, che contiene il rinvio alle norme del codice di procedura civile per “quanto non disposto dal decreto e nei limiti della loro compatibilità con le norme dello stesso”».
Pertanto, ha proseguito la Suprema Corte, in tale ambito normativo può affermarsi l’applicabilità nel processo tributario dell’art. 103 c.p.c., come già ritenuto nella citata pronuncia n. 171/1991 o, comunque, non escluso in linea di principio nella decisione n. 10578/2010, anch’essa già citata.
Ciò è sufficiente, a parere del Supremo Collegio, «per ritenere la legittimità del ricorso congiunto proposto da più contribuenti, anche se in relazione a distinte cartelle di pagamento, ove abbia ad oggetto – come nella specie – identiche questioni dalla cui soluzione dipenda la decisione della causa».
In senso contrario non assume alcun rilievo il fatto che il processo tributario sia modellato sul giudizio impugnatorio, «dal momento che quello che rileva non è la struttura del processo tributario, ma la perfetta compatibilità delle norme che lo disciplinano con l’istituto del litisconsorzio facoltativo».
Invero, la suddetta conclusione è confortata dalla giurisprudenza di legittimità che ritiene «pacificamente ammissibile la proposizione di un unico ricorso cumulativo avverso più atti di accertamento, dovendo ritenersi applicabile nel processo tributario l’art. 104 c.p.c.», con risultato peraltro analogo a quello ottenuto nel caso di riunione di processi anche soltanto soggettivamente connessi ex art. 29 del D.Lgs. n. 546/1992.
Per altro verso non osta alla legittimità della proposizione di un ricorso collettivo la norma contenuta nell’art. 18 del D.Lgs. n. 546/1992, nella parte in cui, utilizzando il singolare, prevede che possa essere impugnato con il ricorso “un solo atto”, né la norma contenuta nel successivo art. 19 dal quale si evincerebbe il «principio obbligatorio dell’autonoma impugnabilità del singolo atto».
La parte conclusiva della sentenza, tuttavia, è quella che, a parere di chi scrive, contiene la svolta interpretativa più significativa e, accanto ad essa, la considerazione giuridica di maggiore rilievo.
Secondo la Corte, infatti, «non appaiono ostative alla soluzione adottata le eventuali circostanze fattuali che potrebbero, parzialmente, diversificare le posizioni dei singoli ricorrenti, soccorrendo in tal caso, e nella ricorrenza dei presupposti di legge, la separazione delle cause espressamente prevista dall’art. 103, comma 2, c.p.c.».
Ergo, in primo luogo, perché ricorra un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo improprio, ipotesi nella quale risulta pacificamente ammissibile il ricorso cumulativo e collettivo, non è più necessario che tra le diverse cause proposte intercorrano questioni «comuni non solo in diritto, ma anche in fatto» o che i provvedimenti impugnati «si risolvano nel loro concreto articolarsi in un unico fatto storico nei confronti dei più contribuenti», ben potendosi ravvisare un’ipotesi di litisconsorzio facoltativo anche quando le eventuali circostanze fattuali possono «parzialmente diversificare le posizioni dei singoli ricorrenti», a condizione, ovviamente, che siano state proposte da ciascuno di essi «identiche questioni dalla cui soluzione dipenda la decisione della causa».
In secondo luogo, il fatto che più ricorrenti propongano un unico ricorso tributario avverso diversi e autonomi atti impugnabili non è ex se motivo sufficiente per dichiarare l’inammissibilità di tale ricorso, poiché ove la Commissione tributaria ritenga inopportuna la trattazione unitaria delle liti potrà comunque disporre la separazione delle cause e la prosecuzione del giudizio in distinti procedimenti.
Una soluzione condivisibile e, soprattutto, nel segno della continuità con il consolidato orientamento secondo cui «è necessario dare alle norme processuali in genere, ed a quelle sul processo tributario in particolare, una lettura che, nell’interesse generale, faccia bensì salva la funzione di garanzia istituzionalmente propria del processo, ma consenta altresì, per quanto possibile, di limitare al massimo l’operatività di irragionevoli sanzioni di inammissibilità in danno delle parti che di quella garanzia dovrebbero giovarsi» (18).
Dott. Domenico Carnimeo
(1) Cass., sez. un., 13 novembre 2013, n. 25454, in Guida al diritto, 2013, 48, 38.
(2) Cass., sez. VI, 18 giugno 2013, n. 15189, in Boll. Trib. On-line; in senso conforme Cass., sez. un., 18 gennaio 2007, n. 1052, in Boll. Trib., 2007, 1143.
(3) Cfr. F.P. Albertini, La pluralità di parti nel processo tributario, Torino, 2013, 91.
(4) Cass., sez. III, 31 maggio 2005, n. 11609, in Giur. it., 2009, 917.
(5) In tema di applicabilità nel processo tributario della normativa processualcivilistica, ex art. 1, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, si vedano le osservazioni di P. Accordino, Considerazioni in tema di non impugnabilità dell’ordinanza collegiale di sospensione cautelare nel processo tributario: una scelta viziata dalla asistematicità, in Riv. dir. trib., 2008, 1, 31.
(6) Cfr. F.P. Albertini, op. cit., 92.
(7) Cfr. F. Pistolesi, Le parti del processo tributario, in Riv. dir. fin., 2002, II, 268.
(8) Cass., sez. trib., 22 marzo 2006, n. 6386, in Boll. Trib. On-line.
(9) Cass., sez. trib., 1° ottobre 2004, n. 19666, in Boll. Trib., 2005, 1405.
(10) Cass., sez. I, 10 gennaio 1991, n. 171, in Boll. Trib., 1991, 1123.
(11) Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. I, 15 ottobre 2008, n. 171, in Boll. Trib. On-line.
(12) Cfr., in questi termini, Cass., sez. trib., 30 aprile 2010, n. 10578, in Boll. Trib. On-line.
(13) Così testualmente Cass. n. 10578/2010, cit.
(14) Ved. nota 2.
(15) Cfr. nota 13.
(16) Cfr. nota 13.
(17) Cass., sez. trib., 27 ottobre 2010, n. 21955, in Boll. Trib. On-line.
(18) Cass., sez. trib., 28 maggio 2008, n. 13958; nonché Cass., sez. trib., 30 giugno 2010, n. 15534; entrambe in
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Boll. Trib. On-line.
Procedimento – Ricorsi – Ricorso cumulativo e/o collettivo – Litisconsorzio facoltativo improprio – Art. 103 c.p.c. – Applicabilità al processo tributario – Sussiste – Ammissibilità del ricorso cumulativo e/o collettivo – Consegue.
Procedimento – Ricorsi – Ricorso cumulativo e/o collettivo – Impugnazione di diverse cartelle di pagamento da parte di più contribuenti – Identità delle questioni dalla cui soluzione dipende la decisione della causa – Ammissibilità.
Procedimento – Ricorsi – Ricorso cumulativo – Art. 104 c.p.c. – Applicabilità al processo tributario – Sussiste – Impugnazione di più atti di accertamento contro la medesima parte – Ammissibilità – Connessione delle domande – Non necessita.
Il procedimento tributario, così come delineato dal D.Lgs. 13 dicembre 1992, n. 546, non contiene alcuna norma in ordine al cumulo dei ricorsi prevedendo, solo all’art. 14, l’ipotesi del litisconsorzio necessario se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, nonché l’intervento, volontario o per chiamata, dei soggetti che insieme al ricorrente sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso, e all’art. 29 la riunione, ad opera del Presidente della Sezione, dei ricorsi che abbiano lo stesso oggetto o siano fra loro connessi, di talché è necessario fare riferimento all’art. 1, secondo comma, del medesimo decreto, che contiene il rinvio alle norme del codice di procedura civile per affermare l’applicabilità nel processo tributario dell’art. 103 c.p.c., secondo cui più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni; ne discende la legittimità del ricorso congiunto proposto da più contribuenti, anche se in relazione a distinte cartelle di pagamento, ove abbia ad oggetto identiche questioni dalla cui soluzione dipenda la decisione della causa.
È pacificamente ammissibile la proposizione di un unico ricorso cumulativo avverso più atti di accertamento, dovendo ritenersi applicabile nel processo tributario l’art. 104 c.p.c., il quale consente la proposizione contro la stessa parte, e quindi la trattazione unitaria, di una pluralità di domande anche non connesse tra loro, con risultato peraltro analogo a quello ottenuto nel caso di riunione di processi anche soltanto soggettivamente connessi.
[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. Pivetti, rel. Crucitti), 22 febbraio 2013, sent. n. 4490]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – M.A.M., M.G. e M.A., propongono ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza n. 306/5/06 resa il 15.12.2006 dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania che, nel rigettare l’appello proposto dagli odierni ricorrenti, aveva confermato la decisione di primo grado di inammissibilità del ricorso introduttivo in quanto, secondo i Giudici territoriali, illegittimamente proposto cumulativamente e collettivamente avverso separati atti impositivi emessi a carico di distinti proprietari di immobili aventi diverse caratteristiche.
Resiste con controricorso il Consorzio di Bonifica Integrale Comprensorio Sarno, Bacini del Sarno, dei Torrenti Vesuviani e dell’Irno.
MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. I Giudici territoriali hanno argomentato la decisione condividendo l’inapplicabilità al caso in specie dell’art. 103 c.p.c., già affermata dalla C.T.P., sul rilievo che nel processo tributario non viene espressamente disciplinato né il ricorso cumulativo né quello collettivo.
La C.T.R. ha, inoltre, ritenuto che la norma dell’art. 29 D.Lgs. n. 546 del 1992, – la quale, prevedendo la possibilità per il Presidente di Sezione di riunire più ricorsi aventi connessione soggettiva ed oggettiva, legittima il ricorso cumulativo – è applicabile nell’ipotesi in cui un soggetto propone un solo ricorso avverso più avvisi di accertamento relativi a più annualità o più imposte relative allo stesso periodo oppure quando più soggetti impugnino lo stesso atto ma non anche nel caso, come quello in esame, in cui a ciascun ricorrente era stata notificata una distinta cartella esattoriale riguardante immobili diversi ed ubicati in zone differenti del territorio comunale per “cui si identificano interessi differenziati”.
2. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione dell’art. 103 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.
Secondo la prospettazione difensiva la C.T.R. avrebbe errato a ritenere illegittimo il cumulo soggettivo laddove l’art. 103 c.p.c., disposizione pacificamente applicabile al processo tributario, regola proprio tale cumulo consentendolo non solo nell’eventualità in cui le cause proposte da più soggetti siano connesse per l’oggetto ed il titolo ma anche nell’eventualità in cui la decisione dipenda totalmente o parzialmente da identiche questioni.
3. Con il secondo motivo, proposto in via gradata si deduce la medesima violazione di cui al primo motivo per non avere la Commissione Tributaria Regionale, una volta ritenuta l’inapplicabilità del citato art. 103 c.p.c., disposto la separazione dei ricorsi ai sensi del comma 2 della suddetta norma.
4. Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata in controricorso dall’intimato Consorzio. I ricorrenti hanno, infatti, correttamente articolato i motivi sotto l’egida dell’“error in procedendo” deducendo come il Giudice di appello, travisando la portata applicativa della norma invocata, avesse erroneamente pronunciato l’inammissibilità del ricorso introduttivo collettivamente proposto.
5. Il ricorso è fondato.
Il procedimento tributario, così come delineato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, non contiene alcuna norma in ordine al cumulo dei ricorsi prevedendo, solo all’art. 14, l’ipotesi del litisconsorzio necessario (se l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, nonché l’intervento, volontario o per chiamata, dei soggetti che insieme al ricorrente sono destinatari dell’atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso) ed all’art. 29 la riunione ad opera del Presidente della Sezione dei ricorsi che hanno lo stesso oggetto o sono fra loro connessi. Il panorama normativo si completa, quindi, con la menzione dell’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546 del 1992, che contiene il rinvio alle norme del codice di procedura civile per “quanto non disposto dal decreto e nei limiti della loro compatibilità con le norme dello stesso”.
In tale ambito normativo, può, pertanto, affermarsi l’applicabilità nel processo tributario dell’art. 103 c.p.c., per il quale, come noto, “più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente dalla risoluzione di identiche questioni”; applicabilità, peraltro, già ritenuta da questa Corte (con sentenza n. 171/91 (1)) o, comunque, non esclusa in linea di principio (Cass. n. 10578/2010 (2)).
Ciò è sufficiente per ritenere la legittimità del ricorso congiunto proposto da più contribuenti, anche se in relazione a distinte cartelle di pagamento, ove abbia ad oggetto – come evincibile nella specie dal contenuto dell’atto introduttivo integralmente riportato in ossequio al principio di autosufficienza – identiche questioni dalla cui soluzione dipenda la decisione della causa.
Né al fine di superare detta conclusione vale osservare che il processo tributario è modellato sul giudizio impugnatorio dal momento che quello che rileva non è la struttura del processo tributario, ma la perfetta compatibilità delle norme che lo disciplinano con l’istituto del litisconsorzio facoltativo (Cass. n. 171/1991 cit.).
In questo senso si pone, peraltro, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità la quale ritiene pacificamente ammissibile la proposizione di un unico ricorso cumulativo avverso più atti di accertamento, dovendo ritenersi applicabile nel processo tributario l’art. 104 c.p.c., il quale consente la proposizione contro la stessa parte, e quindi la trattazione unitaria, di una pluralità di domande anche non connesse tra loro, con risultato peraltro analogo a quello ottenuto nel caso di riunione di processi anche soltanto soggettivamente connessi (ex art. 29 D.Lgs. n. 546 del 1992). E, solo per completezza, giova aggiungere che va nella medesima direzione anche la sentenza n. 3692 del 2009 delle SSUU (3), benché si tratti di un precedente non esattamente in termini, essendosi con detta sentenza ammesso il ricorso cumulativo non avverso una pluralità di atti di accertamento, bensì avverso più sentenze emesse in procedimenti formalmente distinti ma attinenti al medesimo rapporto giuridico d’imposta.
In altri termini, non si rinviene all’interno del processo tributario alcuna incompatibilità con l’istituto del litisconsorzio improprio ex art. 103 c.p.c., non ostando alla legittimità della proposizione di ricorso collettivo, proponente identiche questioni per tutti i ricorrenti né, sicuramente, la “prassi” contraria (posta a fondamento della decisione della C.T.R.) né le norme invocate dal controricorrente che, invece secondo la prospettazione difensiva, fonderebbero “l’inammissibilità di un atto che pretenda di tutelare diversi soggetti per distinte cartelle”.
Le norme invocate (art. 18 D.Lgs. n. 546 del 1992, nella parte in cui, utilizzando il singolare, prevede che possa essere impugnato con il ricorso un solo atto; art. 14, stesso D.Lgs. nella parte in cui limita il litisconsorzio all’ipotesi in cui l’oggetto riguardi inscindibilmente più soggetti; art. 19 stesso D.Lgs. dal quale si evincerebbe il principio obbligatorio dell’autonoma impugnabilità del singolo atto), infatti, in parte non possono leggersi secondo l’interpretazione datane dal controricorrente (così l’art. 18 essendo pacifica l’ammissibilità, a certe condizioni, del ricorso cumulativo), per il resto non appaiono fondanti l’assunto.
La previsione espressa del litisconsorzio necessario nel processo tributario non implica – in virtù del richiamo operato dall’art. 1 D.Lgs. n. 546 del 1992 – quale automatica conseguenza, l’inammissibilità dell’applicazione del litisconsorzio improprio così come il principio sancito dall’art. 18 secondo cui “ogni atto autonomamente impugnabile può essere impugnato solo per vizi propri” non appare violato dalla mera materiale unicità del ricorso con il quale più soggetti impugnino atti autonomamente impugnabili per vizi propri deducendo a conforto identiche questioni.
Né, infine, appaiono ostative alla soluzione adottata le eventuali circostanze fattuali che potrebbero, parzialmente, diversificare le posizioni dei singoli ricorrenti, soccorrendo in tal caso, e nella ricorrenza dei presupposti di legge, la separazione delle cause espressamente prevista dall’art. 103, comma 2, c.p.c.
Alla luce delle considerazioni svolte, la sentenza impugnata che non ha fatto corretta applicazione delle norme di riferimento e dei principi illustrati, va cassata con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria della Regione Campania perché provveda anche in ordine al regolamento processuale.
P.Q.M. – (Omissis).
(1) Cass. 10 gennaio 1991, n. 171, in Boll. Trib., 1991, 1123.
(2) Cass. 30 aprile 2010, n. 10578, in Boll. Trib. On-line.
(3) Cass. 16 febbraio 2009, n. 3692, in Boll. Trib. On-line.