23 Giugno, 2014

Imposta di registro – Azienda – Cessione di azienda – Avviamento – Pagamento dell’imposta da parte dell’acquirente – Non esclude l’interesse a ricorrere del venditore.

Rispetto all’accertamento del maggior valore di cessione di un’azienda il pagamento, da parte dell’acquirente, dell’imposta di registro reclamata dall’Ufficio finanziario non fa venire meno l’interesse al ricorso da parte del venditore che è obbligato in solido al pagamento dell’imposta stessa, considerato che il valore dell’avviamento determinato ai fini dell’imposta di registro può avere efficacia probatoria presuntiva ai fini dell’imposizione diretta sui redditi del venditore.

[Commissione trib. provinciale di Lecco, sez. I (Pres. Furlani, rel. Minatta), 1° marzo 2013, sent. n. 20]

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – L’avviso di rettifica e liquidazione n. …, emesso dall’Agenzia delle Entrate di Lecco, notificato alla ricorrente in data 22-2-2012, ha accertato nella misura di Euro 26.800,00 il valore dell’avviamento della società … che, con atto notaio … del 24-2-2010, registrato il 26-2-2010, ha ceduto … a al prezzo dichiarato di Euro 8.000,00, l’azienda avente per oggetto l’attività di autotrasporto di merci per conto terzi, con sede in Comune di (SO).

Avverso l’avviso di rettifica la società ricorrente, venditrice, presentava in data 10-4-2012 istanza di rettifica in autotutela, senza ottenere alcuna risposta.

Con ricorso depositato in data 17-5-2012 la società, difesa e rappresentata dal dott. rag. G.Z., impugnava l’avviso di rettifica e liquidazione sostenendo l’infondatezza della valutazione fatta dall’ufficio dovuta all’errato utilizzo dei dati per il calcolo del valore dell’avviamento dell’azienda, e chiedeva l’annullamento dell’avviso e la conferma del valore dichiarato in atto, con condanna della resistente al pagamento delle spese di giudizio.

Si costituiva ritualmente in giudizio l’Agenzia delle Entrate di Lecco, facendo presente che in data 12-4-2012 la parte acquirente aveva provveduto alla definizione dell’accertamento a norma dell’art. 15 D.Lgs. n. 218 del 1997, confermando “per facta concludentia” la fondatezza della pretesa erariale e liberando nel contempo la venditrice per essere stata la obbligazione adempiuta dai debitore solidale Chiedeva quindi dichiararsi la cessazione della materia del contendere con compensazione delle spese di lite.

[-protetto-]

MOTIVI DELLA DECISIONE – Occorre preliminarmente esaminare le eccezioni formulate dalle parti, e precisamente quella in ordine alla cessazione della materia del contendere formulata dall’ufficio, la richiesta, in sede di udienza, di non accettazione dell’estinzione della definizione dell’accertamento formulata dalla ricorrente e quella di nullità dell’atto di rettifica e liquidazione dovuta all’errato utilizzo dei dati da parte dell’Ufficio formulata dalla ricorrente.

Sentite le parti in pubblica udienza, la Commissione osserva che il rilievo dell’Ufficio in ordine alla sopravvenuta carenza di interesse della contribuente a seguito del pagamento dell’imposta da parte del debitore solidale deve essere disatteso in quanto, come osservato dalla ricorrente, il valore dell’avviamento determinato in questa sede ai fini dell’imposta di registro può avere efficacia probatoria di valore presuntivo nella diversa sede della imposizione diretta.

Tale eccezione formulata dall’Ufficio deve essere respinta.

Nel merito, osserva la Commissione che l’Ufficio ha accertato il valore dell’avviamento dell’azienda utilizzando il criterio di cui all’art. 2 D.P.R. n. 460 del 1996, rettificando il valore dichiarato da Euro 8.000,00 ad Euro 26.800,00, con conseguente rideterminazione delle maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale, oltre le sanzioni ed interessi.

Dai prospetti di bilancio allegati al ricorso risulta che la cessione dell’azienda non comprendeva beni strumentali, in quanto gli stessi erano stati venduti negli anni 2008/2009 generando plusvalenze per Euro 33.447,00 e minusvalenze per Euro 66,00.

L’Ufficio per il calcolo del presunto valore di avviamento ha utilizzato per gli anni 2007 e 2009 gli importi di ricavo determinati dal calcolo degli studi di settore, modificandone conseguentemente anche il risultato di esercizio; i valori di ricavo degli studi di settore sono da considerarsi presunzioni semplici prive dei requisiti di precisione, gravità e concordanza che non derivano dalla legge che li ha istituiti, bensì dall’esito del contraddittorio preventivo che dovrà essere obbligatoriamente attivato pena la nullità dell’accertamento. Nel caso specifico i ricavi e i redditi della società non sono mai stati rettificati.

Dalla documentazione allegata al ricorso si evince che negli anni 2008 e 2009 il risultato d’esercizio dichiarato è influenzato dalle plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione dei beni strumentali rispettivamente per l’importo di Euro 28.826,00 nel 2008 ed Euro 4.585,00 nel 2009, importi che devono essere decurtati dal risultato d’esercizio allo scopo di calcolare la corretta aliquota media di redditività dell’anno.

Inoltre, rileva la Commissione che l’Ufficio utilizza erroneamente per l’anno 2008 i dati dichiarati per il periodo 1/1/2009 – 28/12/2009 dichiarati con il modello Unico/2009 così come previsto dalla norma in quanto periodo ante liquidazione, presentato telematicamente in data 9-4-2010.

Per l’anno 2009 risulta presentato un secondo modello Unico relativo al primo periodo di liquidazione di soli tre giorni dal 29/12/2009 al 31/12/2009, in data 9-4-2010.

Il medesimo errore viene compiuto anche per l’anno 2009, in quanto l’Ufficio, anziché utilizzare i dati sommati dei due modelli citati in precedenza, utilizza i dati dichiarati per il periodo 1/1/2010-11/10/2010 dichiarati con il modello Unico/2010, così come previsto dalla norma in quanto ultimo periodo di liquidazione, presentato telematicamente in data 16-10-2010.

L’utilizzo di questi dati porta ad un valore dell’avviamento, secondo il criterio previsto dall’art. 2, comma 4, D.P.R. n. 460 del 1996 ad un risultato negativo.

Tanto premesso, osserva la Commissione che il ricorso, come sopra proposto dalla società deve essere accolto per le condivise motivazioni dell’istante.

Il corretto utilizzo dei dati conferma la congruità del valore dichiarato (Euro 8.000,00) nell’atto di compravendita dell’azienda.

Segue la condanna della resistente al pagamento delle spese di giudizio.

P.Q.M. – La Commissione accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato. Condanna l’Ufficio al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 700,00.

Nel bilanciamento degli interessi tra alienante e acquirente

solitamente il fisco fa il nido

La sentenza annotata, nella sua sinteticità, fa un uso corretto dei principi che governano i rapporti tra fisco e condebitori solidali.

La successione temporale dei fatti oggetto del giudizio è particolarmente rilevante per comprendere le conclusioni della Commissione lecchese.

La società venditrice ha ceduto l’azienda a un acquirente dopo aver proceduto all’alienazione separata di molti beni strumentali, a seguito della cui vendita sono state realizzate plusvalenze debitamente registrate: il valore dell’azienda ceduta, conseguentemente, ha subito una decurtazione nella misura corrispondente a quello dei beni ceduti a terzi negli anni precedenti.

Come è noto dalla cessione di azienda emerge un valore imponibile, rispettivamente soggetto ad imposizione di registro in capo all’acquirente e ad imposizione sui redditi in capo al venditore, come plusvalenza.

Nella fattispecie oggetto della decisione l’acquirente aveva aderito ad un accertamento con adesione a seguito di rettifica del valore dell’azienda per un importo notevolmente superiore a quello risultante dall’atto di acquisto.

L’Agenzia delle entrate sulla base del valore definito nei confronti dell’acquirente emetteva un avviso di rettifica per l’imposizione sui redditi nei confronti del venditore, il quale dopo aver esperito inutilmente un tentativo di autotutela impugnava l’avviso.

L’Ufficio finanziario, partendo dalla premessa che la definizione dell’accertamento nei confronti dell’acquirente esplicasse i suoi effetti nei confronti del venditore, il quale era rimasto estraneo alla procedura di adesione effettuata dall’acquirente, traeva la conclusione che il valore dell’azienda ceduta definito dall’acquirente ai fini dell’imposizione di registro fosse inoppugnabile da parte dell’alienante e chiedeva al giudice di dichiarare l’inammissibilità del ricorso per cessazione della materia del contendere.

Proprio su quest’ultimo punto la Commissione ha correttamente riconosciuto che la solidarietà tra venditore e acquirente ai fini dell’imposta di registro non si può estendere oltre i limiti di questa imposta (ex art. 57 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131). In questa fattispecie, pur essendo unico il fatto generatore del tributo, l’obbligazione tributaria si riferisce ad imposte diverse. Invero la solidarietà tra il cessionario dell’azienda e il cedente sussiste, ma si tratta di un caso di solidarietà nei limiti del valore dell’azienda acquistata e relativa alle imposte e alle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti (ex art. 14 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472) (1).

Aggiungerei che la solidarietà è un istituto posto a garanzia del pagamento, ma che non può essere arbitrariamente applicata al caso in cui uno dei condebitori solidali abbia portato a termine attività volte a dimostrare acquiescenza alle pretese dell’Amministrazione finanziaria; tutto ciò in ossequio ai principi civilistici sui quali si fonda la solidarietà, che impongono l’estensione degli effetti favorevoli al condebitore, mentre escludono l’applicabilità di quelli negativi (artt. 1292 e segg. c.c.) (2).

Nel caso in esame la Commissione di merito ha utilizzato la solidarietà meramente come un obiter dictum, con lo scopo di escludere che a seguito dell’adesione del condebitore solidale ai fini dell’imposizione di registro fosse venuto meno l’interesse del cedente a impugnare l’accertamento emesso nei suoi confronti ai fini dell’imposizione sui redditi (3).

Per quanto riguarda l’aspetto processuale, l’interesse del venditore ad opporsi all’accertamento nei suoi confronti non poteva essere venuto meno (con la conseguente inammissibilità del ricorso ex art. 18 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) per il fatto che l’acquirente aveva aderito all’accertamento ai fini dell’imposta di registro nei suoi confronti: si tratterebbe infatti di un’indebita estensione della solidarietà nei confronti di un soggetto che è sì condebitore solidale nel rapporto intercorrente tra venditore e acquirente ai fini dell’imposizione di registro, ma che non può essere pregiudicato, nei suoi rapporti con il fisco, da vicende che dipendono dalla volontà della controparte e alle quali è rimasto estraneo (4).

Secondo il venditore il valore dichiarato nell’atto di cessione dell’azienda era congruo, in quanto, come si poteva agevolmente constatare in base alle scritture contabili e ai conseguenti bilanci, il valore dell’azienda era stato diminuito da alienazioni cospicue di beni strumentali negli anni precedenti la cessione, alienazioni che avevano ridotto il valore dell’azienda e che avevano generato plusvalenze imponibili ai fini dell’imposizione sul reddito.

Il valore definito dall’acquirente ai fini dell’imposizione di registro, secondo una giurisprudenza costante della Suprema Corte (5), può costituire il necessario supporto, ma solo in via presuntiva e salvo prova contraria, per un accertamento nei confronti del venditore ai fini dell’imposizione reddituale. Anche molti giudici di merito (6) si sono pronunziati sulla non applicabilità automatica del valore determinato ai fini dell’imposizione di registro in sede di imposizione sul reddito.

Proprio alla luce di questa giurisprudenza l’efficacia della definizione da parte dell’acquirente, nel caso risolto dalla sentenza annotata, non può essere automatica, in quanto il ricorrente ha prodotto, sia in sede di ricorso sia in sede di dichiarazioni dei redditi relative ad anni precedenti (mai contestate), una documentazione idonea a contrastare la presunzione dell’Ufficio finanziario: oggetto della cessione, a quanto sembra, era un’azienda ormai ridotta nel valore, essendo stati in precedenza alienati beni strumentali di notevole importo, secondo quanto iscritto regolarmente a bilancio e dichiarato nei successivi anni ai fini dell’imposizione del reddito dal venditore.

Né sembra che – per la distanza temporale intercorsa fra le alienazioni dei beni strumentali e la cessione dell’azienda – sia legittima un’applicazione alla fattispecie della nozione di abuso del diritto che si è venuta elaborando da parte della giurisprudenza.

La stessa Suprema Corte ha in più occasioni richiesto, ai fini dell’applicazione dell’abuso del diritto: a) che il comportamento tenuto dal contribuente possa essere equiparato, in considerazione degli effetti giuridico-economici prodotti, ad un diverso comportamento (non adottato) previsto dalla norma aggirata; b) che il comportamento tenuto determini conseguenze fiscali più vantaggiose rispetto a quello che si è scelto di non adottare; c) che il risparmio di imposta risulti essere la ragione esclusiva o prevalente della scelta negoziale compiuta e che, pertanto, determini un “vantaggio indebito” (7).

Nella fattispecie oggetto del giudizio nessuno di questi comportamenti abusivi sembra che sia stato posto in essere da parte del venditore.

Non è altrettanto chiaro però il motivo per cui, se il valore dichiarato a titolo di avviamento corrispondeva a quello effettivamente pagato, l’acquirente abbia preferito stipulare un accertamento con adesione, piuttosto che resistere all’accertamento in rettifica ai fini dell’imposizione di registro, o coinvolgere il venditore in un giudizio del cui esito avrebbe potuto giovarsi: è probabile che la tenuità dell’imposizione di registro da lui concordata fosse di per sé un motivo per aderire all’accertamento.

In conclusione non possiamo non notare con soddisfazione che la Commissione lecchese ha fatto finalmente buon uso del principio dettato dall’art. 15 del D.Lgs. n. 546/1992, condannando la parte resistente (l’Ufficio finanziario) al pagamento delle spese di giudizio, in quanto soccombente.

Dott. Maria Vittoria Cernigliaro Dini

(1) F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario. Parte generale, Torino, 2011, 125.

(2) Cfr. F. Albertini, Solidarietà nel diritto tributario, in Dig. disc. priv., sez. comm., V, Torino, 2009, 659.

(3) In tema di responsabilità del cessionario di azienda nella fase della riscossione, si veda L. Lovecchio, Note minime in tema di responsabilità del cessionario di azienda, in Boll. Trib., 2013, 533.

(4) Sull’inammissibilità nel giudizio tributario cfr. F. Tesauro, Manuale del processo tributario, II, Torino, 2013, 158.

(5) Si vedano da ultimo Cass., sez. trib., 10 febbraio 2012, ord. n. 1918, in Boll. Trib. On-line; Cass., sez. trib., 9 novembre 2010, ord. n. 22793, ivi; Cass., sez. trib., 24 marzo 2010, ord. n. 7023, in Boll. Trib., 2010, 901, con nota di G. Verna, Il maggior valore definito ai fini dell’imposta di registro vince la prova contabile o da questa è vinto?; e Cass., sez. trib., 21 febbraio 2007, n. 4057, in Boll. Trib. On-line.

(6) Tra le più recenti cfr. Comm. trib. prov. di Savona, sez. II, 22 maggio 2009, n. 131, in Boll. Trib., 2010, 801, con nota di G. Verna, Cessione d’azienda: sull’illegittimo automatismo tra maggior valore per imposta di registro e maggior reddito d’impresa; Comm. trib. prov. di Reggio Emilia, sez. III, 22 giugno 2010, n. 114, ibidem, 1416, con nota di G. Verna, Si avvicina il de profundis della formuletta per la determinazione a tavolino dell’avviamento nelle cessioni d’azienda?; e Comm. trib. reg. della Liguria, sez. VII, 26 settembre 2012, n. 84, ivi, 2013, 1130, con nota di G. Verna, Sulla competenza e diligenza del giudice tributario in tema di valutazione dell’avviamento ai fini dell’imposta di registro; in senso contrario ved. Comm. trib. prov. di Massa-Carrara, sez. II, 8 giugno 2009, n. 211, ivi, 2010, 73, con nota di G. Verna, Avviamento d’azienda: l’incredibile ultrattività di una norma abrogata.

(7) Cfr. S. Servidio, Dal disavanzo di fusione all’abuso del diritto. Il precorso argomentativo nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Boll. Trib., 2011, 1520; per la recente giurisprudenza della Suprema Corte si veda per tutte Cass., sez. trib., 21 gennaio 2011, n. 1372, ibidem, 301.

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