In tema di atti impugnabili nel processo tributario di cui all’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, le determinazioni del Direttore regionale dell’Agenzia delle entrate sull’istanza del contribuente volta ad ottenere il potere di disapplicazione di una norma antielusiva ai sensi dell’art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non sono equiparabili ad un diniego di “agevolazione fiscale”, in quanto tale fattispecie costituisce un trattamento derogatorio di favore riconosciuto in generale nella ricorrenza di determinate condizioni, pur in presenza del presupposto del tributo, per finalità di realizzazione di interessi diversi da quello fiscale, mentre la disapplicazione di una norma antielusiva consiste nel rimuovere l’operatività di norme limitative di “vantaggi” fiscali di regola spettanti in relazione a singole fattispecie, il cui esame abbia portato ad escludere il realizzarsi dello scopo elusivo, così ripristinando il regime tributario applicabile nel caso specifico a quello previsto dall’ordinamento in assenza del fine di elusione, ossia quello ritenuto giusto dal legislatore in relazione alla capacità contributiva manifestata; da ciò consegue che l’atto in questione non è riconducibile in modo certo ed inequivoco ad una delle categorie indicate nell’art. 19 citato e che, pertanto, non può essere ritenuto obbligatoriamente impugnabile, dovendosi escludere, per ovvie ragioni di certezza dei rapporti giuridici e di tutela del diritto di difesa, che possa essere introdotta per via interpretativa una decadenza del contribuente dal diritto di contestare una pretesa tributaria, che sarebbe di contro inevitabilmente conseguente all’omessa impugnazione di uno degli atti tassativamente elencati nella norma in esame (o la cui impugnabilità è prescritta in altra specifica disposizione di legge).
Il diniego del Direttore regionale dell’Agenzia delle entrate di disapplicazione di norme antielusive, ai sensi dell’art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, rientra nel novero degli atti impugnabili solo in via facoltativa da parte del contribuente istante, dovendosi escludere che a tale atto possa attribuirsi natura meramente endoprocedimentale o di semplice parere interpretativo (al pari di una circolare) e non potendosi negare, nel contempo, che il contribuente destinatario della risposta abbia l’interesse, ex art. 100 c.p.c., ad invocare il controllo giurisdizionale sulla legittimità dell’atto medesimo, di talché l’omessa impugnazione dell’atto di diniego non pregiudica la posizione del contribuente che ad esso non ritenga di adeguarsi e che, in assenza di espresse previsioni contrarie, è privo di efficacia vincolante nei confronti del contribuente stesso, fermo però restando che la risposta all’interpello non impedisce alla stessa Amministrazione di rivalutare (in sede di esame della dichiarazione dei redditi o dell’istanza di rimborso) l’orientamento negativo precedentemente espresso, né al contribuente di esperire la piena tutela giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico che gli venga notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva, mentre la risposta positiva del Direttore regionale impedisce invece all’Amministrazione l’applicazione della norma antielusiva oggetto d’interpello, in applicazione del principio di tutela dell’affidamento, avente diretto fondamento costituzionale e carattere generale ed immanente anche nell’ordinamento tributario, il quale trova espresso e generale riconoscimento nell’art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), nonché, specificamente in relazione agli interpelli c.d. ordinari ma con portata da ritenere estesa anche alle altre tipologie di interpello previste dalla normativa, nell’art. 11, secondo comma, della medesima legge n. 212/2000 (il quale prevede la nullità di atti impositivi emanati in difformità dalla risposta all’interpello).
[Corte di Cassazione, sez. trib. (Pres. D’Alonzo, rel. Virgilio), 5 ottobre 2012, sent. n. 17010, ric. Bally Italia s.r.l. c. Agenzia delle entrate]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – 1. La Bally Italia s.r.l. (già s.p.a.) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana indicata in epigrafe, con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso introduttivo della contribuente contro il provvedimento con cui il direttore regionale delle entrate aveva dichiarato inammissibile per tardività l’istanza di interpello per la disapplicazione delle norme antielusive contenute nell’art. 172, comma 7, del D.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo modificato e rinumerato dal D.Lgs. n. 344 del 2003), presentata dalla società Bally Italia ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973.
Il giudice a quo ha ritenuto che l’atto impugnato – c.d. interpello disapplicativo – “non ha natura provvedimentale”, non contenendo alcuna pretesa tributaria definita, “né da esso scaturiscono conseguenze giuridiche, né lede alcun diritto soggettivo o interesse legittimo”; l’atto non rientra in alcuna delle fattispecie elencate nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, né il citato art. 37-bis o il decreto ministeriale di attuazione ne prevedono l’impugnabilità.
Il contribuente, in definitiva, ad avviso del giudice di merito, è privo di interesse ad agire, trattandosi di un provvedimento meramente interlocutorio, sostanzialmente un parere, avente carattere vincolante solo nei confronti dell’Amministrazione, qualora sia favorevole al contribuente, ma non anche nei confronti di quest’ultimo, il quale ben può discostarsene ed attendere l’eventuale attivazione del procedimento di accertamento.
2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
3. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE – 1.1. Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, censura la sentenza impugnata per avere il giudice disconosciuto l’esistenza in capo alla ricorrente di un interesse concreto ed attuale ad agire avverso la risposta ottenuta a seguito dell’interpello, senza tener conto del fatto che l’interesse ad agire costituisce una condizione dell’azione che deriva direttamente dall’avvenuta lesione di una situazione giuridica di diritto sostanziale, che non può ritenersi sfornita di tutela giurisdizionale ed è rappresentata dalla impossibilità per la contribuente di applicare un regime impositivo derogatorio (rispetto a quello antielusivo) del quale sussistono i presupposti e le condizioni previsti dalla legge.
A differenza, pertanto, dal caso degli interpelli “consultivi” (quale, in specie, quello di cui all’art. 11 della L. n. 212 del 2000), la risposta negativa all’interpello ex art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973, è atto idoneo ad incidere immediatamente nella sfera giuridica del destinatario, perché, pur non traducendosi in un diniego di agevolazione in senso tecnico, risponde alla stessa funzione di “liberazione” degli effetti che la legge stessa ricollega al verificarsi dei presupposti in presenza dei quali è possibile procedere all’applicazione di un regime impositivo diverso da quello ordinariamente applicabile.
1.2. L’Agenzia delle entrate replica sostenendo, conformemente a quanto esposto nella sentenza impugnata, la natura di mero parere della risposta all’interpello in esame, inidonea, come tale, a comportare conseguenze lesive per il richiedente, il quale resta libero di ritenere l’operazione non elusiva, riservandosi di far valere le sue ragioni qualora l’Amministrazione dovesse intervenire con provvedimenti di accertamento.
Aggiunge in memoria di non condividere la sentenza di questa Corte n. 8663 del 2011[1] – la quale ha affermato l’onere di impugnazione, a pena di decadenza, della risposta negativa all’interpello –, sia perché tale provvedimento non può essere considerato un rifiuto di agevolazione fiscale (atto elencato nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992), bensì un atto emanato sulla base di una mera “intenzione di comportamento fiscale”, sia in quanto “la non impugnabilità consente anche agli uffici, a fronte di un iniziale diniego, di rivalutare la situazione in sede di accertamento, pervenendo magari ad una scelta di legittimità dell’operato del contribuente”, evitando un inutile incremento di contenzioso.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente, nella ipotesi in cui la sentenza impugnata debba interpretarsi nel senso di contenere un diniego di giurisdizione del giudice tributario in ordine alle controversie concernenti le risposte negative agli interpelli de quibus, denuncia la violazione degli artt. 2 e 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, rilevando che il criterio di delimitazione dei confini della giurisdizione tributaria è rappresentato dalla natura della controversia, nella specie senza dubbio squisitamente tributaria.
3. Va, in ordine logico, esaminato prioritariamente il secondo motivo di ricorso, che si rivela inammissibile basandosi su un presupposto chiaramente insussistente.
Con la sentenza impugnata, infatti, il giudice di merito si è limitato a rilevare la improponibilità assoluta della domanda per carenza di interesse ad agire, il che non dà luogo ad un’ipotesi di difetto di giurisdizione – che il giudice, quindi, non ha affatto inteso affermare –, essendo questa attribuita in via esclusiva e ratione materiae, e non in ragione dell’oggetto della domanda (cfr., tra le altre, Cass., Sez. un., n. 27209 del 2009[2]).
4.1. Venendo, quindi, al primo motivo di ricorso, questa Corte – come già detto sopra – ha avuto di recente occasione di affermare il principio secondo il quale “le determinazioni del direttore regionale delle entrate sulla istanza del contribuente volta ad ottenere il potere di disapplicazione di una norma antielusiva ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973, costituiscono presupposto necessario ed imprescindibile per l’esercizio di tale potere. Le determinazioni in senso negativo costituiscono atto di diniego di agevolazione fiscale e sono soggette ad autonoma impugnazione ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. h), del D.Lgs. n. 546 del 1992. Tale atto rientra tra quelli tipici previsti come impugnabili da detta disposizione normativa, e pertanto la mancanza di impugnazione nei termini di legge decorrenti dalla comunicazione delle determinazioni al contribuente ai sensi dell’art. 1, comma 4, del D.M. 19 giugno 1998, n. 259, rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all’istante. Il giudizio innanzi al giudice tributario a seguito della impugnazione si estende al merito delle determinazioni impugnate” (Cass. n. 8663 del 2011).
Il Collegio ritiene di doversi discostare da detto orientamento nei limiti e nei sensi di seguito precisati.
4.2. Il nucleo centrale della citata pronuncia è costituito dalla qualificazione della risposta negativa all’interpello come tipico “diniego di agevolazione fiscale”, rientrante, come tale, a pieno titolo, nella previsione dell’art. 19, comma 1, lett. h), del D.Lgs. n. 546 del 1992, con la naturale conseguenza dell’onere di impugnazione, in mancanza della quale l’atto diviene intangibile, con conseguente decadenza del contribuente dalla possibilità di successiva contestazione.
Tale tesi non è condivisibile.
Sul piano strettamente tecnico, infatti, va esclusa la equiparazione tra “agevolazione fiscale” e “disapplicazione di norma antielusiva”:
la prima costituisce un trattamento derogatorio di favore riconosciuto in generale nella ricorrenza di determinate condizioni, pur in presenza del presupposto del tributo, per finalità di realizzazione di interessi diversi da quello fiscale, ritenuti meritevoli di tutela; la seconda consiste nel rimuovere l’operatività di norme limitative – per fini antielusivi – di “vantaggi” fiscali di regola spettanti (detrazioni, deduzioni, crediti d’imposta, ecc.), in relazione a singole fattispecie, il cui esame abbia portato ad escludere il realizzarsi dello scopo elusivo, così ripristinando, per finalità pur sempre di ordine fiscale, il regime tributario applicabile nel caso specifico a quello previsto dall’ordinamento in assenza di fine di elusione, cioè quello ritenuto “giusto” dal legislatore in relazione alla capacità contributiva manifestata.
Va, poi, ovviamente, rilevato che né la norma in esame, né il decreto ministeriale di attuazione 19 giugno 1998, n. 259 (né, peraltro, la prassi costante dell’Amministrazione), prevedono l’impugnabilità delle determinazioni del direttore regionale delle entrate in ordine all’istanza di interpello, cosi restando esclusa anche l’applicabilità della norma di chiusura di cui all’art. 19, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 546 del 1992.
La dimostrata impossibilità di ricondurre, in modo certo ed inequivoco (anche eventualmente al di là del nomen iuris adoperato), l’atto in questione in una delle categorie indicate nell’art. 19 cit. porta ad una prima conclusione: l’atto stesso non può essere ritenuto obbligatoriamente impugnabile, dovendosi escludere, per ovvie ragioni di certezza dei rapporti giuridici e di tutela del diritto di difesa, che possa essere introdotta per via interpretativa (se non negli stretti limiti anzidetti) una decadenza del contribuente dal diritto di contestare una pretesa tributaria, decadenza inevitabilmente conseguente alla omessa impugnazione di uno degli atti tassativamente elencati nella norma in esame (o la cui impugnabilità è prescritta in altra specifica disposizione di legge), ritualmente notificati nel rispetto della sequenza ivi prevista.
4.3. La natura tassativa – e quindi soggetta ad interpretazione rigorosa – dell’elencazione degli atti contenuta nel citato art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, con il correlato onere di impugnazione a pena di cristallizzazione della pretesa in essi contenuta, non comporta, tuttavia, che l’impugnazione di atti diversi da quelli ivi specificamente indicati sia in ogni caso da ritenere inammissibile.
Da tempo, infatti, la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, ha affermato il principio secondo il quale il detto “catalogo” degli atti impugnabili è suscettibile di interpretazione estensiva, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato conla L.n. 448 del 2001: ciò, ovviamente, per quanto detto sopra, con il necessario corollario della mera facoltà d’impugnazione, il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento.
In particolare, è stata riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992: sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva (e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico); la mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 citato non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (e cioè la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19 (in termini, Cass. n. 21045 del 2007[3] – con i precedenti ivi indicati –, cui adde Cass., Sez. un., n. 10672 del 2009[4], nonché Cass. nn. 27385 del 2008[5]; 4513 del 2009[6]; 285[7] e 14373[8] del 2010; 8033[9], 10987[10] e 16100[11] del 2011).
4.4. Ad avviso del Collegio, il diniego del direttore regionale delle entrate di disapplicazione di norme antielusive, ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8, D.P.R. n. 600 del 1973, rientra nel novero degli atti impugnabili, in via facoltativa, da parte del contribuente istante.
A tale conclusione inducono vari elementi, i quali escludono che all’atto de quo possa attribuirsi natura meramente endoprocedimentale o di semplice parere interpretativo (al pari di una circolare).
L’istanza, infatti, è obbligatoria; deve contenere la descrizione compiuta della fattispecie concreta; deve essere corredata della documentazione rilevante; è soggetta a richieste istruttorie; è rivolta ad ottenere un atto dell’amministrazione, sia esso da intendere come una sorta di “autorizzazione alla disapplicazione” della specifica norma antielusiva in questione, sia, piuttosto, come sembra più corretto anche in base alla disciplina della materia, quale atto, esso stesso, di esercizio del potere di disapplicazione (che spetta all’amministrazione e non al contribuente); le “determinazioni” del direttore regionale delle entrate sono comunicate al richiedente mediante servizio postale, in plico raccomandato con avviso di ricevimento, con “provvedimento” “da ritenersi definitivo” (art.1, inspecie commi 4 e 6, del D.M. n. 259 del 1998).
In sostanza, la risposta all’interpello, positiva o negativa, costituisce il primo atto con il quale l’amministrazione, a seguito di una fase istruttoria e di una valutazione tecnica, e con particolari garanzie procedimentali, porta a conoscenza del contribuente, in via preventiva, il proprio convincimento in ordine ad una specifica richiesta, relativa ad un determinato rapporto tributario, con l’immediato effetto di incidere, comunque, sulla condotta del soggetto istante in ordine alla dichiarazione dei redditi in relazione alla quale l’istanza è stata inoltrata.
Non può, pertanto, negarsi che il contribuente, destinatario della risposta, abbia l’interesse, ex art. 100 c.p.c., ad invocare il controllo giurisdizionale sulla legittimità dell’atto in esame.
4.5. Occorre, infine, chiarire, in coerenza con la ritenuta mera facoltà d’impugnazione, le ragioni in virtù delle quali (oltre al dato normativo della non riconducibilità dell’istituto in esame in alcuna delle “voci” elencate nell’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, ed anzi in conformità con la sua ratio) l’omessa impugnazione dell’atto di diniego non pregiudica la posizione del contribuente che ad esso non ritenga di adeguarsi.
Ciò deriva dal fatto che tale atto, in assenza di espresse previsioni contrarie, è privo di efficacia vincolante nei confronti del contribuente stesso.
Premesso che la “definitività” prevista dal citato art. 1, comma 6, del D.M. n. 259 del 1998, va intesa semplicemente come impossibilità di richiesta di riesame delle determinazioni del direttore regionale mediante ricorso gerarchico, va osservato che la risposta all’interpello costituisce un “provvedimento” emesso allo stato degli atti, sulla base della documentazione acquisita, che, al più, se negativo, prelude, predeterminandone il contenuto, ad un eventuale avviso di accertamento relativo alla dichiarazione dei redditi presentata in difformità (che, peraltro, potrebbe essere anche parziale) dalla risposta, ovvero ad un, anch’esso eventuale, diniego di rimborso nel caso in cui il contribuente, pur adeguandosi a quella, ne ritenga l’illegittimità.
In definitiva, la risposta all’interpello non impedisce innanzitutto alla stessa amministrazione di rivalutare – in sede di esame della dichiarazione dei redditi o dell’istanza di rimborso – l’orientamento (negativo) precedentemente espresso, né al contribuente di esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico che gli venga notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva.
Resta fermo, invece (come la stessa resistente espressamente riconosce), che la risposta positiva del direttore regionale impedisce all’amministrazione – a condizione, ovviamente, che i fatti accertati in sede di controllo della dichiarazione corrispondano a quelli rappresentati nell’istanza – l’applicazione della norma antielusiva oggetto d’interpello, in applicazione del principio di tutela dell’affidamento, che ha diretto fondamento costituzionale e carattere generale ed immanente anche nell’ordinamento tributario, nel quale trova espresso riconoscimento, in linea generale, l’art. 10 della L. n. 212 del 2000, nonché, specificamente in relazione agli interpelli c.d. ordinari, ma con portata da ritenere estesa alle altre tipologie di interpello previste dalla normativa, l’art. 11, comma 2, della medesima L. n. 212 (il quale prevede la nullità di atti impositivi emanati in difformità dalla risposta all’interpello).
5. Inconclusione, va accolto, nei sensi indicati, il primo motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il secondo. La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana, la quale procederà a nuovo esame della controversia, uniformandosi ai principi espressi nei paragrafi da4.2 a4.4, oltre a provvedere in ordine alle spese anche del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M. – (Omissis).
II
Procedimento – Ricorsi – Atti impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie – Interpello disapplicativo ex art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600/1973 – Risposta negativa – Costituisce un atto equivalente a diniego di agevolazione fiscale – Autonoma impugnabilità ex art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 – Sussiste – Mancata impugnazione – Definitività della risposta negativa – Consegue.
In tema di atti impugnabili nel processo tributario di cui all’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, le determinazioni del Direttore regionale dell’Agenzia delle entrate sull’istanza del contribuente volta ad ottenere la disapplicazione di una norma antielusiva ai sensi dell’art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, costituiscono presupposto necessario e imprescindibile per l’esercizio di tale potere, e le determinazioni in senso negativo costituiscono perciò atto di diniego di agevolazione fiscale soggetto ad autonoma impugnazione ai sensi dell’art. 19, primo comma, lett. h), del D.Lgs. n. 546/1992, rientrante tra quelli tipici previsti come impugnabili dalla predetta disposizione normativa, di talché la mancanza di impugnazione nei termini di legge decorrenti dalla comunicazione delle determinazioni al contribuente ai sensi dell’art. 1, quarto comma, del D.M. 19 giugno 1998, n. 259, rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all’istante, mentre il giudizio innanzi al giudice tributario conseguente dall’impugnazione si estende al merito delle determinazioni impugnate.
[Corte di Cassazione, sez. VI (Pres. e rel. Cicala), 20 novembre 2012, ord. n. 20394, ric. Agenzia delle entrate]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE – È stata depositata la seguente relazione.
1. L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia 71/02/10 del 11 maggio 2010 che accoglieva l’appello del contribuente affermando la giurisdizione delle commissioni tributaria in ordine alla impugnazione degli atti con cui la amministrazione respinge le istanze di disapplicazione della normativa antielusiva.
2. Il contribuente si è costituito con controricorso.
3. Il ricorso non riguarda una questione di giurisdizione, ma di impugnabilità dell’atto di cui si discute. Con questa premessa il ricorso deve essere rigettato in quanto la Cortecon sentenza n. 8663 del 15 aprile 2011(1) ha affermato che le determinazioni del Direttore regionale delle Entrate sulla istanza del contribuente volta ad ottenere le disapplicazioni di una norma antielusiva ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973, costituiscono presupposto necessario ed imprescindibile per l’esercizio di tale potere. Le determinazioni in senso negativo costituiscono perciò atto di diniego di agevolazione fiscale e sono soggette ad autonoma impugnazione ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. h), del D.Lgs. n. 546 del 1992. Tale atto rientra tra quelli tipici previsti come impugnabili da detta disposizione normativa, e pertanto la mancanza di impugnazione nei termini di legge decorrenti dalla comunicazione delle determinazioni al contribuente ai sensi dell’art. 1, comma 4, del D.M. 19 giugno 1998, n. 259, rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all’istante. Il giudizio innanzi al giudice tributario a seguito della impugnazione si estende al merito delle determinazioni impugnate.
Il Collegio ha condiviso la relazione, anche alla luce della ulteriore sentenza di questa Corte n. 17010 del 5 ottobre 2012.
Appare opportuno compensare le spese.
P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del presente grado di giudizio.
(1) Cass. 15 aprile 2011, n. 8663, in Boll. Trib., 2011, 1249.
La Suprema Cortetorna a pronunciarsi circa la possibilità di impugnare le risposte negative alle richieste di interpello sulla disapplicazione delle disposizioni anti-elusive con l’annotata sentenza (n. 17010/2012), la quale si pone in aperto contrasto con l’altro arresto qui in esame (ord. n. 20394/2012; strettamente conforme a Cass., sez. trib., 15 aprile 2011, n. 8663, inBoll. Trib., 2011, 1249).
Va da subito osservato che la sentenza n. 17010/2012 giunge a convincenti conclusioni assai favorevoli per i contribuenti, raggiungendo un traguardo di civiltà giuridica che auspicabilmente potrebbe contribuire a migliorare la dialettica tra fisco e contribuente sulla corretta interpretazione delle norme anti-elusive, come il regime delle “società di comodo” di cui all’art. 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, la tassazione integrale di dividendi e plusvalenze relativi ad imprese residenti in Paesi a fiscalità privilegiata [rispettivamente agli artt. 89, terzo comma, e 87, primo comma, lett. c), del TUIR], oppure, ancora, le disposizioni che impongono la tassazione per trasparenza di talune tipologie di imprese controllate residenti all’estero di cui all’art. 167 del TUIR, le disposizioni sul riporto delle perdite nelle operazioni straordinarie e così via.
Procedendo con ordine, va osservato che il veicolo di accesso alla tutela giurisdizionale innanzi alle Commissioni tributarie è rappresentato dall’impugnazione dell’atto emesso dall’Amministrazione finanziaria e che l’elencazione delle tipologie di tali provvedimenti amministrativi è contenuta nell’art. 19 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Secondo un certo orientamento interpretativo tale elencazione non è da intendersi in senso strettamente tassativo, dovendosi procedere ad un’attenta individuazione dei singoli tipi di atti impugnabili volta a privilegiare il loro contenuto e la loro funzione rispetto al nomen ed alla qualificazione formale, ed a valutare se i singoli atti possano essere considerati equipollenti agli atti tipici per i quali è ammesso il ricorso, ammettendo quindi una tendenziale «tassatività» dell’elencazione ivi riportata, che sotto un diverso profilo va più appropriatamente qualificata come «predeterminazione normativa» degli atti impugnabili, ferma quindi rimanendo la possibilità di impugnare quegli atti che, comunque denominati, possano direttamente incidere sulla sfera patrimoniale del contribuente [cfr. t. marino, Brevi osservazioni sull’impugnabilità autonoma degli atti non espressamente contemplati dall’art. 19 del D.Lgs. 546/1992, in Boll. Trib., 1999, 1786 ss.; e a. voglino, Il regime degli atti impugnabili, in v. uckmar – f. tundo (a cura di), Codice del processo tributario, Piacenza, 2007, 300].
Nel contesto di tale dibattito si è inserita con grande attualità la questione della tutela nei confronti delle determinazioni (negative) dei direttori regionali delle entrate a fronte di istanze di disapplicazione di disposizioni anti-elusive ex art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. In tali situazioni, da un punto di vista operativo, spesso i consulenti fiscali si trovano innanzi a un’ardua decisione: adeguarsi al responso negativo dei funzionari interpellati ovvero prendersi la responsabilità di adottare un trattamento fiscale di maggior favore per l’impresa, sarebbe non condiviso dal fisco? E in tale ultimo scenario, quali sarebbero le tutele e i rimedi per il contribuente, ossia si dovrebbe attendere la rettifica da parte degli accertatori ovvero si dovrebbero in via prudenziale versare – giusta il responso negativo dell’Amministrazione finanziaria interpellata – i maggiori tributi derivanti dall’applicazione della norma anti-elusiva oggetto del quesito (si pensi al riporto delle perdite nelle operazioni straordinarie ovvero all’applicazione dei coefficienti di redditività presunti delle “società di comodo”) per poi presentare apposita istanza di rimborso e impugnare il conseguente diniego o silenzio-rifiuto innanzi al giudice tributario?
A tali domande ha inteso rispondere, in prima istanza, la Suprema Cortecon la citata sentenza n. 8663/2011 secondo la quale le risposte agli interpelli in argomento «costituiscono atto di diniego di agevolazione fiscale e sono soggette ad autonoma impugnazione ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. h), del D.Lgs. n. 546 del 1992. Tale atto rientra tra quelli tipici previsti come impugnabili da detta disposizione normativa, e pertanto la mancanza di impugnazione nei termini di legge rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all’istante. Il giudizio innanzi al giudice tributario a seguito della impugnazione si estende al merito delle determinazioni impugnate, dovendo in proposito ritenersi che la domanda di agevolazione tributaria, tesa alla esenzione totale o parziale dal tributo, non possa non valere anche come specifica istanza volta alla restituzione di quanto eventualmente e cautelativamente versato». Secondo tale arresto, ripreso e confermato anche dall’annotata ordinanza n. 20394/2012, la risposta negativa dell’Amministrazione finanziaria non solo potrebbe, ma anzi dovrebbe essere impugnata dal contribuente dissenziente, pena la definitività delle relative statuizioni; inoltre, il ricorso del contribuente dovrebbe essere inteso anche come istanza di rimborso dei tributi versati a seguito delle determinazioni espresse dall’Amministrazione finanziaria in merito all’applicazione delle norme anti-elusive.
La più recente e annotata sentenza n. 17010/2012, invece, delinea una condivisibile distinzione tra il diniego di agevolazioni fiscali e la mancata disapplicazione di norme anti-elusive e conclude, di conseguenza, per la non obbligatorietà da parte del contribuente di impugnare il diniego del direttore regionale delle entrate sulla istanza del contribuente, ben potendo quest’ultimo, in ogni caso, sia contestare (in via facoltativa) l’atto in questione innanzi al giudice tributario, sia attendere i relativi effetti negativi (si pensi al versamento delle imposte a fronte di perdite non utilizzabili in compensazione), senza subire preclusioni processuali di sorta.
In conclusione, il persuasivo orientamento manifestato dalla sentenza n. 17010/2012 è ancora più favorevole e confacente alle ragioni del contribuente rispetto alla sentenza n. 8663/2011 e all’ordinanza n. 20394/2012, potendo questi decidere, in base a tale indirizzo, se contrastare immediatamente (ossia nei sessanta giorni dalla ricezione della risposta all’istanza di interpello in base al citato art. 37-bis), ovvero attendere ulteriori sviluppi in argomento (si pensi ad un possibile “revirement” dell’Agenzia delle entrate in via amministrativa a fronte di richieste motivate di riesame), senza rischiare significative conseguenze negative per la gestione degli adempimenti fiscali dell’impresa. Si ritiene, pertanto, che la sentenza n. 17010 sia decisamente preferibile e possa favorire la riduzione del contenzioso nonché migliorare la dialettica con l’Agenzia delle entrate.
Tuttavia, non si può non sottolineare come l’illustrato conflitto in seno alla Suprema Corte possa perniciosamente confondere interpreti ed operatori, di talché si auspica un sollecito intervento da parte delle Sezioni Unite al fine di dirimere la questione e di indicare al contribuente gli strumenti di tutela giurisdizionale e la corretta procedura da seguire in ipotesi di rigetto, totale o parziale, delle istanze proposte negli interpelli disapplicativi delle norme antielusive ex art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. n. 600/1973.
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