17 Maggio, 2013

Imposte e tasse – Riscossione – Cartella di pagamento – Notificazione della cartella di pagamento a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento da parte dell’agente della riscossione – Ammissibilità – Necessità di redazione di apposita relata di notifica – Sussiste – Mancanza della relata – Inesistenza della notificazione – Consegue – Sanabilità – Esclusione.

La notificazione della cartella di pagamento, pur eseguibile a mezzo del servizio postale, deve ritenersi inesistente allorquando la relata di notifica sia completamente in bianco e non sia perciò possibile conoscere il luogo ove il messo notificatore o chi per esso abbia (non) attestato di aver consegnato l’atto, dove si sia recato e non abbia rinvenuto il vero destinatario, se abbia affisso alla porta l’avviso e se abbia depositato l’atto al Comune, trattandosi di vizi che rendono inesistente la notificazione per difformità del procedimento notificatorio rispetto al modello legale che non è sanabile a norma dell’art. 156 c.p.c. per il raggiungimento dello scopo, in quanto si verte nell’ipotesi di vera e propria inesistenza della notificazione e non già di sua semplice nullità.

 

[Commissione trib. provinciale di Latina, sez. III (Pres. Falso, rel. Moscarino), 26 settembre 2012, sent. n. 283]

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSOD.G.L., …, ricorre contro l’Agenzia delle Entrate Provinciale di Latina ed Equitalia Sud per l’annullamento della cartella di pagamento n. … per II.DD relative all’anno 2004.

Contestualmente chiede la restituzione in termini per poter impugnare l’avviso di accertamento mod. 730 … divenuto definitivo per omessa impugnazione, atto prodromico alla cartella di pagamento impugnata.

La cartella viene impugnata per carenza della relata di notifica notificata a mezzo posta da persona non legittimata. Propone, inoltre, eccezione di legittimità costituzionale sia della normativa sulla iscrizione provvisoria in pendenza di ricorsi delle disposizioni che regolano i compensi di riscossione.

In ordine all’istanza di remissione in termini per l’impugnativa dell’accertamento evidenzia di essere incolpevole. Il commercialista incaricato, dopo aver discusso l’accertamento con adesione, non andato a buon fine, per una grave malattia invalidante del padre, ometteva di presentare ricorso.

A tal proposito ha allegato documentazione.

L’Agenzia si è costituita in giudizio il 9 gennaio 2012.

Oppone la carenza di legittimazione passiva per i vizi inerenti la notifica imputabili al concessionario.

Ritiene, comunque, infondate le eccezioni relative alla notifica.

Carenza di legittimazione passiva per le doglianze relative all’iscrizione provvisoria e per i compensi della riscossione.

Si oppone alla remissione in termini per l’impugnazione dell’avviso di accertamento.

Si oppone alla chiesta sospensiva.

Conclude per il rigetto del ricorso.

L’Equitalia Sud si è costituita in giudizio il 14 dicembre 2011.

Oppone la carenza di legittimazione passiva per quanto riguarda l’imposizione e l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo per decorso dei termini.

Eccepisce che la notifica è regolare. Si riserva di produrre la documentazione relativa alla notifica.

Chiede il rigetto del ricorso.

Con ordinanza interlocutoria in data 6.2.2012 è stata accolta l’istanza di sospensiva degli effetti esecutivi della cartella.

Con ordinanza in data 6.2.2012 è stata respinta la richiesta di remissione in termini.

Alla pubblica udienza del 6.2.2012 le parti hanno concluso come da verbale.

 

[-protetto-]

 

MOTIVI DELLA DECISIONELa Commissione, esaminati gli atti, rileva la fondatezza del ricorso nei limiti di cui in motivazione.

Non è revocato in dubbio che l’Agente possa notificare la cartella a mezzo del servizio postale.

Ma laddove viene eccepito che la notifica non è regolare, il Concessionario deve produrre la relativa documentazione.

Lo impone l’art. 26 DPR 602/73, secondo il quale il Concessionario è tenuto a conservare per cinque anni la matrice e la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione finanziaria.

L’Equitalia si è riservata di produrre la documentazione, ma la riserva non è stata sciolta.

I rappresentanti della parti resistenti durante la discussione, preso atto dell’omissione, hanno insistito che basta la conoscenza.

Il ricorrente ha impugnato la cartella sotto diversi angoli visuali.

Ha prospettato una questione pregiudiziale assumendo l’illegittimità della notifica dell’atto, atteso che la notifica è stata effettuata in modo assolutamente non previsto dalla legge perché eseguita da un soggetto non legittimato il quale non avrebbe redatto la relata.

I vizi dei quali è affetta la notifica della cartella a suo parere determinano l’inesistenza della notifica essendo stata effettuata non solo irritualmente ma in modo assolutamente abnorme.

La circostanza è documentalmente provata.

Per quale motivo non è stato possibile produrre la documentazione non è stato giustificato, ma emerge dall’atto che la relata è completamente in bianco. Vi è assoluta incertezza sul luogo dove l’atto è stato notificato e da chi.

Poiché non si conosce il luogo ove il messo o chi per esso ha (non) attestato di aver consegnato l’atto, dove si è recato e non ha rinvenuto il vero destinatario, se ha affisso alla porta l’avviso, se ha depositato l’atto al comune, si deve concludere con il ricorrente che tali vizi, per difformità del procedimento notificatorio, rendono la notifica inesistente.

La possibilità di applicare la sanatoria prevista dall’art. 156 c.p.c. per il raggiungimento dello scopo trattandosi di inesistenza e non di nullità non trova applicazione con la proposizione del ricorso.

La relazione di notifica, infatti, determina l’inesistenza per la violazione dell’art. 148 c.p.c. sul contenuto minimo della relata del tutto difforme da quello tipico previsto dalla legge che impone: l’indicazione del nome e cognome del destinatario dell’atto, il luogo in cui l’atto viene notificato, la data in cui avviene la notifica e la sottoscrizione da parte del soggetto notificatore. La mancanza di uno o più di questi elementi determina l’inesistenza della notifica.

Trattasi di una assoluta difformità dalla notificazione dell’atto dal suo modulo legale tale da non consentire per la sua abnormità l’insanabilità che determina l’inesistenza giuridica.

Il concessionario aveva l’obbligo di chiarire le ragioni giustificative per evitare l’insanabile nullità (Cass. Ord. 5 settembre 2012 n. 14861[1]).

Allo stato, non è dato conoscere come è avvenuta la consegna dell’atto, la sottoscrizione della relata o dell’avviso di ricevimento, del registro di consegna da parte di persone idonee al ricevimento con menzione della qualifica rivestita, compresa l’indicazione della qualifica del messo notificatore.

Ai sensi degli artt. 37 e segg. del codice di procedura civile in relazione all’art. 26 DPR 602/73 va dichiarata l’inesistenza giuridica della notificazione stante l’irregolarità formale della notifica in assenza di idonea documentazione.

Nella decisione rimane assorbita ogni altra eccezione o deduzione rilevabile di ufficio o sollevata dalle parti.

Le spese seguono la soccombenza.

 

P.Q.M. – Accoglie il ricorso e condanna l’Equitalia Sud al pagamento delle spese che liquida in € 1.000,00 oltre accessori, a favore del ricorrente.


La relata di notifica “in bianco” rende inesistente la notificazione della cartella di pagamento

 

Decisione da condividere toto corde per quanto riguarda la irreversibile invalidità dell’atto impugnato, identificata nella forma più grave in assoluto, quella dell’inesistenza per vizio in procedendo (1).

Sul punto, il collegio laziale si uniforma alla giurisprudenza pressoché unitaria, impostata sulla modulazione dei vizi della notifica secondo la tripartizione: 1) mera, irrilevante irregolarità; 2) nullità sanabile; 3) inesistenza irrimediabile. Impostazione consolidata in un indirizzo ermeneutico, anche dottrinale, di cui questa Rivista ha ancora recentemente dato conto con una trattazione specifica (2).

Si tratta di una sorta di gerarchia interna alla nozione di vizio, che muove dalla 1) irregolarità – il difetto più leggero, che non intacca nella funzionalità l’atto che inficia (3); per proseguire con la 2) nullità – il difetto per così dire mediano, in quanto la variazione rispetto al modello edittale, lo schema tipico da seguire, appare sì di tutta evidenza, ma non preclude all’atto di attendere alla finalità istituzionale (appunto, insieme, la funzione e lo scopo) assegnatagli nel sistema con l’enunciazione dell’art. 156, secondo comma, c.p.c. (che guarda, per comminare la nullità, ai «requisiti formali [dell’atto] indispensabili per il raggiungimento dello scopo») (4); e concludersi con la 3) inesistenza, il vizio letteralmente più pacchiano, ergo più grave e letale per l’atto che colpisce.

Le implicazioni tecniche della distinzione sono consequenziali. Se l’irregolarità bolla situazioni di talmente lieve entità da non richiedere necessariamente l’allestimento di una contromisura per ripristinare la correttezza giuridica, i guasti creati dalla nullità possono invece essere sanati solo con adeguati rimedi comportamentali ad evidenza processuale. Al culmine della scala, poi, nessuna medicina può salvare l’atto affetto da inesistenza, in quanto totalmente privo «dei requisiti essenziali per la qualificazione come atto del tipo o della figura giuridica considerati, ovvero inidoneo non solo a produrre gli effetti processuali propri degli atti riconducibili a detto tipo o figura, ma persino ad essere presi in considerazione sotto il profilo giuridico» (5).

Significativi anche i risvolti d’indole processuale.

Se, per principio generale, la domanda che allega l’esistenza di un qualsiasi vizio va riscontrata dal giudice con un passaggio ad hoc della sentenza che conclude il grado (pena l’emergere di un vizio in iudicando), solo i primi due tipi di vizi (irregolarità e nullità) finiscono coperti dal giudicato ai sensi dell’art. 161, primo comma, c.p.c., in forza del quale ogni deduzione deve confluire in un autonomo motivo di gravame, pena la maturazione del giudicato interno; invece la sentenza pronunciata su un atto inesistente non passa in giudicato appunto perché munita, agli occhi del diritto, di vitalità solo apparente.

Nella fattispecie al vaglio dei giudici latinensi la relata di notifica del provvedimento era “in bianco”, presentava cioè una «assoluta incertezza sul luogo dove l’atto è stato notificato e da chi» (6). Si è verificata cioè una delle ipotesi descritte dall’art. 160 c.p.c., alla cui stregua «la notificazione è nulla … se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data» (di qui la pacifica applicabilità del primo comma del precedente art. 156 c.p.c.: «Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge»). Ora, è vero che lo stesso art. 160 c.p.c. fa «salva l’applicazione degli artt. 156 e 157» e che l’art. 156 prevede, al terzo comma, che «La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato», ma nella circostanza, proprio di quello il destinatario è stato defraudato, di essere messo in grado di verificare il corretto adempimento delle incombenze legali. Con che la finalità legislativa è stata totalmente travisata.

Sarebbe bastata tale constatazione, come vistosamente emersa dall’originale consegnato al contribuente, per determinare l’irreparabilità del guaio commesso (7). In ogni caso il concessionario, unico responsabile del malfatto (né la redazione del ruolo né la redazione dell’avviso di accertamento risultano passibili di vizi, ergo sfuggono a qualsivoglia censura in parte qua), ha totalmente mancato di produrre argomenti a sostegno del proprio operato, verosimilmente perché del tutto carenti. In proposito il giudice ha correttamente evocato l’art. 26 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, il cui tenore attuale così recita al quarto comma: «Il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione».

A nulla, in uno scenario del genere, vale obiettare che il contribuente, destinatario della cartella, ha avuto comunque conoscenza dei fatti. In primis, dal punto di vista fattuale, ciò non è vero, in quanto – un esempio per tutti – come avrebbe potuto valutare la legittimazione dell’operatore se costui non si è dichiarato (e sottoscritto)? Inoltre, a mo’ di corollario logico del primo rilievo, il vizio di inesistenza, per giurisprudenza costante, non è mai sanabile con la conoscenza dei dati rilevanti tratta aliunde.

Una anche sommaria riflessione sul delicato tema delle sanzioni processuali, con particolare riguardo al binomio nullità-inammissibilità, non può prescindere dall’esame di come esso è stato declinato all’interno di quel quid unicum che è il processo tributario (8). Si constaterà allora quanto massicciamente la questione abbia interessato la fase introduttiva del processo, cioè i vizi del ricorso e dell’appello (9). Qui la premura maggiore del legislatore va identificata nella salvaguardia di quella che potremmo chiamare la possibilità del processo, affinché ragioni formali, ergo secondarie, non abbiano a prevalere sull’aspettativa di verità e giustizia, che costituisce – o dovrebbe costituire in un sistema democratico bene ordinato – la preoccupazione somma del servizio giustizia (10).

Ecco perché la figura dell’inammissibilità ha conosciuto nell’esperienza del diritto vivente, attraverso una vibrante azione di allineamento alle linee-guida della nostra Magna Charta (le cosiddette letture costituzionalmente orientate), una sostanziale erosione allorché, nei fatti, le sue manifestazioni abbiano rischiato di pregiudicare il principio-cardine appena richiamato.

Basta rileggere le regole fissate dagli artt. 18 e segg. del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per comprendere quanto si sia rivelata fallace l’automatica identificazione, apparentemente incoraggiata dal tenore letterale delle singole disposizioni, fra inesistenza e inammissibilità.

Nello scongiurare siffatto rischio, la giurisprudenza si è rivelata molto attenta, compattandosi, ad esempio, intorno al «consolidato orientamento che, ai fini dell’applicazione della sanzione di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, ogni omissione deve essere intesa in senso restrittivo, ossia come mancanza radicale del requisito imposto dalla legge» (11).

A maggior ragione, l’assunto vale quando l’inammissibilità non è espressamente contemplata a carico dell’inadempiente. È, fra gli altri, il caso della parte resistente che, in luogo di costituirsi nel termine (ordinatorio) di sessanta giorni dalla ricezione dell’altrui ricorso (art. 23, primo comma, del D.Lgs. n. 546/1992), si costituisce in giudizio presentandosi all’udienza con l’assistenza di un professionista abilitato. A nulla rileva, in questo caso, che la stessa non abbia in precedenza compiuto alcun atto processuale, non si sia neppure costituita – come prescritto dall’art. 23, secondo comma – «mediante deposito presso la segreteria della commissione adita del proprio fascicolo contenente le controdeduzioni … e i documenti offerti in comunicazione».

Come detto, il termine utile alla costituzione è meramente ordinatorio e la sua violazione fino al limen litis, per quanto non immune da conseguenze (il resistente, ad esempio, è decaduto dalla facoltà di esibizione e di deposito di documenti e memorie, incombenze da onorare nei termini di cui all’art. 32 del D.Lgs. n. 546/1992) (12), non impedisce di elaborare una difesa tecnica orale nella sede dibattimentale.

Anche questa conclusione, mai controvertita in giurisprudenza, è un corollario del primario, indisponibile valore che, all’interno del processo, vede la sostanza prevalere sulla forma.

Avv. Valdo Azzoni

 

   (1) Irreversibile invalidità, per meglio dire, del solo atto principale che ha fornito il destro all’impugnazione, la cartella di pagamento. Infatti l’impugnazione congiunta dell’atto prodromico (l’avviso di accertamento), promossa dal ricorrente sulla scorta dell’impedimento che avrebbe investito – imprevedibilmente e con la virulenza di una forza maggiore non imputabile – la persona del suo consulente, è stata ritenuta inammissibile con ordinanza collegiale ad hoc, del 2 aprile 2012. Ora, per valutare funditus la situazione che ha portato il primo (poi dismesso) dei professionisti incaricati in corso di tempo – peraltro resosi attivo nella preliminare (e infruttuosa) fase dell’accertamento con adesione – a tralasciare la tempestiva impugnazione dell’avviso e per valutare di conseguenza la legittimità del diniego opposto dal giudice alla richiesta di remissione in termini di cui all’art. 153, secondo comma, c.p.c. (primo periodo: «La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini»), non si dispone di altri elementi se non l’accenno alla cattiva salute del padre del commercialista. Ebbene, se, in linea di massima, non si può sostenere (né secondo la morale né secondo il diritto) che la salute di un genitore anziano possa non premere a un figlio solerte e affezionato e non ne investa (in misura talora pesante quando non devastante) la persona complessivamente intesa, si deve invece concordare sul fatto che il punto va risolto sul terreno probatorio e che eventuali “fatti sopravvenuti”, posteriori cioè all’epoca della notifica dell’avviso, non possano di per sé soli addurre all’ammissione al beneficio. In dottrina merita interesse il contributo di m. cancedda, La notificazione della cartella di pagamento tra certezze della Cassazione e dubbi di legittimità costituzionale, in Boll. Trib., 2012, 165.

(2) Ved. v. azzoni, Irregolarità, nullità e inammissibilità nella proposizione del giudizio tributario, in Boll. Trib., 2012, 887.

(3) Cfr. Cass., sez. I, 26 agosto 1997, n. 8000, inBoll. Trib. On-line.

(4) Cfr. Cass., sez. un., 6 maggio 1996, n. 4191, inMass. Giust. civ., 1996; e Cass., sez. un., 28 novembre 2005, n. 25032, in Boll. Trib. On-line.

(5) Cass., sez. un., 10 ottobre 1997, n. 9859, inGiust. civ., 1997, I, 3005. Da ricordare peraltro il lodevolissimo sforzo di semplificazione operato da chi ha sostenuto che «malgrado nella prassi si contrapponga la nullità all’inammissibilità, quasi a indicare diversi vizi dell’atto processuale difforme rispetto al modello che lo prevede, in realtà tali vizi rientrano tutti nel concetto di nullità e la diversità discende esclusivamente dalle conseguenze che dagli stessi l’ordinamento fa derivare» (Cass., sez. un., 29 gennaio 2000, n. 16, in Giust. civ., 2000, I, 673).

(6) Art. 148 c.p.c.: «1. L’ufficiale giudiziario certifica l’eseguita notificazione mediante relazione da lui datata e sottoscritta, apposta in calce all’originale e alla copia dell’atto. 2. La relazione indica la persona alla quale è consegnata la copia e le sue qualità, nonché il luogo della consegna, oppure le ricerche, anche anagrafiche, fatte dall’ufficiale giudiziario, i motivi della mancata consegna e le notizie raccolte sulla reperibilità del destinatario».

(7) Ancora di recente è stato ribadito che «ai fini della validità della notifica di una cartella esattoriale eseguita ai sensi dell’art. 148 c.p.c., l’eventuale contrasto tra i dati risultanti dalla copia di relata allegata all’originale e i dati risultanti dalla copia consegnata al destinatario va risolto facendo prevalere le risultanze ricavabili dalla copia in possesso del destinatario, tenendo conto che, ove in questa manchi qualche elemento essenziale, la sua presenza nella relata allegata all’originale non è idonea ad escludere la nullità della notifica ai sensi dell’art. 160 c.p.c.» (Cass., sez. lav., 13 gennaio 2012, n. 398, in Boll. Trib., 2012, 1562; cfr. anche Cass., sez. trib., 22 febbraio 2011, ord. n. 4315, ivi, 2011, 1710, con nota redazionale favorevole).

(8) Ved. l’ancora attualissimo studio di e. della valle, L’inammissibilità del ricorso tra principi tributari e costituzionali, in nota a Cass., sez. trib., 31 ottobre 2005, n. 21170, in Boll. Trib., 2007, 285.

(9) In ragione del combinato disposto degli artt. 18, 49 e 61 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

(10) Illuminanti i passaggi di: – Corte Cost. 3 luglio 1963, n. 113, inBoll. Trib. On-line, che rigetta dal nostro panorama giuridico le formule «che frappongono ostacoli non giustificati da un preminente interesse pubblico ad uno svolgimento del processo civile adeguato alla funzione ad esso assegnata, nell’interesse generale, a protezione e attuazione dei diritti dei cittadini»; – Corte Cost. 6 dicembre 2002, n. 520, in Boll. Trib., 2003, 146, che ammonisce «all’esigenza di non contrastare la realizzazione della giustizia senza ragioni di seria importanza, ed ai criteri di equa razionalità nella valutazione di profili di forma, quando questi non implichino vera e propria violazione delle prescrizioni tassativamente specificate nella legge processuale»; – Cass., sez. trib., 8 settembre 2004, n. 18088, in Boll. Trib. On-line, che vuole «limitata al massimo l’operatività di irragionevoli sanzioni di inammissibilità in danno delle parti che di quella garanzia dovrebbero giovarsi».

(11) Cfr. Cass., sez. trib., 31 ottobre 2005, n. 21170, inBoll. Trib., 2007, 285; e Cass., sez. trib., 1° marzo 2005, n. 4307, in Boll. Trib. On-line.

(12) Come ricorda Cass., sez. trib., 10 febbraio 2010, n. 2925, inBoll. Trib. On-line, la decadenza comprende anche la proposizione dell’appello incidentale, che «in base all’espressa previsione dell’art. 54, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, deve essere contenuto a pena di inammissibilità nell’atto di controdeduzioni, depositato nei modi e nei termini di cui all’art. 23». L’arresto ha, per il resto, ribadito la piena facoltà del resistente di costituirsi all’udienza di discussione pubblica (art. 34 del D.Lgs. n. 546/1992).



[1] In Boll. Trib. On-line.

 

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