Ris. 5 novembre 2019, n. 92/E, dell’Agenzia delle entrate
“Sono pervenute alla scrivente, nell’ambito di un’istanza di interpello sui
nuovi investimenti presentata ai sensi dell’articolo 2 del Decreto Legislativo 14
settembre 2015, n. 147 (d’ora in avanti decreto internazionalizzazione), richieste di
chiarimenti in merito alla disciplina dettata dall’articolo 166-bis del testo unico delle
imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1986, n. 917 (di seguito “Tuir”), con riferimento alla formulazione in
vigore fino al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018.
In particolare, è stato chiesto di conoscere se nell’ipotesi di fusione per
incorporazione in entrata, avvenuta nel corso del 2018, di una società residente in
uno Stato incluso nella lista di cui all’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto
legislativo 1° aprile 1996, n. 239, il valore di ingresso delle attività e delle passività
trasferite in Italia per effetto dell’operazione straordinaria possa essere rinvenuto
automaticamente nel valore attribuito in sede di determinazione dell’exit tax dovuta
nello Stato di provenienza, essendo quest’ultimo conforme ai criteri elaborati
dall’OCSE per l’individuazione del prezzo in coerenza con il principio di libera
concorrenza (c.d. “arm’s length principle”).
Inoltre, nel medesimo contesto sono state chieste delucidazioni
relativamente alla rilevanza fiscale, ai sensi dell’articolo 166-bis del Tuir, del
disavanzo da fusione che l’incorporante ha allocato contabilmente ad avviamento, in
seguito all’operazione straordinaria.
Al riguardo, si osserva che il decreto internazionalizzazione ha introdotto, a
decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore dello stesso,
l’articolo 166-bis del Tuir, rubricato “Trasferimento della residenza nel territorio
dello Stato”.
La disposizione in esame reca una disciplina specifica per valorizzare, ai fini
delle imposte sui redditi, i beni che accedono per la prima volta nel nostro
ordinamento, risolvendo il problema (sorto in passato a causa del silenzio del
legislatore su tale aspetto) dell’individuazione dei criteri da utilizzare per attribuire il
valore di ingresso agli asset dei soggetti che trasferiscono la propria residenza
fiscale in Italia.
Più di recente l’articolo 166-bis del Tuir è stato modificato dall’articolo 3
del decreto legislativo 29 novembre 2018, n. 142, le cui disposizioni si applicano a
decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018
(cfr. articolo 13, comma 1, del medesimo decreto
Il comma 1 dell’articolo 166-bis del Tuir prevede, nella formulazione
ratione temporis rilevante ai fini dell’operazione oggetto dell’istanza, che “I soggetti
che esercitano imprese commerciali provenienti da Stati o territori inclusi nella lista
di cui all’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n.
239, che, trasferendosi nel territorio dello Stato, acquisiscono la residenza ai fini
delle imposte sui redditi assumono quale valore fiscale delle attività e delle
passività il valore normale delle stesse, da determinarsi ai sensi dell’articolo 9 [del
medesimo testo unico, n.d.r]”.
Con riferimento ai soggetti, si tratta di tutti coloro che provengono da Stati o
territori che consentono un adeguato scambio di informazioni ai sensi delle
Convenzioni per evitare le doppie imposizioni sul reddito in vigore con la
Repubblica italiana, come risulta dall’elencazione recata dall’articolo 1 del decreto
del Ministro delle Finanze del 4 settembre 1996, nella formulazione vigente per il
periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2018 (e tuttora valida).
Con riferimento a tali soggetti, dunque, le attività e passività in ingresso
sono valorizzate ai fini fiscali sulla base del relativo valore normale, determinato ai
sensi dell’articolo 9 del Tuir.
Tale ultima disposizione prevede che “Per valore normale, salvo quanto
stabilito nel comma 4 per i beni ivi considerati, si intende il prezzo o corrispettivo
mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in
condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel
tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in
mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore
normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che
ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere
di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso. Per i beni
e i servizi soggetti a disciplina dei prezzi si fa riferimento ai provvedimenti in
vigore”.
Con riferimento al concetto di trasferimento, come precisato dalla
risoluzione n. 69/E del 5 agosto 2016 , il predetto criterio del valore normale trova
applicazione anche laddove detto trasferimento nel territorio dello Stato si verifichi
“a seguito e per effetto di una fusione con una società italiana” e opera a
prescindere dal pagamento di una exit tax nello Stato di “uscita”.
Negli stessi termini si esprime anche la relazione illustrativa al decreto
internazionalizzazione, la quale precisa che il valore normale è assunto quale
“criterio generale” per i trasferimenti da Stati o territori cc.dd. white list.
Da quanto sopra consegue che il legislatore, privilegiando il criterio del
valore normale sancito dall’articolo 9 del Tuir, ha effettuato una scelta di neutralità
rispetto alle vicende dell’impresa che sono avvenute nello Stato estero white list di
provenienza, compreso il pagamento di un’imposta in uscita.
Il valore normale è il criterio di misurazione prescelto dall’articolo 166-bis
del Tuir la cui ratio è evitare che plusvalori o minusvalori dei beni maturati
interamente all’estero influiscano sulla determinazione del reddito imponibile in
Italia. E’ stata, dunque, ritenuta prevalente l’esigenza di limitare la potestà
impositiva italiana ai soli plusvalori maturati nel territorio dello Stato.
Il menzionato parametro del valore normale, peraltro, deve considerarsi
inderogabile, come chiarito in occasione dell’incontro con la stampa del 31 gennaio
2019, nell’ambito dell’edizione “TelefiscoSole24ore 2019”.
La natura inderogabile dell’univoco criterio del valore normale comporta
l’impossibilità di riconoscere automaticamente, ai fini della valorizzazione degli
asset in entrata, il valore ad essi attribuito nel paese di provenienza in sede di
determinazione di una eventuale exit tax ivi dovuta. Nemmeno è possibile recepire
tout court nel nostro ordinamento i valori correnti determinati nello Stato di uscita
secondo criteri locali, ancorché risultanti da una perizia di stima ivi redatta.
Da ciò deriva che non è possibile affermare in linea di principio che il valore
normale degli asset, richiamato dall’articolo 166-bis del Tuir, coincida sempre col
valore attribuito in sede di applicazione della exit tax dovuta nel Paese di
provenienza. L’eventuale conformità di quest’ultimo valore ai criteri enunciati
dall’OCSE per l’individuazione del prezzo in coerenza con l’arm’s length principle
può comunque rilevare per la determinazione dei valori di ingresso (i) qualora il
contribuente ritenga autonomamente di operare in tal senso, fermi restando, in questi
casi, gli ordinari poteri di controllo dell’amministrazione finanziaria di cui agli
articoli 32 e ss. del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.
600, o (ii) in sede di accordo, ai sensi dell’articolo 31-ter, comma 1, lettera a), del
citato D.P.R. n. 600 del 1973.
Con riferimento all’ulteriore questione inerente alla rilevanza fiscale, ai
sensi dell’articolo 166-bis del Tuir, del disavanzo da fusione che l’incorporante ha
allocato contabilmente ad avviamento, si rappresenta quanto segue.
Come sopra illustrato, la disciplina applicabile ratione temporis prevede la
valorizzazione al valore normale delle singole “attività” e delle “passività” dei
soggetti che trasferiscono la loro residenza in Italia.
La norma in commento non contiene alcuna menzione specifica del valore
dell’avviamento, a differenza della disposizione attualmente recata dal comma 4
dell’articolo 166-bis del Tuir, secondo cui “Il valore di mercato di cui al comma 3 è
determinato (…) tenendo conto, qualora si tratti di valore riferibile a un complesso
aziendale o a un ramo di azienda, del valore dell’avviamento, calcolato tenendo
conto delle funzioni e dei rischi trasferiti”.
Sulla base del tenore letterale dell’articolo 166-bis del Tuir, nella versione in
vigore precedentemente alle modifiche introdotte con il D. Lgs. n. 142 del 2018, si
ritiene, dunque, che non sia possibile attribuire automatica rilevanza fiscale alla
posta allocata contabilmente ad avviamento dall’incorporante e corrispondente al
disavanzo emerso a seguito della fusione per incorporazione. Tale posta, infatti, non
è riconducibile alle “attività” e alle “passività” del soggetto che trasferisce la propria
residenza in Italia mediante l’operazione straordinaria, in quanto emerge nel bilancio
dell’incorporante solo successivamente al perfezionarsi della medesima operazione
straordinaria come disavanzo da fusione contabilmente imputato dallo stesso
soggetto ad avviamento.
Ciò peraltro risulta coerente con quanto precisato con la citata risoluzione n.
69/E del 2016, dalla quale si desume che tra gli asset suscettibili di valorizzazione ai
sensi dell’articolo 166-bis del Tuir non è riconducibile l’avviamento autoprodotto
all’estero.
Il citato documento di prassi, che si riferisce alla formulazione della norma
in commento antecedente alle modifiche introdotte dal menzionato D. Lgs. n. 142
del 2018, conferma, quindi, che prima di tali ultime modifiche non trovava spazio
un’interpretazione diretta ad includere l’avviamento fra le poste valorizzabili in
entrata, tanto che – a tal fine – si è resa necessaria l’espressa modifica dell’articolo
166-bis del Tuir.
Si ritiene, quindi, che debba escludersi che per le operazioni precedenti
all’entrata in vigore del nuovo articolo 166-bis del Tuir la posta de qua assuma
rilevanza in via automatica, ai sensi dell’articolo 166-bis del Tuir, e ciò a
prescindere dalla circostanza che la stessa abbia scontato l’imposizione nel Paese
estero di provenienza in sede di exit tax”.